INT-52
30.11.2023
Il Cielo Brucia è la nuova, imperdibile, opera di Christian Petzold, il secondo capitolo di una trilogia basata sugli elementi naturali iniziata nel 2020 con Undine. Il film è ambientato in una torrida estate e segue le vicende di due giovani amici berlinesi che si recano, durante le vacanze, in una casa sulle rive del Mar Baltico per cercare un po’ di pace e concentrarsi sui propri progetti artistici. Leon (Thomas Schubert) è uno scrittore pieno di sé che sta attraversando una crisi interiore dopo aver terminato faticosamente il suo secondo romanzo, mentre Felix (Langston Uibel) sta preparando un portfolio per una mostra fotografica dedicata all’acqua. I due ragazzi scopriranno presto che, in quello stesso momento, stanno alloggiando nella loro abitazione anche Nadja (Paula Beer), studentessa che vende gelati sulla spiaggia e che attira subito l’attenzione di Leon, e Devid (Enno Trebs), il ragazzo occasionale di Nadja di cui Felix si innamorerà. I legami precari e mutevoli tra i quattro personaggi diventeranno sempre più instabili a causa del comportamento tossico di Leon e di un'incombente minaccia naturale causata da alcuni incendi boschivi che, pian piano, sembrano accerchiare la casa creando sempre più tensione e portando ad un drammatico epilogo.
Dopo essere stato presentato lo scorso febbraio alla Berlinale, festival dove si è aggiudicato il Gran Premio della Giuria, Il Cielo Brucia sbarca oggi nelle sale italiane grazie a Wanted Cinema.
Per l’occasione abbiamo avuto il piacere di incontrare ed intervistare Christian Petzold, che ci ha parlato delle opere letterarie e cinematografiche che lo hanno ispirato, del personaggio di Leon e del significato del fuoco all’interno del lungometraggio.
Qual è stato il punto di partenza di Il Cielo Brucia? È vero che hai iniziato a lavorare a questo progetto durante l’inizio della pandemia di Covid-19?
Esatto. Mi trovavo a Parigi con Paula (Beer, n.d.r.), perché eravamo stati invitati dal distributore francese di Undine a promuovere il film, e mi ricordo che durante la conferenza stampa la mia traduttrice ha perso i sensi e non riuscivamo a capire le motivazioni… e dopo una settimana io e Paula siamo risultati positivi al Covid. Credo che siamo stati i primi a Berlino ad essere infettati dal virus. La chiamavo “la malattia francese” (il regista ride, n.d.r.), termine usato per definire la sifilide nel diciannovesimo secolo. In quel periodo avevo iniziato a scrivere una sceneggiatura, l’adattamento di un romanzo distopico di Georges Simenon. Sono stato bloccato a letto per quattro settimane ed ero piuttosto ansioso riguardo i sintomi della malattia perché non c’era ancora un vaccino. Dato che ho avuto molto tempo per riflettere mi sono reso conto che non sopporto i film a tema distopico. Queste opere tendono a fare “tabula rasa”, la maggior parte delle volte ci sono solo due o tre personaggi che sono rimasti soli e devono sopravvivere. Non c’è nulla di originale o complicato, e spesso questi prodotti audiovisivi si limitano semplicemente a mostrare il “bene” contro il “male”, come ad esempio The Walking Dead, dove abbiamo gli umani contro gli zombie. Non mi piace più questo tipo di cinema. Quindi ho iniziato a pensare ad una storia che mostrasse la complessità del mondo in cui viviamo. Volevo mostrare il caos della nostra esistenza ma sotto una luce positiva. La frustrazione, l’amore, le lacrime, ma anche il mare o la foresta… sono tutte cose fantastiche. Ho iniziato a pensare al cinema di Eric Rohmer e ai film horror statunitensi tipo Quella casa nel bosco (2011) o Le colline hanno gli occhi (1977), ma anche ad altri film a tematica estiva, come ad esempio Monica e il desiderio (1953) di Ingmar Bergman.
Puoi espandere questo concetto dei film “estivi”?
C’è qualcosa di particolare in questo genere. Non sono come i film noir, crime o a tema storico. L’estate è un periodo che porta caos nella nostra vita. Prendi ad esempio la spiaggia, in questo luogo vi sono persone appartenenti a diverse “classi sociali” o con background opposti che si possono innamorare. È questo quello che mi interessava, per me i film sull’estate sono come un' "educazione sentimentale” per i personaggi. Quando mi trovavo a letto ammalato mi sono messo a leggere The House with the Mezzanine di Cechov. È un racconto breve che narra di due amici, uno scrittore e un pittore, due pessimi artisti (il regista ride, n.d.r.), che durante un periodo sabbatico incontrano due ragazze. Una di queste è una giovane comunista che vuole cambiare il mondo, ha un carattere forte e capisce sin da subito che i due ragazzi sono dei perdenti, mentre l’altra è la sorella più giovane che si innamora del pittore senza che questi se ne renda conto. Quando l’estate finisce e il ragazzo deve tornare alla propria vita, realizza che è un perdente e che la ragazza lo amava. Questo racconto è stata la base sentimentale de Il Cielo Brucia. Poi, pensando ai film estivi, mi è venuto in mente un grande autore italiano: Cesare Pavese. Mi ricordo questo racconto, ambientato a Roma durante l’estate, dove vi sono questi ragazzi di estrazione borghese che si innamorano di due ragazze proletarie. Passano l’estate a dipingere insieme, a partecipare a delle feste e a fare l’amore. Ma la stagione finisce, i ragazzi devono andare ad Hammamet e le ragazze si sentono “perse”, si erano abituate ad un certo stile di vita che non volevano più abbandonare. Quella mia riflessione sulla tematica distopica e i racconti e i film estivi sono stati il punto di partenza de Il Cielo Brucia. Ti dico, questa è forse una delle risposte più brevi che ho dato a questo tipo di domanda (il regista scoppia a ridere, n.d.r.)!
Uno degli aspetti più affascinanti di Il Cielo Brucia è il personaggio di Leon. È un artista narcisista e a tratti presuntuoso, vuole scrivere e raccontare di un mondo di cui non fa parte perché si sta isolando da tutti. È un personaggio sgradevole, ma allo stesso tempo si può provare una sorta di empatia per la sua condizione. Hai tratto ispirazione da qualche evento particolare della tua vita? Ti sei mai ritrovato nella sua stessa posizione?
Si, più volte. Quando avevo ventitré anni mi trovavo a Milano con degli amici, a Sesto San Giovanni nello specifico. Mi ricordo che dovevamo andare a un concerto, mi pare fosse dei Talking Heads. In quel periodo stavo studiando letteratura e scienze sociali all’università di Berlino e stavo vivendo un periodo di crisi interiore. Non sapevo chi fossi e quello che studiavo non mi interessava. Non sapevo cosa fare della mia vita. Quando gli altri mi chiesero di andare al concerto e poi a festeggiare, io risposi che “dovevo lavorare”. Avevo rovinato gratuitamente l’atmosfera della serata con quella frase perché, in poche parole, gli avevo detto che potevano andare a sprecare la loro vita senza di me perché dovevo pensare alla mia carriera. Mi sono comportato come uno stronzo. Mi ricordo bene quel mio atteggiamento e ho cercato di trasmetterlo tramite il personaggio di Leon.
Il Cielo Brucia è la seconda parte di un’ipotetica trilogia sugli elementi e, mentre il fuoco è l’aspetto chiave dell’opera, anche l’acqua ricopre un ruolo fondamentale. Come in Undine (2020), simboleggia l’amore, in questo caso tra Devid e Felix. Mentre il fuoco è un elemento distruttivo e può avere diverse chiavi di lettura. Volevo chiederti quale fosse la tua interpretazione su questo elemento.
Innanzitutto, hai fatto una buona osservazione sull’acqua…era proprio quello che volevo trasmettere. Per quanto riguarda il fuoco, devo darti una risposta più filosofica. C’è una sequenza nel film dove i personaggi sono seduti a tavola e stanno parlando del poema Der Asra di Heinrich Heine e de Il terremoto in Cile di Heinrich von Kleist. Il terremoto citato in questa novella ricorda quello avvenuto a Lisbona nel diciottesimo secolo. Questo avvenimento “distrusse” la fede in Dio di molte persone, si pensò che se esisteva realmente un’entità misericordiosa e superiore questo terremoto non sarebbe mai accaduto. Il pensiero filosofico europeo mutò dopo questo evento, l’uomo era rimasto da solo ed era l’unico che poteva decidere sul proprio futuro, la religione non esisteva più. Oggi però, siamo noi a causare queste catastrofi naturali. Il terremoto di Lisbona ha provocato un grande cambiamento, ed ora ne stiamo vivendo un altro dove siamo noi la causa della nostra distruzione. Nel film, il fuoco non “proviene” da una leggenda, un mito, o una maledizione come in Undine, siamo noi a crearlo.
Ci sarà anche un terzo film conclusivo sugli elementi naturali?
Si, più o meno. L’aria doveva essere l’elemento principale. Di solito cerco di scrivere storie originali, ma ho letto questo romanzo inglese che ho amato e volevo farne un adattamento. Non ti dirò il titolo, ma la storia gira attorno ad un incidente che riguarda un pallone aerostatico. I protagonisti di questa storia sono un ragazzo e la sua fidanzata, l’unica persona che “vede” la sua debolezza. Volevo comprarne i diritti, ma l’editore ci ha detto che li ha già venduti due anni fa. Sono stato così deluso che ho pensato “fermati con gli elementi e pensa ad altro”, ma si vedrà.
Ora mi piacerebbe approfondire più dettagliatamente certe sequenze della parte finale. Ad un certo punto vediamo Leon e Nadja guardare i due corpi bruciati di Felix e Devid, quella scena mi ha ricordato Viaggio in Italia (1954) di Roberto Rossellini…
Oh si, ho capito dove vuoi andare a parare e ti sto per dare una risposta interessante a questa fantastica domanda! Ti dico, sei la prima persona che durante un’intervista mi chiede di quel film. Mi aspettavo più domande su questo aspetto.
Mi fa piacere. Più che altro perché, in Viaggio in Italia, quando Ingrid Bergman e George Sanders vedono i resti di alcuni corpi a Pompei, avviene una sorta di epifania dei loro personaggi. E ho ritrovato una sensazione simile in Il Cielo Brucia.
Viaggio in Italia è uno dei miei film preferiti. Nella sceneggiatura iniziale avevo scritto che il personaggio di Leon, vedendo i due corpi di Devid e Felix, inizia a pensare ad una sequenza di Viaggio in Italia, proprio quella dove Ingrid Bergman inizia a piangere davanti ai resti di quei due innamorati e si rende conto che il suo matrimonio è finito veramente. Volevo mostrare questa sequenza nel film e anche quella dove scoprono le ceneri e i resti. Quindi, il mio produttore ha contattato la casa di produzione dei film di Rossellini e ci hanno detto che la seconda sequenza non esisteva (il regista ride, n.d.r.). Ho riguardato il film e mi sono reso conto che avevano ragione. Sentiamo solo quello che dice la guida turistica e vediamo Ingrid Bergman piangere. Ho dovuto quindi cambiare la sceneggiatura, però il riferimento a Pompei rimane.
Rimanendo sempre sulla sequenza finale, vediamo Leon sulla spiaggia e ci sono tre inquadrature, la prima dove si vede il personaggio di schiena e con il mare sullo sfondo, la seconda dove vediamo solo il mare. Nella terza ci si aspetterebbe di vedere un close-up frontale del viso di Leon, il terzo livello fotografico del progetto di Felix tanto criticato dal protagonista, ma invece hai deciso di inquadrare il personaggio di lato, quasi a mettere a contrasto le due visioni dei personaggi. È stata una scelta intenzionale?
Guarda, mi sa che ti sei già dato la risposta da solo (il regista ride, n.d.r.). Comunque in quel momento, quando Leon è sulla spiaggia, dopo la morte dei due amici e la scomparsa della donna che ama, ho pensato che non potevo prendere la posizione di Felix e del suo progetto fotografico. Ormai non fa più parte della storia, siamo nell’immaginazione di Leon e questo riflette meglio anche la condizione di solitudine del protagonista.
Il sonoro, soprattutto il modo in cui sei riuscito a catturare i suoni della natura, mi ha colpito molto nelle tue ultime due opere. Puoi approfondire questo aspetto?
Di solito io e il mio ingegnere sonoro andiamo nelle location prima di girare a fare il sound mixing iniziale. Di solito, il regista e il direttore della fotografia parlano principalmente di “immagini”, ma il cinema è anche sonoro. Eravamo sulla spiaggia e pensavamo “cosa stiamo sentendo?”. E questa domanda ha la stessa rilevanza di “cosa stiamo vedendo?”. L’acustica ha un ruolo fondamentale nei miei film.
Concludendo, nel film utilizzi la canzone In My Mind del gruppo Wallners, come mai questa scelta?
È stata una coincidenza. All’inizio ci doveva essere A Whiter Shade of Pale dei Procol Harum, proprio come ci doveva essere la sequenza del film di Rossellini. Ho fatto leggere la sceneggiatura a mia figlia, che è una grande appassionata di musica, e lei mi ha detto che la canzone era fantastica, ma piuttosto retrò (il regista ride, n.d.r.). Di solito ascolto la radio quando guido perché, a differenza di quando si ha una playlist su Spotify e sai cosa aspettarti, con la radio puoi sentire improvvisamente una canzone che ti coglie di sorpresa, ed è capitato con Wallners, questo giovane gruppo austriaco formato da quattro fratelli sui vent’anni. Ci hanno invitato nel loro studio discografico e mi sono stati simpatici da subito. Ho comprato i diritti della canzone e una sera ho fatto sentire il brano a mia figlia. Le ho chiesto cosa ne pensava ed era entusiasta…e soprattutto non riteneva il brano retrò.
INT-52
30.11.2023
Il Cielo Brucia è la nuova, imperdibile, opera di Christian Petzold, il secondo capitolo di una trilogia basata sugli elementi naturali iniziata nel 2020 con Undine. Il film è ambientato in una torrida estate e segue le vicende di due giovani amici berlinesi che si recano, durante le vacanze, in una casa sulle rive del Mar Baltico per cercare un po’ di pace e concentrarsi sui propri progetti artistici. Leon (Thomas Schubert) è uno scrittore pieno di sé che sta attraversando una crisi interiore dopo aver terminato faticosamente il suo secondo romanzo, mentre Felix (Langston Uibel) sta preparando un portfolio per una mostra fotografica dedicata all’acqua. I due ragazzi scopriranno presto che, in quello stesso momento, stanno alloggiando nella loro abitazione anche Nadja (Paula Beer), studentessa che vende gelati sulla spiaggia e che attira subito l’attenzione di Leon, e Devid (Enno Trebs), il ragazzo occasionale di Nadja di cui Felix si innamorerà. I legami precari e mutevoli tra i quattro personaggi diventeranno sempre più instabili a causa del comportamento tossico di Leon e di un'incombente minaccia naturale causata da alcuni incendi boschivi che, pian piano, sembrano accerchiare la casa creando sempre più tensione e portando ad un drammatico epilogo.
Dopo essere stato presentato lo scorso febbraio alla Berlinale, festival dove si è aggiudicato il Gran Premio della Giuria, Il Cielo Brucia sbarca oggi nelle sale italiane grazie a Wanted Cinema.
Per l’occasione abbiamo avuto il piacere di incontrare ed intervistare Christian Petzold, che ci ha parlato delle opere letterarie e cinematografiche che lo hanno ispirato, del personaggio di Leon e del significato del fuoco all’interno del lungometraggio.
Qual è stato il punto di partenza di Il Cielo Brucia? È vero che hai iniziato a lavorare a questo progetto durante l’inizio della pandemia di Covid-19?
Esatto. Mi trovavo a Parigi con Paula (Beer, n.d.r.), perché eravamo stati invitati dal distributore francese di Undine a promuovere il film, e mi ricordo che durante la conferenza stampa la mia traduttrice ha perso i sensi e non riuscivamo a capire le motivazioni… e dopo una settimana io e Paula siamo risultati positivi al Covid. Credo che siamo stati i primi a Berlino ad essere infettati dal virus. La chiamavo “la malattia francese” (il regista ride, n.d.r.), termine usato per definire la sifilide nel diciannovesimo secolo. In quel periodo avevo iniziato a scrivere una sceneggiatura, l’adattamento di un romanzo distopico di Georges Simenon. Sono stato bloccato a letto per quattro settimane ed ero piuttosto ansioso riguardo i sintomi della malattia perché non c’era ancora un vaccino. Dato che ho avuto molto tempo per riflettere mi sono reso conto che non sopporto i film a tema distopico. Queste opere tendono a fare “tabula rasa”, la maggior parte delle volte ci sono solo due o tre personaggi che sono rimasti soli e devono sopravvivere. Non c’è nulla di originale o complicato, e spesso questi prodotti audiovisivi si limitano semplicemente a mostrare il “bene” contro il “male”, come ad esempio The Walking Dead, dove abbiamo gli umani contro gli zombie. Non mi piace più questo tipo di cinema. Quindi ho iniziato a pensare ad una storia che mostrasse la complessità del mondo in cui viviamo. Volevo mostrare il caos della nostra esistenza ma sotto una luce positiva. La frustrazione, l’amore, le lacrime, ma anche il mare o la foresta… sono tutte cose fantastiche. Ho iniziato a pensare al cinema di Eric Rohmer e ai film horror statunitensi tipo Quella casa nel bosco (2011) o Le colline hanno gli occhi (1977), ma anche ad altri film a tematica estiva, come ad esempio Monica e il desiderio (1953) di Ingmar Bergman.
Puoi espandere questo concetto dei film “estivi”?
C’è qualcosa di particolare in questo genere. Non sono come i film noir, crime o a tema storico. L’estate è un periodo che porta caos nella nostra vita. Prendi ad esempio la spiaggia, in questo luogo vi sono persone appartenenti a diverse “classi sociali” o con background opposti che si possono innamorare. È questo quello che mi interessava, per me i film sull’estate sono come un' "educazione sentimentale” per i personaggi. Quando mi trovavo a letto ammalato mi sono messo a leggere The House with the Mezzanine di Cechov. È un racconto breve che narra di due amici, uno scrittore e un pittore, due pessimi artisti (il regista ride, n.d.r.), che durante un periodo sabbatico incontrano due ragazze. Una di queste è una giovane comunista che vuole cambiare il mondo, ha un carattere forte e capisce sin da subito che i due ragazzi sono dei perdenti, mentre l’altra è la sorella più giovane che si innamora del pittore senza che questi se ne renda conto. Quando l’estate finisce e il ragazzo deve tornare alla propria vita, realizza che è un perdente e che la ragazza lo amava. Questo racconto è stata la base sentimentale de Il Cielo Brucia. Poi, pensando ai film estivi, mi è venuto in mente un grande autore italiano: Cesare Pavese. Mi ricordo questo racconto, ambientato a Roma durante l’estate, dove vi sono questi ragazzi di estrazione borghese che si innamorano di due ragazze proletarie. Passano l’estate a dipingere insieme, a partecipare a delle feste e a fare l’amore. Ma la stagione finisce, i ragazzi devono andare ad Hammamet e le ragazze si sentono “perse”, si erano abituate ad un certo stile di vita che non volevano più abbandonare. Quella mia riflessione sulla tematica distopica e i racconti e i film estivi sono stati il punto di partenza de Il Cielo Brucia. Ti dico, questa è forse una delle risposte più brevi che ho dato a questo tipo di domanda (il regista scoppia a ridere, n.d.r.)!
Uno degli aspetti più affascinanti di Il Cielo Brucia è il personaggio di Leon. È un artista narcisista e a tratti presuntuoso, vuole scrivere e raccontare di un mondo di cui non fa parte perché si sta isolando da tutti. È un personaggio sgradevole, ma allo stesso tempo si può provare una sorta di empatia per la sua condizione. Hai tratto ispirazione da qualche evento particolare della tua vita? Ti sei mai ritrovato nella sua stessa posizione?
Si, più volte. Quando avevo ventitré anni mi trovavo a Milano con degli amici, a Sesto San Giovanni nello specifico. Mi ricordo che dovevamo andare a un concerto, mi pare fosse dei Talking Heads. In quel periodo stavo studiando letteratura e scienze sociali all’università di Berlino e stavo vivendo un periodo di crisi interiore. Non sapevo chi fossi e quello che studiavo non mi interessava. Non sapevo cosa fare della mia vita. Quando gli altri mi chiesero di andare al concerto e poi a festeggiare, io risposi che “dovevo lavorare”. Avevo rovinato gratuitamente l’atmosfera della serata con quella frase perché, in poche parole, gli avevo detto che potevano andare a sprecare la loro vita senza di me perché dovevo pensare alla mia carriera. Mi sono comportato come uno stronzo. Mi ricordo bene quel mio atteggiamento e ho cercato di trasmetterlo tramite il personaggio di Leon.
Il Cielo Brucia è la seconda parte di un’ipotetica trilogia sugli elementi e, mentre il fuoco è l’aspetto chiave dell’opera, anche l’acqua ricopre un ruolo fondamentale. Come in Undine (2020), simboleggia l’amore, in questo caso tra Devid e Felix. Mentre il fuoco è un elemento distruttivo e può avere diverse chiavi di lettura. Volevo chiederti quale fosse la tua interpretazione su questo elemento.
Innanzitutto, hai fatto una buona osservazione sull’acqua…era proprio quello che volevo trasmettere. Per quanto riguarda il fuoco, devo darti una risposta più filosofica. C’è una sequenza nel film dove i personaggi sono seduti a tavola e stanno parlando del poema Der Asra di Heinrich Heine e de Il terremoto in Cile di Heinrich von Kleist. Il terremoto citato in questa novella ricorda quello avvenuto a Lisbona nel diciottesimo secolo. Questo avvenimento “distrusse” la fede in Dio di molte persone, si pensò che se esisteva realmente un’entità misericordiosa e superiore questo terremoto non sarebbe mai accaduto. Il pensiero filosofico europeo mutò dopo questo evento, l’uomo era rimasto da solo ed era l’unico che poteva decidere sul proprio futuro, la religione non esisteva più. Oggi però, siamo noi a causare queste catastrofi naturali. Il terremoto di Lisbona ha provocato un grande cambiamento, ed ora ne stiamo vivendo un altro dove siamo noi la causa della nostra distruzione. Nel film, il fuoco non “proviene” da una leggenda, un mito, o una maledizione come in Undine, siamo noi a crearlo.
Ci sarà anche un terzo film conclusivo sugli elementi naturali?
Si, più o meno. L’aria doveva essere l’elemento principale. Di solito cerco di scrivere storie originali, ma ho letto questo romanzo inglese che ho amato e volevo farne un adattamento. Non ti dirò il titolo, ma la storia gira attorno ad un incidente che riguarda un pallone aerostatico. I protagonisti di questa storia sono un ragazzo e la sua fidanzata, l’unica persona che “vede” la sua debolezza. Volevo comprarne i diritti, ma l’editore ci ha detto che li ha già venduti due anni fa. Sono stato così deluso che ho pensato “fermati con gli elementi e pensa ad altro”, ma si vedrà.
Ora mi piacerebbe approfondire più dettagliatamente certe sequenze della parte finale. Ad un certo punto vediamo Leon e Nadja guardare i due corpi bruciati di Felix e Devid, quella scena mi ha ricordato Viaggio in Italia (1954) di Roberto Rossellini…
Oh si, ho capito dove vuoi andare a parare e ti sto per dare una risposta interessante a questa fantastica domanda! Ti dico, sei la prima persona che durante un’intervista mi chiede di quel film. Mi aspettavo più domande su questo aspetto.
Mi fa piacere. Più che altro perché, in Viaggio in Italia, quando Ingrid Bergman e George Sanders vedono i resti di alcuni corpi a Pompei, avviene una sorta di epifania dei loro personaggi. E ho ritrovato una sensazione simile in Il Cielo Brucia.
Viaggio in Italia è uno dei miei film preferiti. Nella sceneggiatura iniziale avevo scritto che il personaggio di Leon, vedendo i due corpi di Devid e Felix, inizia a pensare ad una sequenza di Viaggio in Italia, proprio quella dove Ingrid Bergman inizia a piangere davanti ai resti di quei due innamorati e si rende conto che il suo matrimonio è finito veramente. Volevo mostrare questa sequenza nel film e anche quella dove scoprono le ceneri e i resti. Quindi, il mio produttore ha contattato la casa di produzione dei film di Rossellini e ci hanno detto che la seconda sequenza non esisteva (il regista ride, n.d.r.). Ho riguardato il film e mi sono reso conto che avevano ragione. Sentiamo solo quello che dice la guida turistica e vediamo Ingrid Bergman piangere. Ho dovuto quindi cambiare la sceneggiatura, però il riferimento a Pompei rimane.
Rimanendo sempre sulla sequenza finale, vediamo Leon sulla spiaggia e ci sono tre inquadrature, la prima dove si vede il personaggio di schiena e con il mare sullo sfondo, la seconda dove vediamo solo il mare. Nella terza ci si aspetterebbe di vedere un close-up frontale del viso di Leon, il terzo livello fotografico del progetto di Felix tanto criticato dal protagonista, ma invece hai deciso di inquadrare il personaggio di lato, quasi a mettere a contrasto le due visioni dei personaggi. È stata una scelta intenzionale?
Guarda, mi sa che ti sei già dato la risposta da solo (il regista ride, n.d.r.). Comunque in quel momento, quando Leon è sulla spiaggia, dopo la morte dei due amici e la scomparsa della donna che ama, ho pensato che non potevo prendere la posizione di Felix e del suo progetto fotografico. Ormai non fa più parte della storia, siamo nell’immaginazione di Leon e questo riflette meglio anche la condizione di solitudine del protagonista.
Il sonoro, soprattutto il modo in cui sei riuscito a catturare i suoni della natura, mi ha colpito molto nelle tue ultime due opere. Puoi approfondire questo aspetto?
Di solito io e il mio ingegnere sonoro andiamo nelle location prima di girare a fare il sound mixing iniziale. Di solito, il regista e il direttore della fotografia parlano principalmente di “immagini”, ma il cinema è anche sonoro. Eravamo sulla spiaggia e pensavamo “cosa stiamo sentendo?”. E questa domanda ha la stessa rilevanza di “cosa stiamo vedendo?”. L’acustica ha un ruolo fondamentale nei miei film.
Concludendo, nel film utilizzi la canzone In My Mind del gruppo Wallners, come mai questa scelta?
È stata una coincidenza. All’inizio ci doveva essere A Whiter Shade of Pale dei Procol Harum, proprio come ci doveva essere la sequenza del film di Rossellini. Ho fatto leggere la sceneggiatura a mia figlia, che è una grande appassionata di musica, e lei mi ha detto che la canzone era fantastica, ma piuttosto retrò (il regista ride, n.d.r.). Di solito ascolto la radio quando guido perché, a differenza di quando si ha una playlist su Spotify e sai cosa aspettarti, con la radio puoi sentire improvvisamente una canzone che ti coglie di sorpresa, ed è capitato con Wallners, questo giovane gruppo austriaco formato da quattro fratelli sui vent’anni. Ci hanno invitato nel loro studio discografico e mi sono stati simpatici da subito. Ho comprato i diritti della canzone e una sera ho fatto sentire il brano a mia figlia. Le ho chiesto cosa ne pensava ed era entusiasta…e soprattutto non riteneva il brano retrò.