NC-285
16.03.2025
Jimenez Edizioni ha da poco dato alle stampe per il mercato italiano Il sentiero per il Paradiso, la bio-filmografia di Francis Ford Coppola scritta dal noto critico Sam Wasson e pubblicata poco prima dell’arrivo di Megalopolis sul grande schermo. “In questa vita ha fatto e rifatto film, ha vinto e perso Oscar, ha vinto e perso milioni, ha messo al mondo figli e avuto nipoti e un pronipoti, ha perso un figlio. Ha costruito templi, ha bombardato templi, ha coltivato uva, si è coltivato la barba, ha pigiato l’uva, si è rasato la barbera. Ha scritto e scartato stesure, ha completato e successivamente rimontato film, ha combattuto contro gli Studios, ha lottato contro la corrente dei tempi, ha vinto battaglie, ha perso battaglie, ha perso la testa. Ha costruito un impero cinematografico, un impero alberghiero, ha creato l’inferno, ha creato il paradiso, ha perso il paradiso e ha ripreso a sognare”. L’incipit del libro parla chiaro: molto più che un’agiografia, Il sentiero per il Paradiso è il resoconto dell’infinita guerra tra Coppola e il consolidato sistema degli studios di Hollywood, alla ricerca di una libertà totale, artistica, creativa, produttiva.
Più che una biografia completa, o un’analisi film per film dell’opera del leggendario regista, Il sentiero per il Paradiso si sofferma sui quattro momenti chiave della storia della sua società : l'American Zoetrope, “il suo primo, preferito e più grande sogno, il più grande che chiunque a Hollywood, da quando hanno immaginato l’industria, abbia mai fatto”. Il testo narra fondazione e il sogno di avere una casa di produzione di soli cineasti che andasse a cozzare con le diverse scelte di carriera di George Lucas o Martin Scorsese, e del crescente individualismo di Coppola, l’unico vero anarco-capitalista di Hollywood; la lunghissima realizzazione di Apocalypse Now; l’altrettanto travagliata produzione di Un sogno lungo il giorno; e i ferventi preparativi di Megalopolis, che fanno da cornice narrativa al volume, pubblicato in lingua originale nel 2023.
L'iconico logo dell'American Zoetrope
La copertina del libro
Senza ombra di dubbio, nel primo periodo della sua esistenza, l’American Zoetrope è stato un notevole incubatore di talenti che, di lì a poco, sarebbero scoppiati: Francis Ford Coppola è stato il pioniere, nei rapporti con le major, con gli attori e con l’intero studio system, di tutta la Nuova Hollywood, a cominciare da Lucas, Spielberg, Scorsese e De Palma. A detta di Wasson il giovane Martin Scorsese, che lo aveva incontrato per la prima volta in un festival in Campania, vedeva in Coppola “il tipo di regista che lui stesso sognava di essere: sia parte del sistema che iconoclasta". Significativo anche l’incontro tra Coppola e George Lucas durante le riprese di Sulle ali dell’arcobaleno, uno dei primi film del regista italo-americano. A detta di Lucas, su quel set se ne andava in giro con una Polaroid, scattando angoli di ripresa e mostrandoli a Coppola per darsi da fare e aiutare il regista in ogni modo possibile. “Col tempo”, commenta Wasson, “i due scoprirono di avere doti complementari: Francis per la storia e il personaggio, la scrittura e la direzione degli attori; George per il montaggio e il lavoro con la macchina da presa”.
Un altro regista rimasto a lungo vicino a Coppola nei suoi anni ruggenti fu John Milius, che giocò un ruolo essenziale nell’ideazione di Apocalypse Now, che rievocando la sua collaborazione con la Zoetrope ammetteva sinceramente che Coppola “diceva sempre che eravamo il cavallo di Troia, ma non era del tutto vero, perché c’era sempre lui dentro ad aprire i cancelli. Nessuno degli altri - Lucas, Spielberg e compagnia - sarebbe potuto esistere senza l’aiuto di Francis. E la sua fu un’influenza molto più interessante della loro. Francis sarebbe diventato l’imperatore del nuovo ordine, che non avrebbe avuto nulla a che fare con il vecchio ordine. Sarebbe stato il dominio dell’artista”. Importante nella parabola artistica di Coppola fu anche la collaborazione con il geniale montatore del suono Walter Murch, tre volte premio Oscar, che lavorando con il cineasta scoprì le più oscure corrispondenze e sincronie tra la sua mente, quella di Coppola e gli atteggiamenti dei suoi protagonisti sullo schermo: “mentre montava La conversazione”, racconta il libro di Wasson, “Murch iniziò a notare alcuni schemi di pensiero, sia in sé stesso che in Harry Caul. Scoprì, e continuò a scoprire, che Gene Hackman batteva le palpebre molto vicino al punto in cui lui, Murch, aveva deciso di fare un taglio. Succedeva troppo spesso per essere una coincidenza”.
Francis Ford Coppola e George Lucas
La lettura de Il sentiero per il Paradiso lascia sorpresi per il talento naturale di Coppola per gli affari, e per la sua ostinazione a voler giocare ad ogni film una partita più grande, scommettendo e rischiando tutto per espandere la sua visione del cinema, fino ad arrivare a Megalopoli, controverso fin dall’inizio della sua realizzazione e che sin dalla sua première a Cannes ha raccolto i più ampi consensi o dissensi. Ma per Coppola, come rileva più volte Wasson nel saggio, il denaro era unicamente uno strumento di espressione ed espansionismo creativo. “Dopo lo straordinario e inaspettato successo di American Graffiti - 55 milioni di dollari al botteghino, cinque nomination agli Oscar - “chi a Hollywood - o meglio, chi in America - poteva vantare una simile libertà?”, racconta Il sentiero per il Paradiso. “John Cassavetes, icona dei cineasti indipendenti in America, faceva i film che voleva, ma la distribuzione non era la sua. Roger Corman aveva la distribuzione, ma senza neanche avvicinarsi alle risorse di Coppola. Cinema 5, invece, aveva la proprietà e la gestione di quattordici delle sale chiave di New York”, e fu così che Francis Ford Coppola e Fred Roos convinsero il presidente di Cinema 5 a instaurare una “collaborazione creativa” per sviluppare nuovi progetti sotto l’egida della Zoetrope, con la garanzia della distribuzione.
Apocalpyse Now e Un sogno lungo un giorno furono i due film su cui, prima di Megalopolis, Coppola scommise il tutto per tutto, rischiando la vita, la stabilità della sua famiglia e il suo posizionamento di lusso nell’industria cinematografica statunitense per inseguire meticolosamente la grandeur della sua ispirazione registica. Rivelatrice della concezione di Coppola in fatto di politica aziendale fu la lunga missiva che, durante le riprese di Apocalpyse Now, il regista inviò a tutti gli associati e i dipendenti il 30 aprile 1977 nell’attesa che il protagonista Martin Sheen si riprendesse da un malore: “ho deciso di ridurre tutte le varie società e imprese, ovunque sia finanziariamente e legalmente prudente farlo, a un’unica società. La società si chiamerà American Zoetrope ed è, in maniera pura e semplice, costituita da me e dal mio lavoro”. Il più crudo dispotismo registico si sposava con la più chiara auto-affermazione imprenditoriale, non priva di un certo sapore francescano che ricordava le origini italiane di Coppola: “per quanto riguarda il denaro in generale, so che le somme che tratto sembrano irreali alla maggior parte della gente, e lo sono anche per me; ma vi prego di ricordare sempre che lavoro con queste somme perché sono disposto a rischiare tutto per il mio lavoro, e molto spesso il denaro che spendiamo sono io a chiederlo in prestito e devo restituirlo. Con il denaro sono distaccato, perché devo esserlo, per non provare terrore puro ogni volta che prendo una decisione artistica”.
Con l’American Zoetrope Francis Ford Coppola si proponeva come un modello per tutti gli altri registi, un magister vitae capace come nessuno di lanciare consigli dal di dentro del sistema e dell’industria: “ricordate che i grandi Studios e distributori possiedono la sola cosa di cui ha bisogno un regista: il capitale”, scriveva sempre nella lettera ai dipendenti. “Il mio ostentato disprezzo per le regole del capitale e degli affari è uno dei miei principali punti di forza quando ho a che fare con loro. Pareggia i conti, per così dire”.
Coppola dirige Marlon Brando sul set di Apocalypse Now (1979)
Il bagno di sangue che fu la produzione di Apocalpyse Now è stato oggetto di innumerevoli ricostruzioni, aneddoti, studi, saggi, diari, e anche di un documentario diretto da Eleanor, la fedele moglie di Coppola, che più volte sentì il suo matrimonio a rischio durante la realizzazione del mastodontico film di guerra. Nel reinterpretare Cuore di tenebra di Joseph Conrad nel cuore della guerra del Vietnam finita da pochi anni con la sconfitta dell’America, Francis Ford Coppola era mosso da un idealismo che sfiorava l’irreale. Durante la produzione di Apocalpyse Now, Coppola si spinse addirittura a scrivere al presidente Carter che il film “è onesto, mitico, pro-umanità e quindi pro-America. Il dipartimento della Difesa ha fatto di tutto per fermarmi a causa di un’incomprensione sulla sceneggiatura originale che per me era solo un punto di partenza. Il film è quasi finito. Tuttavia, ho bisogno di un minimo di cooperazione o l’intero governo apparirà ridicolo al pubblico americano e del mondo”. La collaborazione minima era, secondo Coppola, la fornitura di un elicottero militare e come precedente citava un film di John Wayne in cui questo favore era stato accordato, mentre lui e Il team di Apocalpyse Now “siamo stati perseguitati dal Ministero della Difesa”. Leggenda vuole che durante la realizzazione del film la piccola Sofia Coppola, quando a scuola le chiesero che lavoro facesse suo padre, rispose testualmente: “Apocalpyse Now”. Del resto, era stato il nonno Agostino – “operatore meccanico di professione, narratore per passione” scrive Wasson – a instillare nel piccolo Francis la passione per il racconto di grandi saghe epiche, e quel senso di famiglia e di dinastia che sta anche alla base dello straordinario successo della trilogia de Il Padrino.
Com’è noto, la produzione di Apocalpyse Now fu costellata da una miriade di incidenti, cambi di programma, sospensioni del set, e, per non far mancare nulla, la sostituzione del designato protagonista Harvey Keitel con Martin Sheen poco tempo dopo aver battuto il primo ciak. Le pause dal set nelle Filippine del film di guerra non portavano Francis Ford Coppola a più miti consigli, se mai esasperavano la sua ambizione e la sua chiarezza di intenti. “Al suo ritorno, Coppola scoppiava di potenti intuizioni. Durante la sua assenza, disse a Eleanor, aveva riesaminato tutta la sua vita. Gli era finalmente tutto chiaro: aveva sempre voluto avere talento, come suo padre e suo fratello, e per anni era stato ostacolato dai suoi limiti. Cos’era? Non era uno sceneggiatore, né un regista, non nel modo in cui lui, o chiunque altro, definiva quel ruolo; lui era un concettualizzatore, un ingegnere di eventi: il viaggio in macchina di Non torno a casa stasera, la famiglia del Padrino, e ora questo film. Aveva fatto bene a lavorare così. Non si poteva contenere l’elemento reale e mistico della vita cercando di anticiparlo nella sceneggiatura. Il film doveva essere vissuto”.
Coppola riceve il Gran Prix al Festival di Cannes per La conversazione (1974)
In un momento di crisi generale in cui anche la moglie Eleanor aveva scritto via telex a Coppola che costringendo la troupe per mesi nelle Filippine stava “creando la stessa situazione che era andato a smascherare”, Coppola rispose lapidariamente: “a coloro che, come molte volte in passato, si sono chiesti pubblicamente e so o meno che sto facendo, compresa Ellie, suggerisco di leggere l’ultimo capitolo dell’Odissea di Omero”. Ma nell’interpretazione di Sam Wasson, “Francis si era fustigato da solo, in Apocalpyse Now, non solo a mo’ di punizione per il successo, ma per avere scommesso così tanto sul talento che lui stesso e i suoi genitori avevano deciso, molto tempo prima, che non possedeva”. E la Palma d’Oro vinta a Cannes, nonché le otto candidature agli Oscar vinti poi per la fotografia e per il sonoro, fecero presto dimenticare tutte le polemiche e i gossip che avevano accompagnato le interminabili riprese dell’epopea coppoliana.
La strada per il Paradiso fa luce anche sui molti “sentieri interrotti” che negli anni prese la creatività di Coppola. Tra i tanti progetti irrealizzati, si annovera La Bohème Povero, un adattamento dell’opera pucciniana che in mente di Coppola doveva vedere suo padre come arrangiatore e nientemeno che John Lennon come librettista. Uno dei suoi autori di riferimento era Johann Wolfgang von Goethe, e a lungo Coppola aveva carezzato la possibilità di fare un adattamento cinematografico tratto da Le affinità elettive, progetto poi tramutatosi in Un sogno lungo un giorno. Se è vero che con il flop quasi a tavolino de I cancelli del cielo di Cimino “la cronaca ‘cruda da Hollywood si era infiltrata nei media tradizionali”, le riprese de Un sogno lungo un giorno furono finanziariamente travagliatissime, ma la troupe, in una mossa senza precedenti, si coalizzò al fianco del regista e accettò di continuare a lavorare anche senza stipendio, o con lo stipendio dimezzato. Coppola, commosso, concluse così: “nel cinema e nella vita ti succedono cose straordinarie e sta a te farle diventare positive, perché la buona notizia è che non esiste l’inferno, ma la quasi buona notizia è che questo è il paradiso. Quindi trasformate lo straordinario in paradiso. Perché dipende da voi. Non sprecate il paradiso. E lo stesso vale per i film”. L’uscita del film però non fu accompagnata dallo stesso trionfo che aveva coronato Apocalpyse Now, ma negli ups and downs che caratterizzarono tutto il cammino di Coppola come regista e produttore di sé stesso non tardarono ad arrivare altri successi come I ragazzi della 56ª strada, il terzo capitolo de Il Padrino e l’orrorifico Dracula di Bram Stoker.
Un sogno lungo un giorno è la grandiosa rappresentazione del braccio di ferro durato una vita tra un uomo e intero sistema, la tranche de vie di un regista capace di cambiare le regole del gioco, di trionfare, inabissarsi e riemergere con un eterno spirito da giocatore d'azzardo. Se il cinema è un'industria prima ancora che un'arte, la figura di Francis Ford Coppola rappresenta il punto di equilibrio esatto in cui anche il fare impresa diventa un'arte, il cinema si espande attraverso la tecnica, e lo stesso linguaggio della narrazione si spalanca, nell'abbracciare una visione prometeica dell'esistenza umana.
NC-285
16.03.2025
Jimenez Edizioni ha da poco dato alle stampe per il mercato italiano Il sentiero per il Paradiso, la bio-filmografia di Francis Ford Coppola scritta dal noto critico Sam Wasson e pubblicata poco prima dell’arrivo di Megalopolis sul grande schermo. “In questa vita ha fatto e rifatto film, ha vinto e perso Oscar, ha vinto e perso milioni, ha messo al mondo figli e avuto nipoti e un pronipoti, ha perso un figlio. Ha costruito templi, ha bombardato templi, ha coltivato uva, si è coltivato la barba, ha pigiato l’uva, si è rasato la barbera. Ha scritto e scartato stesure, ha completato e successivamente rimontato film, ha combattuto contro gli Studios, ha lottato contro la corrente dei tempi, ha vinto battaglie, ha perso battaglie, ha perso la testa. Ha costruito un impero cinematografico, un impero alberghiero, ha creato l’inferno, ha creato il paradiso, ha perso il paradiso e ha ripreso a sognare”. L’incipit del libro parla chiaro: molto più che un’agiografia, Il sentiero per il Paradiso è il resoconto dell’infinita guerra tra Coppola e il consolidato sistema degli studios di Hollywood, alla ricerca di una libertà totale, artistica, creativa, produttiva.
Più che una biografia completa, o un’analisi film per film dell’opera del leggendario regista, Il sentiero per il Paradiso si sofferma sui quattro momenti chiave della storia della sua società : l'American Zoetrope, “il suo primo, preferito e più grande sogno, il più grande che chiunque a Hollywood, da quando hanno immaginato l’industria, abbia mai fatto”. Il testo narra fondazione e il sogno di avere una casa di produzione di soli cineasti che andasse a cozzare con le diverse scelte di carriera di George Lucas o Martin Scorsese, e del crescente individualismo di Coppola, l’unico vero anarco-capitalista di Hollywood; la lunghissima realizzazione di Apocalypse Now; l’altrettanto travagliata produzione di Un sogno lungo il giorno; e i ferventi preparativi di Megalopolis, che fanno da cornice narrativa al volume, pubblicato in lingua originale nel 2023.
La copertina del libro
Senza ombra di dubbio, nel primo periodo della sua esistenza, l’American Zoetrope è stato un notevole incubatore di talenti che, di lì a poco, sarebbero scoppiati: Francis Ford Coppola è stato il pioniere, nei rapporti con le major, con gli attori e con l’intero studio system, di tutta la Nuova Hollywood, a cominciare da Lucas, Spielberg, Scorsese e De Palma. A detta di Wasson il giovane Martin Scorsese, che lo aveva incontrato per la prima volta in un festival in Campania, vedeva in Coppola “il tipo di regista che lui stesso sognava di essere: sia parte del sistema che iconoclasta". Significativo anche l’incontro tra Coppola e George Lucas durante le riprese di Sulle ali dell’arcobaleno, uno dei primi film del regista italo-americano. A detta di Lucas, su quel set se ne andava in giro con una Polaroid, scattando angoli di ripresa e mostrandoli a Coppola per darsi da fare e aiutare il regista in ogni modo possibile. “Col tempo”, commenta Wasson, “i due scoprirono di avere doti complementari: Francis per la storia e il personaggio, la scrittura e la direzione degli attori; George per il montaggio e il lavoro con la macchina da presa”.
Un altro regista rimasto a lungo vicino a Coppola nei suoi anni ruggenti fu John Milius, che giocò un ruolo essenziale nell’ideazione di Apocalypse Now, che rievocando la sua collaborazione con la Zoetrope ammetteva sinceramente che Coppola “diceva sempre che eravamo il cavallo di Troia, ma non era del tutto vero, perché c’era sempre lui dentro ad aprire i cancelli. Nessuno degli altri - Lucas, Spielberg e compagnia - sarebbe potuto esistere senza l’aiuto di Francis. E la sua fu un’influenza molto più interessante della loro. Francis sarebbe diventato l’imperatore del nuovo ordine, che non avrebbe avuto nulla a che fare con il vecchio ordine. Sarebbe stato il dominio dell’artista”. Importante nella parabola artistica di Coppola fu anche la collaborazione con il geniale montatore del suono Walter Murch, tre volte premio Oscar, che lavorando con il cineasta scoprì le più oscure corrispondenze e sincronie tra la sua mente, quella di Coppola e gli atteggiamenti dei suoi protagonisti sullo schermo: “mentre montava La conversazione”, racconta il libro di Wasson, “Murch iniziò a notare alcuni schemi di pensiero, sia in sé stesso che in Harry Caul. Scoprì, e continuò a scoprire, che Gene Hackman batteva le palpebre molto vicino al punto in cui lui, Murch, aveva deciso di fare un taglio. Succedeva troppo spesso per essere una coincidenza”.
Francis Ford Coppola e George Lucas
La lettura de Il sentiero per il Paradiso lascia sorpresi per il talento naturale di Coppola per gli affari, e per la sua ostinazione a voler giocare ad ogni film una partita più grande, scommettendo e rischiando tutto per espandere la sua visione del cinema, fino ad arrivare a Megalopoli, controverso fin dall’inizio della sua realizzazione e che sin dalla sua première a Cannes ha raccolto i più ampi consensi o dissensi. Ma per Coppola, come rileva più volte Wasson nel saggio, il denaro era unicamente uno strumento di espressione ed espansionismo creativo. “Dopo lo straordinario e inaspettato successo di American Graffiti - 55 milioni di dollari al botteghino, cinque nomination agli Oscar - “chi a Hollywood - o meglio, chi in America - poteva vantare una simile libertà?”, racconta Il sentiero per il Paradiso. “John Cassavetes, icona dei cineasti indipendenti in America, faceva i film che voleva, ma la distribuzione non era la sua. Roger Corman aveva la distribuzione, ma senza neanche avvicinarsi alle risorse di Coppola. Cinema 5, invece, aveva la proprietà e la gestione di quattordici delle sale chiave di New York”, e fu così che Francis Ford Coppola e Fred Roos convinsero il presidente di Cinema 5 a instaurare una “collaborazione creativa” per sviluppare nuovi progetti sotto l’egida della Zoetrope, con la garanzia della distribuzione.
Apocalpyse Now e Un sogno lungo un giorno furono i due film su cui, prima di Megalopolis, Coppola scommise il tutto per tutto, rischiando la vita, la stabilità della sua famiglia e il suo posizionamento di lusso nell’industria cinematografica statunitense per inseguire meticolosamente la grandeur della sua ispirazione registica. Rivelatrice della concezione di Coppola in fatto di politica aziendale fu la lunga missiva che, durante le riprese di Apocalpyse Now, il regista inviò a tutti gli associati e i dipendenti il 30 aprile 1977 nell’attesa che il protagonista Martin Sheen si riprendesse da un malore: “ho deciso di ridurre tutte le varie società e imprese, ovunque sia finanziariamente e legalmente prudente farlo, a un’unica società. La società si chiamerà American Zoetrope ed è, in maniera pura e semplice, costituita da me e dal mio lavoro”. Il più crudo dispotismo registico si sposava con la più chiara auto-affermazione imprenditoriale, non priva di un certo sapore francescano che ricordava le origini italiane di Coppola: “per quanto riguarda il denaro in generale, so che le somme che tratto sembrano irreali alla maggior parte della gente, e lo sono anche per me; ma vi prego di ricordare sempre che lavoro con queste somme perché sono disposto a rischiare tutto per il mio lavoro, e molto spesso il denaro che spendiamo sono io a chiederlo in prestito e devo restituirlo. Con il denaro sono distaccato, perché devo esserlo, per non provare terrore puro ogni volta che prendo una decisione artistica”.
Con l’American Zoetrope Francis Ford Coppola si proponeva come un modello per tutti gli altri registi, un magister vitae capace come nessuno di lanciare consigli dal di dentro del sistema e dell’industria: “ricordate che i grandi Studios e distributori possiedono la sola cosa di cui ha bisogno un regista: il capitale”, scriveva sempre nella lettera ai dipendenti. “Il mio ostentato disprezzo per le regole del capitale e degli affari è uno dei miei principali punti di forza quando ho a che fare con loro. Pareggia i conti, per così dire”.
Coppola dirige Marlon Brando sul set di Apocalypse Now (1979)
Il bagno di sangue che fu la produzione di Apocalpyse Now è stato oggetto di innumerevoli ricostruzioni, aneddoti, studi, saggi, diari, e anche di un documentario diretto da Eleanor, la fedele moglie di Coppola, che più volte sentì il suo matrimonio a rischio durante la realizzazione del mastodontico film di guerra. Nel reinterpretare Cuore di tenebra di Joseph Conrad nel cuore della guerra del Vietnam finita da pochi anni con la sconfitta dell’America, Francis Ford Coppola era mosso da un idealismo che sfiorava l’irreale. Durante la produzione di Apocalpyse Now, Coppola si spinse addirittura a scrivere al presidente Carter che il film “è onesto, mitico, pro-umanità e quindi pro-America. Il dipartimento della Difesa ha fatto di tutto per fermarmi a causa di un’incomprensione sulla sceneggiatura originale che per me era solo un punto di partenza. Il film è quasi finito. Tuttavia, ho bisogno di un minimo di cooperazione o l’intero governo apparirà ridicolo al pubblico americano e del mondo”. La collaborazione minima era, secondo Coppola, la fornitura di un elicottero militare e come precedente citava un film di John Wayne in cui questo favore era stato accordato, mentre lui e Il team di Apocalpyse Now “siamo stati perseguitati dal Ministero della Difesa”. Leggenda vuole che durante la realizzazione del film la piccola Sofia Coppola, quando a scuola le chiesero che lavoro facesse suo padre, rispose testualmente: “Apocalpyse Now”. Del resto, era stato il nonno Agostino – “operatore meccanico di professione, narratore per passione” scrive Wasson – a instillare nel piccolo Francis la passione per il racconto di grandi saghe epiche, e quel senso di famiglia e di dinastia che sta anche alla base dello straordinario successo della trilogia de Il Padrino.
Com’è noto, la produzione di Apocalpyse Now fu costellata da una miriade di incidenti, cambi di programma, sospensioni del set, e, per non far mancare nulla, la sostituzione del designato protagonista Harvey Keitel con Martin Sheen poco tempo dopo aver battuto il primo ciak. Le pause dal set nelle Filippine del film di guerra non portavano Francis Ford Coppola a più miti consigli, se mai esasperavano la sua ambizione e la sua chiarezza di intenti. “Al suo ritorno, Coppola scoppiava di potenti intuizioni. Durante la sua assenza, disse a Eleanor, aveva riesaminato tutta la sua vita. Gli era finalmente tutto chiaro: aveva sempre voluto avere talento, come suo padre e suo fratello, e per anni era stato ostacolato dai suoi limiti. Cos’era? Non era uno sceneggiatore, né un regista, non nel modo in cui lui, o chiunque altro, definiva quel ruolo; lui era un concettualizzatore, un ingegnere di eventi: il viaggio in macchina di Non torno a casa stasera, la famiglia del Padrino, e ora questo film. Aveva fatto bene a lavorare così. Non si poteva contenere l’elemento reale e mistico della vita cercando di anticiparlo nella sceneggiatura. Il film doveva essere vissuto”.
Coppola riceve il Gran Prix al Festival di Cannes per La conversazione (1974)
In un momento di crisi generale in cui anche la moglie Eleanor aveva scritto via telex a Coppola che costringendo la troupe per mesi nelle Filippine stava “creando la stessa situazione che era andato a smascherare”, Coppola rispose lapidariamente: “a coloro che, come molte volte in passato, si sono chiesti pubblicamente e so o meno che sto facendo, compresa Ellie, suggerisco di leggere l’ultimo capitolo dell’Odissea di Omero”. Ma nell’interpretazione di Sam Wasson, “Francis si era fustigato da solo, in Apocalpyse Now, non solo a mo’ di punizione per il successo, ma per avere scommesso così tanto sul talento che lui stesso e i suoi genitori avevano deciso, molto tempo prima, che non possedeva”. E la Palma d’Oro vinta a Cannes, nonché le otto candidature agli Oscar vinti poi per la fotografia e per il sonoro, fecero presto dimenticare tutte le polemiche e i gossip che avevano accompagnato le interminabili riprese dell’epopea coppoliana.
La strada per il Paradiso fa luce anche sui molti “sentieri interrotti” che negli anni prese la creatività di Coppola. Tra i tanti progetti irrealizzati, si annovera La Bohème Povero, un adattamento dell’opera pucciniana che in mente di Coppola doveva vedere suo padre come arrangiatore e nientemeno che John Lennon come librettista. Uno dei suoi autori di riferimento era Johann Wolfgang von Goethe, e a lungo Coppola aveva carezzato la possibilità di fare un adattamento cinematografico tratto da Le affinità elettive, progetto poi tramutatosi in Un sogno lungo un giorno. Se è vero che con il flop quasi a tavolino de I cancelli del cielo di Cimino “la cronaca ‘cruda da Hollywood si era infiltrata nei media tradizionali”, le riprese de Un sogno lungo un giorno furono finanziariamente travagliatissime, ma la troupe, in una mossa senza precedenti, si coalizzò al fianco del regista e accettò di continuare a lavorare anche senza stipendio, o con lo stipendio dimezzato. Coppola, commosso, concluse così: “nel cinema e nella vita ti succedono cose straordinarie e sta a te farle diventare positive, perché la buona notizia è che non esiste l’inferno, ma la quasi buona notizia è che questo è il paradiso. Quindi trasformate lo straordinario in paradiso. Perché dipende da voi. Non sprecate il paradiso. E lo stesso vale per i film”. L’uscita del film però non fu accompagnata dallo stesso trionfo che aveva coronato Apocalpyse Now, ma negli ups and downs che caratterizzarono tutto il cammino di Coppola come regista e produttore di sé stesso non tardarono ad arrivare altri successi come I ragazzi della 56ª strada, il terzo capitolo de Il Padrino e l’orrorifico Dracula di Bram Stoker.
Un sogno lungo un giorno è la grandiosa rappresentazione del braccio di ferro durato una vita tra un uomo e intero sistema, la tranche de vie di un regista capace di cambiare le regole del gioco, di trionfare, inabissarsi e riemergere con un eterno spirito da giocatore d'azzardo. Se il cinema è un'industria prima ancora che un'arte, la figura di Francis Ford Coppola rappresenta il punto di equilibrio esatto in cui anche il fare impresa diventa un'arte, il cinema si espande attraverso la tecnica, e lo stesso linguaggio della narrazione si spalanca, nell'abbracciare una visione prometeica dell'esistenza umana.