INT-58
06.03.2024
Una delle vittorie più soddisfacenti della Berlinale di quest’anno è stata quella di Matthias Glasner per la sceneggiatura di Sterben. Un premio che ha convinto, dal momento che il film è risultato tra i migliori presentati al Festival e ha rappresentato il primo, grande, riconoscimento ad una manifestazione cinematografica per il regista tedesco, uno dei talenti più sottovalutati degli ultimi vent’anni. Il cinema di Glasner è diventato celebre per aver affrontato argomenti “estremi” e a tratti controversi, mettendo lo spettatore in situazioni di disagio, basti pensare a Der freie Wille (2006), film che ha fatto conoscere il cineasta a livello internazionale.
Sterben, la sua ultima opera, non è da meno; con una durata di tre ore, il regista analizza le cronache dei Lunies, una famiglia disfunzionale caratterizzata da dipendenze, depressione e soprattutto astio reciproco. Il nucleo familiare è formato dalla cinica matriarca Lissy (Corinna Harfouch), il marito morente Gerd (Hans-Uwe Bauer) e i due figli Tom (Lars Eidinger), un direttore d’orchestra che sta lavorando insieme al suo amico Bernard (Robert Gwisdek) su un brano intitolato “sterben”, ovvero “morire”, e Eileen (Lilith Stangenberg), la pecora nera della famiglia, una donna alcolizzata che conduce una relazione tossica con Sebastian (Ronald Zehrfeld), un dentista spostato.
Quello che colpisce in Sterben è l’audacia e l’ambizione con cui il cineasta analizza certi argomenti tabù, raccontando la storia dei suoi personaggi attraverso un tono decisamente irriverente. Al Festival di Berlino abbiamo avuto il piacere di intervistare Matthias Glasner, che ci ha parlato della collaborazione con Lars Eidinger e Corinna Harfiuch, raccontato alcuni aneddoti sulle scene più significative del film e spiegato quanto Sterben sia un’opera personale. Il lungometraggio verrà distribuito prossimamente nelle nostre sale da Satine Film.
Quale è stato il punto di partenza di Sterben?
L’esperienza personale che ha ispirato Sterben è tutta nell’incipit. I miei genitori erano venuti a mancare da poco e mia figlia era appena nata, per me è stato un momento di profonda crisi. Mi sentivo sopraffatto da tutto e sapevo che l’unico modo per provare a superare questo periodo era lavorare. Quando scrivo o dirigo mi sento meglio, riesco a dimenticare tutto ciò che mi circonda. Quindi si, il mio trascorso personale è stato il punto di partenza di Sterben. Poi, tramite questo film, volevo riportare in vita i miei genitori… all’inizio non me ne rendevo conto, ma più avanti, durante la lavorazione, ho capito che la pellicola si focalizzava soprattutto sulle figure genitoriali. Sterben non è un film sulla “morte” di per sé, ma sul “morire”, quel processo che porta alla morte. Nel mio caso, questo processo è durato molto, e ha avuto un forte impatto sulla mia vita. Con questo film volevo cercare di elaborare le emozioni che avevo provato, soprattutto quella sensazione di rimorso e di colpevolezza che avevo verso i miei genitori. Ma allo stesso tempo, la vita non si ferma solo per quel motivo, ci possono essere altri pensieri nella esta di una persona, come la nascita di una figlia o un possibile tradimento da parte della propria compagna. Ho pensato che ci potesse essere un legame tra tutte queste cose, quindi ho cercato, attraverso Sterben, di creare una “sinfonia” che le connettesse tutte. Utilizzo il termine “sperimentare” perché non ero sicuro che un approccio come questo avrebbe funzionato. Volevo cercare di rappresentare tutte le varie sfaccettature della nostra quotidianità e quegli aspetti caotici che la condizionano… come la dipendenza, la depressione, la morte e quel desiderio di farla finita.
Quindi si potrebbe dire che il film ha avuto una funzione “terapeutica”?
No. Non era una “terapia” e non ne ho bisogno (il regista ride, n.d.r.). Però seriamente, lavorare a questo film è stato in qualche modo divertente perché mi sono concesso di avere uno stile più “libero”, che andasse contro le classiche regole cinematografiche e drammaturgiche. Sterben riguarda vicende che hanno condizionato il mio passato, ora ho una nuova vita, una nuova famiglia da dieci anni e ho due bambine. Mi ero ripromesso che non li avrei inseriti nel film, ma ho imbrogliato un pochino e nell’ultima scena si può vedere una delle mie figlie. In questo film ho raccontato vicende passate che sono un ricordo lontano, quindi direi di no, non è stato una forma di terapia.
Nonostante sia un film sul “morire”, certe situazioni regalano una sensazione di calore, quasi affettuosa. Puoi approfondire questo aspetto?
Certo. Il mio intento era quello di fare un film “affettuoso” (warm, n.d.r.), tenero ma allo stesso tempo “fisico” e intenso. Non sono il classico regista tedesco che fa lunghi piani sequenza con gli attori che rimangono immobili ecc… (il regista ride, n.d.r.), volevo realizzare un film “vivo” sul processo che porta alla morte. Qualcuno ci sta lasciando, ma la vita continua…e volevo presentare tutti quegli aspetti caotici che citavo prima e che ci permettono di affrontare quella sensazione che è alla base del lungometraggio, ovvero quella del “non essere amati”. Se tua madre non ti vuole bene, come affronti la situazione? Quando non si è amati, è difficile amare se stessi e pian piano, inizi a perdere le persone che ti stanno vicino. L’assenza e il desiderio di essere amati vengono colmati dai personaggi in maniera diversa. Per Tom c’è la musica, quando conduce la sua orchestra riesce a dimenticare ciò che lo circonda, conosco molto bene questa sensazione perché è ciò che mi succede quando dirigo un film. In quei momenti è come se non avessi coscienza di me stesso, mentre in qualsiasi altro istante della mia vita sento il peso della mia esistenza e mi sento un pochino grasso e… (il regista scoppia a ridere, n.d.r.) penso ad altre cose che non mi piacciono del mio aspetto. Ma quando dirigo, dimentico tutti e amo questa sensazione, mi sento preso dal momento, proprio come quando Tom conduce l’orchestra. Volevo rappresentare anche la magia che si cela dietro al processo creativo di un'artista. L’arte a volte rappresenta qualcosa che è più grande di noi stessi, in Sterben è la musica ad esempio. Quando tua madre ti dice che non vali nulla bisogna fare qualcosa che è più grande di noi stessi, perché in quel momento nulla ha senso. Devi creare qualcosa che sembra valido e devi farlo con qualcuno vicino.
Come definiresti i tuoi personaggi? Problematici?
Sì, lo sono e i loro problemi derivano dal non essere amati. Il film parla della solitudine e su come questa condizioni i rapporti tra varie persone. Volevo mostrare soprattutto come i personaggi riescono, o tentano, di evadere da questa condizione. Tom ha la musica, Ellen ha l’alcool e il sesso. Non credo che il loro atteggiamento sia “problematico” (il regista ride, n.d.r.). Ellen è una parte di me e, quando la mia carriera non stava decollando, ho fatto le sue stesse scelte.
Volevo chiederti del personaggio più tragico della storia, quello di Bernard, l’amico e stretto collaboratore di Tom. È ispirato ad una persona che ti era vicina?
Aspettavo questa domanda (il regista sospira, n.d.r.) , era solo una questione di tempo e sei la prima persona a chiedermelo. Lui è… un’altra parte di me. Nella mia vita ho preso in considerazione più volte il suicidio. Prima della nascita dei miei figli, la vita non mi piaceva molto. Ora è diverso, ma ho passato un periodo dove ero come Bernard. C’è un aforisma di Emil Cioran (filosofo rumeno, n.d.r.) che recita “senza la possibilità del suicidio avrei potuto uccidermi molto tempo fa”... era questo il mio motto. Direi di fermarci qui con questa domanda se non ti dispiace.
Nessun problema. Verso la fine del film c’è un momento particolare tra Tom e Bernard, un avvenimento che ridefinisce il concetto di “amicizia” e più ci penso, più credo che tu abbia ridefinito più volte il concetto di relazione tra due persone nel corso del film. Era tua volontà affrontare questo aspetto? Eri conscio di questa scelta?
Sì, certamente. Cerco sempre di rappresentare una situazione sotto vari punti di vista per permettere al pubblico di vedere una situazione diversamente da come si è abituati. Per me l’amicizia è stato un tema piuttosto difficile da trattare. Mia madre diceva “l’amicizia è una cosa sopravvalutata” (il regista ride, n.d.r.) e, anche se non mi piace questa frase, purtroppo penso che sia vera. Quello che vedi nel film è la mia concezione di “amicizia” e, come Bernard dice verso la fine, “è per questo che servono gli amici, per aiutarti quando la situazione è incasinata”. Il rapporto tra Tom e Bernard è cupo, ma pieno di affetto, e credo che la loro sia la “storia d’amore” più bella all’interno del film. Si chiamano sempre partner, come se fossero in una relazione. Ed è qui che arriva il dubbio di Tom nella parte finale, come può essere davvero un amico? Non è sicuro della scelta che fa, ma forse è quella più giusta nei confronti di Bernard. Questa situazione lo tormenta e la scena del concerto che segue mostra proprio questo. Durante il requiem per Bernard vediamo il volto spaesato di Tom, non ha ancora processato del tutto quello che è successo, ma verso la fine si può intravedere un piccolo sorriso insieme a delle lacrime di gioia. Forse Tom ha capito di aver preso la decisione giusta… come amico.
Volevi compiere una sorta di denuncia verso il sistema di assistenza sanitaria nella prima parte del film? Mi ha colpito molto la scena dove interrogano la madre e uno degli inservienti le dice che se è volenterosa di fare una buona impressione significa che non è davvero malata… come se la dignità di una persona possa essere quantificata a seconda di quanto sia malata.
Purtroppo sì. Ho vissuto questa esperienza in prima persona con i miei genitori e l’ho trovata davvero assurda. Il sistema sanitario ha regole insensate, dove ti assegnano un punteggio a seconda di quanto stai in bagno ad esempio. I miei genitori stavano vivendo una situazione terribile ma non avevano raggiunto i “punti” necessari per ricevere un ulteriore aiuto economico da parte dello Stato. Per un periodo, questi assistenti sono venuti tutti i giorni a cronometrare le attività dei miei genitori. È una situazione ridicola che mette solo pressione agli anziani. Non sono ricco, ma sarei stato in grado di aiutare a pagare per le cure necessarie, però i miei genitori rifiutarono perché erano molto orgogliosi. Cercavano sempre di fare una buona impressione davanti a quelle persone, come se si trovassero davanti alla polizia, ed è per questo che ho aggiunto quella frase nel film. È una situazione sbagliata, che mi ha fatto arrabbiare, ed è l’unica scena di Sterben dove giudico qualcuno e dico esplicitamente “questo è sbagliato, sei un stronzo" (il regista ride, n.d.r.).
Al Festival, il film è stato accolto in maniera molto calorosa, sia dalla stampa che dal pubblico, e qualcuno lo ha anche definito “una ventata d’aria fresca” nel panorama cinematografico tedesco. Cosa ne pensi di questo?
Ad essere sincero, non credo di appartenere a nessuna corrente del cinema tedesco. Non ho legami o connessioni con esso e non guardo film tedeschi. Sono più interessato al cinema internazionale, si può imparare così tanto da altre culture e usanze. Poi, essendo tedesco, ho la mia visione su come è la Germania e non penso di aver bisogno di vedere film tedeschi. Non perché non rispetto il lavoro altrui, anzi gli ultimi tre film che ho visto erano molto validi ed erano diretti da registe donne. Il futuro del cinema tedesco sembra essere nelle loro mani. Comunque, non appartengo a nessuna scuola di cinema e non ho amici registi, ma dopo la première mi sono arrivati diversi messaggi, tra cui uno da un rinomato regista tedesco che si è complimentato per il film. Ero a bocca aperta e ho pensato “Wow! Magari possiamo incontrarci per un caffè?” (il regista ride, n.d.r.).
Magari adesso puoi andare a vedere i loro film per ricambiare i complimenti.
Si certo, ma ripeto, non voglio mancare di rispetto a nessuno, ma avendo due figlie piccole e una vita piuttosto incasinata non ho così tanto tempo per vedere film.
Utilizzi piattaforme streaming come Netflix?
Sì le uso, soprattutto per guardare le serie. Sono sempre stato appassionato dal mondo della serialitá televisiva, ho anche diretto qualche serie in passato, e questo interesse lo puoi intravedere anche nel film; in certe serie tv, non c’è un inizio o una fine ben precisa, mostrano solamente lo slice of life di alcuni personaggi seguendo diverse prospettive e, come storyteller, questo approccio è molto affascinante. Ho cercato di integrarlo in Sterben e questo mi ha permesso di sperimentare sulla narrativa. Alcune persone hanno già paragonato il film ad una miniserie, e per me va benissimo perché anche nei prodotti televisivi c’è “cinema”. Sterben è comunque un’esperienza cinematografica che bisogna assaporare sul grande schermo. L’uso della musica è un aspetto fondamentale, non credo che vedrai in una normale serie tv una scena della durata di sei minuti come quella del concerto.
Ora volevo entrare nel dettaglio di una delle scene più particolari del lungometraggio: quella dove Ellen, da ubriaca, estrae il dente di Sebastian e dopo esserci riuscita si scambiano un bacio troppo passionale, o sanguigno, se così posso definirlo. Come è nata questa scena?
Credo che l’ispirazione principale sia il cinema asiatico, per lo più quello giapponese e coreano, che è caratterizzato da quella volontà di andare sopra le righe. Nell'ambito di questo discorso prenderei ad esempio Parasite (2019), adoro quella pellicola, è davvero incredibile, parte come un dramma sociale ma poi prende direzioni sempre più inaspettate. Alcune volte, forse, forzo troppo la mano e tendo a esagerare, ma mi piace farlo perché do spazio al mio lato più fanciullesco e infantile. Non voglio fare film per “adulti” (grownups, n.d.r.) e l’altro giorno ho letto proprio un’intervista fatta a Martin Scorsese dove il cineasta rimarcava il fatto che in America vogliono soprattutto questi film per “adulti” e che lui non vuole fare quel tipo di cinema. Mi ha fatto piacere leggere quelle parole. A me piacciono i film che non sono “perfetti” e che osano nella forma, nel tono e nella scrittura, in poche parole quelli che continuano a sorprendere lo spettatore. Con Sterben non mi sono posto limiti.
Vorrei farti qualche domanda sugli interpreti principali del cast, iniziando con Corinna Harfouch, attrice con cui avevi già collaborato in passato, cosa mi puoi dire di lei?
Abbiamo lavorato diverse volte insieme e per il ruolo di “mia madre” ho sempre visto lei. Voglio molto bene a Corinna ed è un’attrice strepitosa, riesce sempre a infondere quella dignità e solennità nei suoi personaggi. Inoltre è davvero una persona fondamentale nella mia vita e mi ha salvato più volte dalla vasca da bagno. Lei era l’unica scelta possibile per quel ruolo ed era l’unica persona che sarebbe stata in grado di dare una dignità a mia madre.
Per quanto riguarda Lars Eidenger?
La situazione con lui è un po’ diversa. Siccome non guardo tanto cinema tedesco, non lo conoscevo molto come attore, ma avevo visto un paio di sue interviste. Fin da subito mi aveva conquistato il modo in cui parlava e la maniera schietta e diretta con cui esprimeva le sue opinioni, ma allo stesso tempo lo trovavo simpatico e divertente, tutti attributi importanti per il personaggio di Tom. Inoltre, il suo compleanno è il giorno dopo il mio e ho pensato che fosse un segno del destino. Al primo incontro non abbiamo neanche dovuto parlare molto perché Lars ha capito subito il film e il personaggio che doveva interpretare. Non so se mi è permesso dire questa cosa, forse dovrei chiedere il permesso a Lars prima, però la dirò lo stesso… entrambi siamo persone che si alzano la mattina e non pensano a “Wow! Sarà una giornata meravigliosa!”, ma l’opposto, siamo del tipo “Oddio, un’altra giornata…”. Questo suo modo di pensare all’inizio mi aveva sorpreso, perché lui sembra una persona così energica. C’era qualcosa di simile tra Lars e Tom. Aveva capito perfettamente come catturare il modo di pensare e la percezione della vita del suo personaggio.
Parlando di Tom e la madre, all’interno del film c’è questa lunga sequenza dove i due personaggi iniziano a discutere sulla “mancanza di amore” reciproca, una scena straordinaria che fa emozionare e mette a disagio lo spettatore. Mi sono chiesto il perché delle azioni dei personaggi, anche se sanno che non c’è amore tra di loro, non è meglio non affrontare il discorso e rimanere in silenzio?
È vero quello che dici, ma come regista ti dico che sono interessato ad esplorare certe dinamiche nei personaggi e come queste si connettono tra di loro. Curo nel dettaglio ogni dialogo della sceneggiatura e non permetto agli attori di improvvisare. Girare questa scena è stata una sorta di esperimento per me, erano venti pagine di dialogo dove i due personaggi dicono apertamente ciò che pensano l’uno dell’altro, evitando di nascondere i propri sentimenti. Non so dirti se quello che sentì è la verità, ma è ciò che Tom e la madre stanno pensando in quel momento, ed è importante tenere conto di questo. Ad esempio, verso la fine della scena, la madre dice che ama Ellen, ma non credo sia la verità perché è una persona che non è capace di amare. La scrittura di questa scena è stata piuttosto complessa, certi dialoghi sembravano impossibili da recitare ed era importante gestire anche i momenti di silenzio, ma Corinna e Lars hanno fatto meraviglie come hai visto. Ti dirò di più, erano venticinque minuti di sequenza e dopo la prima ripresa sono andato da Corinna e le ho detto che sarebbe stata dura raggiungere lo stesso livello nelle riprese successive, ed è quello che è successo. Abbiamo provato a girare la scena altre tre volte, ma non con lo stesso risultato, come se i due attori avessero dato tutto quello che avevano nella prima ripresa.
Vorrei concludere l’intervista chiedendoti di approfondire l’operazione svolta sul tono dell’opera, hai saputo affrontare gli argomenti più cupi con una certa ironia, come hai fatto a trovare il giusto mix?
Nella sfera privata, quando ho raccontato certi episodi della mia vita, mi ha sorpreso il fatto di vedere così tante persone ridere, come ad esempio durante le storie che riguardano i miei genitori. Per farti un esempio, la scena del funerale del padre è vera e, come Tom, ho rotto l’auto e ho mancato la cerimonia… e la gente rideva. Spesso, le storie più macabre hanno una strana ironia di fondo, e questa ti libera dal dolore. Volevo questo tipo di humor in Sterben, voglio che il pubblico capisca la situazione caotica di un certo personaggio e che rida con lui. Non volevo creare scene ironiche, ma mi sono reso conto che, più una scena era dark e grottesca, più diventava divertente.
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06.03.2024
Una delle vittorie più soddisfacenti della Berlinale di quest’anno è stata quella di Matthias Glasner per la sceneggiatura di Sterben. Un premio che ha convinto, dal momento che il film è risultato tra i migliori presentati al Festival e ha rappresentato il primo, grande, riconoscimento ad una manifestazione cinematografica per il regista tedesco, uno dei talenti più sottovalutati degli ultimi vent’anni. Il cinema di Glasner è diventato celebre per aver affrontato argomenti “estremi” e a tratti controversi, mettendo lo spettatore in situazioni di disagio, basti pensare a Der freie Wille (2006), film che ha fatto conoscere il cineasta a livello internazionale.
Sterben, la sua ultima opera, non è da meno; con una durata di tre ore, il regista analizza le cronache dei Lunies, una famiglia disfunzionale caratterizzata da dipendenze, depressione e soprattutto astio reciproco. Il nucleo familiare è formato dalla cinica matriarca Lissy (Corinna Harfouch), il marito morente Gerd (Hans-Uwe Bauer) e i due figli Tom (Lars Eidinger), un direttore d’orchestra che sta lavorando insieme al suo amico Bernard (Robert Gwisdek) su un brano intitolato “sterben”, ovvero “morire”, e Eileen (Lilith Stangenberg), la pecora nera della famiglia, una donna alcolizzata che conduce una relazione tossica con Sebastian (Ronald Zehrfeld), un dentista spostato.
Quello che colpisce in Sterben è l’audacia e l’ambizione con cui il cineasta analizza certi argomenti tabù, raccontando la storia dei suoi personaggi attraverso un tono decisamente irriverente. Al Festival di Berlino abbiamo avuto il piacere di intervistare Matthias Glasner, che ci ha parlato della collaborazione con Lars Eidinger e Corinna Harfiuch, raccontato alcuni aneddoti sulle scene più significative del film e spiegato quanto Sterben sia un’opera personale. Il lungometraggio verrà distribuito prossimamente nelle nostre sale da Satine Film.
Quale è stato il punto di partenza di Sterben?
L’esperienza personale che ha ispirato Sterben è tutta nell’incipit. I miei genitori erano venuti a mancare da poco e mia figlia era appena nata, per me è stato un momento di profonda crisi. Mi sentivo sopraffatto da tutto e sapevo che l’unico modo per provare a superare questo periodo era lavorare. Quando scrivo o dirigo mi sento meglio, riesco a dimenticare tutto ciò che mi circonda. Quindi si, il mio trascorso personale è stato il punto di partenza di Sterben. Poi, tramite questo film, volevo riportare in vita i miei genitori… all’inizio non me ne rendevo conto, ma più avanti, durante la lavorazione, ho capito che la pellicola si focalizzava soprattutto sulle figure genitoriali. Sterben non è un film sulla “morte” di per sé, ma sul “morire”, quel processo che porta alla morte. Nel mio caso, questo processo è durato molto, e ha avuto un forte impatto sulla mia vita. Con questo film volevo cercare di elaborare le emozioni che avevo provato, soprattutto quella sensazione di rimorso e di colpevolezza che avevo verso i miei genitori. Ma allo stesso tempo, la vita non si ferma solo per quel motivo, ci possono essere altri pensieri nella esta di una persona, come la nascita di una figlia o un possibile tradimento da parte della propria compagna. Ho pensato che ci potesse essere un legame tra tutte queste cose, quindi ho cercato, attraverso Sterben, di creare una “sinfonia” che le connettesse tutte. Utilizzo il termine “sperimentare” perché non ero sicuro che un approccio come questo avrebbe funzionato. Volevo cercare di rappresentare tutte le varie sfaccettature della nostra quotidianità e quegli aspetti caotici che la condizionano… come la dipendenza, la depressione, la morte e quel desiderio di farla finita.
Quindi si potrebbe dire che il film ha avuto una funzione “terapeutica”?
No. Non era una “terapia” e non ne ho bisogno (il regista ride, n.d.r.). Però seriamente, lavorare a questo film è stato in qualche modo divertente perché mi sono concesso di avere uno stile più “libero”, che andasse contro le classiche regole cinematografiche e drammaturgiche. Sterben riguarda vicende che hanno condizionato il mio passato, ora ho una nuova vita, una nuova famiglia da dieci anni e ho due bambine. Mi ero ripromesso che non li avrei inseriti nel film, ma ho imbrogliato un pochino e nell’ultima scena si può vedere una delle mie figlie. In questo film ho raccontato vicende passate che sono un ricordo lontano, quindi direi di no, non è stato una forma di terapia.
Nonostante sia un film sul “morire”, certe situazioni regalano una sensazione di calore, quasi affettuosa. Puoi approfondire questo aspetto?
Certo. Il mio intento era quello di fare un film “affettuoso” (warm, n.d.r.), tenero ma allo stesso tempo “fisico” e intenso. Non sono il classico regista tedesco che fa lunghi piani sequenza con gli attori che rimangono immobili ecc… (il regista ride, n.d.r.), volevo realizzare un film “vivo” sul processo che porta alla morte. Qualcuno ci sta lasciando, ma la vita continua…e volevo presentare tutti quegli aspetti caotici che citavo prima e che ci permettono di affrontare quella sensazione che è alla base del lungometraggio, ovvero quella del “non essere amati”. Se tua madre non ti vuole bene, come affronti la situazione? Quando non si è amati, è difficile amare se stessi e pian piano, inizi a perdere le persone che ti stanno vicino. L’assenza e il desiderio di essere amati vengono colmati dai personaggi in maniera diversa. Per Tom c’è la musica, quando conduce la sua orchestra riesce a dimenticare ciò che lo circonda, conosco molto bene questa sensazione perché è ciò che mi succede quando dirigo un film. In quei momenti è come se non avessi coscienza di me stesso, mentre in qualsiasi altro istante della mia vita sento il peso della mia esistenza e mi sento un pochino grasso e… (il regista scoppia a ridere, n.d.r.) penso ad altre cose che non mi piacciono del mio aspetto. Ma quando dirigo, dimentico tutti e amo questa sensazione, mi sento preso dal momento, proprio come quando Tom conduce l’orchestra. Volevo rappresentare anche la magia che si cela dietro al processo creativo di un'artista. L’arte a volte rappresenta qualcosa che è più grande di noi stessi, in Sterben è la musica ad esempio. Quando tua madre ti dice che non vali nulla bisogna fare qualcosa che è più grande di noi stessi, perché in quel momento nulla ha senso. Devi creare qualcosa che sembra valido e devi farlo con qualcuno vicino.
Come definiresti i tuoi personaggi? Problematici?
Sì, lo sono e i loro problemi derivano dal non essere amati. Il film parla della solitudine e su come questa condizioni i rapporti tra varie persone. Volevo mostrare soprattutto come i personaggi riescono, o tentano, di evadere da questa condizione. Tom ha la musica, Ellen ha l’alcool e il sesso. Non credo che il loro atteggiamento sia “problematico” (il regista ride, n.d.r.). Ellen è una parte di me e, quando la mia carriera non stava decollando, ho fatto le sue stesse scelte.
Volevo chiederti del personaggio più tragico della storia, quello di Bernard, l’amico e stretto collaboratore di Tom. È ispirato ad una persona che ti era vicina?
Aspettavo questa domanda (il regista sospira, n.d.r.) , era solo una questione di tempo e sei la prima persona a chiedermelo. Lui è… un’altra parte di me. Nella mia vita ho preso in considerazione più volte il suicidio. Prima della nascita dei miei figli, la vita non mi piaceva molto. Ora è diverso, ma ho passato un periodo dove ero come Bernard. C’è un aforisma di Emil Cioran (filosofo rumeno, n.d.r.) che recita “senza la possibilità del suicidio avrei potuto uccidermi molto tempo fa”... era questo il mio motto. Direi di fermarci qui con questa domanda se non ti dispiace.
Nessun problema. Verso la fine del film c’è un momento particolare tra Tom e Bernard, un avvenimento che ridefinisce il concetto di “amicizia” e più ci penso, più credo che tu abbia ridefinito più volte il concetto di relazione tra due persone nel corso del film. Era tua volontà affrontare questo aspetto? Eri conscio di questa scelta?
Sì, certamente. Cerco sempre di rappresentare una situazione sotto vari punti di vista per permettere al pubblico di vedere una situazione diversamente da come si è abituati. Per me l’amicizia è stato un tema piuttosto difficile da trattare. Mia madre diceva “l’amicizia è una cosa sopravvalutata” (il regista ride, n.d.r.) e, anche se non mi piace questa frase, purtroppo penso che sia vera. Quello che vedi nel film è la mia concezione di “amicizia” e, come Bernard dice verso la fine, “è per questo che servono gli amici, per aiutarti quando la situazione è incasinata”. Il rapporto tra Tom e Bernard è cupo, ma pieno di affetto, e credo che la loro sia la “storia d’amore” più bella all’interno del film. Si chiamano sempre partner, come se fossero in una relazione. Ed è qui che arriva il dubbio di Tom nella parte finale, come può essere davvero un amico? Non è sicuro della scelta che fa, ma forse è quella più giusta nei confronti di Bernard. Questa situazione lo tormenta e la scena del concerto che segue mostra proprio questo. Durante il requiem per Bernard vediamo il volto spaesato di Tom, non ha ancora processato del tutto quello che è successo, ma verso la fine si può intravedere un piccolo sorriso insieme a delle lacrime di gioia. Forse Tom ha capito di aver preso la decisione giusta… come amico.
Volevi compiere una sorta di denuncia verso il sistema di assistenza sanitaria nella prima parte del film? Mi ha colpito molto la scena dove interrogano la madre e uno degli inservienti le dice che se è volenterosa di fare una buona impressione significa che non è davvero malata… come se la dignità di una persona possa essere quantificata a seconda di quanto sia malata.
Purtroppo sì. Ho vissuto questa esperienza in prima persona con i miei genitori e l’ho trovata davvero assurda. Il sistema sanitario ha regole insensate, dove ti assegnano un punteggio a seconda di quanto stai in bagno ad esempio. I miei genitori stavano vivendo una situazione terribile ma non avevano raggiunto i “punti” necessari per ricevere un ulteriore aiuto economico da parte dello Stato. Per un periodo, questi assistenti sono venuti tutti i giorni a cronometrare le attività dei miei genitori. È una situazione ridicola che mette solo pressione agli anziani. Non sono ricco, ma sarei stato in grado di aiutare a pagare per le cure necessarie, però i miei genitori rifiutarono perché erano molto orgogliosi. Cercavano sempre di fare una buona impressione davanti a quelle persone, come se si trovassero davanti alla polizia, ed è per questo che ho aggiunto quella frase nel film. È una situazione sbagliata, che mi ha fatto arrabbiare, ed è l’unica scena di Sterben dove giudico qualcuno e dico esplicitamente “questo è sbagliato, sei un stronzo" (il regista ride, n.d.r.).
Al Festival, il film è stato accolto in maniera molto calorosa, sia dalla stampa che dal pubblico, e qualcuno lo ha anche definito “una ventata d’aria fresca” nel panorama cinematografico tedesco. Cosa ne pensi di questo?
Ad essere sincero, non credo di appartenere a nessuna corrente del cinema tedesco. Non ho legami o connessioni con esso e non guardo film tedeschi. Sono più interessato al cinema internazionale, si può imparare così tanto da altre culture e usanze. Poi, essendo tedesco, ho la mia visione su come è la Germania e non penso di aver bisogno di vedere film tedeschi. Non perché non rispetto il lavoro altrui, anzi gli ultimi tre film che ho visto erano molto validi ed erano diretti da registe donne. Il futuro del cinema tedesco sembra essere nelle loro mani. Comunque, non appartengo a nessuna scuola di cinema e non ho amici registi, ma dopo la première mi sono arrivati diversi messaggi, tra cui uno da un rinomato regista tedesco che si è complimentato per il film. Ero a bocca aperta e ho pensato “Wow! Magari possiamo incontrarci per un caffè?” (il regista ride, n.d.r.).
Magari adesso puoi andare a vedere i loro film per ricambiare i complimenti.
Si certo, ma ripeto, non voglio mancare di rispetto a nessuno, ma avendo due figlie piccole e una vita piuttosto incasinata non ho così tanto tempo per vedere film.
Utilizzi piattaforme streaming come Netflix?
Sì le uso, soprattutto per guardare le serie. Sono sempre stato appassionato dal mondo della serialitá televisiva, ho anche diretto qualche serie in passato, e questo interesse lo puoi intravedere anche nel film; in certe serie tv, non c’è un inizio o una fine ben precisa, mostrano solamente lo slice of life di alcuni personaggi seguendo diverse prospettive e, come storyteller, questo approccio è molto affascinante. Ho cercato di integrarlo in Sterben e questo mi ha permesso di sperimentare sulla narrativa. Alcune persone hanno già paragonato il film ad una miniserie, e per me va benissimo perché anche nei prodotti televisivi c’è “cinema”. Sterben è comunque un’esperienza cinematografica che bisogna assaporare sul grande schermo. L’uso della musica è un aspetto fondamentale, non credo che vedrai in una normale serie tv una scena della durata di sei minuti come quella del concerto.
Ora volevo entrare nel dettaglio di una delle scene più particolari del lungometraggio: quella dove Ellen, da ubriaca, estrae il dente di Sebastian e dopo esserci riuscita si scambiano un bacio troppo passionale, o sanguigno, se così posso definirlo. Come è nata questa scena?
Credo che l’ispirazione principale sia il cinema asiatico, per lo più quello giapponese e coreano, che è caratterizzato da quella volontà di andare sopra le righe. Nell'ambito di questo discorso prenderei ad esempio Parasite (2019), adoro quella pellicola, è davvero incredibile, parte come un dramma sociale ma poi prende direzioni sempre più inaspettate. Alcune volte, forse, forzo troppo la mano e tendo a esagerare, ma mi piace farlo perché do spazio al mio lato più fanciullesco e infantile. Non voglio fare film per “adulti” (grownups, n.d.r.) e l’altro giorno ho letto proprio un’intervista fatta a Martin Scorsese dove il cineasta rimarcava il fatto che in America vogliono soprattutto questi film per “adulti” e che lui non vuole fare quel tipo di cinema. Mi ha fatto piacere leggere quelle parole. A me piacciono i film che non sono “perfetti” e che osano nella forma, nel tono e nella scrittura, in poche parole quelli che continuano a sorprendere lo spettatore. Con Sterben non mi sono posto limiti.
Vorrei farti qualche domanda sugli interpreti principali del cast, iniziando con Corinna Harfouch, attrice con cui avevi già collaborato in passato, cosa mi puoi dire di lei?
Abbiamo lavorato diverse volte insieme e per il ruolo di “mia madre” ho sempre visto lei. Voglio molto bene a Corinna ed è un’attrice strepitosa, riesce sempre a infondere quella dignità e solennità nei suoi personaggi. Inoltre è davvero una persona fondamentale nella mia vita e mi ha salvato più volte dalla vasca da bagno. Lei era l’unica scelta possibile per quel ruolo ed era l’unica persona che sarebbe stata in grado di dare una dignità a mia madre.
Per quanto riguarda Lars Eidenger?
La situazione con lui è un po’ diversa. Siccome non guardo tanto cinema tedesco, non lo conoscevo molto come attore, ma avevo visto un paio di sue interviste. Fin da subito mi aveva conquistato il modo in cui parlava e la maniera schietta e diretta con cui esprimeva le sue opinioni, ma allo stesso tempo lo trovavo simpatico e divertente, tutti attributi importanti per il personaggio di Tom. Inoltre, il suo compleanno è il giorno dopo il mio e ho pensato che fosse un segno del destino. Al primo incontro non abbiamo neanche dovuto parlare molto perché Lars ha capito subito il film e il personaggio che doveva interpretare. Non so se mi è permesso dire questa cosa, forse dovrei chiedere il permesso a Lars prima, però la dirò lo stesso… entrambi siamo persone che si alzano la mattina e non pensano a “Wow! Sarà una giornata meravigliosa!”, ma l’opposto, siamo del tipo “Oddio, un’altra giornata…”. Questo suo modo di pensare all’inizio mi aveva sorpreso, perché lui sembra una persona così energica. C’era qualcosa di simile tra Lars e Tom. Aveva capito perfettamente come catturare il modo di pensare e la percezione della vita del suo personaggio.
Parlando di Tom e la madre, all’interno del film c’è questa lunga sequenza dove i due personaggi iniziano a discutere sulla “mancanza di amore” reciproca, una scena straordinaria che fa emozionare e mette a disagio lo spettatore. Mi sono chiesto il perché delle azioni dei personaggi, anche se sanno che non c’è amore tra di loro, non è meglio non affrontare il discorso e rimanere in silenzio?
È vero quello che dici, ma come regista ti dico che sono interessato ad esplorare certe dinamiche nei personaggi e come queste si connettono tra di loro. Curo nel dettaglio ogni dialogo della sceneggiatura e non permetto agli attori di improvvisare. Girare questa scena è stata una sorta di esperimento per me, erano venti pagine di dialogo dove i due personaggi dicono apertamente ciò che pensano l’uno dell’altro, evitando di nascondere i propri sentimenti. Non so dirti se quello che sentì è la verità, ma è ciò che Tom e la madre stanno pensando in quel momento, ed è importante tenere conto di questo. Ad esempio, verso la fine della scena, la madre dice che ama Ellen, ma non credo sia la verità perché è una persona che non è capace di amare. La scrittura di questa scena è stata piuttosto complessa, certi dialoghi sembravano impossibili da recitare ed era importante gestire anche i momenti di silenzio, ma Corinna e Lars hanno fatto meraviglie come hai visto. Ti dirò di più, erano venticinque minuti di sequenza e dopo la prima ripresa sono andato da Corinna e le ho detto che sarebbe stata dura raggiungere lo stesso livello nelle riprese successive, ed è quello che è successo. Abbiamo provato a girare la scena altre tre volte, ma non con lo stesso risultato, come se i due attori avessero dato tutto quello che avevano nella prima ripresa.
Vorrei concludere l’intervista chiedendoti di approfondire l’operazione svolta sul tono dell’opera, hai saputo affrontare gli argomenti più cupi con una certa ironia, come hai fatto a trovare il giusto mix?
Nella sfera privata, quando ho raccontato certi episodi della mia vita, mi ha sorpreso il fatto di vedere così tante persone ridere, come ad esempio durante le storie che riguardano i miei genitori. Per farti un esempio, la scena del funerale del padre è vera e, come Tom, ho rotto l’auto e ho mancato la cerimonia… e la gente rideva. Spesso, le storie più macabre hanno una strana ironia di fondo, e questa ti libera dal dolore. Volevo questo tipo di humor in Sterben, voglio che il pubblico capisca la situazione caotica di un certo personaggio e che rida con lui. Non volevo creare scene ironiche, ma mi sono reso conto che, più una scena era dark e grottesca, più diventava divertente.