NC-41
21.12.2021
Mank, ultimo film di David Fincher distribuito in streaming su Netflix, si propone non solo di raccontare la genesi di Quarto potere - the greatest film ever made - ma anche di tracciare un profilo del suo sceneggiatore, Herman J. Mankiewicz, nel contesto del cinema hollywoodiano degli anni ‘30. Se si può supporre che ogni spettatore debba conoscere il capolavoro di Welles prima di vedere questo film, anche il cinefilo più appassionato potrebbe avere qualche difficoltà a orientarsi tra i numerosissimi personaggi, le citazioni e i riferimenti al cinema dell’epoca che Mank mette in scena. Ecco una breve “guida” per prepararsi al film o per approfondirne alcuni aspetti.
In primis, pur non essendo incentrato interamente su Quarto potere, il film è disseminato di citazioni e omaggi all’opera di Welles, come l’immagine della boccetta che cade come la palla di vetro dalla mano di Kane, un certo uso di luci e ombre nella fotografia in bianco e nero, lo sfarzo del palazzo di Hearst a cui si è ispirato Welles per Xanadu, o la scena in cui, come Mozart sul letto di morte con il suo Requiem nell’Amadeus di Miloš Forman, Mank detta alla dattilografa una bellissima scena del suo copione.
Per poi comprendere al meglio il contesto del film, con le sue correnti, le sue dinamiche produttive e le grandi personalità degli studios (produttori, sceneggiatori, registi) che dominavano il cinema americano dell’epoca, occorre soffermarsi su alcuni di questi nomi. In una scena come quella del summit iniziale alla sede della Paramount la quantità di personaggi è tale che, senza qualche punto di riferimento, è facile perdersi. In pochi minuti, in una sequenza dal dialogo serrato in stile screwball comedy, si assiste a una riunione tra gli uomini più importanti della Paramount, presentati uno dopo l’altro in rapida successione. Oltre a Mank, che impareremo a conoscere nel corso del film, troviamo un altro dei migliori sceneggiatori del periodo, Ben Hecht, anch’egli sempre irriverente e in perenne conflitto con l’industria hollywoodiana, che in occasione della vittoria di un Oscar definì una “latrina”: da Scarface di Hawks a Notorious e Io ti salverò di Hitchcock, passando per Partita a quattro di Lubitsch e Sui marciapiedi di Preminger, la lista dei capolavori che ha scritto farebbe impallidire chiunque. C’è poi il regista Josef von Sternberg, uomo di pochissime parole ma cineasta completo e fine conoscitore di ogni aspetto della messa in scena, dalla fotografia al montaggio. Passò alla storia per aver lanciato l’allora sconosciuta Marlene Dietrich, di cui secondo le voci fu sempre segretamente innamorato, con la quale nel 1930 girò due film iconici, L’Angelo azzurro e Marocco. Completa il quadro uno dei più importanti produttori della Hollywood classica, che allora lavorava per la Paramount ma che girò quasi tutte le grandi major prima di fondare la propria casa di produzione, David O. Selznick. Rimasto celebre per il suo perfezionismo, che spesso lo portò a intervenire sui propri film e a scontrarsi con i registi, fu produttore e vero e proprio artefice del film col maggiore incasso nella storia del cinema, Via col vento, e di altre pietre miliari come Rebecca - La prima moglie.
È solo conoscendo la caratura di questi personaggi, che nella sequenza si dilettano a costruire sul momento un film di mostri sulla falsariga di quelli della Universal, che possiamo cogliere tutte sfumature della scena: l’ironia con cui l’élite della Paramount - una major delle Big Five - scherza e improvvisa su un film di genere in stile Universal - una delle Little Three - guardata dall’alto in basso, o ancora il sottile anacronismo con cui tutti questi personaggi, nel 1930, buttano giù la trama di un film come Frankenstein, che di fatto uscì solo nel 1931.
Un po’ come Orson Welles, che nel film ha un ruolo marginale - e una caratterizzazione che forse non gli rende giustizia - nel corso del film incontriamo altri due giganti della storia del cinema costretti in ruoli da comprimari, su cui è giusto spendere qualche parola. Il primo è Irving G. Thalberg, colui che dà il nome all’Oscar alla memoria, qui ridotto al ruolo del villain nei panni del tirapiedi di Louis B. Mayer. Fu in realtà un enfant prodige che, poco più che ventenne, spianò la strada alla figura del produttore raffinato e coinvolto nei propri film, che ebbe intuizioni straordinarie come quando fece conoscere Tod Browning e Lon Chaney, e che, infine, fu definito da Groucho Marx “l’unico genio” che avesse mai conosciuto; prima della sua morte nel 1936, a soli 37 anni, aveva prodotto film come Rapacità di von Stroheim e Grand Hotel, campione d’incassi nel 1932 e uno dei primi film all stars - di sole stelle - della MGM.
L’ultimo personaggio che merita di essere raccontato è il il fratello “con la testa sulle spalle” del protagonista, Joseph L. Mankiewicz. Sebbene all’epoca delle vicende di Mank non avesse ancora esordito, tra il 1946 e il 1972 firmò una serie di capolavori come regista, lasciando un segno ben più duraturo di quello del fratello maggiore. Fu amatissimo da Godard e dagli esponenti della Nouvelle Vague, che lo citarono a più riprese mentre teorizzavano il proprio manifesto artistico, come un autore che “scriveva” con la macchina da presa. Come tanti del suo tempo si cimentò nei generi più disparati, dal noir al kolossal storico, ma i suoi due capolavori furono due drammi: Eva contro Eva, una parabola pluripremiata sul teatro con cui per la prima volta gli americani riconobbero a un film la stessa dignità di uno spettacolo di Broadway, e Improvvisamente l’estate scorsa, cupo film di rottura - superbamente interpretato - che sfiora i temi dell'omosessualità e del cannibalismo.
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21.12.2021
Mank, ultimo film di David Fincher distribuito in streaming su Netflix, si propone non solo di raccontare la genesi di Quarto potere - the greatest film ever made - ma anche di tracciare un profilo del suo sceneggiatore, Herman J. Mankiewicz, nel contesto del cinema hollywoodiano degli anni ‘30. Se si può supporre che ogni spettatore debba conoscere il capolavoro di Welles prima di vedere questo film, anche il cinefilo più appassionato potrebbe avere qualche difficoltà a orientarsi tra i numerosissimi personaggi, le citazioni e i riferimenti al cinema dell’epoca che Mank mette in scena. Ecco una breve “guida” per prepararsi al film o per approfondirne alcuni aspetti.
In primis, pur non essendo incentrato interamente su Quarto potere, il film è disseminato di citazioni e omaggi all’opera di Welles, come l’immagine della boccetta che cade come la palla di vetro dalla mano di Kane, un certo uso di luci e ombre nella fotografia in bianco e nero, lo sfarzo del palazzo di Hearst a cui si è ispirato Welles per Xanadu, o la scena in cui, come Mozart sul letto di morte con il suo Requiem nell’Amadeus di Miloš Forman, Mank detta alla dattilografa una bellissima scena del suo copione.
Per poi comprendere al meglio il contesto del film, con le sue correnti, le sue dinamiche produttive e le grandi personalità degli studios (produttori, sceneggiatori, registi) che dominavano il cinema americano dell’epoca, occorre soffermarsi su alcuni di questi nomi. In una scena come quella del summit iniziale alla sede della Paramount la quantità di personaggi è tale che, senza qualche punto di riferimento, è facile perdersi. In pochi minuti, in una sequenza dal dialogo serrato in stile screwball comedy, si assiste a una riunione tra gli uomini più importanti della Paramount, presentati uno dopo l’altro in rapida successione. Oltre a Mank, che impareremo a conoscere nel corso del film, troviamo un altro dei migliori sceneggiatori del periodo, Ben Hecht, anch’egli sempre irriverente e in perenne conflitto con l’industria hollywoodiana, che in occasione della vittoria di un Oscar definì una “latrina”: da Scarface di Hawks a Notorious e Io ti salverò di Hitchcock, passando per Partita a quattro di Lubitsch e Sui marciapiedi di Preminger, la lista dei capolavori che ha scritto farebbe impallidire chiunque. C’è poi il regista Josef von Sternberg, uomo di pochissime parole ma cineasta completo e fine conoscitore di ogni aspetto della messa in scena, dalla fotografia al montaggio. Passò alla storia per aver lanciato l’allora sconosciuta Marlene Dietrich, di cui secondo le voci fu sempre segretamente innamorato, con la quale nel 1930 girò due film iconici, L’Angelo azzurro e Marocco. Completa il quadro uno dei più importanti produttori della Hollywood classica, che allora lavorava per la Paramount ma che girò quasi tutte le grandi major prima di fondare la propria casa di produzione, David O. Selznick. Rimasto celebre per il suo perfezionismo, che spesso lo portò a intervenire sui propri film e a scontrarsi con i registi, fu produttore e vero e proprio artefice del film col maggiore incasso nella storia del cinema, Via col vento, e di altre pietre miliari come Rebecca - La prima moglie.
È solo conoscendo la caratura di questi personaggi, che nella sequenza si dilettano a costruire sul momento un film di mostri sulla falsariga di quelli della Universal, che possiamo cogliere tutte sfumature della scena: l’ironia con cui l’élite della Paramount - una major delle Big Five - scherza e improvvisa su un film di genere in stile Universal - una delle Little Three - guardata dall’alto in basso, o ancora il sottile anacronismo con cui tutti questi personaggi, nel 1930, buttano giù la trama di un film come Frankenstein, che di fatto uscì solo nel 1931.
Un po’ come Orson Welles, che nel film ha un ruolo marginale - e una caratterizzazione che forse non gli rende giustizia - nel corso del film incontriamo altri due giganti della storia del cinema costretti in ruoli da comprimari, su cui è giusto spendere qualche parola. Il primo è Irving G. Thalberg, colui che dà il nome all’Oscar alla memoria, qui ridotto al ruolo del villain nei panni del tirapiedi di Louis B. Mayer. Fu in realtà un enfant prodige che, poco più che ventenne, spianò la strada alla figura del produttore raffinato e coinvolto nei propri film, che ebbe intuizioni straordinarie come quando fece conoscere Tod Browning e Lon Chaney, e che, infine, fu definito da Groucho Marx “l’unico genio” che avesse mai conosciuto; prima della sua morte nel 1936, a soli 37 anni, aveva prodotto film come Rapacità di von Stroheim e Grand Hotel, campione d’incassi nel 1932 e uno dei primi film all stars - di sole stelle - della MGM.
L’ultimo personaggio che merita di essere raccontato è il il fratello “con la testa sulle spalle” del protagonista, Joseph L. Mankiewicz. Sebbene all’epoca delle vicende di Mank non avesse ancora esordito, tra il 1946 e il 1972 firmò una serie di capolavori come regista, lasciando un segno ben più duraturo di quello del fratello maggiore. Fu amatissimo da Godard e dagli esponenti della Nouvelle Vague, che lo citarono a più riprese mentre teorizzavano il proprio manifesto artistico, come un autore che “scriveva” con la macchina da presa. Come tanti del suo tempo si cimentò nei generi più disparati, dal noir al kolossal storico, ma i suoi due capolavori furono due drammi: Eva contro Eva, una parabola pluripremiata sul teatro con cui per la prima volta gli americani riconobbero a un film la stessa dignità di uno spettacolo di Broadway, e Improvvisamente l’estate scorsa, cupo film di rottura - superbamente interpretato - che sfiora i temi dell'omosessualità e del cannibalismo.