INT-25
20.03.2023
Dopo aver trionfato con l’Orso d’Argento per il miglior contributo artistico a Berlino, Disco Boy di Giacomo Abbruzzese è finalmente arrivato nelle nostre sale. Il film segue le vicende di Alexei (Franz Rogowski), un giovane che dopo un lungo viaggio attraverso il continente europeo viene arruolato nella Legione straniera francese, e Jomo (Morr Ndiaye), ragazzo nigeriano pronto a tutto pur di difendere il proprio popolo. Due personaggi accomunati dallo stesso senso di sopravvivenza e sacrificio. Con un ritmo pacato e ipnotico, il primo lungometraggio di finzione di Abbruzzese è un lavoro affascinantemente criptico e intrigante. Lo sbalorditivo uso delle luci al neon e della musica techno - la colonna sonora è stata composta dal DJ Vitalic - uniti alla misteriosa storia e all’ottima interpretazione di Franz Rogowski, rendono Disco Boy un’opera unica nel suo genere.
In occasione del tour di presentazione in tutta Italia, abbiamo avuto l’occasione di conversare con Giacomo Abbruzzese. Disco Boy è nelle sale in questi giorni e noi vi consigliamo di correre per vederlo sul grande schermo.
Innanzitutto come sta andando questo piccolo tour di presentazione in tutta l'Italia? Sei soddisfatto delle reazioni del pubblico?
È tutto molto bello e mi fa piacere. È intenso viaggiare da una città all'altra e mi ha permesso di vedere uno spaccato dell’Italia di oggi. Inoltre, mi fa molto piacere vedere che ci sono molti ragazzi in sala e ho notato tra il pubblico anche molti immigrati di seconda generazione. C’è un pubblico trasversale e ne sono molto felice.
Di che nazionalità senti che appartenga il film? Te lo chiedo perché il lungometraggio è prodotto da diverse nazioni e hai utilizzato un cast internazionale.
Sono un regista italiano che ha fatto un film internazionale. Non penso che Disco Boy sia un film italiano. Più che altro, queste “categorie” sono anche relative. Secondo me, un film di oggi, soprattutto se si fa cinema d’autore, deve avere una chiave universale. Deve essere aperto al mondo e deve poter dialogare con esso. Altrimenti, non c’è neanche un pubblico, per fare un certo tipo di cinema in Italia. In qualche modo, bisogna posizionarsi in un’ottica contemporanea internazionale.
E quale è stato il punto di partenza di Disco Boy?
Il punto di partenza è stato un incontro che ho fatto in una discoteca a Bisceglie con un ballerino, che era stato un soldato. Avevo il desiderio di fare un film di guerra atipico, sull’ “altro” e sulla dinamica vittima/carnefice, dove si può trovare una certa dignità emotiva in entrambe le parti coinvolte.
Infatti, si potrebbe anche dire che Jomo e Alexsei sono due “volti” di una stessa persona.
Si anche, certamente. L’uno è il doppelgänger dell’altro. Apparentemente molto diversi perché uno è un rivoluzionario e l’altro un mercenario, ma sono due entità affini tra di loro, come quella del corpo del soldato e ballerino che citavo prima.
Hai scritto il film dieci anni fa, ha mai ripensato di rimodellare il progetto per paura che la storia che stessi raccontando iniziasse a non essere più così contemporanea?
Ho cominciato a scrivere il film tempo fa, è stato un processo molto lungo. Dopo di che, ho sentito un amico sceneggiatore inglese che aveva visto il film a Berlino e mi ha detto che era incredibile che fosse uguale al trattamento che aveva letto otto anni prima. Gli elementi principali sono sempre stati presenti, come il protagonista bielorusso che arriva in Francia con un amico, il legame tra i due fratelli e anche la scena finale della danza. C’è sempre il rischio che il film, in qualche modo, diventi obsoleto. Però, partendo da una lavorazione più astratta, alcune cose non invecchiano, riguardano l’umano purtroppo. E queste, purtroppo, si ripetono sempre, nel bene e nel male, a seconda dei casi. È un film senza tempo e fuori dal tempo. Non ha nemmeno una connotazione temporale e, se ci fai caso, non ci sono telefoni cellulari.
Ora vorrei parlare un po’ degli attori presenti nel film, è stata ardua la fase di casting per i ruoli di Jomo e Udoka?
Sì, è stata una fase lunga e ci ho messo un paio d’anni. Morr l’ho trovato in una maniera insolita, avevo visto un documentario che la stessa casa di produzione di Disco Boy aveva fatto con protagonisti degli immigrati appena arrivati in Sicilia dall’Africa. Gli avevano dato dei cellulari per riprendere la loro esperienza e Morr mi aveva toccato molto, aveva una personalità diversa dagli altri, lo chiamavo il “poeta”. L’ho voluto incontrare e mi è piaciuto molto. Inizialmente volevo dargli un ruolo secondario, ma man mano, nella fase di casting ha dimostrato di poter essere un “attore” e addirittura di essere un co-protagonista. I produttori erano un po’ timorosi di questa cosa perché quello di Jomo era un ruolo importante e lui è un non professionista. Ha fatto un lavoro straordinario, è stato molto serio e oggi, posso dire che Morr è un attore. Anche per Laëtitia, il processo di casting è stato piuttosto lungo. Ho cercato in tutta Europa e in Nigeria ma non riuscivo a trovare l’attrice giusta che riuscisse a incarnare la duplicità di Udoka, cioè, da un lato vederla in un paese del Niger in un contesto rurale e poi vederla come ballerina in un club. Lei era l’unica che poteva incarnare questa duplicità, questo doppio statuto del personaggio.
E per quanto riguarda Franz Rogowski?
Franz è stato coinvolto nel progetto anni fa. Mi aveva molto impressionato in Victoria (2015) di Sebastian Schipper, dove aveva un ruolo secondario, e dopo aver visto Transit (2018) di Christian Petzold, mi aveva decisamente convinto di essere la persona giusta per interpretare Alexei. È un attore molto bravo, riesce a trasmettere una certa profondità attraverso il suo sguardo, ed era importante per un personaggio taciturno come quello di Alexei, bisognava percepire questo “abisso” emotivo. Inoltre è un interprete molto preciso e versatile, capace anche di inventare nuovi “gesti”, per questo è uno dei grandi attori che abbiamo al giorno d’oggi.
Parlando dei personaggi di Alexei e Jomo, non posso non citare la scena dello scontro fra i due. Questa sequenza è girata con la telecamera termica, c’è qualche ragione dietro a questa scelta? Te lo chiedo perché visivamente, le nuove fruizioni del medium cinema stanno acquisendo sempre più importanza. E la fotografia in questo film è molto vicina alla ricerca stilistica dei videoclip o dei videogiochi, ad esempio.
Mah, non saprei. Dipende dal tipo di cinema che si guarda e dai riferimenti. A me interessa esplorare la video arte e il cinema, che comunque, nella sua storia, ha sempre integrato diversi linguaggi. A me interessa esplorare nuovi modi di fare cinema. E la scelta della camera termica è uno di questi. Da una parte, mi ha permesso di fare una scelta diegetica e coerente con il film, dall’altra, mi ha permesso di girare questa sequenza in maniera astratta, dove si poteva già notare una “contaminazione” tra i due corpi di Jomo e Alexsei e mostrare una “danza” tra questi.
Infatti, avevo notato questa metafora dei corpi che si uniscono, come se fossero un’unica entità. Volevo anche chiederti se ci fosse qualche film o regista in particolare che ti hanno ispirato per Disco Boy o nella tua carriera in generale.
Non c’è un film particolare che mi abbia ispirato per Disco Boy, non sono interessato a quel tipo di approccio. Però ci sono registi che ho amato e amo ancora adesso moltissimo che mi hanno aiutato a costruire il mio “sguardo”. Sto parlando di Godard, Fassbinder, Pasolini, Antonioni, Scorsese, Kubrick, Tsai Ming-liang e Apichatpong, per citare qualche nome.
Per la musica di Disco Boy, hai lavorato con il DJ Vitalic. Puoi dirmi qualcosa sulla vostra collaborazione?
All’inizio gli avevo dato dei riferimenti all’interno della sua discografia. Gli ho detto che cercavo qualcosa di “abissale” ma al tempo stesso malinconico e onirico, che fosse capace di dare una certa verticalità al film. Aveva realizzato una parte della colonna sonora prima delle riprese, quattro o cinque pezzi circa. Mi avevano colpito ed era proprio quello che cercavo. Avevo condiviso la musica con tutta la mia crew e gli attori, cosicché potessero impregnarla prima dell’inizio delle riprese. Vitalic ha poi composto altri brani durante la fase di montaggio su delle esigenze più precise.
Vorrei concludere questa intervista chiedendoti della mistica coreografia nella scena finale.
È nata tutta dalla collaborazione con il coreografo nigeriano Qudus Onikeku, avevo visto un suo lavoro al centro Pompidou e mi aveva colpito molto. Nonostante io sia italiano e lui nigeriano, siamo riusciti a collaborare all’unisono sul concetto dei “fantasmi” e su quel sentimento di “trasmissione” presente in quella sequenza. Inoltre aveva questo approccio che avvicinava una realtà arcaica a quella universale e astratta, ovvero, quello che cercavo io in questa danza. Un po’ pensavo ai primi disegni e graffiti nelle caverne, queste persone non riuscivano a comunicare tra loro, ma i disegni erano simili. C’era qualcosa di universale che univa queste persone. Attraverso questa danza, ho cercato di trovare quell’universalità, con questi movimenti “rivoluzionari”, in senso letterale, che hai visto.
INT-25
20.03.2023
Dopo aver trionfato con l’Orso d’Argento per il miglior contributo artistico a Berlino, Disco Boy di Giacomo Abbruzzese è finalmente arrivato nelle nostre sale. Il film segue le vicende di Alexei (Franz Rogowski), un giovane che dopo un lungo viaggio attraverso il continente europeo viene arruolato nella Legione straniera francese, e Jomo (Morr Ndiaye), ragazzo nigeriano pronto a tutto pur di difendere il proprio popolo. Due personaggi accomunati dallo stesso senso di sopravvivenza e sacrificio. Con un ritmo pacato e ipnotico, il primo lungometraggio di finzione di Abbruzzese è un lavoro affascinantemente criptico e intrigante. Lo sbalorditivo uso delle luci al neon e della musica techno - la colonna sonora è stata composta dal DJ Vitalic - uniti alla misteriosa storia e all’ottima interpretazione di Franz Rogowski, rendono Disco Boy un’opera unica nel suo genere.
In occasione del tour di presentazione in tutta Italia, abbiamo avuto l’occasione di conversare con Giacomo Abbruzzese. Disco Boy è nelle sale in questi giorni e noi vi consigliamo di correre per vederlo sul grande schermo.
Innanzitutto come sta andando questo piccolo tour di presentazione in tutta l'Italia? Sei soddisfatto delle reazioni del pubblico?
È tutto molto bello e mi fa piacere. È intenso viaggiare da una città all'altra e mi ha permesso di vedere uno spaccato dell’Italia di oggi. Inoltre, mi fa molto piacere vedere che ci sono molti ragazzi in sala e ho notato tra il pubblico anche molti immigrati di seconda generazione. C’è un pubblico trasversale e ne sono molto felice.
Di che nazionalità senti che appartenga il film? Te lo chiedo perché il lungometraggio è prodotto da diverse nazioni e hai utilizzato un cast internazionale.
Sono un regista italiano che ha fatto un film internazionale. Non penso che Disco Boy sia un film italiano. Più che altro, queste “categorie” sono anche relative. Secondo me, un film di oggi, soprattutto se si fa cinema d’autore, deve avere una chiave universale. Deve essere aperto al mondo e deve poter dialogare con esso. Altrimenti, non c’è neanche un pubblico, per fare un certo tipo di cinema in Italia. In qualche modo, bisogna posizionarsi in un’ottica contemporanea internazionale.
E quale è stato il punto di partenza di Disco Boy?
Il punto di partenza è stato un incontro che ho fatto in una discoteca a Bisceglie con un ballerino, che era stato un soldato. Avevo il desiderio di fare un film di guerra atipico, sull’ “altro” e sulla dinamica vittima/carnefice, dove si può trovare una certa dignità emotiva in entrambe le parti coinvolte.
Infatti, si potrebbe anche dire che Jomo e Alexsei sono due “volti” di una stessa persona.
Si anche, certamente. L’uno è il doppelgänger dell’altro. Apparentemente molto diversi perché uno è un rivoluzionario e l’altro un mercenario, ma sono due entità affini tra di loro, come quella del corpo del soldato e ballerino che citavo prima.
Hai scritto il film dieci anni fa, ha mai ripensato di rimodellare il progetto per paura che la storia che stessi raccontando iniziasse a non essere più così contemporanea?
Ho cominciato a scrivere il film tempo fa, è stato un processo molto lungo. Dopo di che, ho sentito un amico sceneggiatore inglese che aveva visto il film a Berlino e mi ha detto che era incredibile che fosse uguale al trattamento che aveva letto otto anni prima. Gli elementi principali sono sempre stati presenti, come il protagonista bielorusso che arriva in Francia con un amico, il legame tra i due fratelli e anche la scena finale della danza. C’è sempre il rischio che il film, in qualche modo, diventi obsoleto. Però, partendo da una lavorazione più astratta, alcune cose non invecchiano, riguardano l’umano purtroppo. E queste, purtroppo, si ripetono sempre, nel bene e nel male, a seconda dei casi. È un film senza tempo e fuori dal tempo. Non ha nemmeno una connotazione temporale e, se ci fai caso, non ci sono telefoni cellulari.
Ora vorrei parlare un po’ degli attori presenti nel film, è stata ardua la fase di casting per i ruoli di Jomo e Udoka?
Sì, è stata una fase lunga e ci ho messo un paio d’anni. Morr l’ho trovato in una maniera insolita, avevo visto un documentario che la stessa casa di produzione di Disco Boy aveva fatto con protagonisti degli immigrati appena arrivati in Sicilia dall’Africa. Gli avevano dato dei cellulari per riprendere la loro esperienza e Morr mi aveva toccato molto, aveva una personalità diversa dagli altri, lo chiamavo il “poeta”. L’ho voluto incontrare e mi è piaciuto molto. Inizialmente volevo dargli un ruolo secondario, ma man mano, nella fase di casting ha dimostrato di poter essere un “attore” e addirittura di essere un co-protagonista. I produttori erano un po’ timorosi di questa cosa perché quello di Jomo era un ruolo importante e lui è un non professionista. Ha fatto un lavoro straordinario, è stato molto serio e oggi, posso dire che Morr è un attore. Anche per Laëtitia, il processo di casting è stato piuttosto lungo. Ho cercato in tutta Europa e in Nigeria ma non riuscivo a trovare l’attrice giusta che riuscisse a incarnare la duplicità di Udoka, cioè, da un lato vederla in un paese del Niger in un contesto rurale e poi vederla come ballerina in un club. Lei era l’unica che poteva incarnare questa duplicità, questo doppio statuto del personaggio.
E per quanto riguarda Franz Rogowski?
Franz è stato coinvolto nel progetto anni fa. Mi aveva molto impressionato in Victoria (2015) di Sebastian Schipper, dove aveva un ruolo secondario, e dopo aver visto Transit (2018) di Christian Petzold, mi aveva decisamente convinto di essere la persona giusta per interpretare Alexei. È un attore molto bravo, riesce a trasmettere una certa profondità attraverso il suo sguardo, ed era importante per un personaggio taciturno come quello di Alexei, bisognava percepire questo “abisso” emotivo. Inoltre è un interprete molto preciso e versatile, capace anche di inventare nuovi “gesti”, per questo è uno dei grandi attori che abbiamo al giorno d’oggi.
Parlando dei personaggi di Alexei e Jomo, non posso non citare la scena dello scontro fra i due. Questa sequenza è girata con la telecamera termica, c’è qualche ragione dietro a questa scelta? Te lo chiedo perché visivamente, le nuove fruizioni del medium cinema stanno acquisendo sempre più importanza. E la fotografia in questo film è molto vicina alla ricerca stilistica dei videoclip o dei videogiochi, ad esempio.
Mah, non saprei. Dipende dal tipo di cinema che si guarda e dai riferimenti. A me interessa esplorare la video arte e il cinema, che comunque, nella sua storia, ha sempre integrato diversi linguaggi. A me interessa esplorare nuovi modi di fare cinema. E la scelta della camera termica è uno di questi. Da una parte, mi ha permesso di fare una scelta diegetica e coerente con il film, dall’altra, mi ha permesso di girare questa sequenza in maniera astratta, dove si poteva già notare una “contaminazione” tra i due corpi di Jomo e Alexsei e mostrare una “danza” tra questi.
Infatti, avevo notato questa metafora dei corpi che si uniscono, come se fossero un’unica entità. Volevo anche chiederti se ci fosse qualche film o regista in particolare che ti hanno ispirato per Disco Boy o nella tua carriera in generale.
Non c’è un film particolare che mi abbia ispirato per Disco Boy, non sono interessato a quel tipo di approccio. Però ci sono registi che ho amato e amo ancora adesso moltissimo che mi hanno aiutato a costruire il mio “sguardo”. Sto parlando di Godard, Fassbinder, Pasolini, Antonioni, Scorsese, Kubrick, Tsai Ming-liang e Apichatpong, per citare qualche nome.
Per la musica di Disco Boy, hai lavorato con il DJ Vitalic. Puoi dirmi qualcosa sulla vostra collaborazione?
All’inizio gli avevo dato dei riferimenti all’interno della sua discografia. Gli ho detto che cercavo qualcosa di “abissale” ma al tempo stesso malinconico e onirico, che fosse capace di dare una certa verticalità al film. Aveva realizzato una parte della colonna sonora prima delle riprese, quattro o cinque pezzi circa. Mi avevano colpito ed era proprio quello che cercavo. Avevo condiviso la musica con tutta la mia crew e gli attori, cosicché potessero impregnarla prima dell’inizio delle riprese. Vitalic ha poi composto altri brani durante la fase di montaggio su delle esigenze più precise.
Vorrei concludere questa intervista chiedendoti della mistica coreografia nella scena finale.
È nata tutta dalla collaborazione con il coreografo nigeriano Qudus Onikeku, avevo visto un suo lavoro al centro Pompidou e mi aveva colpito molto. Nonostante io sia italiano e lui nigeriano, siamo riusciti a collaborare all’unisono sul concetto dei “fantasmi” e su quel sentimento di “trasmissione” presente in quella sequenza. Inoltre aveva questo approccio che avvicinava una realtà arcaica a quella universale e astratta, ovvero, quello che cercavo io in questa danza. Un po’ pensavo ai primi disegni e graffiti nelle caverne, queste persone non riuscivano a comunicare tra loro, ma i disegni erano simili. C’era qualcosa di universale che univa queste persone. Attraverso questa danza, ho cercato di trovare quell’universalità, con questi movimenti “rivoluzionari”, in senso letterale, che hai visto.