INT-16
13.12.2022
All’inizio del mese di Dicembre è stato distribuito nelle sale italiane il film Monica, il terzo lungometraggio di Andrea Pallaoro. Il film, presentato in concorso nella passata edizione del festival di Venezia, ci aveva impressionato per l’approccio, originale ed audace, adottato dal regista nel raccontare una storia, un’esperienza di vita così delicata, come quella della protagonista: una giovane donna transessuale, che, dopo anni, ritorna dalla madre malata di cancro, per prendersi cura di lei ed essere presente nei suoi ultimi momenti. Negli anni precedenti le due donne si erano allontanate, soprattutto perché la madre non era riuscita ad accettare il «cambiamento» della figlia. Oltre alla regia raffinata e contenuta di Pallaoro, un altro motivo fondamentale per recuperare Monica è la straordinaria interpretazione di Trace Lysette. L’attrice è stata in grado di dare vita ad un personaggio difficile, riuscendo a trasmettere la complessa situazione che Monica sta vivendo solo con uno sguardo, un sorriso o anche un semplice movimento delle mani. Sarebbe stato facile adottare un approccio più emotivo o tragico per questo tipo di storia, ma sia Pallaoro che Lysette hanno fatto un lavoro impressionante nel mostrare i sentimenti della protagonista senza doverli comunicare esplicitamente.
Durante la scorsa edizione del Festival di Venezia, abbiamo avuto l’occasione di conversare sia con il regista, Andrea Pallaoro, che con Trace Lysette. Poter parlare con quest’ultima è stato un grandissimo piacere, soprattutto perché l’attrice, oltre a raccontarci del film, si è aperta con noi, discutendo del suo difficile passato e di come l’industria cinematografica americana, e non, si stia evolvendo sempre più nel mostrare storie con persone transessuali.
Vorrei cominciare chiedendoti se hai sentito una certa pressione nell’interpretare questo ruolo.
Si, nel senso che non ci sono state scene facili da girare. Per esempio, anche se ci sono scene con pochi dialoghi, puoi intuire che ci sono molte cose che stanno passando in testa a Monica. Ho cercato sempre di trovare la «verità» dietro ad ogni scena, e con verità intendo quella legata anche alla mia stessa persona e alle mie esperienze passate. Ovviamente non sto dicendo che ho vissuto l’identica esperienza di Monica, ma ho cercato di trovare dei parallelismi con la mia vita, anche per cercare un collegamento più emotivo con questo personaggio. Le riprese sono durate un mese e mezzo ed è stata un’esperienza davvero pesante, ero presente in quasi tutte le scene e non ho avuto, diciamo, tempo per riposare sia fisicamente che psicologicamente. Quindi sì, è stata un’esperienza abbastanza difficile (l’attrice sorride, n.d.r.).
È stata una tua idea fare questo film?
Non è stata una mia idea (l’attrice ride, n.d.r.). Ho letto la sceneggiatura nel Dicembre del 2016 se non sbaglio, avevo dato un’occhiata alla mail e avevo trovato lo script, ho subito pensato «wow, è passato così tanto tempo». Andrea ha cercato Monica in diversi paesi e ha parlato con una trentina di attrici credo, quindi, quando mi hanno contattato e chiesto di essere la protagonista, ho anche preparato una lista di accorgimenti per la sceneggiatura, volevo dare il mio contributo, senza stravolgere la storia o i personaggi ovviamente. In seguito, la casa di produzione ha deciso di inserirmi nel film anche come produttore esecutivo. Quindi posso dire di aver collaborato anche nel processo produttivo.
Quanta Trace Lysette c’è nel personaggio di Monica?
Non molto, Monica è parecchio diversa da me, ma ho cercato lo stesso di creare un collegamento con la mia esperienza personale. È un discorso complesso perché, anche se ho avuto una vita intensa (a full life, n.d.r.), non tutte le persone transessuali hanno avuto la stessa esperienza di Monica. Sono grata di non aver «perso» venti anni a non parlare con mia madre, lei è stata in grado di elaborare questo cambiamento più velocemente. Ma allo stesso tempo, molte persone transessuali possono capire e comprendere il dolore di Monica.
Nel film è rappresentato un periodo particolare della vita di Monica, che sta cercando di riconciliarsi con la propria famiglia. Si può però intuire una certa tristezza negli occhi del personaggio, come se non riuscisse a «celebrare» la vita, perchè secondo te?
Credo perché Monica stia passando un momento di transizione dove sta cercando di capire certe cose nella sua vita. Si possono però trovare dei momenti più «felici», quando ad esempio si prepara ad uscire per una serata. Vediamo che si trucca, si mette un bel vestito e in generale, si prende cura di se stessa. Alcune volte è davvero così semplice, bisogna solo uscire e andare a prendere qualcosa da bere in città, però come sappiamo quella sera ha avuto un altro risvolto (l’attrice ride, n.d.r.). Anche le scene tra Monica e il nipote hanno una certa tenerezza e trasmettono un senso di speranza che spero tu abbia colto. Il film vuole mostrare lo spaccato di vita di questo personaggio e il modo in cui Monica reagisce a certe difficoltà o situazioni, come il riconciliarsi con la famiglia o semplicemente abbassare la guardia e mostrarsi un minimo vulnerabile. La decisione di partire e andare a trovare la sua famiglia secondo me è stata una scelta che Monica coltivava da diverso tempo, e io dovevo trovare il modo giusto per incanalare quelle specifiche sensazioni che il personaggio stava provando. Mi sono preparata per settimane e, prima dell’inizio delle riprese, ne ho discusso con Andrea e abbiamo cercato una soluzione insieme.
Come è stato lavorare con Patricia Clarkson?
Lei è una veterana di questo settore e la considero una persona fantastica. Il rapporto madre-figlia è un aspetto importante nel film e non c’è stato nemmeno bisogno di creare una certa sintonia con lei sul set, quel particolare rapporto si era già formato tra noi tempo prima quando l’avevo incontrata la prima volta. Ero ad un party a Los Angeles quando l’ho conosciuta per la prima volta, il modo in cui mi ha abbracciato e parlato mi ha conquistato fin da subito, sentivo quell’istinto materno in lei.
Monica è un personaggio importante soprattutto perché mostra un grande progresso nella rappresentazione cinematografica di persone transessuali. Anche se lentamente, l’industria sta cambiando, cosa ne pensi di questo?
Raramente in un film vediamo un personaggio transessuale al centro della storia che è interpretato da una persona transessuale. È davvero frustrante che ci sia voluto così tanto tempo prima di vedere un minimo di rappresentazione, ma pian piano ci sono dei miglioramenti. Ho iniziato la mia carriera interpretando personaggi che non erano specificatamente transessuali, come ad esempio in Hustlers (2019), e toccava al pubblico domandarsi: è una donna transessuale? Forse si, forse no. Oppure, «ha davvero importanza nella storia questo dettaglio?», ma la cosa che mi interessava era recitare e fare bene il mio ruolo. Ovviamente le storie con persone transessuali sono importanti e volevo rendergli onore, perché noi ci meritiamo di vedere le nostre storie raccontate. Non solo il dolore, ma anche la gioia e tutto quello che sta in mezzo. Voglio avere una carriera longeva ma non sono sicura che ruoli fantastici come quello di Monica arriveranno a breve. Come donna, vorrei interpretare qualsiasi tipo di ruolo. Magari in futuro mi prenderanno in un nuovo progetto solo perché hanno visto i miei lavori precedenti e perché mi reputano una buona attrice, non solo per la mia identità come persona transessuale.
Andrea Pallaoro aveva diretto il film Hannah nel 2017, con cui Charlotte Rampling aveva vinto la Coppa Volpi al Festival di Venezia. Come sarebbe stato essere la prima attrice transessuale a vincere questo ambito premio?
Sarebbe stato davvero fantastico. Ad essere onesta, avevo scoperto della vittoria di Charlotte Rampling solo qualche mese prima della première di Monica. Ho pensato «Oh, ok!», non sapevo nemmeno che tipo di premi dessero al Festival di Venezia (l’attrice sorride, n.d.r.). Ti chiedo scusa per il commento ignorante, non me ne intendo molto di cinema a livello internazionale, cerco solo di fare il miglior lavoro possibile. La vera vittoria sarebbe non dovermi preoccupare di cercare il prossimo ruolo.
Preferisci essere definita una donna transessuale, transgender o con altri nominativi?
Ci sono diversi termini; molte persone preferiscono essere definite transgender, ma a me piace transessuale, perché è un termine che definisce meglio la mia persona e il mio percorso visto che ho fatto la transizione anche a livello chirurgico/medico. Come dicevo in precedenza, le esperienze vissute da transessuali sono diverse tra loro e spesso le loro storie non vengono raccontate sul grande schermo perché non ritenute abbastanza interessanti o accattivanti per un ampio pubblico. Alcune volte si ha davvero la sensazione di essere invisibili in questo mondo…soprattutto per donne transessuali come me (binary transexual fem, n.d.r.).
Prima citavi la scena dove Monica decide di andare in città per una sera e ha un rapporto sessuale con un camionista appena conosciuto; volevo chiederti quanto fosse stato importante rappresentare questa scena, soprattutto a livello sessuale, dal punto di vista di una donna transessuale.
Sei la prima persona che mi chiede questa cosa! Grazie (l’attrice sorride e fa un piccolo applauso, n.d.r.)! Ho amato quella scena, perché lei si sente uno schifo in quel momento ed è in cerca di approvazione. Il fatto è che in questa sequenza la vediamo avere un rapporto sessuale con un uomo appena conosciuto e non si hanno discorsi sulla rivelazione della transessualità o altro, era una scena del tipo: «ora salgo sul camion di quel tizio e me lo scopo perché mi sento uno schifo e voglio che qualcuno mi tocchi». Ci siamo passati tutti, è per questo che amo quella scena, ha avvalorato il corpo di persone transessuali e, anche se lei si trovava ad un punto basso della sua vita, il sesso era alle sue condizioni.
In diverse scene, Andrea pone l’attenzione sul tuo corpo, ma anche su quello di Patricia, soprattutto per sottolineare lo stato di vulnerabilità dei due personaggi, cosa ne pensi di questo aspetto?
C’è una scena, che però credo sia stata tagliata, dove Monica si alza dal letto, va allo specchio e inizia a fare un «inventario» per vedere se è tutto apposto. Ogni persona lo fa, ma questa cosa non è mostrata dal punto di vista sessuale, Andrea voleva mostrare la vulnerabilità e le insicurezze di Monica. Mentre è stato davvero di impatto vedere Patricia nel bagno, quella scena la rende molto vulnerabile, ma una vulnerabilità diversa da quella di Monica.
La bellezza è uno dei temi principali del film, che cosa significa la bellezza per te?
Ho un rapporto piuttosto complesso con la bellezza, come tutte le donne credo. Come donna transessuale, ho iniziato a sentirmi bella solo dopo molto tempo. Ero un ragazzo con tratti femminili marcati, ho avuto diversi interventi chirurgici dopo l’adolescenza, ma non mi sentivo ancora bella. È come se stessi aspettando che il mondo mi dicesse che ero bella. Con questo film sono stata chiara con Andrea e la produzione, non volevo mettere molto trucco, volevo essere il più naturale possibile, perché un eccessivo make-up avrebbe distratto lo spettatore.
Ti vedi come un'attivista, o come un ruolo modello per altre donne transessuali?
Mmm, non voglio essere definita un'attivista, più che altro perché ci sono persone che ogni giorno combattono per certi diritti. Credo comunque di fare la mia parte solo «esistendo» o prendendo parte a certi eventi o organizzazioni. Mi sento più una sostenitrice (an advocate n.d.r) che un'attivista. Ho fatto da portavoce in diverse occasioni, ho marciato nelle strade per i diritti delle donne, dei transessuali e anche per il Black Lives Matter. Spero che questo film possa portare un po’ più di consapevolezza su certe tematiche nella mente dello spettatore.
Anche se c’è un aumento progressivo nella consapevolezza delle persone, al giorno d’oggi, la comunità LGBTQIA+ continua ad essere spesso bullizzata e denigrata. Quale potrebbe essere il tuo messaggio per tutte le persone che stanno soffrendo per questo?
Quello che mi ha aiutato molto è stata la comunità, la famiglia che ho scelto (chosen family n.d.r). Bisogna saper anche trovare un po’ di gioia, di felicità in questi momenti brutti e cercare di resistere. Non c’è una risposta facile a questa domanda, è un gioco d’attesa e bisogna aspettare che il mondo ci raggiunga.
Spesso la comunità transessuale è stata attaccata anche da movimenti femministi. Il fatto è davvero frustrante, trovare una soluzione a questo problema non è facile, perché l’apertura mentale di certa gente è davvero ristretta. Cosa ne pensi di questo?
Il primo pensiero che mi viene in mente è che loro non mi conosco, anzi, non ci conoscono. E non vogliono neanche provare a capire le difficoltà che stiamo avendo. È una cosa davvero bizzarra perché credo che in ogni persona, qualunque sia il suo genere, ci sia un po’ di femminilità. Quando sento frasi del tipo «tu non puoi partorire, non sei una donna» è davvero frustrante, perché non tutte le donne possono partorire, e inoltre è davvero questo il parametro essenziale per definire una donna!? La chiusura mentale e la stupidità di certe persone sono indescrivibili.
Saresti interessata a raccontare la tua esperienza di transizione? Non per forza in un film, ma anche con un libro o una serie tv.
Si. Ma non credo sarebbe incentrata sulla transizione fisica. Mi concentrerei sulle difficoltà, sui momenti più duri di quando ero più giovane. Avevo scritto un pilot, l’avevo venduto alla FX, non so se posso dirtelo a essere sincera (l’attrice sorride, n.d.r.). Ma dopo un anno e mezzo di lavorazione, non si è più fatto nulla. Spero di trovare qualcun altro che voglia produrlo. È frustrante perché la gente continua a dire: «se vuoi vedere la tua storia sul grande schermo, la devi scrivere!». E quello che mi viene da rispondere è «Hey, brutto stronzo (motherfucker n.d.r), lo sto facendo!». E non sono solo io, c’è una mia carissima amica, Laverne Cox (attrice che ha avuto un ruolo in Promising Young Woman, n.d.r.), lei ha proposto diversi show, ma nulla. Noi stiamo facendo la nostra parte, sono gli studios che devono investire e dare opportunità a nuove voci.
Allo stesso tempo però, le poche serie tv o film con protagonisti transessuali stanno portando un po’ di consapevolezza al pubblico medio. Se penso al grande successo di Pose o Transparent, serie in cui hai anche recitato.
È vero, ma ci sono storie ed esperienze diverse che meritano di essere raccontate. Mi piacerebbe vedere una commedia con donne transessuali, come Girls Trip (2017), con Tiffany Haddish, o come Bridemaids (2011)!
Spero che il successo di Monica possa aprirti più strade e opportunità.
Lo spero anche io, sto facendo davvero il mio meglio. Sono fiera di Monica, credo che tutti noi abbiamo fatto un buon lavoro con il film. Il mondo della televisione è un po’ più aperto a raccontare certe storie, mentre siamo ancora all’inizio per quanto riguarda il cinema.
Il film è stato fatto da un regista italiano, ed è anche una produzione indipendente, credi sarebbe stato possibile con un regista americano e una casa di produzione più «hollywoodiana»?
Un giorno spero di vedere più registi approcciarsi a queste storie. C’è un mio caro amico, il regista Silas Howard (ha diretto diversi episodi televisivi tra cui Transparent e The Affair, n.d.r.) e mi piacerebbe davvero lavorare con lui per raccontare nuove storie. Spero che ci sia una transizione netta anche nel cinema americano.
E come mai hai deciso di diventare un’attrice?
Mi ero trasferita a New York da poco e stavo ancora cercando il mio posto nel mondo. C’era questo mio caro amico, Karibi Fubara, con cui mi ero anche frequentata, faceva l’attore ed è morto lo scorso anno purtroppo. Mi aveva detto che dovevo puntare e investire su me stessa. Non avevo una laurea e a malapena avevo il diploma delle superiori, non avevo soldi né le nozioni base, tipo guidare. Avevo il mio corpo e ad essere sincera, ho dovuto anche fare la sex worker e ballare in un nightclub per campare. Ero in modalità survival, sono felice di vedere che al giorno d’oggi ci sono altri modi, più convenienti, per guadagnare qualcosina online, tipo OnlyFans. «Dove cavolo era quando ne avevo bisogno!?» (l’attrice ride, n.d.r.). Comunque, questo mio amico vedeva il disagio e la mia tristezza, mi ha incoraggiato a fare qualche lezione di recitazione con il suo insegnante e, con i soldi guadagnati al club, ho deciso di iscrivermi ad un corso di recitazione. Avevo girato un pilot promettente per la NBC, ma non è mai stato mostrato sfortunatamente. Poi è arrivata l’occasione con Transparent e ne sono grata.
INT-16
13.12.2022
All’inizio del mese di Dicembre è stato distribuito nelle sale italiane il film Monica, il terzo lungometraggio di Andrea Pallaoro. Il film, presentato in concorso nella passata edizione del festival di Venezia, ci aveva impressionato per l’approccio, originale ed audace, adottato dal regista nel raccontare una storia, un’esperienza di vita così delicata, come quella della protagonista: una giovane donna transessuale, che, dopo anni, ritorna dalla madre malata di cancro, per prendersi cura di lei ed essere presente nei suoi ultimi momenti. Negli anni precedenti le due donne si erano allontanate, soprattutto perché la madre non era riuscita ad accettare il «cambiamento» della figlia. Oltre alla regia raffinata e contenuta di Pallaoro, un altro motivo fondamentale per recuperare Monica è la straordinaria interpretazione di Trace Lysette. L’attrice è stata in grado di dare vita ad un personaggio difficile, riuscendo a trasmettere la complessa situazione che Monica sta vivendo solo con uno sguardo, un sorriso o anche un semplice movimento delle mani. Sarebbe stato facile adottare un approccio più emotivo o tragico per questo tipo di storia, ma sia Pallaoro che Lysette hanno fatto un lavoro impressionante nel mostrare i sentimenti della protagonista senza doverli comunicare esplicitamente.
Durante la scorsa edizione del Festival di Venezia, abbiamo avuto l’occasione di conversare sia con il regista, Andrea Pallaoro, che con Trace Lysette. Poter parlare con quest’ultima è stato un grandissimo piacere, soprattutto perché l’attrice, oltre a raccontarci del film, si è aperta con noi, discutendo del suo difficile passato e di come l’industria cinematografica americana, e non, si stia evolvendo sempre più nel mostrare storie con persone transessuali.
Vorrei cominciare chiedendoti se hai sentito una certa pressione nell’interpretare questo ruolo.
Si, nel senso che non ci sono state scene facili da girare. Per esempio, anche se ci sono scene con pochi dialoghi, puoi intuire che ci sono molte cose che stanno passando in testa a Monica. Ho cercato sempre di trovare la «verità» dietro ad ogni scena, e con verità intendo quella legata anche alla mia stessa persona e alle mie esperienze passate. Ovviamente non sto dicendo che ho vissuto l’identica esperienza di Monica, ma ho cercato di trovare dei parallelismi con la mia vita, anche per cercare un collegamento più emotivo con questo personaggio. Le riprese sono durate un mese e mezzo ed è stata un’esperienza davvero pesante, ero presente in quasi tutte le scene e non ho avuto, diciamo, tempo per riposare sia fisicamente che psicologicamente. Quindi sì, è stata un’esperienza abbastanza difficile (l’attrice sorride, n.d.r.).
È stata una tua idea fare questo film?
Non è stata una mia idea (l’attrice ride, n.d.r.). Ho letto la sceneggiatura nel Dicembre del 2016 se non sbaglio, avevo dato un’occhiata alla mail e avevo trovato lo script, ho subito pensato «wow, è passato così tanto tempo». Andrea ha cercato Monica in diversi paesi e ha parlato con una trentina di attrici credo, quindi, quando mi hanno contattato e chiesto di essere la protagonista, ho anche preparato una lista di accorgimenti per la sceneggiatura, volevo dare il mio contributo, senza stravolgere la storia o i personaggi ovviamente. In seguito, la casa di produzione ha deciso di inserirmi nel film anche come produttore esecutivo. Quindi posso dire di aver collaborato anche nel processo produttivo.
Quanta Trace Lysette c’è nel personaggio di Monica?
Non molto, Monica è parecchio diversa da me, ma ho cercato lo stesso di creare un collegamento con la mia esperienza personale. È un discorso complesso perché, anche se ho avuto una vita intensa (a full life, n.d.r.), non tutte le persone transessuali hanno avuto la stessa esperienza di Monica. Sono grata di non aver «perso» venti anni a non parlare con mia madre, lei è stata in grado di elaborare questo cambiamento più velocemente. Ma allo stesso tempo, molte persone transessuali possono capire e comprendere il dolore di Monica.
Nel film è rappresentato un periodo particolare della vita di Monica, che sta cercando di riconciliarsi con la propria famiglia. Si può però intuire una certa tristezza negli occhi del personaggio, come se non riuscisse a «celebrare» la vita, perchè secondo te?
Credo perché Monica stia passando un momento di transizione dove sta cercando di capire certe cose nella sua vita. Si possono però trovare dei momenti più «felici», quando ad esempio si prepara ad uscire per una serata. Vediamo che si trucca, si mette un bel vestito e in generale, si prende cura di se stessa. Alcune volte è davvero così semplice, bisogna solo uscire e andare a prendere qualcosa da bere in città, però come sappiamo quella sera ha avuto un altro risvolto (l’attrice ride, n.d.r.). Anche le scene tra Monica e il nipote hanno una certa tenerezza e trasmettono un senso di speranza che spero tu abbia colto. Il film vuole mostrare lo spaccato di vita di questo personaggio e il modo in cui Monica reagisce a certe difficoltà o situazioni, come il riconciliarsi con la famiglia o semplicemente abbassare la guardia e mostrarsi un minimo vulnerabile. La decisione di partire e andare a trovare la sua famiglia secondo me è stata una scelta che Monica coltivava da diverso tempo, e io dovevo trovare il modo giusto per incanalare quelle specifiche sensazioni che il personaggio stava provando. Mi sono preparata per settimane e, prima dell’inizio delle riprese, ne ho discusso con Andrea e abbiamo cercato una soluzione insieme.
Come è stato lavorare con Patricia Clarkson?
Lei è una veterana di questo settore e la considero una persona fantastica. Il rapporto madre-figlia è un aspetto importante nel film e non c’è stato nemmeno bisogno di creare una certa sintonia con lei sul set, quel particolare rapporto si era già formato tra noi tempo prima quando l’avevo incontrata la prima volta. Ero ad un party a Los Angeles quando l’ho conosciuta per la prima volta, il modo in cui mi ha abbracciato e parlato mi ha conquistato fin da subito, sentivo quell’istinto materno in lei.
Monica è un personaggio importante soprattutto perché mostra un grande progresso nella rappresentazione cinematografica di persone transessuali. Anche se lentamente, l’industria sta cambiando, cosa ne pensi di questo?
Raramente in un film vediamo un personaggio transessuale al centro della storia che è interpretato da una persona transessuale. È davvero frustrante che ci sia voluto così tanto tempo prima di vedere un minimo di rappresentazione, ma pian piano ci sono dei miglioramenti. Ho iniziato la mia carriera interpretando personaggi che non erano specificatamente transessuali, come ad esempio in Hustlers (2019), e toccava al pubblico domandarsi: è una donna transessuale? Forse si, forse no. Oppure, «ha davvero importanza nella storia questo dettaglio?», ma la cosa che mi interessava era recitare e fare bene il mio ruolo. Ovviamente le storie con persone transessuali sono importanti e volevo rendergli onore, perché noi ci meritiamo di vedere le nostre storie raccontate. Non solo il dolore, ma anche la gioia e tutto quello che sta in mezzo. Voglio avere una carriera longeva ma non sono sicura che ruoli fantastici come quello di Monica arriveranno a breve. Come donna, vorrei interpretare qualsiasi tipo di ruolo. Magari in futuro mi prenderanno in un nuovo progetto solo perché hanno visto i miei lavori precedenti e perché mi reputano una buona attrice, non solo per la mia identità come persona transessuale.
Andrea Pallaoro aveva diretto il film Hannah nel 2017, con cui Charlotte Rampling aveva vinto la Coppa Volpi al Festival di Venezia. Come sarebbe stato essere la prima attrice transessuale a vincere questo ambito premio?
Sarebbe stato davvero fantastico. Ad essere onesta, avevo scoperto della vittoria di Charlotte Rampling solo qualche mese prima della première di Monica. Ho pensato «Oh, ok!», non sapevo nemmeno che tipo di premi dessero al Festival di Venezia (l’attrice sorride, n.d.r.). Ti chiedo scusa per il commento ignorante, non me ne intendo molto di cinema a livello internazionale, cerco solo di fare il miglior lavoro possibile. La vera vittoria sarebbe non dovermi preoccupare di cercare il prossimo ruolo.
Preferisci essere definita una donna transessuale, transgender o con altri nominativi?
Ci sono diversi termini; molte persone preferiscono essere definite transgender, ma a me piace transessuale, perché è un termine che definisce meglio la mia persona e il mio percorso visto che ho fatto la transizione anche a livello chirurgico/medico. Come dicevo in precedenza, le esperienze vissute da transessuali sono diverse tra loro e spesso le loro storie non vengono raccontate sul grande schermo perché non ritenute abbastanza interessanti o accattivanti per un ampio pubblico. Alcune volte si ha davvero la sensazione di essere invisibili in questo mondo…soprattutto per donne transessuali come me (binary transexual fem, n.d.r.).
Prima citavi la scena dove Monica decide di andare in città per una sera e ha un rapporto sessuale con un camionista appena conosciuto; volevo chiederti quanto fosse stato importante rappresentare questa scena, soprattutto a livello sessuale, dal punto di vista di una donna transessuale.
Sei la prima persona che mi chiede questa cosa! Grazie (l’attrice sorride e fa un piccolo applauso, n.d.r.)! Ho amato quella scena, perché lei si sente uno schifo in quel momento ed è in cerca di approvazione. Il fatto è che in questa sequenza la vediamo avere un rapporto sessuale con un uomo appena conosciuto e non si hanno discorsi sulla rivelazione della transessualità o altro, era una scena del tipo: «ora salgo sul camion di quel tizio e me lo scopo perché mi sento uno schifo e voglio che qualcuno mi tocchi». Ci siamo passati tutti, è per questo che amo quella scena, ha avvalorato il corpo di persone transessuali e, anche se lei si trovava ad un punto basso della sua vita, il sesso era alle sue condizioni.
In diverse scene, Andrea pone l’attenzione sul tuo corpo, ma anche su quello di Patricia, soprattutto per sottolineare lo stato di vulnerabilità dei due personaggi, cosa ne pensi di questo aspetto?
C’è una scena, che però credo sia stata tagliata, dove Monica si alza dal letto, va allo specchio e inizia a fare un «inventario» per vedere se è tutto apposto. Ogni persona lo fa, ma questa cosa non è mostrata dal punto di vista sessuale, Andrea voleva mostrare la vulnerabilità e le insicurezze di Monica. Mentre è stato davvero di impatto vedere Patricia nel bagno, quella scena la rende molto vulnerabile, ma una vulnerabilità diversa da quella di Monica.
La bellezza è uno dei temi principali del film, che cosa significa la bellezza per te?
Ho un rapporto piuttosto complesso con la bellezza, come tutte le donne credo. Come donna transessuale, ho iniziato a sentirmi bella solo dopo molto tempo. Ero un ragazzo con tratti femminili marcati, ho avuto diversi interventi chirurgici dopo l’adolescenza, ma non mi sentivo ancora bella. È come se stessi aspettando che il mondo mi dicesse che ero bella. Con questo film sono stata chiara con Andrea e la produzione, non volevo mettere molto trucco, volevo essere il più naturale possibile, perché un eccessivo make-up avrebbe distratto lo spettatore.
Ti vedi come un'attivista, o come un ruolo modello per altre donne transessuali?
Mmm, non voglio essere definita un'attivista, più che altro perché ci sono persone che ogni giorno combattono per certi diritti. Credo comunque di fare la mia parte solo «esistendo» o prendendo parte a certi eventi o organizzazioni. Mi sento più una sostenitrice (an advocate n.d.r) che un'attivista. Ho fatto da portavoce in diverse occasioni, ho marciato nelle strade per i diritti delle donne, dei transessuali e anche per il Black Lives Matter. Spero che questo film possa portare un po’ più di consapevolezza su certe tematiche nella mente dello spettatore.
Anche se c’è un aumento progressivo nella consapevolezza delle persone, al giorno d’oggi, la comunità LGBTQIA+ continua ad essere spesso bullizzata e denigrata. Quale potrebbe essere il tuo messaggio per tutte le persone che stanno soffrendo per questo?
Quello che mi ha aiutato molto è stata la comunità, la famiglia che ho scelto (chosen family n.d.r). Bisogna saper anche trovare un po’ di gioia, di felicità in questi momenti brutti e cercare di resistere. Non c’è una risposta facile a questa domanda, è un gioco d’attesa e bisogna aspettare che il mondo ci raggiunga.
Spesso la comunità transessuale è stata attaccata anche da movimenti femministi. Il fatto è davvero frustrante, trovare una soluzione a questo problema non è facile, perché l’apertura mentale di certa gente è davvero ristretta. Cosa ne pensi di questo?
Il primo pensiero che mi viene in mente è che loro non mi conosco, anzi, non ci conoscono. E non vogliono neanche provare a capire le difficoltà che stiamo avendo. È una cosa davvero bizzarra perché credo che in ogni persona, qualunque sia il suo genere, ci sia un po’ di femminilità. Quando sento frasi del tipo «tu non puoi partorire, non sei una donna» è davvero frustrante, perché non tutte le donne possono partorire, e inoltre è davvero questo il parametro essenziale per definire una donna!? La chiusura mentale e la stupidità di certe persone sono indescrivibili.
Saresti interessata a raccontare la tua esperienza di transizione? Non per forza in un film, ma anche con un libro o una serie tv.
Si. Ma non credo sarebbe incentrata sulla transizione fisica. Mi concentrerei sulle difficoltà, sui momenti più duri di quando ero più giovane. Avevo scritto un pilot, l’avevo venduto alla FX, non so se posso dirtelo a essere sincera (l’attrice sorride, n.d.r.). Ma dopo un anno e mezzo di lavorazione, non si è più fatto nulla. Spero di trovare qualcun altro che voglia produrlo. È frustrante perché la gente continua a dire: «se vuoi vedere la tua storia sul grande schermo, la devi scrivere!». E quello che mi viene da rispondere è «Hey, brutto stronzo (motherfucker n.d.r), lo sto facendo!». E non sono solo io, c’è una mia carissima amica, Laverne Cox (attrice che ha avuto un ruolo in Promising Young Woman, n.d.r.), lei ha proposto diversi show, ma nulla. Noi stiamo facendo la nostra parte, sono gli studios che devono investire e dare opportunità a nuove voci.
Allo stesso tempo però, le poche serie tv o film con protagonisti transessuali stanno portando un po’ di consapevolezza al pubblico medio. Se penso al grande successo di Pose o Transparent, serie in cui hai anche recitato.
È vero, ma ci sono storie ed esperienze diverse che meritano di essere raccontate. Mi piacerebbe vedere una commedia con donne transessuali, come Girls Trip (2017), con Tiffany Haddish, o come Bridemaids (2011)!
Spero che il successo di Monica possa aprirti più strade e opportunità.
Lo spero anche io, sto facendo davvero il mio meglio. Sono fiera di Monica, credo che tutti noi abbiamo fatto un buon lavoro con il film. Il mondo della televisione è un po’ più aperto a raccontare certe storie, mentre siamo ancora all’inizio per quanto riguarda il cinema.
Il film è stato fatto da un regista italiano, ed è anche una produzione indipendente, credi sarebbe stato possibile con un regista americano e una casa di produzione più «hollywoodiana»?
Un giorno spero di vedere più registi approcciarsi a queste storie. C’è un mio caro amico, il regista Silas Howard (ha diretto diversi episodi televisivi tra cui Transparent e The Affair, n.d.r.) e mi piacerebbe davvero lavorare con lui per raccontare nuove storie. Spero che ci sia una transizione netta anche nel cinema americano.
E come mai hai deciso di diventare un’attrice?
Mi ero trasferita a New York da poco e stavo ancora cercando il mio posto nel mondo. C’era questo mio caro amico, Karibi Fubara, con cui mi ero anche frequentata, faceva l’attore ed è morto lo scorso anno purtroppo. Mi aveva detto che dovevo puntare e investire su me stessa. Non avevo una laurea e a malapena avevo il diploma delle superiori, non avevo soldi né le nozioni base, tipo guidare. Avevo il mio corpo e ad essere sincera, ho dovuto anche fare la sex worker e ballare in un nightclub per campare. Ero in modalità survival, sono felice di vedere che al giorno d’oggi ci sono altri modi, più convenienti, per guadagnare qualcosina online, tipo OnlyFans. «Dove cavolo era quando ne avevo bisogno!?» (l’attrice ride, n.d.r.). Comunque, questo mio amico vedeva il disagio e la mia tristezza, mi ha incoraggiato a fare qualche lezione di recitazione con il suo insegnante e, con i soldi guadagnati al club, ho deciso di iscrivermi ad un corso di recitazione. Avevo girato un pilot promettente per la NBC, ma non è mai stato mostrato sfortunatamente. Poi è arrivata l’occasione con Transparent e ne sono grata.