INT-86
09.03.2025
Uno dei grandi trionfatori della 75ª edizione della Berlinale è stato Iván Fund, che per il suo El Mensaje si è aggiudicato il Premio della Giuria, una delle vittorie che ci ha maggiormente soddisfatto al festival di quest'anno. Il nuovo lungometraggio del cineasta indipendente argentino si concentra sulle vicende di Anika (Anika Bootz), bambina di nove anni che vive on the road insieme ai nonni Roger (Marcelo Subiotto) e Miriam (Mara Bestelli). La loro esistenza è condizionata da un dono speciale posseduto da Anika, la capacità di comunicare con gli animali, che spesso viene sfruttata dalla nonna a scopo di lucro per offrire sollievo alle persone in cerca di “connessione” con i loro animali domestici. Attraverso questo viaggio, Anika incontrerà diversi animali, raggiungendo una connessione spirituale con loro, evidenziando in questo modo l'universale senso di solitudine che caratterizza ogni essere vivente.
Alla Berlinale abbiamo avuto il piacere di incontrare Iván Fund, che ci ha raccontato dell’aspetto politico e spirituale del film, del futuro del cinema argentino ed infine del lavoro svolto con la giovane protagonista.
Il team di El Mensaje sul red carpet al Festival di Berlino, © Richard Hübner / Berlinale 2025
Vorrei cominciare chiedendoti del futuro del cinema argentino. Negli ultimi due anni il governo di Javier Milei ha avuto gravi ripercussioni sulla cultura e, più nello specifico, sul cinema, e credo che il tuo film sia una sorta di “risposta poetica” a questo triste impatto culturale. Cosa dobbiamo aspettarci dal cinema argentino nel prossimo futuro?
Beh, mi piacerebbe sapere cosa il futuro ha in serbo per il cinema argentino… ma sono sicuro che noi cineasti riusciremo a trovare una soluzione, sono piuttosto fiducioso. È come quella frase che disse Ian Malcolm (personaggio interpretato da Jeff Goldblum, n.d.r.) in Jurassic Park, “Life finds a way”. Lo stesso per il cinema, noi registi argentini riusciremo a “trovare un modo” per continuare a fare film. Nonostante le varie avversità ed ostacoli, non ci siamo mai fermati, siamo davvero ostinati. Inoltre, se dai un’occhiata ai festival recenti noterei che sia a Rotterdam, al Sundance e alla Berlinale sono state presentate opere argentine, questa è la testimonianza della nostra resilienza. Ho iniziato a fare cinema vent’anni fa, conosco bene l’industria Argentina e con il tempo sono riuscito a creare questa “toolbox” (cassetta degli attrezzi, n.d.r.), se così posso definirla, con tutti i mezzi necessari per fare il tipo di cinema che voglio a seconda dei vari ostacoli. Per i nuovi cineasti invece è più difficile per via delle riforme di Milei e di quello che è successo con l’INCAA (Instituto Nacional de Cine y Artes Audiovisuales), associazione che ha avuto un'enorme importanza sulla mia generazione di cineasti. Tutti i film che mi hanno formato professionalmente avevano il logo dell’istituto nei titoli di testa, ma non solo, i loro workshop non erano focalizzati soltanto sulla produzione o la distribuzione, la funzione principale era quella educativa, la creazione di una cultura cinematografica nazionale. Al giorno d’oggi c’è un clima alquanto instabile nell’industria Argentina e oltre a mettere a repentaglio il futuro del nostro cinema, bisogna anche pensare alle persone che lo fanno e alle loro famiglie. Per questo c’è il bisogno di parlare di questa situazione. La distruzione sistematica e lo smantellamento culturale del governo sta cercando di distruggere il cinema. Oggi viviamo in un mondo dominato dagli algoritmi commerciali, ed è come se la nostra vita fosse misurata solo in base alla nostra utilità e al valore che essa ha sul mercato. Sono piuttosto preoccupato da questo, però mi piace quello che hai detto. I film sono una possibile risposta a questa crisi, propongono un’alternativa a come possiamo vivere, al significato di quello che ci sta attorno e come riusciamo a creare una connessione con le altre persone. Ci permettono di avere una nuova sensibilità e percezione sulla vita. Ed è davvero sconfortante vedere che il governo ha attaccato le radici della cultura cinematografica e le infrastrutture che sono state fondamentali per diversi cineasti perché questo conferma questa ideologia mercantilistica che pian piano sta distruggendo la nostra umanità. Inoltre, sinceramente tutte queste loro “concezioni” sul cinema argentino sono solo bugie, perché il cinema ha sempre portato buoni introiti nell’economia del Paese, sia quello commerciale, ma anche quello indipendente.
Quindi si può dire che El Mensaje sia una sorta di critica nei confronti di una società mercantilistica?
Esatto, come dicevo prima, il film riflette un'alternativa di vita, un modo di sopravvivere in questa società. Questo non si riverbera solo nella trama del film, ma anche nella forma e nel modo in cui è stato diretto. Credo che oggigiorno, quando si cerca di fare un film “poetico”, è come se si facesse un atto di resistenza politica, come se non si avesse il diritto di fare arte. Mi spiego meglio. Nel film vediamo questi personaggi ai margini di un mondo capitalista che stanno cercando di vivere con quello che hanno, lungo tutta la narrazione si ha la sensazione che “non meritino” di far parte della società. Credo anche che il mondo dell’infanzia e quello del cinema siano strettamente collegati attraverso il modo in cui osservano e celebrano le persone e il mondo. In entrambi i casi c’è questa visione fanciullesca di stupore nello scoprire la vita, e questo si oppone chiaramente ad una concezione capitalista che impone rigorosi modi di vivere, dove non c’è spazio per gli aspetti più teneri e fragili della nostra esistenza.
Anika Bootz in una scena di El Mensaje
Il film è sulla comunicazione, ma anche sulla solitudine, come se gli umani e gli animali fossero connessi da questa sensazione universale di emarginazione. Come ad esempio il riccio e la domanda ¿Donde están mis hermanos? che continua a chiedere ad Anika. Cosa puoi dirmi su questo aspetto?
Questa sensazione di solitudine e di melanconia è legata per lo più al mono no aware (concetto estetico giapponese, n.d.r.), ovvero la connessione che abbiamo con il passare del tempo. C’è questa sensazione effimera che da una parte porta malinconia, ma dall’altra ci spinge ad apprezzare l’unicità di alcuni momenti della nostra esistenza. Va oltre alla semplice solitudine, c’è qualcosa di malinconicamente tenero che ci collega; il film mostra questa visione esistenzialista del mondo nel quale tutti ci sentiamo soli, ma al tempo stesso non siamo gli unici a provare questa sensazione. L’aggiunta del mondo animale non è altro che un’espansione di questo concetto universale. Ho preso spunto dal cinema di Rossellini per creare questa connessione quasi spirituale tramite la gestualità dei personaggi e l’importanza del “contatto”.
Cosa puoi dirmi di Anika Bootz, la giovane interprete protagonista del film?
Conosco Anika sin da quando aveva due anni poiché è la figlia della mia compagna, Betania Cappato, che interpreta anche sua madre nel film. Quando ho iniziato a scrivere la sceneggiatura anni fa avevo immaginato la protagonista come una bambina di nove/dieci anni e Anika era troppo piccola per il ruolo. Voleva davvero partecipare a questo progetto ed ha sempre espresso la sua volontà di voler recitare e diventare un’attrice. Grazie a tutti gli ostacoli che ho incontrato per fare il film, il suo sogno si è avverato, aveva finalmente raggiunto l’età giusta per interpretare il personaggio e ha fatto un lavoro stupendo. Si può dire che questo film sia stato molto influenzato dai rapporti familiari. Marcelo Subiotto e Mara Bestelli, gli interpreti dei “guardiani” di Anika, sono una coppia nella vita reale ed erano anche i protagonisti di Piedra Noche (2021), il mio film precedente. Li conosco da molto tempo, sapevo che avrebbero portato qualcosa di speciale nei loro personaggi e hanno legato sin da subito con Anika, un elemento fondamentale per la riuscita del film.
Vorrei concludere chiedendoti della canzone Always on My Mind, la cover dei Pet Shop Boys, ha qualche significato specifico all’interno del film?
Quando abbiamo noleggiato il camper, il proprietario aveva lasciato un CD nello stereo e un giorno Anika, durante una pausa tra le riprese, si è messa al posto del guidatore, ha schiacciato play sulla radio ed è partita ad alto volume la canzone dei Pet Shop Boys. Sono corso a prendere la camera e ho ripreso la scena, era un momento così perfetto (emotivamente parlando) per controbilanciare il tono malinconico del film. Ho poi deciso che quella canzone sarebbe stata l’unica nel film e che avrebbe rappresentato una sorta di comfort zone per i personaggi. È successo tutto casualmente, quindi mi ritengo fortunato. Mi piace lavorare in questo modo ed accogliere elementi inaspettati della nostra realtà per creare la finzione narrativa.
Il trailer di El Mesaje
INT-86
09.03.2025
Uno dei grandi trionfatori della 75ª edizione della Berlinale è stato Iván Fund, che per il suo El Mensaje si è aggiudicato il Premio della Giuria, una delle vittorie che ci ha maggiormente soddisfatto al festival di quest'anno. Il nuovo lungometraggio del cineasta indipendente argentino si concentra sulle vicende di Anika (Anika Bootz), bambina di nove anni che vive on the road insieme ai nonni Roger (Marcelo Subiotto) e Miriam (Mara Bestelli). La loro esistenza è condizionata da un dono speciale posseduto da Anika, la capacità di comunicare con gli animali, che spesso viene sfruttata dalla nonna a scopo di lucro per offrire sollievo alle persone in cerca di “connessione” con i loro animali domestici. Attraverso questo viaggio, Anika incontrerà diversi animali, raggiungendo una connessione spirituale con loro, evidenziando in questo modo l'universale senso di solitudine che caratterizza ogni essere vivente.
Alla Berlinale abbiamo avuto il piacere di incontrare Iván Fund, che ci ha raccontato dell’aspetto politico e spirituale del film, del futuro del cinema argentino ed infine del lavoro svolto con la giovane protagonista.
Il team di El Mensaje sul red carpet al Festival di Berlino, © Richard Hübner / Berlinale 2025
Vorrei cominciare chiedendoti del futuro del cinema argentino. Negli ultimi due anni il governo di Javier Milei ha avuto gravi ripercussioni sulla cultura e, più nello specifico, sul cinema, e credo che il tuo film sia una sorta di “risposta poetica” a questo triste impatto culturale. Cosa dobbiamo aspettarci dal cinema argentino nel prossimo futuro?
Beh, mi piacerebbe sapere cosa il futuro ha in serbo per il cinema argentino… ma sono sicuro che noi cineasti riusciremo a trovare una soluzione, sono piuttosto fiducioso. È come quella frase che disse Ian Malcolm (personaggio interpretato da Jeff Goldblum, n.d.r.) in Jurassic Park, “Life finds a way”. Lo stesso per il cinema, noi registi argentini riusciremo a “trovare un modo” per continuare a fare film. Nonostante le varie avversità ed ostacoli, non ci siamo mai fermati, siamo davvero ostinati. Inoltre, se dai un’occhiata ai festival recenti noterei che sia a Rotterdam, al Sundance e alla Berlinale sono state presentate opere argentine, questa è la testimonianza della nostra resilienza. Ho iniziato a fare cinema vent’anni fa, conosco bene l’industria Argentina e con il tempo sono riuscito a creare questa “toolbox” (cassetta degli attrezzi, n.d.r.), se così posso definirla, con tutti i mezzi necessari per fare il tipo di cinema che voglio a seconda dei vari ostacoli. Per i nuovi cineasti invece è più difficile per via delle riforme di Milei e di quello che è successo con l’INCAA (Instituto Nacional de Cine y Artes Audiovisuales), associazione che ha avuto un'enorme importanza sulla mia generazione di cineasti. Tutti i film che mi hanno formato professionalmente avevano il logo dell’istituto nei titoli di testa, ma non solo, i loro workshop non erano focalizzati soltanto sulla produzione o la distribuzione, la funzione principale era quella educativa, la creazione di una cultura cinematografica nazionale. Al giorno d’oggi c’è un clima alquanto instabile nell’industria Argentina e oltre a mettere a repentaglio il futuro del nostro cinema, bisogna anche pensare alle persone che lo fanno e alle loro famiglie. Per questo c’è il bisogno di parlare di questa situazione. La distruzione sistematica e lo smantellamento culturale del governo sta cercando di distruggere il cinema. Oggi viviamo in un mondo dominato dagli algoritmi commerciali, ed è come se la nostra vita fosse misurata solo in base alla nostra utilità e al valore che essa ha sul mercato. Sono piuttosto preoccupato da questo, però mi piace quello che hai detto. I film sono una possibile risposta a questa crisi, propongono un’alternativa a come possiamo vivere, al significato di quello che ci sta attorno e come riusciamo a creare una connessione con le altre persone. Ci permettono di avere una nuova sensibilità e percezione sulla vita. Ed è davvero sconfortante vedere che il governo ha attaccato le radici della cultura cinematografica e le infrastrutture che sono state fondamentali per diversi cineasti perché questo conferma questa ideologia mercantilistica che pian piano sta distruggendo la nostra umanità. Inoltre, sinceramente tutte queste loro “concezioni” sul cinema argentino sono solo bugie, perché il cinema ha sempre portato buoni introiti nell’economia del Paese, sia quello commerciale, ma anche quello indipendente.
Quindi si può dire che El Mensaje sia una sorta di critica nei confronti di una società mercantilistica?
Esatto, come dicevo prima, il film riflette un'alternativa di vita, un modo di sopravvivere in questa società. Questo non si riverbera solo nella trama del film, ma anche nella forma e nel modo in cui è stato diretto. Credo che oggigiorno, quando si cerca di fare un film “poetico”, è come se si facesse un atto di resistenza politica, come se non si avesse il diritto di fare arte. Mi spiego meglio. Nel film vediamo questi personaggi ai margini di un mondo capitalista che stanno cercando di vivere con quello che hanno, lungo tutta la narrazione si ha la sensazione che “non meritino” di far parte della società. Credo anche che il mondo dell’infanzia e quello del cinema siano strettamente collegati attraverso il modo in cui osservano e celebrano le persone e il mondo. In entrambi i casi c’è questa visione fanciullesca di stupore nello scoprire la vita, e questo si oppone chiaramente ad una concezione capitalista che impone rigorosi modi di vivere, dove non c’è spazio per gli aspetti più teneri e fragili della nostra esistenza.
Anika Bootz in una scena di El Mensaje
Il film è sulla comunicazione, ma anche sulla solitudine, come se gli umani e gli animali fossero connessi da questa sensazione universale di emarginazione. Come ad esempio il riccio e la domanda ¿Donde están mis hermanos? che continua a chiedere ad Anika. Cosa puoi dirmi su questo aspetto?
Questa sensazione di solitudine e di melanconia è legata per lo più al mono no aware (concetto estetico giapponese, n.d.r.), ovvero la connessione che abbiamo con il passare del tempo. C’è questa sensazione effimera che da una parte porta malinconia, ma dall’altra ci spinge ad apprezzare l’unicità di alcuni momenti della nostra esistenza. Va oltre alla semplice solitudine, c’è qualcosa di malinconicamente tenero che ci collega; il film mostra questa visione esistenzialista del mondo nel quale tutti ci sentiamo soli, ma al tempo stesso non siamo gli unici a provare questa sensazione. L’aggiunta del mondo animale non è altro che un’espansione di questo concetto universale. Ho preso spunto dal cinema di Rossellini per creare questa connessione quasi spirituale tramite la gestualità dei personaggi e l’importanza del “contatto”.
Cosa puoi dirmi di Anika Bootz, la giovane interprete protagonista del film?
Conosco Anika sin da quando aveva due anni poiché è la figlia della mia compagna, Betania Cappato, che interpreta anche sua madre nel film. Quando ho iniziato a scrivere la sceneggiatura anni fa avevo immaginato la protagonista come una bambina di nove/dieci anni e Anika era troppo piccola per il ruolo. Voleva davvero partecipare a questo progetto ed ha sempre espresso la sua volontà di voler recitare e diventare un’attrice. Grazie a tutti gli ostacoli che ho incontrato per fare il film, il suo sogno si è avverato, aveva finalmente raggiunto l’età giusta per interpretare il personaggio e ha fatto un lavoro stupendo. Si può dire che questo film sia stato molto influenzato dai rapporti familiari. Marcelo Subiotto e Mara Bestelli, gli interpreti dei “guardiani” di Anika, sono una coppia nella vita reale ed erano anche i protagonisti di Piedra Noche (2021), il mio film precedente. Li conosco da molto tempo, sapevo che avrebbero portato qualcosa di speciale nei loro personaggi e hanno legato sin da subito con Anika, un elemento fondamentale per la riuscita del film.
Vorrei concludere chiedendoti della canzone Always on My Mind, la cover dei Pet Shop Boys, ha qualche significato specifico all’interno del film?
Quando abbiamo noleggiato il camper, il proprietario aveva lasciato un CD nello stereo e un giorno Anika, durante una pausa tra le riprese, si è messa al posto del guidatore, ha schiacciato play sulla radio ed è partita ad alto volume la canzone dei Pet Shop Boys. Sono corso a prendere la camera e ho ripreso la scena, era un momento così perfetto (emotivamente parlando) per controbilanciare il tono malinconico del film. Ho poi deciso che quella canzone sarebbe stata l’unica nel film e che avrebbe rappresentato una sorta di comfort zone per i personaggi. È successo tutto casualmente, quindi mi ritengo fortunato. Mi piace lavorare in questo modo ed accogliere elementi inaspettati della nostra realtà per creare la finzione narrativa.
Il trailer di El Mesaje