INT-94
14.04.2025
In occasione della serata d’apertura del festival Immaginaria - International Film Festival of Lesbians & Other Rebellious Women, è stato proiettato Desert Hearts di Donna Deitch, un'opera che, negli anno '80, provocò un’inaspettata rivoluzione nel cinema LGBTQ+ e, più nello specifico, in quello lesbico.
Dopo aver approfondito l’impatto culturale che il film ha avuto sulle generazioni successive di autori del cinema queer, oggi vi proponiamo un'interessante conversazione avuta con la regista Donna Deitch, che ci ha raccontato delle principali difficoltà economiche legate a un progetto per l'epoca rivoluzionario, di alcune sequenze chiave ed infine del lavoro con il pluripremiato direttore della fotografia Robert Elswit.
Il personaggio di Vivian Bell (Helen Shaver)
Come ti senti a presentare Desert Hearts in Italia anni dopo l’uscita originale?
È piuttosto emozionante. Sai, io e Desert Hearts siamo compagni di viaggio da molto tempo ed è stato davvero piacevole ricevere l’invito da parte di Immaginaria.
Vorrei cominciare questa conversazione chiedendoti delle principali difficoltà economiche che hai affrontato durante la produzione del film. Immagino che all’epoca non sia stato facile trovare fondi per portare sullo schermo una storia del genere.
Esatto, racimolare i soldi per fare il film è stata la parte più impegnativa. Non ho lavorato con nessuna casa di produzione, all’inizio pensavo ci fosse la possibilità di una partnership con uno studio e ho avuto anche diversi meeting, ma le idee che mi avevano proposto contrastavano con la visione che avevo del film. Quindi capii che dovevo puntare ai fondi pubblici e al sostegno dei possibili spettatori perché altrimenti non sarei mai riuscita a dirigere il film che volevo. È stato un processo piuttosto lungo e in pratica ho venduto delle quote, le cosiddette “limited partnership”, a quindicimila dollari ciascuna, fino a quando ho raggiunto l'obiettivo di un milione di dollari. Il film che ho diretto rispecchia appieno la mia visione e quello che volevo vedere al cinema.
Cosa puoi dirmi invece del processo di casting? È stata dura trovare delle attrici disposte a collaborare in questo progetto?
All’inizio le attrici non venivano nemmeno alla audizioni, i loro agenti continuavano a dire che lavorare nel film avrebbe rovinato la carriera di chiunque e che non avrebbero più trovato lavoro nel futuro. Quindi, io e la casting director avevamo capito che dovevamo trovare noi le attrici giuste. Abbiamo iniziato a incontrare persone e avere conversazioni, fino a quando non abbiamo trovato le interpreti perfette per la storia, è stata come una benedizione. Sai, a volte gli attori più famosi non sono la scelta migliore per un determinato ruolo…
Cay Rivvers, interpretata da Patricia Charbonneau
Passando ora al film, non posso non chiederti della sequenza in cui viene presentata Cay, che incontra Vivian mentre sta guidando in retromarcia, è una scena che ho sempre amato, soprattutto per il modo “cool” in cui introduci il personaggio. Come hai girato la sequenza?
Ho girato la scena con due flatbed trucks (autocarri con pedane, n.d.r.) che si muovevano nella stessa direzione, e su di essi abbiamo posizionato le due auto in posizioni opposte. Quella sequenza era girabile solo in campagna o nel deserto, in città sarebbe stato impossibile perché le auto sarebbero sembrate troppo “alte” rispetto a quello che le circondava, la prospettiva non avrebbe mai funzionato, ma nel deserto, questa visione prospettica riguardante l’altezza viene a mancare.
Cosa mi sai dire del finale del film? È interessante notare come presenti un lieto fine per le protagoniste, un qualcosa di molto raro negli anni ottanta per un film a tematica lesbo.
Sarò sincera, non ricordo esattamente il finale originale del romanzo, ma non era felice. Io sapevo una cosa, non volevo di certo il finale stereotipato che si poteva vedere nei film lesbici del periodo, come un triangolo amoroso bisessuale con un uomo o le protagoniste che tornano a una “normale” condotta etereosessuale. Volevo qualcosa di reale, il mio obiettivo era quello di fare un film che avrei visto volentieri al cinema, quindi un finale triste o tragico, come il suicidio di uno dei personaggi, non era quello che cercavo.
Quanta importanza ha avuto il soundtrack durante la lavorazione del film? Credo che la scelta di alcuni brani musicali, come Crazy di Patsy Cline o Get Rhythm di Johnny Cash abbiano aggiunto qualcosa di speciale a Desert Hearts.
La musica che senti nel film è semplicemente quella che ascoltavamo durante le riprese e le pause. Alcune volte questa serviva per entrare di più in sintonia con il tono e l’atmosfera country/western della storia, così nella fase di montaggio è venuto piuttosto naturale inserire questi brani. Io e il mio fantastico montatore Robert Estrin abbiamo sperimentato con il soundtrack, inserito brani di genere diversi e non solo musica country. All’inizio non volevo tanta musica nel film, ma alla fine non ho potuto farne a meno. È stata un’operazione piuttosto costosa perché, come sai, bisogna acquistare i diritti per utilizzare i brani. In alternativa, per salvare un po’ di denaro potevo utilizzare delle versioni non originali, dei sound-alike. Ma non volevo, e quelle che senti, sono le vere voci di Ella Fitzgerald, Patsy Cline e Johnny Cash. Alla fine, il 20%del budget è stato utilizzato per la colonna sonora… il che era piuttosto inusuale all’epoca. Ho provato a montare il film senza musica, ma non funzionava, i brani si accostavano troppo bene all’atmosfera della storia.
Viste le location, la musica e anche i costumi, si potrebbe dire che Desert Hearts è una sorta di western movie, cosa ne pensi a riguardo?
Concordo, infatti una delle fonti d’ispirazione principale era The Misfits (Gli sfasati,1961), dove il personaggio interpretato da Marilyn Monroe si reca nel Nevada per divorziare. Il romanzo da cui è tratto Desert Hearts mostra una situazione simile. Ho sempre voluto ambientare questa storia all’aria aperta e ho deciso di mescolare questi elementi. Tornando a The Misfits, il film era ambientato agli inizi degli anno '60 nella capitale statunitense dei divorzi e, dopo che la protagonista ottiene il suo, incontra e si infatua di Clark Gable. Ho sempre amato il film e Desert Hearts è un sorta di The Misfits con un twist particolare, dove la protagonista, invece di Clark Gable, si innamora di Patricia Charbonneau. Poi sai, è una storia piuttosto comune, le donne negli anni ‘50 andavano davvero a Reno per ottenere facilmente il divorzio.
Desert Hearts (1985)
Come è stato lavorare con Robert Elswit?
Non mi ricordo esattamente come è nata la nostra collaborazione, all'epoca Robert era agli inizi della sua carriera, aveva fatto solo un paio di film se non sbaglio... mentre ora è un direttore della fotografia acclamato che ha vinto degli Academy Awards. Comunque, durante la lavorazione del film gli avevo dato questo libro dove c'erano fotografie di cowboy, cavalli e in generale, i paesaggi del West. Quelle illustrazioni sono state le reference principali all'inizio, poi, una volta arrivati a Reno abbiamo avuto un paio di settimane di preparazione prima dell'arrivo del resto della crew, avevamo pianificato come girare certe sequenze e come usare le varie location. In quel periodo, io e Robert abbiamo legato molto, ancora oggi siamo buoni amici e avevamo avuto l'occasione di lavorare insieme anni fa in una produzione HBO. Sono ancora in contatto con tutta la crew, non solo con gli attori ma anche con la scenografa Jeannine Oppewall, che anche lei, come Robert, era agli inizi della sua carriera. Lavorare con tutte queste persone è stata una delle esperienze più belle della mia vita, qualcosa di puro, perfetto e miracoloso.
Ho letto che anni fa, volevi girare una sorta di sequel di Desert Hearts, è ancora in programma?
Tecnicamente non è un sequel perché non segue le vicende delle protagoniste dopo gli eventi del primo film. È un dramma diverso ed è ambientato a New York negli anni ‘70, epicentro della seconda ondata femminista. Sto ancora rimaneggiando la sceneggiatura, la sto riscrivendo a dire il vero, in questi periodo ho dovuto mettere da parte il film perché sto lavorando ad altro, ma sono sicura che la terminerò un giorno. La storia ruoterà attorno a quello che è successo alle lesbiche durante un periodo rivoluzionario. Nessuno ha mai affrontato questo tipo di soggetto, ci sono diversi documentari certo, ma non film di narrativa.
Hai qualche ricordo particolare o curiosità legata al film che vorresti condividere con noi?
Quando stavamo girando il film, nessuno di noi aveva idea di quello che sarebbe stato di Desert Hearts e dell’impatto che avrebbe avuto. Siamo andati tutti insieme a Reno e durante la produzione abbiamo vissuto in un piccolo motel, sembravamo un gruppo teatrale che vaga di città in città per fare degli spettacoli. Abbiamo vissuto una realtà che si discostava da quella hollywoodiana, non c’erano agenti che volevano interferire. È stata un’esperienza “pura” e gratificante. Sono fiera che il film riscontri ancora così tanto successo, ci sono sempre molti cinema che vogliono proiettare Desert Hearts e, inoltre, qualche anno fa è stato inserito nella Criterion Collection. Ora stiamo cercando di ridistribuire il film a livello internazionale e vista la cultura cinematografica che si ha in Italia, mi aspetto che riesca a trovare successo anche qui.
Il trailer della versione restaurata di Desert Hearts (1985)
INT-94
14.04.2025
In occasione della serata d’apertura del festival Immaginaria - International Film Festival of Lesbians & Other Rebellious Women, è stato proiettato Desert Hearts di Donna Deitch, un'opera che, negli anno '80, provocò un’inaspettata rivoluzione nel cinema LGBTQ+ e, più nello specifico, in quello lesbico.
Dopo aver approfondito l’impatto culturale che il film ha avuto sulle generazioni successive di autori del cinema queer, oggi vi proponiamo un'interessante conversazione avuta con la regista Donna Deitch, che ci ha raccontato delle principali difficoltà economiche legate a un progetto per l'epoca rivoluzionario, di alcune sequenze chiave ed infine del lavoro con il pluripremiato direttore della fotografia Robert Elswit.
Il personaggio di Vivian Bell (Helen Shaver)
Come ti senti a presentare Desert Hearts in Italia anni dopo l’uscita originale?
È piuttosto emozionante. Sai, io e Desert Hearts siamo compagni di viaggio da molto tempo ed è stato davvero piacevole ricevere l’invito da parte di Immaginaria.
Vorrei cominciare questa conversazione chiedendoti delle principali difficoltà economiche che hai affrontato durante la produzione del film. Immagino che all’epoca non sia stato facile trovare fondi per portare sullo schermo una storia del genere.
Esatto, racimolare i soldi per fare il film è stata la parte più impegnativa. Non ho lavorato con nessuna casa di produzione, all’inizio pensavo ci fosse la possibilità di una partnership con uno studio e ho avuto anche diversi meeting, ma le idee che mi avevano proposto contrastavano con la visione che avevo del film. Quindi capii che dovevo puntare ai fondi pubblici e al sostegno dei possibili spettatori perché altrimenti non sarei mai riuscita a dirigere il film che volevo. È stato un processo piuttosto lungo e in pratica ho venduto delle quote, le cosiddette “limited partnership”, a quindicimila dollari ciascuna, fino a quando ho raggiunto l'obiettivo di un milione di dollari. Il film che ho diretto rispecchia appieno la mia visione e quello che volevo vedere al cinema.
Cosa puoi dirmi invece del processo di casting? È stata dura trovare delle attrici disposte a collaborare in questo progetto?
All’inizio le attrici non venivano nemmeno alla audizioni, i loro agenti continuavano a dire che lavorare nel film avrebbe rovinato la carriera di chiunque e che non avrebbero più trovato lavoro nel futuro. Quindi, io e la casting director avevamo capito che dovevamo trovare noi le attrici giuste. Abbiamo iniziato a incontrare persone e avere conversazioni, fino a quando non abbiamo trovato le interpreti perfette per la storia, è stata come una benedizione. Sai, a volte gli attori più famosi non sono la scelta migliore per un determinato ruolo…
Cay Rivvers, interpretata da Patricia Charbonneau
Passando ora al film, non posso non chiederti della sequenza in cui viene presentata Cay, che incontra Vivian mentre sta guidando in retromarcia, è una scena che ho sempre amato, soprattutto per il modo “cool” in cui introduci il personaggio. Come hai girato la sequenza?
Ho girato la scena con due flatbed trucks (autocarri con pedane, n.d.r.) che si muovevano nella stessa direzione, e su di essi abbiamo posizionato le due auto in posizioni opposte. Quella sequenza era girabile solo in campagna o nel deserto, in città sarebbe stato impossibile perché le auto sarebbero sembrate troppo “alte” rispetto a quello che le circondava, la prospettiva non avrebbe mai funzionato, ma nel deserto, questa visione prospettica riguardante l’altezza viene a mancare.
Cosa mi sai dire del finale del film? È interessante notare come presenti un lieto fine per le protagoniste, un qualcosa di molto raro negli anni ottanta per un film a tematica lesbo.
Sarò sincera, non ricordo esattamente il finale originale del romanzo, ma non era felice. Io sapevo una cosa, non volevo di certo il finale stereotipato che si poteva vedere nei film lesbici del periodo, come un triangolo amoroso bisessuale con un uomo o le protagoniste che tornano a una “normale” condotta etereosessuale. Volevo qualcosa di reale, il mio obiettivo era quello di fare un film che avrei visto volentieri al cinema, quindi un finale triste o tragico, come il suicidio di uno dei personaggi, non era quello che cercavo.
Quanta importanza ha avuto il soundtrack durante la lavorazione del film? Credo che la scelta di alcuni brani musicali, come Crazy di Patsy Cline o Get Rhythm di Johnny Cash abbiano aggiunto qualcosa di speciale a Desert Hearts.
La musica che senti nel film è semplicemente quella che ascoltavamo durante le riprese e le pause. Alcune volte questa serviva per entrare di più in sintonia con il tono e l’atmosfera country/western della storia, così nella fase di montaggio è venuto piuttosto naturale inserire questi brani. Io e il mio fantastico montatore Robert Estrin abbiamo sperimentato con il soundtrack, inserito brani di genere diversi e non solo musica country. All’inizio non volevo tanta musica nel film, ma alla fine non ho potuto farne a meno. È stata un’operazione piuttosto costosa perché, come sai, bisogna acquistare i diritti per utilizzare i brani. In alternativa, per salvare un po’ di denaro potevo utilizzare delle versioni non originali, dei sound-alike. Ma non volevo, e quelle che senti, sono le vere voci di Ella Fitzgerald, Patsy Cline e Johnny Cash. Alla fine, il 20%del budget è stato utilizzato per la colonna sonora… il che era piuttosto inusuale all’epoca. Ho provato a montare il film senza musica, ma non funzionava, i brani si accostavano troppo bene all’atmosfera della storia.
Viste le location, la musica e anche i costumi, si potrebbe dire che Desert Hearts è una sorta di western movie, cosa ne pensi a riguardo?
Concordo, infatti una delle fonti d’ispirazione principale era The Misfits (Gli sfasati,1961), dove il personaggio interpretato da Marilyn Monroe si reca nel Nevada per divorziare. Il romanzo da cui è tratto Desert Hearts mostra una situazione simile. Ho sempre voluto ambientare questa storia all’aria aperta e ho deciso di mescolare questi elementi. Tornando a The Misfits, il film era ambientato agli inizi degli anno '60 nella capitale statunitense dei divorzi e, dopo che la protagonista ottiene il suo, incontra e si infatua di Clark Gable. Ho sempre amato il film e Desert Hearts è un sorta di The Misfits con un twist particolare, dove la protagonista, invece di Clark Gable, si innamora di Patricia Charbonneau. Poi sai, è una storia piuttosto comune, le donne negli anni ‘50 andavano davvero a Reno per ottenere facilmente il divorzio.
Desert Hearts (1985)
Come è stato lavorare con Robert Elswit?
Non mi ricordo esattamente come è nata la nostra collaborazione, all'epoca Robert era agli inizi della sua carriera, aveva fatto solo un paio di film se non sbaglio... mentre ora è un direttore della fotografia acclamato che ha vinto degli Academy Awards. Comunque, durante la lavorazione del film gli avevo dato questo libro dove c'erano fotografie di cowboy, cavalli e in generale, i paesaggi del West. Quelle illustrazioni sono state le reference principali all'inizio, poi, una volta arrivati a Reno abbiamo avuto un paio di settimane di preparazione prima dell'arrivo del resto della crew, avevamo pianificato come girare certe sequenze e come usare le varie location. In quel periodo, io e Robert abbiamo legato molto, ancora oggi siamo buoni amici e avevamo avuto l'occasione di lavorare insieme anni fa in una produzione HBO. Sono ancora in contatto con tutta la crew, non solo con gli attori ma anche con la scenografa Jeannine Oppewall, che anche lei, come Robert, era agli inizi della sua carriera. Lavorare con tutte queste persone è stata una delle esperienze più belle della mia vita, qualcosa di puro, perfetto e miracoloso.
Ho letto che anni fa, volevi girare una sorta di sequel di Desert Hearts, è ancora in programma?
Tecnicamente non è un sequel perché non segue le vicende delle protagoniste dopo gli eventi del primo film. È un dramma diverso ed è ambientato a New York negli anni ‘70, epicentro della seconda ondata femminista. Sto ancora rimaneggiando la sceneggiatura, la sto riscrivendo a dire il vero, in questi periodo ho dovuto mettere da parte il film perché sto lavorando ad altro, ma sono sicura che la terminerò un giorno. La storia ruoterà attorno a quello che è successo alle lesbiche durante un periodo rivoluzionario. Nessuno ha mai affrontato questo tipo di soggetto, ci sono diversi documentari certo, ma non film di narrativa.
Hai qualche ricordo particolare o curiosità legata al film che vorresti condividere con noi?
Quando stavamo girando il film, nessuno di noi aveva idea di quello che sarebbe stato di Desert Hearts e dell’impatto che avrebbe avuto. Siamo andati tutti insieme a Reno e durante la produzione abbiamo vissuto in un piccolo motel, sembravamo un gruppo teatrale che vaga di città in città per fare degli spettacoli. Abbiamo vissuto una realtà che si discostava da quella hollywoodiana, non c’erano agenti che volevano interferire. È stata un’esperienza “pura” e gratificante. Sono fiera che il film riscontri ancora così tanto successo, ci sono sempre molti cinema che vogliono proiettare Desert Hearts e, inoltre, qualche anno fa è stato inserito nella Criterion Collection. Ora stiamo cercando di ridistribuire il film a livello internazionale e vista la cultura cinematografica che si ha in Italia, mi aspetto che riesca a trovare successo anche qui.
Il trailer della versione restaurata di Desert Hearts (1985)