TR-77
08.04.2023
Il 24 Gennaio del 2012, ci lasciava Theo Angelopoulos. A undici anni dalla sua scomparsa se ne parla davvero poco, se non in specifici ambiti, per esempio il Balkan Film Festival che gli ha voluto dedicare un omaggio con una proiezione del film Lo Sguardo di Ulisse presentato da Amedeo Pagani, produttore di diverse opere del cineasta greco. Gran parte dei suoi film sono privi di un restauro recente; eppure si tratta di uno dei maggiori esponenti di quello che alcuni teorici descriverebbero come “cinema di poesia”, riprendendo le parole di Pasolini. È anche un regista che ha vinto la Palma d’Oro, e che ha avuto modo di lavorare con attori famosissimi: Marcello Mastroianni, Omero Antonutti, Harvey Keitel, Erland Josephson (uno degli attori preferiti di Ingmar Bergman), Bruno Ganz, Willem Dafoe, Irene Jacob e Toni Servillo (nel suo ultimo film rimasto incompiuto). In altre parole: un assoluto maestro del cinema che va ricordato attraverso i suoi film.
La filmografia di Angelopoulos è in gran parte strutturata a trilogie. In seguito al suo primo lungometraggio, Ricostruzione di un delitto, la prima è la “trilogia della Storia”, composta da I giorni del ‘36 (1972), La recita (1975) e I cacciatori (1977). In questo primo gruppo di pellicole il regista racconta alcuni eventi della storia greca recente, non senza operare scelte ideologiche, aderendo al marxismo in contrapposizione al regime di estrema destra - la dittatura dei Colonnelli - che in quegli anni governava il paese. È la fase più radicata al mondo materiale e fisico. Segue la “trilogia del silenzio”, composta da Viaggio a Citera (1984), Il volo (1986) e Paesaggio nella nebbia (1988). Dal nome, si potrebbe immediatamente pensare a un regista spesso accostato ad Angelopoulos, Michelangelo Antonioni e la sua trilogia dell’incomunicabilità, ed effettivamente il confronto regge. Le situazioni raccontate in questi tre film sono di incomprensioni e diffidenze dettate dalla difficoltà della comunicazione. Complice è l’inizio del sodalizio con Tonino Guerra, già sceneggiatore della trilogia antonioniana.
In Angelopoulos il silenzio si lega al viaggio e all’esilio che diventano temi sempre più presenti nella sua filmografia, nonché ai primi accenni sul tema delle migrazioni che caratterizza la trilogia successiva, la “trilogia delle frontiere”: Il passo sospeso della cicogna (1991), Lo sguardo di Ulisse (1995) e L’eternità e un giorno (1998). Curiosamente è qui che si scatenano le polemiche più violente nella sua carriera, quando un sacerdote ortodosso della città in cui è stato girato Il passo sospeso della cicogna, Florina, scomunica il regista e Marcello Mastroianni, che interpreta il protagonista. Si tratta della fase più individuale e metafisica del cinema di Angelopoulos, per alcuni anche il suo acme. Seguono i due capitoli dell’ultima “trilogia”, incompiuta, a noi pervenuti: La sorgente del fiume (2004) e La polvere del tempo (2008), che trattano della storia greca moderna, e nei quali si torna a una narrazione più collettiva. L’ultimo film, L’altro mare, purtroppo è stato girato solo parzialmente. Pagani ha raccontato che in seguito alla morte del regista è riuscito a convincere Wim Wenders a completare l’opera, ma per conflitti di interessi della famiglia del regista defunto non si è potuto procedere con il lavoro.
La scelta di ricorrere a trilogie di opere slegate può essere un rimando alla tragedia classica, che spesso operava per raggruppamenti di drammi teatrali. Bisogna sottolineare che le evoluzioni di Angelopoulos non sono a compartimenti stagni: Paesaggio nella nebbia ha un tema e approccio molto simili a Il passo sospeso della cicogna, per esempio. Inoltre, non vi è alcun nesso narrativo interno nelle prime trilogie, mentre la trilogia finale presenta una certa coerenza narrativa, dettata sia dagli eventi storici concatenati che dal personaggio di Eleni, protagonista de La sorgente del fiume e madre del protagonista de La polvere del tempo.
Spesso tendiamo a descrivere la Grecia come la “culla” della cultura europea, un luogo originario che ha plasmato la mentalità occidentale. È interessante che tutte le opere di Angelopoulos siano ambientate in un periodo successivo al 1870 e non tocchino mai l’epoca della Grecia Antica, se non attraverso allusioni. Anche la trilogia finale, che cerca di ricostruire la storia della Grecia, si sofferma nello specifico sulla Grecia moderna, iniziando il suo racconto nel 1919 e apparentemente ignorando un legame storico diretto con l’antichità. Angelopoulos si è chiaramente distinto molto dai nazionalismi, e questa scelta ne è una conseguenza evidente: spesso i regimi ricercano nel passato una validazione, un ideale propagandistico da sfruttare, mentre lui li critica fortemente e si identifica con una posizione marxista che disdegna questa forma di patriottismo.
Ciò nonostante, nel suo cinema si riscontrano molti temi o allusioni più o meno velate al mondo antico: esaminando il caso de Lo sguardo di Ulisse, il titolo compie un parallelo tra l’epica omerica, lontanissima e considerata l’origine della letteratura mondiale – ma anche greca – e le pellicole dei fratelli Manaki che il protagonista cerca di ritrovare, anch’essi portatori di un mito delle origini – quello del cinema greco e balcanico. Così come l’autore originale dell’Odissea e dell’Iliade è quasi certamente una tradizione orale molteplice, che è stata riscoperta solo nel secolo scorso, anche le pellicole devono essere riscoperte, sviluppate. A ciò si aggiunge anche una certa identificazione tra il viaggio del protagonista, incerto e confuso, e quello di Odisseo. Infine, altro eclatante richiamo al mondo antico è contenuto proprio nel primo filmato dei Manaki, che mostra alcune tessitrici. Difficile non pensare alle Moire della mitologia greca, le figure sovrannaturali spesso rappresentate mentre tessono il destino, il Fato dei mortali.
Allo stesso modo, è possibile rintracciare riferimenti alla cultura dell’antica Grecia in quasi tutte le opere di Angelopoulos: in La recita si scorgono similitudini con l’Orestea di Eschilo, in Ricostruzione di un delitto è difficile non pensare a un rovesciamento del ritorno di Odisseo, in Alessandro il Grande c’è una semi-identificazione del protagonista con la figura di Alessandro Magno. Nel suo caso, quindi, il legame di tipo tematico-culturale con l’antichità non si traduce in un nesso politico-nazionalistico.
Bisogna sottolineare, a questo proposito, che in Angelopoulos l’analisi della questione storiografica subisce un’evoluzione. Nella trilogia della Storia si ripercorrono varie fasi di contrapposizione ideologico-politica che caratterizzano il Novecento, e Angelopoulos nei film degli inizi si schiera in aperta critica contro le posizioni di estrema destra, e di conseguenza in favore di posizioni marxiste. Questo schieramento politico è esplicitato in varie scene o scelte narrative: le barche con le vele rosse de I Cacciatori hanno una funzione elogiativa, mentre Alessandro il Grande reinterpreta i delitti di Dilesi in funzione della lotta di classe. Nella trilogia incompiuta invece, la Storia della Grecia moderna è appunto la storia di un popolo, non connotato in termini strettamente ideologici: è una storia popolare, del ceto basso, slegato dai confini geopolitici della Grecia: La polvere del tempo si svolge in vari paesi eurasiatici e si conclude con un’inquadratura ambientata a Berlino. Si assiste quindi a una de-politicizzazione del materiale storico, una parabola complementare e opposta all’accrescimento dell’elemento metafisico-simbolico: ne è un esempio è una scena de La sorgente del Fiume, nella quale le vele nere sono un’immagine simile a quella de I Cacciatori ma dal significato profondamente diverso, poiché indicano il lutto per la distruzione del villaggio.
Pur essendoci, nelle prime opere di Angelopoulos, un’affinità con il marxismo, nella contrapposizione ideologica si può cogliere anche un discorso meta-storiografico. Una scena de I cacciatori è emblematica in questo senso. Un gruppo di persone legate ad ambienti di estrema destra intona con prepotenza e arroganza un canto nazionalista. A questo si contrappone un canto popolare più mite e dolce, connotato come autentico, proveniente dalle barche con le vele rosse già menzionate. I due canti rappresentano le due storiografie contrapposte, quella nazionalista che vede la Storia Greca come la storia politica della nazione, e quella più affine alle idee marxiste, che identifica una storia popolare segnata dalle oppressioni di un ceto basso, ma ritenuta più autentica.
Del magnum opus di Angelopoulos, l’unico film a trattare direttamente di una storia contemporanea è di nuovo Lo sguardo di Ulisse, che inscena la guerra in Bosnia degli anni ‘90 in modo diretto, concludendosi tra le macerie di Sarajevo. Si tratta, insieme ad Underground di Kusturica e Prima della pioggia di Milcho Manchevski, di uno dei film più importanti usciti in contemporanea agli eventi storici descritti.
Se spesso si identifica in Andrej Tarkovskij il cineasta-poeta per eccellenza, anche Theo Angelopoulos potrebbe benissimo rientrare in questo archetipo. Ci sono molte somiglianze, per esempio la predilezione per paesaggi avvolti nella nebbia o l’uso del piano sequenza, una ricerca sul tempo cinematografico – addirittura un collaboratore stretto in comune, Tonino Guerra, che co-sceneggiò Nostalghia con Tarkovskij e che partecipò alla stesura di tutti i film di Angelopoulos da Il volo in poi. Pur essendoci vari elementi di contatto, al confronto si notano subito le voci distinte e separate dei due autori. Angelopoulos usa i silenzi in modo diverso, senza la persistenza della poesia orale nel voice over come fa Tarkovskij; il suo modo di avvicinarsi all’interiorità dei personaggi non prevede anche un avvicinamento della macchina da presa – o, perlomeno, non tanto quanto in Tarkovskij. Angelopoulos si giostra con più equilibrio tra storie individuali (Il volo, Lo sguardo di Ulisse) e collettive (La recita, La sorgente del fiume).
La spiritualità e la metafisica aumentano progressivamente in Angelopoulos. Dapprima molto radicato nel verosimile, nella rappresentazione filmica di una realtà quanto più concreta, a partire da Paesaggio nella nebbia e soprattutto nelle opere più tarde come L’eternità e un giorno si assiste a scene che visualizzano pensieri, ricordi o eventi immaginati. La metafisica di Angelopoulos si lega molto anche al discorso sul tempo compiuto nella sua filmografia.
Molto può essere detto sulla musica, massicciamente presente in forma intradiegetica, attraverso le esecuzioni dei protagonisti o in varie scene di ballo. Il canto intradiegetico ha anche una valenza ideologica nella trilogia della Storia, soprattutto ne I cacciatori, mentre a livello extradiegetico ha una valenza lirica, sentimentale. Per quanto riguarda la colonna sonora, ad Angelopoulos si associa in particolare la figura di Eleni Karaindrou, che recentemente ha collaborato con Terrence Malick per il suo attesissimo film sulla figura di Gesù Cristo (interpretato da Géza Röhrig), ancora in post-produzione, a sottolineare l’eredità che Angelopoulos lascia ancora oggi nel cinema di poesia.
Non è possibile scindere il cinema di Angelopoulos da una riflessione sullo scorrere del tempo. Certo, lo si può intuire già dal titolo del suo ultimo film, ma il trascorrere del tempo gioca un ruolo a dir poco centrale nella poetica del cineasta. Come molti autori, anch’egli ha utilizzato il piano sequenza, seppure in modo diverso, sfruttando maggiormente composizioni corali di masse di persone o preferendo comunque il campo lungo. Si crea un effetto particolare per cui, a un’introspezione persistente, si accosta una distanza fisica della macchina da presa, senza però che si crei un effetto di straniamento o di estraniazione: è difficile non commuoversi per le vicende di Alexandros in L’eternità e un giorno o di Spiros ne Il volo. Come pochi altri, Angelopoulos ha spesso sfruttato il mezzo per creare scene in cui si fondono tempi diversi, non necessariamente sotto forma di un sommario ma piuttosto di una reminiscenza onirica. È ciò che accade in Lo sguardo di Ulisse, quando il protagonista rivive episodi della propria infanzia, o anche in L’eternità e un giorno. O ancora, la sospensione del tempo nella scena di Paesaggio nella nebbia, in cui la caduta della neve sembra immobilizzare tutti. Angelopoulos ha inserito la metafisica in modo graduale nelle sue opere, ragion per cui scene di questo genere sono più comuni nei suoi lavori più “tardi”, mentre l’uso di piani sequenza è quasi continuo, fin dai primi lungometraggi.
Sono vari i fili rossi che collegano la filmografia di Angelopoulos, ma un topos che ritorna sempre è il tema del viaggio. Già in Ricostruzione di un delitto troviamo un viaggio di ritorno, un ritorno inatteso e indesiderato; una situazione, questa, che si ripresenta anche in Viaggio a Citera.
Nelle prime opere comunque si riscontra una certa staticità: in I giorni del ‘36, per esempio, l’azione ruota interamente attorno a una caserma. Con La recita si susseguono, scena dopo scena, luoghi diversi (ed epoche diverse): il viaggio non è più un elemento di contesto ma è la narrazione stessa. Anche se vi sono eccezioni, la maggior parte dei successivi lavori del regista greco sono itineranti: in Alessandro il Grande, la prima metà del film presenta un viaggio silenzioso; Il volo segue gli spostamenti di Spiros (Marcello Mastroianni); Paesaggio nella nebbia racconta il percorso di un fratello e una sorella, fuggiti di casa in cerca del padre emigrato in Germania; Lo sguardo di Ulisse è una vera e propria Odissea attraverso i Balcani divisi dalla guerra; anche in L’eternità e un giorno ritroviamo un protagonista errante, che accompagna un bambino albanese rimasto solo.
Il viaggio in Angelopoulos spesso appare senza una meta, con una destinazione irraggiungibile, fine a sé stesso, una sorta di vagabondaggio che non porta a una conclusione soddisfacente – se non un esito in una realtà “metafisica”. Anche in film in cui l’azione si svolge in un unico luogo, o attorno a un territorio specifico, come in Il passo sospeso della cicogna, vi è un continuo spostamento in ordine sparso tra vari luoghi: il valico del confine, la sponda del fiume, la città.
Anche nella trilogia incompiuta il viaggio ha un ruolo centrale: si pensi alla storia di migrazione raccontata ne La polvere del tempo. Migrazione e viaggio si fondono e confondono: nel già citato Il passo sospeso della cicogna si racconta la difficoltà della migrazione legata alla chiusura dei confini nazionali, in La recita i protagonisti emigrano continuamente, in fuga dalla guerra, Viaggio a Citera è il ritorno in patria di un profugo, in L’eternità e un giorno il bambino che accompagna il protagonista è un emigrato albanese. Angelopoulos è sensibile alla questione ancora oggi modernissima della migrazione e dell’accoglienza, e spesso critica attraverso le sue opere le politiche di repressione e di chiusura dei confini. Anche l’ultimo film incompiuto si sarebbe incentrato su questo argomento. I viaggi in Angelopoulos sono solitamente una necessità, provocati da difficoltà o eventi esterni, più che dettati da una scelta del protagonista. Nondimeno, il viaggio è anche un percorso introspettivo, specialmente nel caso di opere che si soffermano su un unico protagonista, come Lo sguardo di Ulisse o Il volo.
Oggi, reperire i film di Angelopoulos non è facile, pur essendo stati insigniti di numerosi premi internazionali, tra cui la Palma d’Oro per L’eternità e un giorno. Essendo molti degli ultimi film co-produzioni italiane e RAI, alcune opere sono reperibili su alcuni servizi streaming. Rai Play tende ad avere a rotazione almeno un lungometraggio di Angelopoulos – in versione doppiata. Infinity offre Paesaggio nella nebbia e Il passo sospeso della cicogna, mentre alcuni altri titoli sono raggiungibili su Prime Video, come La sorgente del fiume. Il problema, con ognuno di questi servizi, resta il medesimo: la qualità dei transfer è spesso di definizione molto bassa, anche per i film più recenti. Negli ultimi anni si è parlato del restauro di La recita in 4K: si tratterebbe del primo restauro ad altissima definizione di un’opera di Angelopoulos, su iniziativa della Hellenic Film Society nell’ambito di “Motherland I see you”. Il suo è un cinema ad alto impatto visivo, e necessiterebbe di un maggiore lavoro di restauro e di riscoperta. Ad ogni modo, continua a essere presente in retrospettive di festival cinematografici: nel 2021 Lo sguardo di Ulisse fu riproposto al Trieste Film Festival, mentre lo scorso novembre 2022 è stata la volta del Balkan Film Festival.
Ad oggi Angelopoulos lascia un’eredità incerta. Al contrario di altri cineasti della sua generazione, la sua fama nella memoria cinefila è purtroppo minore. Non per questo va considerato come un regista minore, ma piuttosto come uno dei massimi autori degli anni ‘80-’90, pur essendo ampiamente dimenticato. La speranza è che in futuro avvenga una riscoperta, magari attraverso l’iniziativa di enti e aziende specializzate nella pubblicazione di opere semi-sconosciute come la Criterion.
TR-77
08.04.2023
Il 24 Gennaio del 2012, ci lasciava Theo Angelopoulos. A undici anni dalla sua scomparsa se ne parla davvero poco, se non in specifici ambiti, per esempio il Balkan Film Festival che gli ha voluto dedicare un omaggio con una proiezione del film Lo Sguardo di Ulisse presentato da Amedeo Pagani, produttore di diverse opere del cineasta greco. Gran parte dei suoi film sono privi di un restauro recente; eppure si tratta di uno dei maggiori esponenti di quello che alcuni teorici descriverebbero come “cinema di poesia”, riprendendo le parole di Pasolini. È anche un regista che ha vinto la Palma d’Oro, e che ha avuto modo di lavorare con attori famosissimi: Marcello Mastroianni, Omero Antonutti, Harvey Keitel, Erland Josephson (uno degli attori preferiti di Ingmar Bergman), Bruno Ganz, Willem Dafoe, Irene Jacob e Toni Servillo (nel suo ultimo film rimasto incompiuto). In altre parole: un assoluto maestro del cinema che va ricordato attraverso i suoi film.
La filmografia di Angelopoulos è in gran parte strutturata a trilogie. In seguito al suo primo lungometraggio, Ricostruzione di un delitto, la prima è la “trilogia della Storia”, composta da I giorni del ‘36 (1972), La recita (1975) e I cacciatori (1977). In questo primo gruppo di pellicole il regista racconta alcuni eventi della storia greca recente, non senza operare scelte ideologiche, aderendo al marxismo in contrapposizione al regime di estrema destra - la dittatura dei Colonnelli - che in quegli anni governava il paese. È la fase più radicata al mondo materiale e fisico. Segue la “trilogia del silenzio”, composta da Viaggio a Citera (1984), Il volo (1986) e Paesaggio nella nebbia (1988). Dal nome, si potrebbe immediatamente pensare a un regista spesso accostato ad Angelopoulos, Michelangelo Antonioni e la sua trilogia dell’incomunicabilità, ed effettivamente il confronto regge. Le situazioni raccontate in questi tre film sono di incomprensioni e diffidenze dettate dalla difficoltà della comunicazione. Complice è l’inizio del sodalizio con Tonino Guerra, già sceneggiatore della trilogia antonioniana.
In Angelopoulos il silenzio si lega al viaggio e all’esilio che diventano temi sempre più presenti nella sua filmografia, nonché ai primi accenni sul tema delle migrazioni che caratterizza la trilogia successiva, la “trilogia delle frontiere”: Il passo sospeso della cicogna (1991), Lo sguardo di Ulisse (1995) e L’eternità e un giorno (1998). Curiosamente è qui che si scatenano le polemiche più violente nella sua carriera, quando un sacerdote ortodosso della città in cui è stato girato Il passo sospeso della cicogna, Florina, scomunica il regista e Marcello Mastroianni, che interpreta il protagonista. Si tratta della fase più individuale e metafisica del cinema di Angelopoulos, per alcuni anche il suo acme. Seguono i due capitoli dell’ultima “trilogia”, incompiuta, a noi pervenuti: La sorgente del fiume (2004) e La polvere del tempo (2008), che trattano della storia greca moderna, e nei quali si torna a una narrazione più collettiva. L’ultimo film, L’altro mare, purtroppo è stato girato solo parzialmente. Pagani ha raccontato che in seguito alla morte del regista è riuscito a convincere Wim Wenders a completare l’opera, ma per conflitti di interessi della famiglia del regista defunto non si è potuto procedere con il lavoro.
La scelta di ricorrere a trilogie di opere slegate può essere un rimando alla tragedia classica, che spesso operava per raggruppamenti di drammi teatrali. Bisogna sottolineare che le evoluzioni di Angelopoulos non sono a compartimenti stagni: Paesaggio nella nebbia ha un tema e approccio molto simili a Il passo sospeso della cicogna, per esempio. Inoltre, non vi è alcun nesso narrativo interno nelle prime trilogie, mentre la trilogia finale presenta una certa coerenza narrativa, dettata sia dagli eventi storici concatenati che dal personaggio di Eleni, protagonista de La sorgente del fiume e madre del protagonista de La polvere del tempo.
Spesso tendiamo a descrivere la Grecia come la “culla” della cultura europea, un luogo originario che ha plasmato la mentalità occidentale. È interessante che tutte le opere di Angelopoulos siano ambientate in un periodo successivo al 1870 e non tocchino mai l’epoca della Grecia Antica, se non attraverso allusioni. Anche la trilogia finale, che cerca di ricostruire la storia della Grecia, si sofferma nello specifico sulla Grecia moderna, iniziando il suo racconto nel 1919 e apparentemente ignorando un legame storico diretto con l’antichità. Angelopoulos si è chiaramente distinto molto dai nazionalismi, e questa scelta ne è una conseguenza evidente: spesso i regimi ricercano nel passato una validazione, un ideale propagandistico da sfruttare, mentre lui li critica fortemente e si identifica con una posizione marxista che disdegna questa forma di patriottismo.
Ciò nonostante, nel suo cinema si riscontrano molti temi o allusioni più o meno velate al mondo antico: esaminando il caso de Lo sguardo di Ulisse, il titolo compie un parallelo tra l’epica omerica, lontanissima e considerata l’origine della letteratura mondiale – ma anche greca – e le pellicole dei fratelli Manaki che il protagonista cerca di ritrovare, anch’essi portatori di un mito delle origini – quello del cinema greco e balcanico. Così come l’autore originale dell’Odissea e dell’Iliade è quasi certamente una tradizione orale molteplice, che è stata riscoperta solo nel secolo scorso, anche le pellicole devono essere riscoperte, sviluppate. A ciò si aggiunge anche una certa identificazione tra il viaggio del protagonista, incerto e confuso, e quello di Odisseo. Infine, altro eclatante richiamo al mondo antico è contenuto proprio nel primo filmato dei Manaki, che mostra alcune tessitrici. Difficile non pensare alle Moire della mitologia greca, le figure sovrannaturali spesso rappresentate mentre tessono il destino, il Fato dei mortali.
Allo stesso modo, è possibile rintracciare riferimenti alla cultura dell’antica Grecia in quasi tutte le opere di Angelopoulos: in La recita si scorgono similitudini con l’Orestea di Eschilo, in Ricostruzione di un delitto è difficile non pensare a un rovesciamento del ritorno di Odisseo, in Alessandro il Grande c’è una semi-identificazione del protagonista con la figura di Alessandro Magno. Nel suo caso, quindi, il legame di tipo tematico-culturale con l’antichità non si traduce in un nesso politico-nazionalistico.
Bisogna sottolineare, a questo proposito, che in Angelopoulos l’analisi della questione storiografica subisce un’evoluzione. Nella trilogia della Storia si ripercorrono varie fasi di contrapposizione ideologico-politica che caratterizzano il Novecento, e Angelopoulos nei film degli inizi si schiera in aperta critica contro le posizioni di estrema destra, e di conseguenza in favore di posizioni marxiste. Questo schieramento politico è esplicitato in varie scene o scelte narrative: le barche con le vele rosse de I Cacciatori hanno una funzione elogiativa, mentre Alessandro il Grande reinterpreta i delitti di Dilesi in funzione della lotta di classe. Nella trilogia incompiuta invece, la Storia della Grecia moderna è appunto la storia di un popolo, non connotato in termini strettamente ideologici: è una storia popolare, del ceto basso, slegato dai confini geopolitici della Grecia: La polvere del tempo si svolge in vari paesi eurasiatici e si conclude con un’inquadratura ambientata a Berlino. Si assiste quindi a una de-politicizzazione del materiale storico, una parabola complementare e opposta all’accrescimento dell’elemento metafisico-simbolico: ne è un esempio è una scena de La sorgente del Fiume, nella quale le vele nere sono un’immagine simile a quella de I Cacciatori ma dal significato profondamente diverso, poiché indicano il lutto per la distruzione del villaggio.
Pur essendoci, nelle prime opere di Angelopoulos, un’affinità con il marxismo, nella contrapposizione ideologica si può cogliere anche un discorso meta-storiografico. Una scena de I cacciatori è emblematica in questo senso. Un gruppo di persone legate ad ambienti di estrema destra intona con prepotenza e arroganza un canto nazionalista. A questo si contrappone un canto popolare più mite e dolce, connotato come autentico, proveniente dalle barche con le vele rosse già menzionate. I due canti rappresentano le due storiografie contrapposte, quella nazionalista che vede la Storia Greca come la storia politica della nazione, e quella più affine alle idee marxiste, che identifica una storia popolare segnata dalle oppressioni di un ceto basso, ma ritenuta più autentica.
Del magnum opus di Angelopoulos, l’unico film a trattare direttamente di una storia contemporanea è di nuovo Lo sguardo di Ulisse, che inscena la guerra in Bosnia degli anni ‘90 in modo diretto, concludendosi tra le macerie di Sarajevo. Si tratta, insieme ad Underground di Kusturica e Prima della pioggia di Milcho Manchevski, di uno dei film più importanti usciti in contemporanea agli eventi storici descritti.
Se spesso si identifica in Andrej Tarkovskij il cineasta-poeta per eccellenza, anche Theo Angelopoulos potrebbe benissimo rientrare in questo archetipo. Ci sono molte somiglianze, per esempio la predilezione per paesaggi avvolti nella nebbia o l’uso del piano sequenza, una ricerca sul tempo cinematografico – addirittura un collaboratore stretto in comune, Tonino Guerra, che co-sceneggiò Nostalghia con Tarkovskij e che partecipò alla stesura di tutti i film di Angelopoulos da Il volo in poi. Pur essendoci vari elementi di contatto, al confronto si notano subito le voci distinte e separate dei due autori. Angelopoulos usa i silenzi in modo diverso, senza la persistenza della poesia orale nel voice over come fa Tarkovskij; il suo modo di avvicinarsi all’interiorità dei personaggi non prevede anche un avvicinamento della macchina da presa – o, perlomeno, non tanto quanto in Tarkovskij. Angelopoulos si giostra con più equilibrio tra storie individuali (Il volo, Lo sguardo di Ulisse) e collettive (La recita, La sorgente del fiume).
La spiritualità e la metafisica aumentano progressivamente in Angelopoulos. Dapprima molto radicato nel verosimile, nella rappresentazione filmica di una realtà quanto più concreta, a partire da Paesaggio nella nebbia e soprattutto nelle opere più tarde come L’eternità e un giorno si assiste a scene che visualizzano pensieri, ricordi o eventi immaginati. La metafisica di Angelopoulos si lega molto anche al discorso sul tempo compiuto nella sua filmografia.
Molto può essere detto sulla musica, massicciamente presente in forma intradiegetica, attraverso le esecuzioni dei protagonisti o in varie scene di ballo. Il canto intradiegetico ha anche una valenza ideologica nella trilogia della Storia, soprattutto ne I cacciatori, mentre a livello extradiegetico ha una valenza lirica, sentimentale. Per quanto riguarda la colonna sonora, ad Angelopoulos si associa in particolare la figura di Eleni Karaindrou, che recentemente ha collaborato con Terrence Malick per il suo attesissimo film sulla figura di Gesù Cristo (interpretato da Géza Röhrig), ancora in post-produzione, a sottolineare l’eredità che Angelopoulos lascia ancora oggi nel cinema di poesia.
Non è possibile scindere il cinema di Angelopoulos da una riflessione sullo scorrere del tempo. Certo, lo si può intuire già dal titolo del suo ultimo film, ma il trascorrere del tempo gioca un ruolo a dir poco centrale nella poetica del cineasta. Come molti autori, anch’egli ha utilizzato il piano sequenza, seppure in modo diverso, sfruttando maggiormente composizioni corali di masse di persone o preferendo comunque il campo lungo. Si crea un effetto particolare per cui, a un’introspezione persistente, si accosta una distanza fisica della macchina da presa, senza però che si crei un effetto di straniamento o di estraniazione: è difficile non commuoversi per le vicende di Alexandros in L’eternità e un giorno o di Spiros ne Il volo. Come pochi altri, Angelopoulos ha spesso sfruttato il mezzo per creare scene in cui si fondono tempi diversi, non necessariamente sotto forma di un sommario ma piuttosto di una reminiscenza onirica. È ciò che accade in Lo sguardo di Ulisse, quando il protagonista rivive episodi della propria infanzia, o anche in L’eternità e un giorno. O ancora, la sospensione del tempo nella scena di Paesaggio nella nebbia, in cui la caduta della neve sembra immobilizzare tutti. Angelopoulos ha inserito la metafisica in modo graduale nelle sue opere, ragion per cui scene di questo genere sono più comuni nei suoi lavori più “tardi”, mentre l’uso di piani sequenza è quasi continuo, fin dai primi lungometraggi.
Sono vari i fili rossi che collegano la filmografia di Angelopoulos, ma un topos che ritorna sempre è il tema del viaggio. Già in Ricostruzione di un delitto troviamo un viaggio di ritorno, un ritorno inatteso e indesiderato; una situazione, questa, che si ripresenta anche in Viaggio a Citera.
Nelle prime opere comunque si riscontra una certa staticità: in I giorni del ‘36, per esempio, l’azione ruota interamente attorno a una caserma. Con La recita si susseguono, scena dopo scena, luoghi diversi (ed epoche diverse): il viaggio non è più un elemento di contesto ma è la narrazione stessa. Anche se vi sono eccezioni, la maggior parte dei successivi lavori del regista greco sono itineranti: in Alessandro il Grande, la prima metà del film presenta un viaggio silenzioso; Il volo segue gli spostamenti di Spiros (Marcello Mastroianni); Paesaggio nella nebbia racconta il percorso di un fratello e una sorella, fuggiti di casa in cerca del padre emigrato in Germania; Lo sguardo di Ulisse è una vera e propria Odissea attraverso i Balcani divisi dalla guerra; anche in L’eternità e un giorno ritroviamo un protagonista errante, che accompagna un bambino albanese rimasto solo.
Il viaggio in Angelopoulos spesso appare senza una meta, con una destinazione irraggiungibile, fine a sé stesso, una sorta di vagabondaggio che non porta a una conclusione soddisfacente – se non un esito in una realtà “metafisica”. Anche in film in cui l’azione si svolge in un unico luogo, o attorno a un territorio specifico, come in Il passo sospeso della cicogna, vi è un continuo spostamento in ordine sparso tra vari luoghi: il valico del confine, la sponda del fiume, la città.
Anche nella trilogia incompiuta il viaggio ha un ruolo centrale: si pensi alla storia di migrazione raccontata ne La polvere del tempo. Migrazione e viaggio si fondono e confondono: nel già citato Il passo sospeso della cicogna si racconta la difficoltà della migrazione legata alla chiusura dei confini nazionali, in La recita i protagonisti emigrano continuamente, in fuga dalla guerra, Viaggio a Citera è il ritorno in patria di un profugo, in L’eternità e un giorno il bambino che accompagna il protagonista è un emigrato albanese. Angelopoulos è sensibile alla questione ancora oggi modernissima della migrazione e dell’accoglienza, e spesso critica attraverso le sue opere le politiche di repressione e di chiusura dei confini. Anche l’ultimo film incompiuto si sarebbe incentrato su questo argomento. I viaggi in Angelopoulos sono solitamente una necessità, provocati da difficoltà o eventi esterni, più che dettati da una scelta del protagonista. Nondimeno, il viaggio è anche un percorso introspettivo, specialmente nel caso di opere che si soffermano su un unico protagonista, come Lo sguardo di Ulisse o Il volo.
Oggi, reperire i film di Angelopoulos non è facile, pur essendo stati insigniti di numerosi premi internazionali, tra cui la Palma d’Oro per L’eternità e un giorno. Essendo molti degli ultimi film co-produzioni italiane e RAI, alcune opere sono reperibili su alcuni servizi streaming. Rai Play tende ad avere a rotazione almeno un lungometraggio di Angelopoulos – in versione doppiata. Infinity offre Paesaggio nella nebbia e Il passo sospeso della cicogna, mentre alcuni altri titoli sono raggiungibili su Prime Video, come La sorgente del fiume. Il problema, con ognuno di questi servizi, resta il medesimo: la qualità dei transfer è spesso di definizione molto bassa, anche per i film più recenti. Negli ultimi anni si è parlato del restauro di La recita in 4K: si tratterebbe del primo restauro ad altissima definizione di un’opera di Angelopoulos, su iniziativa della Hellenic Film Society nell’ambito di “Motherland I see you”. Il suo è un cinema ad alto impatto visivo, e necessiterebbe di un maggiore lavoro di restauro e di riscoperta. Ad ogni modo, continua a essere presente in retrospettive di festival cinematografici: nel 2021 Lo sguardo di Ulisse fu riproposto al Trieste Film Festival, mentre lo scorso novembre 2022 è stata la volta del Balkan Film Festival.
Ad oggi Angelopoulos lascia un’eredità incerta. Al contrario di altri cineasti della sua generazione, la sua fama nella memoria cinefila è purtroppo minore. Non per questo va considerato come un regista minore, ma piuttosto come uno dei massimi autori degli anni ‘80-’90, pur essendo ampiamente dimenticato. La speranza è che in futuro avvenga una riscoperta, magari attraverso l’iniziativa di enti e aziende specializzate nella pubblicazione di opere semi-sconosciute come la Criterion.