INT-35
09.06.2023
Ryuichi Hiroki è uno dei più prolifici, e longevi, registi giapponesi: in una carriera quarantennale ha firmato più di ottanta lungometraggi. Ha iniziato dirigendo Pinku Eiga, un genere cinematografico erotico-softcore, per poi passare al cinema mainstream con 800 two-lap runners - pellicola presentata nella sezione Panorama al Festival di Berlino 1994. Nel suo cinema è rimasta la presenza della tematica dell'eros, ma difficilmente le sue opere possono essere descritte come film erotici, quanto piuttosto come lungometraggi che ricercano un’analisi dell’esistenza umana. Hiroki è stato descritto come un raro esempio di regista al maschile in grado di dare la giusta profondità caratteriale a personaggi femminili. Negli ultimi anni, l'autore si è cimentato anche in opere destinate allo streaming, riuscendo a mantenere consenso nel pubblico giapponese. Quest’anno, il 25° Far East Festival di Udine ha presentato in anteprima internazionale You’ve got a friend (2021) e Phases of the Moon (2022), ed ha ospitato una sua masterclass, accompagnata da una proiezione di 800 two-lap runner.
Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Ryuichi Hiroki, e parlare con lui del suo personale punto di vista e della sua lunga, ed interessante, filmografia.
In 800 two-lap runners (1994) la premessa è quella di un film sullo sport, ma pian piano ci ritroviamo, invece, a seguire la vita adolescenziale dei protagonisti. C’è una metafora nella scena finale?
Quando la telecamera segue la corsa finale, e poi si allontana dai protagonisti, è una metafora che suggerisce che da quel momento per loro inizia la vita vera. Nello sport la competizione degli 800 metri viene anche intesa come una sorta di combattimento. È un atto semplice, dover fare due giri da 400 metri, però questo può essere paragonato alla vita di molte persone, è qualcosa che mi ha molto interessato. Mi permetto di dire anche che ho realizzato questo film quando ero giovane, e mi rendo conto di essere stato un pessimo regista. Però, anche se adesso non girerei, molto probabilmente, un prodotto come questo, è comunque un film che rappresenta molto la mia carriera.
Phases of the Moon (2022) è un film che tratta la reincarnazione. Qual’è la sua posizione al riguardo?
Tu credi nella reincarnazione? Io stesso devo dire che non credo in questa ipotesi al 100%, però, una volta, mi è capitato di parlare con un medico che sosteneva che ci possa essere una qualche forma di reincarnazione al di fuori del primo ciclo vitale.
Nell’adattare il romanzo da cui è tratto Phases of the Moon, ha operato molti cambiamenti?
La differenza principale sono le date. Ho creato un’asse temporale che partiva dal momento in cui è venuto a mancare John Lennon. Tutto quello che si vede a Tokyo - la stazione di Takanobaba ad esempio - è in realtà in computer grafica. Visto che parliamo del secolo scorso, anche nella scena del passaggio pedonale eccetera, è stata adoperata la computer grafica. L'abbiamo utilizzata bene, vero?
Nel film si riscontrano delle ambientazioni di stampo molto occidentale, è qualcosa che ha ereditato dal libro, o è stata una sua intenzione scegliere location slegate dal mondo giapponese?
È stata una mia intenzione, perché nel momento in cui si parla di reincarnazione ci si riallaccia subito al buddismo giapponese. Io non volevo che fosse così, assolutamente. Volevo che ci fosse la possibilità di adoperare un approccio che avesse un senso lato, che fosse più vasto, per certi aspetti più generale. La storia originale si concentrava sulla reincarnazione e non su elementi come l’arredamento.
Spesso nei suoi film c’è un commento musicale molto persistente, ed anche un utilizzo di leitmotiv popolari, questo si riscontra sia in Phases of the Moon che in 800 two-lap runners. Si sente particolarmente legato alla dimensione musicale?
Provo antipatia per i lungometraggi che non danno la giusta importanza alla musica. I film sono opere d’arte che si basano principalmente su tre elementi. Il primo è il suono, il secondo è l’immagine, il terzo è l’interpretazione degli attori. Mi sono sempre chiesto: perché l’aspetto del suono viene spesso sottovalutato? Quando sono diventato regista ho pensato che volevo dare al suono la giusta importanza, ed è per questo che è così integrato nelle mie opere. Quando il produttore di Phases of the Moon mi ha detto che potevo utilizzare la musica di John Lennon ho esclamato: “fantastico, è il mio obiettivo, non me lo faccio ripetere due volte!”. Usare le canzoni di Lennon è una cosa estremamente costosa, alla fine il budget se n’è andato per quello. Per uno come me, che proviene dai film indipendenti, il pensiero di poter adoperare le sue melodie era impensabile.
In molti suoi lavori ritroviamo elementi erotici, anche se poi l’argomento del film non è di natura prettamente erotica. In You’ve got a friend (2021), per esempio, la premessa della storia è legata al mondo del sadomaso, ma poi l’opera si concentra di più sulla crisi di mezza età del protagonista. Considerando anche le origini della sua carriera, in che modo bilancia questi due elementi?
Tutto questo equilibrio che hai percepito, nasce appunto dal fatto che sono cresciuto con una certa “tipologia” di film. Anche quando mi viene proposto un progetto di storie che arriva da terze parti - e quindi non sono io a occuparmi della sceneggiatura - studio ciò che mi viene dato e creo il film. Comunque il mio processo di realizzazione nasce dall'approfondimento e dalle esperienze che ho avuto modo di fare in passato. Infatti, per You’ve got a friend, ho incontrato molte “regine” del sadomaso, ed è stato divertente. Non ho fatto quel tipo di esperienze, ma ci ho parlato…preferisco non fare nessuna esperienza dolorosa! (il regista ride n.d.r.). Va detto, però, che nel periodo in cui ho fatto 800 two-lap runners non si utilizzavano le scene di sesso all’interno di lungometraggi inerenti all’adolescenza o che rappresentavano la vita scolastica. Quello che ho cercato di fare è stato contestualizzarle in un film con tematiche che non erano prettamente sessuali.
Come avviene invece la costruzione di un personaggio come quello del protagonista di You’ve got a friend?
Per il protagonista mi sono molto ispirato a me stesso. Se non avessi pensato in questo modo sarebbe stato impossibile accettare il film. Per essere più preciso, non è che sia completamente io, ma piuttosto un’altra versione, in certi elementi, di me...
Ha scelto Nahana per impersonare la mistress presente nel film. Com’è avvenuta questa scelta?
Per il suo talento. Non ritenevo che ci fossero molte attrici che sarebbero state in grado di dare vita ad un personaggio così difficile da interpretare. La storia originale è un manga e quando ho pensato che avrei voluto adattarlo ne ho parlato con lei e da subito è stata concorde a voler partecipare al progetto, però da quella conversazione fino a quando siamo riusciti a realizzare il film sono passati ben sette anni. Anche l’attore protagonista, per interpretare la sua parte, è dimagrito notevolmente in maniera da evitare di avere la pancetta da persona di mezza età.
Il Giappone è stato uno dei primi paesi ad intraprendere il passaggio dalla pellicola al digitale. Qual è la sua opinione al riguardo?
Credo che la ragione maggiore di questo passaggio sia stata di natura economica. Passando dalla pellicola al digitale servivano nuove strumentazioni. La necessità di nuove attrezzature metteva in moto una serie di macchine, tutta una serie di nuovi dispositivi che c’erano già prima, ma ovviamente non in modalità digitale. È stato un modo per uscire da quella che, in Giappone, stava diventando una situazione stagnante a livello tecnico. Secondo me non c’era la percezione del fatto che, passando dalla pellicola al digitale, ci sarebbero state grandi variazioni, si pensava che le cose sarebbero rimaste le stesse, ed invece è cambiato tutto, sia il modo di fare le riprese che i contenuti. Ci sono stati molti cambiamenti, non so dire se sono stati positivi o negativi, comunque, il mondo in generale è cambiato.
Così come ci sono stati cambiamenti nella produzione dei film, ci sono stati anche nella distribuzione, e lei stesso ha firmato opere che sono state poi distribuite attraverso lo streaming. Qual è la sua opinione riguardo a questo dibattito, ormai costante, sullo streaming?
La soluzione ideale, quella che personalmente mi piace di più, è il cinema. In passato, quando facevo un film, alla fine mi rimaneva sullo scaffale un dvd, una videocassetta o un blu ray, c’era qualcosa che rimaneva e che potevo vedere. Adesso non c’è, tutto è dentro il televisore, rimane nell’etere. Di recente ho avuto un piccolo shock nel vedere che una mia opera, presente su un sito streaming, è stata improvvisamente rimossa. Quando scade il periodo di distribuzione, non puoi più vedere il film. E quindi mi chiedo dove sia andato a finire il mio film.
Se avvenisse un’uscita in DVD/Blu-ray in seguito allo streaming, lei sarebbe più d’accordo con questo sistema?
Sì, sarebbe meglio. Perché adesso il pubblico e la fruizione sono estremamente diversificati. C’è chi va al cinema, c’è chi guarda la televisione e chi lo smartphone, ma se insieme a tutte queste cose si utilizzasse, magari, un supporto fisico, questo potrebbe aprire a molte possibilità, invece che creare dei piccoli cannibalismi tra tutte le piattaforme.
INT-35
09.06.2023
Ryuichi Hiroki è uno dei più prolifici, e longevi, registi giapponesi: in una carriera quarantennale ha firmato più di ottanta lungometraggi. Ha iniziato dirigendo Pinku Eiga, un genere cinematografico erotico-softcore, per poi passare al cinema mainstream con 800 two-lap runners - pellicola presentata nella sezione Panorama al Festival di Berlino 1994. Nel suo cinema è rimasta la presenza della tematica dell'eros, ma difficilmente le sue opere possono essere descritte come film erotici, quanto piuttosto come lungometraggi che ricercano un’analisi dell’esistenza umana. Hiroki è stato descritto come un raro esempio di regista al maschile in grado di dare la giusta profondità caratteriale a personaggi femminili. Negli ultimi anni, l'autore si è cimentato anche in opere destinate allo streaming, riuscendo a mantenere consenso nel pubblico giapponese. Quest’anno, il 25° Far East Festival di Udine ha presentato in anteprima internazionale You’ve got a friend (2021) e Phases of the Moon (2022), ed ha ospitato una sua masterclass, accompagnata da una proiezione di 800 two-lap runner.
Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Ryuichi Hiroki, e parlare con lui del suo personale punto di vista e della sua lunga, ed interessante, filmografia.
In 800 two-lap runners (1994) la premessa è quella di un film sullo sport, ma pian piano ci ritroviamo, invece, a seguire la vita adolescenziale dei protagonisti. C’è una metafora nella scena finale?
Quando la telecamera segue la corsa finale, e poi si allontana dai protagonisti, è una metafora che suggerisce che da quel momento per loro inizia la vita vera. Nello sport la competizione degli 800 metri viene anche intesa come una sorta di combattimento. È un atto semplice, dover fare due giri da 400 metri, però questo può essere paragonato alla vita di molte persone, è qualcosa che mi ha molto interessato. Mi permetto di dire anche che ho realizzato questo film quando ero giovane, e mi rendo conto di essere stato un pessimo regista. Però, anche se adesso non girerei, molto probabilmente, un prodotto come questo, è comunque un film che rappresenta molto la mia carriera.
Phases of the Moon (2022) è un film che tratta la reincarnazione. Qual’è la sua posizione al riguardo?
Tu credi nella reincarnazione? Io stesso devo dire che non credo in questa ipotesi al 100%, però, una volta, mi è capitato di parlare con un medico che sosteneva che ci possa essere una qualche forma di reincarnazione al di fuori del primo ciclo vitale.
Nell’adattare il romanzo da cui è tratto Phases of the Moon, ha operato molti cambiamenti?
La differenza principale sono le date. Ho creato un’asse temporale che partiva dal momento in cui è venuto a mancare John Lennon. Tutto quello che si vede a Tokyo - la stazione di Takanobaba ad esempio - è in realtà in computer grafica. Visto che parliamo del secolo scorso, anche nella scena del passaggio pedonale eccetera, è stata adoperata la computer grafica. L'abbiamo utilizzata bene, vero?
Nel film si riscontrano delle ambientazioni di stampo molto occidentale, è qualcosa che ha ereditato dal libro, o è stata una sua intenzione scegliere location slegate dal mondo giapponese?
È stata una mia intenzione, perché nel momento in cui si parla di reincarnazione ci si riallaccia subito al buddismo giapponese. Io non volevo che fosse così, assolutamente. Volevo che ci fosse la possibilità di adoperare un approccio che avesse un senso lato, che fosse più vasto, per certi aspetti più generale. La storia originale si concentrava sulla reincarnazione e non su elementi come l’arredamento.
Spesso nei suoi film c’è un commento musicale molto persistente, ed anche un utilizzo di leitmotiv popolari, questo si riscontra sia in Phases of the Moon che in 800 two-lap runners. Si sente particolarmente legato alla dimensione musicale?
Provo antipatia per i lungometraggi che non danno la giusta importanza alla musica. I film sono opere d’arte che si basano principalmente su tre elementi. Il primo è il suono, il secondo è l’immagine, il terzo è l’interpretazione degli attori. Mi sono sempre chiesto: perché l’aspetto del suono viene spesso sottovalutato? Quando sono diventato regista ho pensato che volevo dare al suono la giusta importanza, ed è per questo che è così integrato nelle mie opere. Quando il produttore di Phases of the Moon mi ha detto che potevo utilizzare la musica di John Lennon ho esclamato: “fantastico, è il mio obiettivo, non me lo faccio ripetere due volte!”. Usare le canzoni di Lennon è una cosa estremamente costosa, alla fine il budget se n’è andato per quello. Per uno come me, che proviene dai film indipendenti, il pensiero di poter adoperare le sue melodie era impensabile.
In molti suoi lavori ritroviamo elementi erotici, anche se poi l’argomento del film non è di natura prettamente erotica. In You’ve got a friend (2021), per esempio, la premessa della storia è legata al mondo del sadomaso, ma poi l’opera si concentra di più sulla crisi di mezza età del protagonista. Considerando anche le origini della sua carriera, in che modo bilancia questi due elementi?
Tutto questo equilibrio che hai percepito, nasce appunto dal fatto che sono cresciuto con una certa “tipologia” di film. Anche quando mi viene proposto un progetto di storie che arriva da terze parti - e quindi non sono io a occuparmi della sceneggiatura - studio ciò che mi viene dato e creo il film. Comunque il mio processo di realizzazione nasce dall'approfondimento e dalle esperienze che ho avuto modo di fare in passato. Infatti, per You’ve got a friend, ho incontrato molte “regine” del sadomaso, ed è stato divertente. Non ho fatto quel tipo di esperienze, ma ci ho parlato…preferisco non fare nessuna esperienza dolorosa! (il regista ride n.d.r.). Va detto, però, che nel periodo in cui ho fatto 800 two-lap runners non si utilizzavano le scene di sesso all’interno di lungometraggi inerenti all’adolescenza o che rappresentavano la vita scolastica. Quello che ho cercato di fare è stato contestualizzarle in un film con tematiche che non erano prettamente sessuali.
Come avviene invece la costruzione di un personaggio come quello del protagonista di You’ve got a friend?
Per il protagonista mi sono molto ispirato a me stesso. Se non avessi pensato in questo modo sarebbe stato impossibile accettare il film. Per essere più preciso, non è che sia completamente io, ma piuttosto un’altra versione, in certi elementi, di me...
Ha scelto Nahana per impersonare la mistress presente nel film. Com’è avvenuta questa scelta?
Per il suo talento. Non ritenevo che ci fossero molte attrici che sarebbero state in grado di dare vita ad un personaggio così difficile da interpretare. La storia originale è un manga e quando ho pensato che avrei voluto adattarlo ne ho parlato con lei e da subito è stata concorde a voler partecipare al progetto, però da quella conversazione fino a quando siamo riusciti a realizzare il film sono passati ben sette anni. Anche l’attore protagonista, per interpretare la sua parte, è dimagrito notevolmente in maniera da evitare di avere la pancetta da persona di mezza età.
Il Giappone è stato uno dei primi paesi ad intraprendere il passaggio dalla pellicola al digitale. Qual è la sua opinione al riguardo?
Credo che la ragione maggiore di questo passaggio sia stata di natura economica. Passando dalla pellicola al digitale servivano nuove strumentazioni. La necessità di nuove attrezzature metteva in moto una serie di macchine, tutta una serie di nuovi dispositivi che c’erano già prima, ma ovviamente non in modalità digitale. È stato un modo per uscire da quella che, in Giappone, stava diventando una situazione stagnante a livello tecnico. Secondo me non c’era la percezione del fatto che, passando dalla pellicola al digitale, ci sarebbero state grandi variazioni, si pensava che le cose sarebbero rimaste le stesse, ed invece è cambiato tutto, sia il modo di fare le riprese che i contenuti. Ci sono stati molti cambiamenti, non so dire se sono stati positivi o negativi, comunque, il mondo in generale è cambiato.
Così come ci sono stati cambiamenti nella produzione dei film, ci sono stati anche nella distribuzione, e lei stesso ha firmato opere che sono state poi distribuite attraverso lo streaming. Qual è la sua opinione riguardo a questo dibattito, ormai costante, sullo streaming?
La soluzione ideale, quella che personalmente mi piace di più, è il cinema. In passato, quando facevo un film, alla fine mi rimaneva sullo scaffale un dvd, una videocassetta o un blu ray, c’era qualcosa che rimaneva e che potevo vedere. Adesso non c’è, tutto è dentro il televisore, rimane nell’etere. Di recente ho avuto un piccolo shock nel vedere che una mia opera, presente su un sito streaming, è stata improvvisamente rimossa. Quando scade il periodo di distribuzione, non puoi più vedere il film. E quindi mi chiedo dove sia andato a finire il mio film.
Se avvenisse un’uscita in DVD/Blu-ray in seguito allo streaming, lei sarebbe più d’accordo con questo sistema?
Sì, sarebbe meglio. Perché adesso il pubblico e la fruizione sono estremamente diversificati. C’è chi va al cinema, c’è chi guarda la televisione e chi lo smartphone, ma se insieme a tutte queste cose si utilizzasse, magari, un supporto fisico, questo potrebbe aprire a molte possibilità, invece che creare dei piccoli cannibalismi tra tutte le piattaforme.