INT-48
03.11.2023
A partire dalla seconda metà degli anni duemila, una nuova generazione di registi ha iniziato a prendere sempre più spazio nel panorama cinematografico indipendente messicano. Tra questi spiccano i nomi di Alonso Ruizpalacios, Michel Franco e Amat Escalante. Ciò che accomuna il cinema di questi autori è la volontà di indagare su alcune problematiche del loro paese, analizzandole con uno sguardo piuttosto brutale e cinico. In poco tempo, i tre registi hanno trovato successo, soprattutto a livello internazionale, vincendo alcuni dei riconoscimenti più importanti ai festival di Cannes, Berlino e Venezia.
Oggi poniamo la nostra attenzione su Amat Escalante, cineasta riconosciuto con il premio alla miglior regia sia a Cannes - per Heli (2013) - che a Venezia - per La región salvaje (2016). Il suo ultimo film, Perdidos en la noche, è stato presentato lo scorso maggio sulla Croisette nella sezione Cannes Premieres, anche se a detta di molti avrebbe meritato un posto nella Competizione. Il film è un thriller che pone al suo epicentro il desiderio di vendetta di Emiliano (Juan Daniel Garcia Treviño), un giovane ragazzo che sta cercando, invano, di trovare la madre “scomparsa” qualche anno prima. La sua indagine lo porterà a lavorare per gli Almada, famiglia benestante che potrebbe avere una connessione con la sparizione della donna. Tra Buñuel e Dostoevskij, Escalante dirige un’intensa opera sullo scontro tra classi sociali in una terra corrotta. Quest’ultimo aspetto è messo in mostra dal regista attraverso il rapporto che Emiliano ha con i membri della famiglia: da Monica (Ester Expósito), giovane influencer, a sua madre Carmen (Bárbara Mori), un’eccentrica popstar, fino al marito Rigoberto (Fernando Bonilla), artista “moderno” e controverso.
Abbiamo avuto il piacere di incontrare Amat Escalante, che ci ha parlato dei fatti di cronaca che hanno ispirato il film, del suo legame con il cinema di Luis Buñuel e del potere manipolatorio che l’arte ricopre al giorno d’oggi.
Voglio iniziare questa conversazione chiedendoti del personaggio di Rigoberto, l’artista audiovisivo. Mi ha affascinato il suo lato grottesco…come è nato il personaggio? Ti identifichi in lui in qualche modo?
Credo. C’è una minima connessione con questo personaggio perché è un’artista. Non mi considero un’artista, ma come Rigoberto traggo ispirazione dalla realtà in cui vivo e cerco di raccontare gli aspetti spiacevoli del mio paese attraverso i miei film. Rigoberto usa e manipola la realtà intorno a sé e, tramite questo personaggio, volevo porre un importante quesito, ovvero quale significato può assumere l’arte in certe paesi, più nello specifico il Messico. Mi spiego meglio, purtroppo c’è una grande discrepanza e ingiustizia tra le classi sociali e spesso, la gente sfrutta questa situazione per trarne beneficio. Lo fa per la vittima? Questa si riconosce in questo tipo di arte? Sono questioni complesse, torbide e creano facilmente confusione. Però l’arte è sempre stata così se ci pensi. Ad esempio, Dostoevskij scriveva e raccontava delle tragedie e immagino che alcune di queste le abbia vissute in prima persona. Ha tratto ispirazione dalla sua esistenza e ha creato dei grandi romanzi. Non direi che Rigoberto fa della “grande” arte (il regista ride, n.d.r.), ma è un simbolo, anzi una persona che potrei vedere in giro in Messico, come in ogni altro paese immagino.
All’apparenza lui e la figliastra sembrano completamente diversi, ma in qualche modo entrambi sono affascinati dalla morte, ma non l’hanno mai “vissuta” in prima persona.
Esatto, sono affascinati dalla morte e si sentono a loro agio con questa perché non l’hanno mai “vissuta” da vicino. Questo parallelismo tra i personaggi mi ha permesso di creare uno scontro caratteriale all’interno del film. Loro non vanno d’accordo, probabilmente perché sono simili, creano “arte” tramite questo aspetto mortale. Monica lo fa cercando di suicidarsi continuamente durante le varie live per i social media, mentre Rigoberto va oltre e sfrutta la realtà che vede. L’utilizzo di immagini e video da parte di entrambi permette loro di creare una connessione diretta con il proprio pubblico.
Si può creare arte senza la manipolazione?
La cosa bella di creare arte è che spesso non hai limiti, puoi fare di tutto, ma allo stesso tempo è pericoloso e potrebbe fare del male. Ma come dice il personaggio nel film, l’arte serve anche come terapia, non solo per la persona che la fa, ma anche per altre persone. Per questo siamo qui a vedere film, non lo facciamo per forza per scopi terapeutici, ma perché ci porta gioia e ci fa stare assieme. L’arte ci ispira, che sia un quadro, o un film. È qualcosa di inspiegabile, ma è una cosa bellissima.
Gioia non è il primo termine che mi viene in mente quando guardo i tuoi film.
No, forse se li vedi in modo freddo e distaccato (il regista ride, n.d.r.). Prendi ad esempio Irréversible (2002) di Gaspar Noé, ho visto quel film tante volte. Non direi che mi ha portato “gioia” durante la visione, ma provavo una sensazione simile perché mi sentivo ispirato da ciò che vedevo. Ovviamente, non credo che la gente compirebbe le azioni che vede nel film, ma c’è una certa bellezza nel vedere certe situazioni attraverso l’arte. Ma allo stesso tempo, la concezione dell’arte è cambiata nel corso degli anni e, sempre parlando di Irréversible, quel film avrebbe un’accoglienza diversa oggi, bisogna stare più “attenti” e nascondere certe cose… il che è un po’ spiacevole per me.
Volevo chiederti del tuo rapporto con il cinema di Luis Buñuel, immagino ci sia qualcosa di più rispetto alla battuta presente nel film. Più che altro perché sei un cineasta messicano e Buñuel è arrivato nel tuo paese e ne ha “approfittato” per fare arte.
Los Olvidados (1950) immagino sia stato criticato parzialmente per quella ragione. Non sono uno storico del cinema, ma so che una delle maggiori critiche è stata proprio lo sfruttamento della miseria di questi giovani ragazzi di strada. In Perdidos en la Noche il cane si chiama Buñuel, ma ha un significato che va oltre al cineasta. Se hai visto Heli (2013), l’ho dedicato parzialmente a “Buñuel”: era il mio cane ed è morto mentre stavo lavorando al film. Può sembrare una battuta perché nessuno sa questa cosa, e mi piaceva il fatto che Rigoberto chiamasse il suo cane Buñuel. Però, ripeto, non sto paragonando me stesso al personaggio.
Sia tu che Buñuel però avete fatto film che spesso ritraggono la società in maniera satirica, e in modo piuttosto crudele.
Buñuel è stato importante per la mia carriera da cineasta. Soprattutto Belle de Jour (1967), c’è questo mistero, che non è legato al crimine, ma alla vita, al sesso e a come ci si fa del male a vicenda. Quello che ammiro è il modo “semplice” in cui rappresenta questioni complesse. Anche Los Olvidados è stata una grande ispirazione per me. Il mio primo cortometraggio (Amarrados, 2002 n.d.r) e il mio primo lungometraggio (Sangre, 2005, n.d.r.) prendono spunto proprio da quest’opera. Anche i suoi documentari mi hanno ispirato, in Las Hurdes (1933) c’è uno humour reale ed “umano”. Buñuel filma situazioni tragiche, ma c’è una certa verità in quello che si vede. E questa verità io la interpreto come un mix tra tragedia e humor. Non definirei i miei film delle commedie, ma c’è una certa ironia e ridicolezza. Voglio riflettere la vita reale, ed essa è ridicola a tratti. Secondo me, togliere l’aspetto tragicomico dalla propria vita, è come non viverla. Spesso lo humor serve proprio per bilanciare l’aspetto “reale” del film.
Ho avuto questa sensazione soprattutto con il personaggio di Carmen, mi ha dato un’impressione da “telenovela”, era un aspetto voluto nel film?
Inconsciamente, c’è qualcosa di vero in quello che dici, più che altro perché Barbara Mori è un’attrice che ha lavorato in diverse soap opera. Anche Ester Expósito, lei è molto attiva sui social media e sapeva cosa fare con il suo personaggio. Più o meno, è questo il modo in cui lavoro con i non attori. Cerco di scegliere persone che si avvicinano il più possibile alla realtà dei miei personaggi. Per quanto riguarda l’aspetto telenovela, non era il mio obiettivo principale. Mi sono ispirato a film noir degli anni ‘50/‘60, uno in particolare, Wild River (1960) di Elia Kazan…mi ha colpito il suo mix tra non attori e star hollywoodiane e l’utilizzo dell'ambiente circostante. Ho cercato di fare questo in Perdidos en la noche, ma in maniera differente rispetto alle mie opere passate. Juan Daniel Garcia Treviño è ancora giovane, ma ha già avuto dei buoni ruoli. Lui proviene da un’area rurale che lo ha “marchiato” e ha condizionato il modo in cui vede le cose e come le vive.
Puoi dirmi qualcosa di più su di lui?
Lui era il protagonista di Ya no estoy aqui (2021) ed è stato “scoperto” in uno dei quartieri più disagiati del Messico. Ma non si è mai trasferito definitivamente, vive la sua vita tra il suo quartiere natio, Monterrey e Mexico City. In queste due città si svolgono le maggiori attività cinematografiche del paese e Juan Daniel sta diventando piuttosto richiesto. Qualche mese fa suo padre è stato ucciso per via di alcune “situazioni”… questo per farti capire che non ha vissuto una realtà facile nella sua vita. Potrei fare un altro esempio con Los Bastardos (2008), volevo degli interpreti che avessero davvero vissuto la realtà del confine tra Stati Uniti e Messico. Queste persone riescono ad aggiungere qualcosa ai loro personaggi, però… questo è quello che fa anche Rigoberto (il regista ride, n.d.r.). A parte gli scherzi, a volte mi sento impaurito ad affrontare tali situazioni, ma nello stesso tempo credo sia onesto volerle esplorare, mi sento ispirato da quello che succede intorno a me.
Immagino che anche Dostoevskij ti ha ispirato, vista la citazione iniziale.
Non proprio, a dire il vero. Di solito faccio delle lunghe passeggiate e porto con me un piccolo quaderno dove prendo nota di alcune idee per film o sceneggiature. Durante la pandemia ho scritto Perdidos en la Noche e, durante queste passeggiate, di solito ascoltavo degli audiolibri di Dostoevskij, mentre la sera leggevo le sue opere. È stata un’esperienza gratificante e, inconsciamente, sí, mi ha ispirato. Ma non c’è nulla di particolare legato ai personaggi, forse il sentimento di colpevolezza e la moralità alla base della storia. Per quanto riguarda la citazione iniziale, ho deciso di inserirla dopo aver scritto la sceneggiatura, più che altro perché c’era questo collegamento con la morte nel personaggio di Monica.
Puoi dirmi qualcosa in più sul contesto sociale del film? All’inizio vediamo questa manifestazione contro i minatori e mi chiedevo se questo aspetto fosse tratto da un fatto di cronaca o altro.
È qualcosa che succede spesso in Messico. Le industrie minerarie straniere sono sempre state presenti, ma la legge sta cambiando per limitarne l’ingresso. È una situazione spiacevole perché diverse attiviste sono “scomparse” per via di queste faccende. Di solito funziona così, un’industria mineraria arriva in una zona perché vuole iniziare dei lavori, gli attivisti protestano e le industrie vanno via… dopo poco tempo queste persone “scompaiono” e un’industria con un nome diverso, ma che è collegata con la precedente, arriva nella stessa zona e inizia i lavori. In un paese come il Messico queste situazioni accadono spesso e ciò ti permette di avere una nuova prospettiva sulla tua vita. Nel film, non è l’industria mineraria a fare del “male” ad Emiliano, c’è qualcosa in più che ovviamente non spoilererò.
La scena della masturbazione nel film ha lasciato spiazzate diverse persone. È una scena esplicita e il modo in cui hai ripreso i genitali dei due personaggi è piuttosto particolare. Puoi approfondire questa scena?
Diciamo che, per come lavoro io, mi piace mostrare quello che non si può mostrare o a cui non siamo abituati. Ma allo stesso tempo, non credo ci sia nulla di così particolare, è una scena tenera direi (il regista ride, n.d.r.). Mi è piaciuto riprenderla in questo modo più che altro perché non credo di avere mai visto una cosa simile, nemmeno in un porno. Gli attori erano a proprio agio sul set e… ho deciso di inquadrare solo la parte centrale del finto membro di Emiliano che per quella scena indossava una protesi (il regista ride, n.d.r.).
Probabilmente avrai visto Manto de gemas (2022) e ho letto che la regista Natalia Lopez, per preparare il film, ha parlato con persone che sono sopravvissute ai rapimenti in Messico. Quale è stato il tuo processo di “ricerca” per il film?
Come prima cosa, ho contatto Daniela Rea, una giornalista messicana che ha anche lavorato nella produzione di alcuni documentari. Proviene da Irapuato, uno dei distretti più pericolosi del Messico. Pericoloso forse non è l’aggettivo giusto… è comunque un posto dove avvengono molte cose spiacevoli. Lei lavora anche con il gruppo di ricerca di queste persone “scomparse”. L’ho incontrata, abbiamo parlato del film e le ho fatto leggere la sceneggiatura, avere il suo feedback era piuttosto importante. Ha anche partecipato alla scena del rapimento di Paloma all’inizio del film. Daniela è una scrittrice incredibile, ha investigato su faccende molto scomode e posso dirti che questi eventi l’hanno condizionata. Sono stato molto attento a chiederle informazioni, più che altro perché non è una macchina che può rispondere subito, aveva bisogno di ragionare con calma su certi ricordi e dettagli. Non mi interessava però mostrare le ricerche delle persone scomparse a livello visivo. Nel senso, di solito si utilizzano delle sonde metalliche che vengono impiantate nel terreno, e se quando vengono estratte hanno un certo odore di “carcassa”, si può iniziare a scavare. Qualcuno probabilmente criticherà il fatto che non abbia approfondito questo aspetto. Perdidos en la noche cita questa problematica, ma non la esplora nel dettaglio. Poi non sono un regista di Hollywood ad esempio, non vado di certo in queste zone con la security o altro.
Ti sei mai sentito in pericolo in queste situazioni?
Abbastanza… (il regista ride, n.d.r.), prima della presentazione a Cannes, ho trascorso un paio di mesi in Europa a completare il film e ti dico, passeggiare alle due/tre di notte ad Amsterdam e non sentirsi preoccupato per quello che potrebbe succedere è stato piuttosto rilassante.
Cosa ti aspetti dall’accoglienza del film in Messico?
Di solito i miei film sono difficili da trovare, soprattutto in Messico. A volte devo inviare dei link alle persone per farglieli vedere…
Non vengono distribuiti in Messico?
Si, ma in poche sale e per poco tempo. Le copie dvd in circolazione sono poche. Spesso vengono presi da servizi streaming per un anno. MUBI di recente aveva messo in catalogo Heli, Los Bastardos e Sangre. Poi c’è anche il problema di come ormai la gente vede i film, non consiglierei a nessuno di comprare La región salvaje (2016) su ITunes Messico, è una situazione piuttosto triste per me. Vorrei che i miei film fossero disponibili gratuitamente e spero sia possibile con Perdidos en la noche.
INT-48
03.11.2023
A partire dalla seconda metà degli anni duemila, una nuova generazione di registi ha iniziato a prendere sempre più spazio nel panorama cinematografico indipendente messicano. Tra questi spiccano i nomi di Alonso Ruizpalacios, Michel Franco e Amat Escalante. Ciò che accomuna il cinema di questi autori è la volontà di indagare su alcune problematiche del loro paese, analizzandole con uno sguardo piuttosto brutale e cinico. In poco tempo, i tre registi hanno trovato successo, soprattutto a livello internazionale, vincendo alcuni dei riconoscimenti più importanti ai festival di Cannes, Berlino e Venezia.
Oggi poniamo la nostra attenzione su Amat Escalante, cineasta riconosciuto con il premio alla miglior regia sia a Cannes - per Heli (2013) - che a Venezia - per La región salvaje (2016). Il suo ultimo film, Perdidos en la noche, è stato presentato lo scorso maggio sulla Croisette nella sezione Cannes Premieres, anche se a detta di molti avrebbe meritato un posto nella Competizione. Il film è un thriller che pone al suo epicentro il desiderio di vendetta di Emiliano (Juan Daniel Garcia Treviño), un giovane ragazzo che sta cercando, invano, di trovare la madre “scomparsa” qualche anno prima. La sua indagine lo porterà a lavorare per gli Almada, famiglia benestante che potrebbe avere una connessione con la sparizione della donna. Tra Buñuel e Dostoevskij, Escalante dirige un’intensa opera sullo scontro tra classi sociali in una terra corrotta. Quest’ultimo aspetto è messo in mostra dal regista attraverso il rapporto che Emiliano ha con i membri della famiglia: da Monica (Ester Expósito), giovane influencer, a sua madre Carmen (Bárbara Mori), un’eccentrica popstar, fino al marito Rigoberto (Fernando Bonilla), artista “moderno” e controverso.
Abbiamo avuto il piacere di incontrare Amat Escalante, che ci ha parlato dei fatti di cronaca che hanno ispirato il film, del suo legame con il cinema di Luis Buñuel e del potere manipolatorio che l’arte ricopre al giorno d’oggi.
Voglio iniziare questa conversazione chiedendoti del personaggio di Rigoberto, l’artista audiovisivo. Mi ha affascinato il suo lato grottesco…come è nato il personaggio? Ti identifichi in lui in qualche modo?
Credo. C’è una minima connessione con questo personaggio perché è un’artista. Non mi considero un’artista, ma come Rigoberto traggo ispirazione dalla realtà in cui vivo e cerco di raccontare gli aspetti spiacevoli del mio paese attraverso i miei film. Rigoberto usa e manipola la realtà intorno a sé e, tramite questo personaggio, volevo porre un importante quesito, ovvero quale significato può assumere l’arte in certe paesi, più nello specifico il Messico. Mi spiego meglio, purtroppo c’è una grande discrepanza e ingiustizia tra le classi sociali e spesso, la gente sfrutta questa situazione per trarne beneficio. Lo fa per la vittima? Questa si riconosce in questo tipo di arte? Sono questioni complesse, torbide e creano facilmente confusione. Però l’arte è sempre stata così se ci pensi. Ad esempio, Dostoevskij scriveva e raccontava delle tragedie e immagino che alcune di queste le abbia vissute in prima persona. Ha tratto ispirazione dalla sua esistenza e ha creato dei grandi romanzi. Non direi che Rigoberto fa della “grande” arte (il regista ride, n.d.r.), ma è un simbolo, anzi una persona che potrei vedere in giro in Messico, come in ogni altro paese immagino.
All’apparenza lui e la figliastra sembrano completamente diversi, ma in qualche modo entrambi sono affascinati dalla morte, ma non l’hanno mai “vissuta” in prima persona.
Esatto, sono affascinati dalla morte e si sentono a loro agio con questa perché non l’hanno mai “vissuta” da vicino. Questo parallelismo tra i personaggi mi ha permesso di creare uno scontro caratteriale all’interno del film. Loro non vanno d’accordo, probabilmente perché sono simili, creano “arte” tramite questo aspetto mortale. Monica lo fa cercando di suicidarsi continuamente durante le varie live per i social media, mentre Rigoberto va oltre e sfrutta la realtà che vede. L’utilizzo di immagini e video da parte di entrambi permette loro di creare una connessione diretta con il proprio pubblico.
Si può creare arte senza la manipolazione?
La cosa bella di creare arte è che spesso non hai limiti, puoi fare di tutto, ma allo stesso tempo è pericoloso e potrebbe fare del male. Ma come dice il personaggio nel film, l’arte serve anche come terapia, non solo per la persona che la fa, ma anche per altre persone. Per questo siamo qui a vedere film, non lo facciamo per forza per scopi terapeutici, ma perché ci porta gioia e ci fa stare assieme. L’arte ci ispira, che sia un quadro, o un film. È qualcosa di inspiegabile, ma è una cosa bellissima.
Gioia non è il primo termine che mi viene in mente quando guardo i tuoi film.
No, forse se li vedi in modo freddo e distaccato (il regista ride, n.d.r.). Prendi ad esempio Irréversible (2002) di Gaspar Noé, ho visto quel film tante volte. Non direi che mi ha portato “gioia” durante la visione, ma provavo una sensazione simile perché mi sentivo ispirato da ciò che vedevo. Ovviamente, non credo che la gente compirebbe le azioni che vede nel film, ma c’è una certa bellezza nel vedere certe situazioni attraverso l’arte. Ma allo stesso tempo, la concezione dell’arte è cambiata nel corso degli anni e, sempre parlando di Irréversible, quel film avrebbe un’accoglienza diversa oggi, bisogna stare più “attenti” e nascondere certe cose… il che è un po’ spiacevole per me.
Volevo chiederti del tuo rapporto con il cinema di Luis Buñuel, immagino ci sia qualcosa di più rispetto alla battuta presente nel film. Più che altro perché sei un cineasta messicano e Buñuel è arrivato nel tuo paese e ne ha “approfittato” per fare arte.
Los Olvidados (1950) immagino sia stato criticato parzialmente per quella ragione. Non sono uno storico del cinema, ma so che una delle maggiori critiche è stata proprio lo sfruttamento della miseria di questi giovani ragazzi di strada. In Perdidos en la Noche il cane si chiama Buñuel, ma ha un significato che va oltre al cineasta. Se hai visto Heli (2013), l’ho dedicato parzialmente a “Buñuel”: era il mio cane ed è morto mentre stavo lavorando al film. Può sembrare una battuta perché nessuno sa questa cosa, e mi piaceva il fatto che Rigoberto chiamasse il suo cane Buñuel. Però, ripeto, non sto paragonando me stesso al personaggio.
Sia tu che Buñuel però avete fatto film che spesso ritraggono la società in maniera satirica, e in modo piuttosto crudele.
Buñuel è stato importante per la mia carriera da cineasta. Soprattutto Belle de Jour (1967), c’è questo mistero, che non è legato al crimine, ma alla vita, al sesso e a come ci si fa del male a vicenda. Quello che ammiro è il modo “semplice” in cui rappresenta questioni complesse. Anche Los Olvidados è stata una grande ispirazione per me. Il mio primo cortometraggio (Amarrados, 2002 n.d.r) e il mio primo lungometraggio (Sangre, 2005, n.d.r.) prendono spunto proprio da quest’opera. Anche i suoi documentari mi hanno ispirato, in Las Hurdes (1933) c’è uno humour reale ed “umano”. Buñuel filma situazioni tragiche, ma c’è una certa verità in quello che si vede. E questa verità io la interpreto come un mix tra tragedia e humor. Non definirei i miei film delle commedie, ma c’è una certa ironia e ridicolezza. Voglio riflettere la vita reale, ed essa è ridicola a tratti. Secondo me, togliere l’aspetto tragicomico dalla propria vita, è come non viverla. Spesso lo humor serve proprio per bilanciare l’aspetto “reale” del film.
Ho avuto questa sensazione soprattutto con il personaggio di Carmen, mi ha dato un’impressione da “telenovela”, era un aspetto voluto nel film?
Inconsciamente, c’è qualcosa di vero in quello che dici, più che altro perché Barbara Mori è un’attrice che ha lavorato in diverse soap opera. Anche Ester Expósito, lei è molto attiva sui social media e sapeva cosa fare con il suo personaggio. Più o meno, è questo il modo in cui lavoro con i non attori. Cerco di scegliere persone che si avvicinano il più possibile alla realtà dei miei personaggi. Per quanto riguarda l’aspetto telenovela, non era il mio obiettivo principale. Mi sono ispirato a film noir degli anni ‘50/‘60, uno in particolare, Wild River (1960) di Elia Kazan…mi ha colpito il suo mix tra non attori e star hollywoodiane e l’utilizzo dell'ambiente circostante. Ho cercato di fare questo in Perdidos en la noche, ma in maniera differente rispetto alle mie opere passate. Juan Daniel Garcia Treviño è ancora giovane, ma ha già avuto dei buoni ruoli. Lui proviene da un’area rurale che lo ha “marchiato” e ha condizionato il modo in cui vede le cose e come le vive.
Puoi dirmi qualcosa di più su di lui?
Lui era il protagonista di Ya no estoy aqui (2021) ed è stato “scoperto” in uno dei quartieri più disagiati del Messico. Ma non si è mai trasferito definitivamente, vive la sua vita tra il suo quartiere natio, Monterrey e Mexico City. In queste due città si svolgono le maggiori attività cinematografiche del paese e Juan Daniel sta diventando piuttosto richiesto. Qualche mese fa suo padre è stato ucciso per via di alcune “situazioni”… questo per farti capire che non ha vissuto una realtà facile nella sua vita. Potrei fare un altro esempio con Los Bastardos (2008), volevo degli interpreti che avessero davvero vissuto la realtà del confine tra Stati Uniti e Messico. Queste persone riescono ad aggiungere qualcosa ai loro personaggi, però… questo è quello che fa anche Rigoberto (il regista ride, n.d.r.). A parte gli scherzi, a volte mi sento impaurito ad affrontare tali situazioni, ma nello stesso tempo credo sia onesto volerle esplorare, mi sento ispirato da quello che succede intorno a me.
Immagino che anche Dostoevskij ti ha ispirato, vista la citazione iniziale.
Non proprio, a dire il vero. Di solito faccio delle lunghe passeggiate e porto con me un piccolo quaderno dove prendo nota di alcune idee per film o sceneggiature. Durante la pandemia ho scritto Perdidos en la Noche e, durante queste passeggiate, di solito ascoltavo degli audiolibri di Dostoevskij, mentre la sera leggevo le sue opere. È stata un’esperienza gratificante e, inconsciamente, sí, mi ha ispirato. Ma non c’è nulla di particolare legato ai personaggi, forse il sentimento di colpevolezza e la moralità alla base della storia. Per quanto riguarda la citazione iniziale, ho deciso di inserirla dopo aver scritto la sceneggiatura, più che altro perché c’era questo collegamento con la morte nel personaggio di Monica.
Puoi dirmi qualcosa in più sul contesto sociale del film? All’inizio vediamo questa manifestazione contro i minatori e mi chiedevo se questo aspetto fosse tratto da un fatto di cronaca o altro.
È qualcosa che succede spesso in Messico. Le industrie minerarie straniere sono sempre state presenti, ma la legge sta cambiando per limitarne l’ingresso. È una situazione spiacevole perché diverse attiviste sono “scomparse” per via di queste faccende. Di solito funziona così, un’industria mineraria arriva in una zona perché vuole iniziare dei lavori, gli attivisti protestano e le industrie vanno via… dopo poco tempo queste persone “scompaiono” e un’industria con un nome diverso, ma che è collegata con la precedente, arriva nella stessa zona e inizia i lavori. In un paese come il Messico queste situazioni accadono spesso e ciò ti permette di avere una nuova prospettiva sulla tua vita. Nel film, non è l’industria mineraria a fare del “male” ad Emiliano, c’è qualcosa in più che ovviamente non spoilererò.
La scena della masturbazione nel film ha lasciato spiazzate diverse persone. È una scena esplicita e il modo in cui hai ripreso i genitali dei due personaggi è piuttosto particolare. Puoi approfondire questa scena?
Diciamo che, per come lavoro io, mi piace mostrare quello che non si può mostrare o a cui non siamo abituati. Ma allo stesso tempo, non credo ci sia nulla di così particolare, è una scena tenera direi (il regista ride, n.d.r.). Mi è piaciuto riprenderla in questo modo più che altro perché non credo di avere mai visto una cosa simile, nemmeno in un porno. Gli attori erano a proprio agio sul set e… ho deciso di inquadrare solo la parte centrale del finto membro di Emiliano che per quella scena indossava una protesi (il regista ride, n.d.r.).
Probabilmente avrai visto Manto de gemas (2022) e ho letto che la regista Natalia Lopez, per preparare il film, ha parlato con persone che sono sopravvissute ai rapimenti in Messico. Quale è stato il tuo processo di “ricerca” per il film?
Come prima cosa, ho contatto Daniela Rea, una giornalista messicana che ha anche lavorato nella produzione di alcuni documentari. Proviene da Irapuato, uno dei distretti più pericolosi del Messico. Pericoloso forse non è l’aggettivo giusto… è comunque un posto dove avvengono molte cose spiacevoli. Lei lavora anche con il gruppo di ricerca di queste persone “scomparse”. L’ho incontrata, abbiamo parlato del film e le ho fatto leggere la sceneggiatura, avere il suo feedback era piuttosto importante. Ha anche partecipato alla scena del rapimento di Paloma all’inizio del film. Daniela è una scrittrice incredibile, ha investigato su faccende molto scomode e posso dirti che questi eventi l’hanno condizionata. Sono stato molto attento a chiederle informazioni, più che altro perché non è una macchina che può rispondere subito, aveva bisogno di ragionare con calma su certi ricordi e dettagli. Non mi interessava però mostrare le ricerche delle persone scomparse a livello visivo. Nel senso, di solito si utilizzano delle sonde metalliche che vengono impiantate nel terreno, e se quando vengono estratte hanno un certo odore di “carcassa”, si può iniziare a scavare. Qualcuno probabilmente criticherà il fatto che non abbia approfondito questo aspetto. Perdidos en la noche cita questa problematica, ma non la esplora nel dettaglio. Poi non sono un regista di Hollywood ad esempio, non vado di certo in queste zone con la security o altro.
Ti sei mai sentito in pericolo in queste situazioni?
Abbastanza… (il regista ride, n.d.r.), prima della presentazione a Cannes, ho trascorso un paio di mesi in Europa a completare il film e ti dico, passeggiare alle due/tre di notte ad Amsterdam e non sentirsi preoccupato per quello che potrebbe succedere è stato piuttosto rilassante.
Cosa ti aspetti dall’accoglienza del film in Messico?
Di solito i miei film sono difficili da trovare, soprattutto in Messico. A volte devo inviare dei link alle persone per farglieli vedere…
Non vengono distribuiti in Messico?
Si, ma in poche sale e per poco tempo. Le copie dvd in circolazione sono poche. Spesso vengono presi da servizi streaming per un anno. MUBI di recente aveva messo in catalogo Heli, Los Bastardos e Sangre. Poi c’è anche il problema di come ormai la gente vede i film, non consiglierei a nessuno di comprare La región salvaje (2016) su ITunes Messico, è una situazione piuttosto triste per me. Vorrei che i miei film fossero disponibili gratuitamente e spero sia possibile con Perdidos en la noche.