INT-11
15.09.2022
La sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia è stata vinta da World War III, film del regista iraniano Houman Seyyedi, per il quale Mohsen Tanabandeh si è aggiudicato il premio come miglior attore. Al centro della storia c’è Shakib, un uomo che ha perso la famiglia durante un terremoto e si trova in difficoltà a trovare un lavoro. Un giorno viene scelto come comparsa in un film sull’olocausto e, per una serie di coincidenze, finisce ad interpretare il ruolo del protagonista, quello di Adolf Hitler. Shakib trova così una casa e un lavoro “stabile”, ma la relazione amorosa che lo lega alla prostituta sordomuta Zare, gli causerà problemi che comprometteranno anche il suo lavoro sul set.
Houman Seyyedi porta sullo schermo un character study intrigante, dove Shakib passa dall’essere un uomo ordinario, a diventare una persona su cui dipende il lavoro di centinaia di persone. Ma il film è anche un thriller brillante con un continuo crescendo di tensione fino ad un finale che rimarrà impresso nello spettatore per un po’ di tempo. L’uso dell’iconografia della Seconda Guerra Mondiale, per rappresentare un possibile conflitto futuro, è stata una scelta rischiosa da parte del regista, che, tuttavia, ha portato a risultati inaspettati, soprattutto se si traccia un parallelismo con la situazione attuale in Ucraina.
Il punto di forza del film risiede nell’interpretazione di Mohsen Tanabandeh. L’attore iraniano ha avuto un ruolo importante in A Hero (2021), l’ultimo film di Ashgar Farhadi, dove Barham, l’uomo incaricato di scoprire la verità sulla borsa d’oro che possiede il protagonista. In World War III, l’attore interpreta un personaggio agli antipodi, un uomo debole, distrutto dalla morte della propria famiglia, riuscendo a restituire in maniera credibile la misera condizione di Shakib. Ma le scene migliori dell’interprete sono nella seconda parte del film, dove si può vedere un graduale cambiamento nell’uomo fino a diventare una persona ribelle e “mostruosa”.
Alla Mostra del Cinema di Venezia abbiamo intervistato il regista Houman Seyyedi e l’attore Mohsen Tanabandeh, con cui abbiamo avuto il piacere di parlare del processo creativo dietro a questo film.
Da cosa nasce la scelta del titolo World War III?
HS: Ho pensato a come la guerra crei una situazione di tensione e a come essa comporti gravi conseguenze nella vita di persone che non ne sono coinvolte direttamente. Poi mi è venuta in mente la definizione di “guerra” e di come si sia evoluta nel tempo perché ne sono mutate le dinamiche e le modalità con cui essa avviene. Solo dopo aver saputo dello scoppio del conflitto in Ucraina, ho pensato che in realtà la natura profonda della guerra rimanga sempre immutata. Il titolo, dunque, è una riflessione sullo stato attuale delle cose, sulla tensione e la sofferenza che abitano il nostro mondo e influiscono sulla vita delle persone comuni.
E l’idea di girare un “film” dentro al tuo film?
HS: La storia di World War III è incentrata su un uomo che ha perso la propria famiglia e che non è mai riuscito a superare questa tragedia. Solo dalle cicatrici che ha sulle mani possiamo immaginare quanto abbia sofferto nella vita. Stavo cercando un modo per creare una situazione in cui a quest’uomo venga improvvisamente dato “tutto”: una casa dove vivere, una donna e anche la speranza di avere un nuovo figlio. Con il concetto del film “dentro” al film, volevo creare questo stato di finzione in cui il protagonista ha tutti i “comfort” appena citati, ma volevo anche mostrare come ciò che non è ottenuto da un nostro sforzo e sacrificio, può esserci tolto da un momento all’altro.
Quando hai scritto il personaggio di Shakib avevi già in mente Mohsen Tanabandeh?
HS: Sì, ho avuto in mente Mohsen fin dal primo momento. Non avevo ancora una sceneggiatura, avevo solo impostato la struttura narrativa e scritto qualche scena quando ho deciso di coinvolgere Mohsen nel progetto. Abbiamo discusso del film e subito raggiunto un accordo. Ha ricevuto la prima versione della sceneggiatura dopo qualche mese e l’ho tenuto sempre aggiornato sulle varie modifiche che apportavo alla storia.
Mohsen, cosa ti ha affascinato di più di questa storia e del suo personaggio?
MT: L’arco narrativo di Shakib e il cambiamento graduale che compie nel corso della storia, sono stati i due aspetti che mi hanno colpito maggiormente. È un uomo quieto, ma al tempo stesso disperato, che fatica ad arrivare a fine giornata. Durante il film vediamo il suo graduale stravolgimento in “ribelle”, per poi trasformarsi in un “mostro” verso la fine. C’è un’opera teatrale di Bertolt Brecht, Un uomo è un uomo, che pone al centro un uomo “ordinario”; un giorno la moglie gli chiede di andare a comprare del pesce al mercato e, per una serie di coincidenze, finisce per combattere in guerra e diventare un eroe. Ho riscontrato dei parallelismi con questo film, Shakib, infatti, inizia casualmente a lavorare in un set, acquisendo però sempre più importanza. Ciò che mi è affascia è dunque questo inspiegabile cambiamento umano.
Shakib conosce il linguaggio dei segni e, all’inizio del film, lo vediamo coinvolto in una relazione con una ragazza sordomuta, Zare. Perché hai voluto inserire questo elemento?
HS: La storia che volevo raccontare richiedeva la presenza del personaggio di Zare e soprattutto come elemento fondamentale per lo sviluppo “eroico” di Shakib. Con lei, abbiamo potuto costruire una relazione genuina che riguardasse Shakib e creare anche un interessante twist nell’ultima parte del film.
Mohsen, conoscevi già il linguaggio dei segni prima del film?
MT: No no, abbiamo dovuto fare lunghe sessioni di prova con un insegnante per due mesi. È stato complesso ma molto stimolante.
Al giorno d’oggi, si leggono molte notizie su come il governo stia bannando diverse produzioni iraniane. È stato difficile ricevere i fondi statali e i permessi del governo?
HS: Mi dispiace, ma preferirei non parlare di questo aspetto...
E posso chiederti cosa ne pensi dei recenti arresti a Mohammad Rasoulof e Jafar Panahi?
HS: Mi dispiace, non posso rispondere e preferirei non dire nulla. [il regista si scusa un paio di volte per la mancata, ma giustificata, risposta a queste due domande, n.d.r.].
Tornando al film, c’è stato qualche regista che ti ha ispirato nel corso della tua carriera?
HS: Ci sono molti cineasti che mi hanno ispirato e che ritengo dei “maestri”. Amores Perros (2000) ha cambiato la mia concezione di cinema e sono contento che Alejandro González Iñárritu abbia presentato un film qua a Venezia proprio quest’anno. Ma anche Cristian Mungiu, Krzysztof Kieślowski e Michael Haneke sono stati registi fondamentali per me.
È interessante che citi Haneke. Il finale del tuo film, infatti, ci ha ricordato quello di Cache (2005) per il forte impatto che lascia nello spettatore. E a tal proposito, puoi dirmi qualcosa sull’ultima scena?
HS: Mi fa piacere questo paragone. Per quanto riguarda l’ultima scena, volevo esplorare il cambiamento di Shakib che, a quel punto del film, non riesce più a comprendere cosa sia giusto e sbagliato, e per la composizione dell’immagine, mi sono ispirato ad alcuni dipinti de l’Ultima Cena.
Qual è stato l’aspetto più complicato o stimolante di questa produzione?
HS: All’inizio della produzione ho deciso di “privarmi” di alcune tecniche che avevo adottato nei miei film precedenti, come il carrello, oppure l’uso di un montaggio serrato con diversi tagli. Stavolta volevo inserire più piani sequenza e coreografare i movimenti degli attori e della camera. È stata una sfida per me, ma, in qualche modo, credo di aver fatto un buon lavoro [il regista sorride, n.d.r.].
Hai scritto questo film con Azad Jafarian (co-sceneggiatore di About Elly di Asghar Farhadi). Come è stato il processo di scrittura? Avete lavorato insieme o singolarmente?
HS: Abbiamo fatto diversi incontri in cui discutevamo del film e delle possibili idee da inserire. In seguito, ho scritto la sceneggiatura, ma continuavo a modificarla. Mi piace stare dietro al pc a scrivere [il regista ride, n.d.r.]. Abbiamo riscontrato alcuni problemi nel girare certe sequenze e abbiamo dovuto riscrivere alcune parti della storia. La fase di riscrittura è continuata fino a qualche giorno prima dell’inizio delle riprese.
Puoi farmi un esempio di una scena che hai modificato o che hai inserito all’ultimo?
HS: Innanzitutto, non sono contrario a modificare lo script fino all’ultimo perché una volta arrivato sul set e sentita una certa atmosfera, ti potrebbero venire in mente altre idee. Ad esempio, c’è una scena dove la costumista del “film dentro al film” consegna dei braccialetti ad alcuni membri del cast e mentre parla sentiamo un suono intenso. Ci siamo resi conto che questo suono caratterizzava il personaggio di questa donna e abbiamo dovuto includerlo nella sceneggiatura e nelle scene successive dove compariva.
Si può, quindi, immaginare che accetti idee e consigli anche da parte dei tuoi attori sul set.
HS: Esatto, ascolto sempre nuove idee da chiunque, anche perché rifiutare consigli che potrebbero risultare utili, per rimanere sulla propria idea e visione, non è funzionale per la buona riuscita del film.
Mohsen, hai suggerito qualche modifica al tuo personaggio?
MT: Houman, oltre ad essere un ottimo regista, è anche un buon attore e questo gli permette di capire al meglio gli attori con cui sta lavorando. Non ho avuto alcun tipo di problema a lavorare con lui, anzi, ci ha dato molta libertà per apportare modifiche ad alcune scene.
Houman, hai già in mente qualche progetto per il futuro?
HS: Sì, io e Azad Jafarian stiamo scrivendo la sceneggiatura per un nuovo film, abbiamo in mente di iniziare le riprese il prossimo inverno, però al momento non possiamo rivelare niente di più.
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15.09.2022
La sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia è stata vinta da World War III, film del regista iraniano Houman Seyyedi, per il quale Mohsen Tanabandeh si è aggiudicato il premio come miglior attore. Al centro della storia c’è Shakib, un uomo che ha perso la famiglia durante un terremoto e si trova in difficoltà a trovare un lavoro. Un giorno viene scelto come comparsa in un film sull’olocausto e, per una serie di coincidenze, finisce ad interpretare il ruolo del protagonista, quello di Adolf Hitler. Shakib trova così una casa e un lavoro “stabile”, ma la relazione amorosa che lo lega alla prostituta sordomuta Zare, gli causerà problemi che comprometteranno anche il suo lavoro sul set.
Houman Seyyedi porta sullo schermo un character study intrigante, dove Shakib passa dall’essere un uomo ordinario, a diventare una persona su cui dipende il lavoro di centinaia di persone. Ma il film è anche un thriller brillante con un continuo crescendo di tensione fino ad un finale che rimarrà impresso nello spettatore per un po’ di tempo. L’uso dell’iconografia della Seconda Guerra Mondiale, per rappresentare un possibile conflitto futuro, è stata una scelta rischiosa da parte del regista, che, tuttavia, ha portato a risultati inaspettati, soprattutto se si traccia un parallelismo con la situazione attuale in Ucraina.
Il punto di forza del film risiede nell’interpretazione di Mohsen Tanabandeh. L’attore iraniano ha avuto un ruolo importante in A Hero (2021), l’ultimo film di Ashgar Farhadi, dove Barham, l’uomo incaricato di scoprire la verità sulla borsa d’oro che possiede il protagonista. In World War III, l’attore interpreta un personaggio agli antipodi, un uomo debole, distrutto dalla morte della propria famiglia, riuscendo a restituire in maniera credibile la misera condizione di Shakib. Ma le scene migliori dell’interprete sono nella seconda parte del film, dove si può vedere un graduale cambiamento nell’uomo fino a diventare una persona ribelle e “mostruosa”.
Alla Mostra del Cinema di Venezia abbiamo intervistato il regista Houman Seyyedi e l’attore Mohsen Tanabandeh, con cui abbiamo avuto il piacere di parlare del processo creativo dietro a questo film.
Da cosa nasce la scelta del titolo World War III?
HS: Ho pensato a come la guerra crei una situazione di tensione e a come essa comporti gravi conseguenze nella vita di persone che non ne sono coinvolte direttamente. Poi mi è venuta in mente la definizione di “guerra” e di come si sia evoluta nel tempo perché ne sono mutate le dinamiche e le modalità con cui essa avviene. Solo dopo aver saputo dello scoppio del conflitto in Ucraina, ho pensato che in realtà la natura profonda della guerra rimanga sempre immutata. Il titolo, dunque, è una riflessione sullo stato attuale delle cose, sulla tensione e la sofferenza che abitano il nostro mondo e influiscono sulla vita delle persone comuni.
E l’idea di girare un “film” dentro al tuo film?
HS: La storia di World War III è incentrata su un uomo che ha perso la propria famiglia e che non è mai riuscito a superare questa tragedia. Solo dalle cicatrici che ha sulle mani possiamo immaginare quanto abbia sofferto nella vita. Stavo cercando un modo per creare una situazione in cui a quest’uomo venga improvvisamente dato “tutto”: una casa dove vivere, una donna e anche la speranza di avere un nuovo figlio. Con il concetto del film “dentro” al film, volevo creare questo stato di finzione in cui il protagonista ha tutti i “comfort” appena citati, ma volevo anche mostrare come ciò che non è ottenuto da un nostro sforzo e sacrificio, può esserci tolto da un momento all’altro.
Quando hai scritto il personaggio di Shakib avevi già in mente Mohsen Tanabandeh?
HS: Sì, ho avuto in mente Mohsen fin dal primo momento. Non avevo ancora una sceneggiatura, avevo solo impostato la struttura narrativa e scritto qualche scena quando ho deciso di coinvolgere Mohsen nel progetto. Abbiamo discusso del film e subito raggiunto un accordo. Ha ricevuto la prima versione della sceneggiatura dopo qualche mese e l’ho tenuto sempre aggiornato sulle varie modifiche che apportavo alla storia.
Mohsen, cosa ti ha affascinato di più di questa storia e del suo personaggio?
MT: L’arco narrativo di Shakib e il cambiamento graduale che compie nel corso della storia, sono stati i due aspetti che mi hanno colpito maggiormente. È un uomo quieto, ma al tempo stesso disperato, che fatica ad arrivare a fine giornata. Durante il film vediamo il suo graduale stravolgimento in “ribelle”, per poi trasformarsi in un “mostro” verso la fine. C’è un’opera teatrale di Bertolt Brecht, Un uomo è un uomo, che pone al centro un uomo “ordinario”; un giorno la moglie gli chiede di andare a comprare del pesce al mercato e, per una serie di coincidenze, finisce per combattere in guerra e diventare un eroe. Ho riscontrato dei parallelismi con questo film, Shakib, infatti, inizia casualmente a lavorare in un set, acquisendo però sempre più importanza. Ciò che mi è affascia è dunque questo inspiegabile cambiamento umano.
Shakib conosce il linguaggio dei segni e, all’inizio del film, lo vediamo coinvolto in una relazione con una ragazza sordomuta, Zare. Perché hai voluto inserire questo elemento?
HS: La storia che volevo raccontare richiedeva la presenza del personaggio di Zare e soprattutto come elemento fondamentale per lo sviluppo “eroico” di Shakib. Con lei, abbiamo potuto costruire una relazione genuina che riguardasse Shakib e creare anche un interessante twist nell’ultima parte del film.
Mohsen, conoscevi già il linguaggio dei segni prima del film?
MT: No no, abbiamo dovuto fare lunghe sessioni di prova con un insegnante per due mesi. È stato complesso ma molto stimolante.
Al giorno d’oggi, si leggono molte notizie su come il governo stia bannando diverse produzioni iraniane. È stato difficile ricevere i fondi statali e i permessi del governo?
HS: Mi dispiace, ma preferirei non parlare di questo aspetto...
E posso chiederti cosa ne pensi dei recenti arresti a Mohammad Rasoulof e Jafar Panahi?
HS: Mi dispiace, non posso rispondere e preferirei non dire nulla. [il regista si scusa un paio di volte per la mancata, ma giustificata, risposta a queste due domande, n.d.r.].
Tornando al film, c’è stato qualche regista che ti ha ispirato nel corso della tua carriera?
HS: Ci sono molti cineasti che mi hanno ispirato e che ritengo dei “maestri”. Amores Perros (2000) ha cambiato la mia concezione di cinema e sono contento che Alejandro González Iñárritu abbia presentato un film qua a Venezia proprio quest’anno. Ma anche Cristian Mungiu, Krzysztof Kieślowski e Michael Haneke sono stati registi fondamentali per me.
È interessante che citi Haneke. Il finale del tuo film, infatti, ci ha ricordato quello di Cache (2005) per il forte impatto che lascia nello spettatore. E a tal proposito, puoi dirmi qualcosa sull’ultima scena?
HS: Mi fa piacere questo paragone. Per quanto riguarda l’ultima scena, volevo esplorare il cambiamento di Shakib che, a quel punto del film, non riesce più a comprendere cosa sia giusto e sbagliato, e per la composizione dell’immagine, mi sono ispirato ad alcuni dipinti de l’Ultima Cena.
Qual è stato l’aspetto più complicato o stimolante di questa produzione?
HS: All’inizio della produzione ho deciso di “privarmi” di alcune tecniche che avevo adottato nei miei film precedenti, come il carrello, oppure l’uso di un montaggio serrato con diversi tagli. Stavolta volevo inserire più piani sequenza e coreografare i movimenti degli attori e della camera. È stata una sfida per me, ma, in qualche modo, credo di aver fatto un buon lavoro [il regista sorride, n.d.r.].
Hai scritto questo film con Azad Jafarian (co-sceneggiatore di About Elly di Asghar Farhadi). Come è stato il processo di scrittura? Avete lavorato insieme o singolarmente?
HS: Abbiamo fatto diversi incontri in cui discutevamo del film e delle possibili idee da inserire. In seguito, ho scritto la sceneggiatura, ma continuavo a modificarla. Mi piace stare dietro al pc a scrivere [il regista ride, n.d.r.]. Abbiamo riscontrato alcuni problemi nel girare certe sequenze e abbiamo dovuto riscrivere alcune parti della storia. La fase di riscrittura è continuata fino a qualche giorno prima dell’inizio delle riprese.
Puoi farmi un esempio di una scena che hai modificato o che hai inserito all’ultimo?
HS: Innanzitutto, non sono contrario a modificare lo script fino all’ultimo perché una volta arrivato sul set e sentita una certa atmosfera, ti potrebbero venire in mente altre idee. Ad esempio, c’è una scena dove la costumista del “film dentro al film” consegna dei braccialetti ad alcuni membri del cast e mentre parla sentiamo un suono intenso. Ci siamo resi conto che questo suono caratterizzava il personaggio di questa donna e abbiamo dovuto includerlo nella sceneggiatura e nelle scene successive dove compariva.
Si può, quindi, immaginare che accetti idee e consigli anche da parte dei tuoi attori sul set.
HS: Esatto, ascolto sempre nuove idee da chiunque, anche perché rifiutare consigli che potrebbero risultare utili, per rimanere sulla propria idea e visione, non è funzionale per la buona riuscita del film.
Mohsen, hai suggerito qualche modifica al tuo personaggio?
MT: Houman, oltre ad essere un ottimo regista, è anche un buon attore e questo gli permette di capire al meglio gli attori con cui sta lavorando. Non ho avuto alcun tipo di problema a lavorare con lui, anzi, ci ha dato molta libertà per apportare modifiche ad alcune scene.
Houman, hai già in mente qualche progetto per il futuro?
HS: Sì, io e Azad Jafarian stiamo scrivendo la sceneggiatura per un nuovo film, abbiamo in mente di iniziare le riprese il prossimo inverno, però al momento non possiamo rivelare niente di più.