NC-70
04.11.2021
Se è vero che i film sono ovunque ma la casa del cinema è la sala, la questione in Italia è piuttosto allarmante. Soltanto a Roma negli ultimi vent’anni hanno chiuso 100 cinema e circa la metà nell’ultimo periodo. Come se non bastasse, ad infierire su un settore già in evidente crisi è arrivata la pandemia: gli incassi complessivi delle sale nel 2020 hanno subito un crollo più che consistente e a seguito dei lockdown a cui siamo stati costretti i vari servizi di streaming hanno moltiplicato i loro prodotti. Negli ultimi anni l’avvento di nuove tecnologie, accompagnato dalla capillare diffusione di internet, ha fatto sì che la domanda di prodotti audiovisivi disponibili 24h su 24h crescesse a dismisura. Abbonamenti a prezzi abbordabili e contenuti gratuiti (con una scelta sempre più ampia), hanno creato una selezione potenzialmente infinita di pacchetti costruiti su misura per le esigenze di ogni spettatore. Cambiano le condizioni di fruizione e di conseguenza cambiano l’approccio del sistema produttivo e la distribuzione dei contenuti. Sono ormai lontani i tempi in cui a un nuovo film era d’obbligo garantire una finestra temporale di 90 giorni per la proiezione in sala prima del suo trasferimento sulle piattaforme.
La questione è complessa e va considerata sotto un doppio punto di vista. Se da una parte è incontestabile la dinamica di ampliamento dell’offerta e delle possibilità di fruizione di contenuti audiovisivi su schermi sempre più ridotti, è vero anche che la fioritura dei servizi di streaming ha riportato l’attenzione sul prodotto audiovisivo, costruendo un pubblico di spettatori sempre più ampio. Occorre quindi chiedersi quale sia il senso delle sale oggi e se sia giusto provare a salvarle. La risposta è un convinto sì, per vari motivi. Innanzitutto, si può ancora dire che la visione di un film raggiunga il suo massimo potenziale quando diviene un’esperienza collettiva, veicolo di emozioni, divertimenti, passioni. Per quanto la visione individuale possa essere comoda e flessibile, manca di quella relazione con l’alterità che è poi l’unico fattore davvero importante in grado di influire sulla percezione del film stesso. Del resto la sala, con il suo sistema di sonorizzazione e la presenza del grande schermo, favorisce la totale immersione nella storia e la sensazione di star partecipando a un rito collettivo e irripetibile. La chiusura di un cinema non è mai quindi un evento isolato. Il problema va inserito in un più ampio contesto di impoverimento del tessuto socio-culturale delle nostre città. Ogni cinema chiuso è uno spazio in meno per incontrarsi e riflettere, una sconfitta per tutti, a partire dalle istituzioni.
In questo deprimente scenario c’è per fortuna ancora spazio per le eccezioni come quella del Piccolo America. Il Piccolo America è un collettivo formato da giovani e giovanissimi ragazzi di Roma la cui storia ha in realtà origine diversi anni fa. C’era una volta nel cuore di Trastevere il Cinema America che ospitava decine di proiezioni al mese finché nel 1999 dichiarò il fallimento. Per anni l’intero spazio dell’America rimase abbandonato. Nel 2002 i terreni vennero acquistati dalla Uno srl, con il progetto di ricavarne una ventina di mini appartamenti. Nell’estate 2012 qualcosa cominciò a muoversi (nel verso giusto). Un gruppo di giovanissimi ragazzi, mosso dalla necessità di trovare un luogo di aggregazione culturale, decise di riunirsi per creare qualcosa di nuovo. Dopo fallimentari tentativi di dialogo con le istituzioni, i ragazzi presero la decisione di occupare il Cinema America. L’intento era chiaro: ristrutturare luoghi di socialità per restituire vita allo storico rione romano. Dopo infiniti ostacoli e peripezie burocratiche nacque il Collettivo Piccolo America, che a partire dall’estate 2014 accese le luci sulla piazza di San Cosimato a Roma. Con una programmazione variegata e un fitto numero di ospiti anche internazionali, l’estate romana riprese vita insieme alla voglia di cinema delle persone. Nel corso degli anni queste rassegne hanno raggiunto anche luoghi più periferici della Capitale, dal porto di Ostia al Casale della Cervelletta, diventando un simbolo di resistenza e di condivisione libero per tutti.
Nemmeno il Covid, con le conseguenti chiusure obbligate e i vari distanziamenti, ha fermato l’impegno del collettivo Piccolo America, che lo scorso 21 settembre ha aperto a Trastevere le porte del Cinema Troisi. La serata inaugurale ha ospitato la proiezione in anteprima nazionale di Titane, film vincitore dell’ultima Palma D’Oro, nonché l’incontro con la regista e parte del cast. Una scelta coraggiosa che testimonia una presa di posizione netta e inequivocabile. La rinascita di un’umanità nuova di cui parla il film sembra significare in parallelo una rinascita della sala intesa come luogo fisico dove condividere un’esperienza di visione e non solo. La storia del Piccolo America e l’apertura del Cinema Troisi hanno ricordato una volta di più alla città di Roma e all’Italia intera quanto l’esperienza della visione cinematografica non si esaurisca al termine dei titoli di coda, ma di come il suo cuore risieda nel confronto, nel dialogo e nel dibattito riguardante la visione stessa.
NC-70
04.11.2021
Se è vero che i film sono ovunque ma la casa del cinema è la sala, la questione in Italia è piuttosto allarmante. Soltanto a Roma negli ultimi vent’anni hanno chiuso 100 cinema e circa la metà nell’ultimo periodo. Come se non bastasse, ad infierire su un settore già in evidente crisi è arrivata la pandemia: gli incassi complessivi delle sale nel 2020 hanno subito un crollo più che consistente e a seguito dei lockdown a cui siamo stati costretti i vari servizi di streaming hanno moltiplicato i loro prodotti. Negli ultimi anni l’avvento di nuove tecnologie, accompagnato dalla capillare diffusione di internet, ha fatto sì che la domanda di prodotti audiovisivi disponibili 24h su 24h crescesse a dismisura. Abbonamenti a prezzi abbordabili e contenuti gratuiti (con una scelta sempre più ampia), hanno creato una selezione potenzialmente infinita di pacchetti costruiti su misura per le esigenze di ogni spettatore. Cambiano le condizioni di fruizione e di conseguenza cambiano l’approccio del sistema produttivo e la distribuzione dei contenuti. Sono ormai lontani i tempi in cui a un nuovo film era d’obbligo garantire una finestra temporale di 90 giorni per la proiezione in sala prima del suo trasferimento sulle piattaforme.
La questione è complessa e va considerata sotto un doppio punto di vista. Se da una parte è incontestabile la dinamica di ampliamento dell’offerta e delle possibilità di fruizione di contenuti audiovisivi su schermi sempre più ridotti, è vero anche che la fioritura dei servizi di streaming ha riportato l’attenzione sul prodotto audiovisivo, costruendo un pubblico di spettatori sempre più ampio. Occorre quindi chiedersi quale sia il senso delle sale oggi e se sia giusto provare a salvarle. La risposta è un convinto sì, per vari motivi. Innanzitutto, si può ancora dire che la visione di un film raggiunga il suo massimo potenziale quando diviene un’esperienza collettiva, veicolo di emozioni, divertimenti, passioni. Per quanto la visione individuale possa essere comoda e flessibile, manca di quella relazione con l’alterità che è poi l’unico fattore davvero importante in grado di influire sulla percezione del film stesso. Del resto la sala, con il suo sistema di sonorizzazione e la presenza del grande schermo, favorisce la totale immersione nella storia e la sensazione di star partecipando a un rito collettivo e irripetibile. La chiusura di un cinema non è mai quindi un evento isolato. Il problema va inserito in un più ampio contesto di impoverimento del tessuto socio-culturale delle nostre città. Ogni cinema chiuso è uno spazio in meno per incontrarsi e riflettere, una sconfitta per tutti, a partire dalle istituzioni.
In questo deprimente scenario c’è per fortuna ancora spazio per le eccezioni come quella del Piccolo America. Il Piccolo America è un collettivo formato da giovani e giovanissimi ragazzi di Roma la cui storia ha in realtà origine diversi anni fa. C’era una volta nel cuore di Trastevere il Cinema America che ospitava decine di proiezioni al mese finché nel 1999 dichiarò il fallimento. Per anni l’intero spazio dell’America rimase abbandonato. Nel 2002 i terreni vennero acquistati dalla Uno srl, con il progetto di ricavarne una ventina di mini appartamenti. Nell’estate 2012 qualcosa cominciò a muoversi (nel verso giusto). Un gruppo di giovanissimi ragazzi, mosso dalla necessità di trovare un luogo di aggregazione culturale, decise di riunirsi per creare qualcosa di nuovo. Dopo fallimentari tentativi di dialogo con le istituzioni, i ragazzi presero la decisione di occupare il Cinema America. L’intento era chiaro: ristrutturare luoghi di socialità per restituire vita allo storico rione romano. Dopo infiniti ostacoli e peripezie burocratiche nacque il Collettivo Piccolo America, che a partire dall’estate 2014 accese le luci sulla piazza di San Cosimato a Roma. Con una programmazione variegata e un fitto numero di ospiti anche internazionali, l’estate romana riprese vita insieme alla voglia di cinema delle persone. Nel corso degli anni queste rassegne hanno raggiunto anche luoghi più periferici della Capitale, dal porto di Ostia al Casale della Cervelletta, diventando un simbolo di resistenza e di condivisione libero per tutti.
Nemmeno il Covid, con le conseguenti chiusure obbligate e i vari distanziamenti, ha fermato l’impegno del collettivo Piccolo America, che lo scorso 21 settembre ha aperto a Trastevere le porte del Cinema Troisi. La serata inaugurale ha ospitato la proiezione in anteprima nazionale di Titane, film vincitore dell’ultima Palma D’Oro, nonché l’incontro con la regista e parte del cast. Una scelta coraggiosa che testimonia una presa di posizione netta e inequivocabile. La rinascita di un’umanità nuova di cui parla il film sembra significare in parallelo una rinascita della sala intesa come luogo fisico dove condividere un’esperienza di visione e non solo. La storia del Piccolo America e l’apertura del Cinema Troisi hanno ricordato una volta di più alla città di Roma e all’Italia intera quanto l’esperienza della visione cinematografica non si esaurisca al termine dei titoli di coda, ma di come il suo cuore risieda nel confronto, nel dialogo e nel dibattito riguardante la visione stessa.