INT-45
22.09.2023
Una peculiarità del Festival di Venezia di quest’anno è stata la presenza di ben quattro film che si focalizzano sulla figura dei vampiri. Pablo Larrain, con El Conde, ha certamente compiuto l’operazione più complessa, costruendo un’allegoria politica sulla controversa figura di Augusto Pinochet. Ariane Louise-seize, con Vampire humaniste cherche suicidaire consentant, e Céline Rouzet, con En attendant la nuit - due giovani registe al loro primo lungometraggio - hanno invece sfruttato il “vampiro” per realizzare due affascinanti coming of age.
En attendant la nuit racconta le vicende della famiglia Feral e più nello specifico del primogenito Philémon, vampiro sin dalla nascita. Questo fatto ha sempre causato dei problemi, soprattutto alla madre di Philémon, che lavora in centri di trasfusione e ruba di nascosto delle sacche di sangue per nutrire il figlio. Proprio per questo motivo, i Feral si vedono costretti a cambiare continuamente abitazione e ricominciare, ogni volta, una vita diversa. Arrivati in un nuovo quartiere, cercheranno di condurre un’esistenza tranquilla, ma nuovi problemi sorgeranno. L’opera di Rouzet è stata una delle sorprese più piacevoli della sezione Orizzonti, abbiamo apprezzato il modo in cui la regista rielabora situazioni e tematiche del genere teen, apportando una nuova prospettiva grazie all’inserimento della figura “gotica” del protagonista.
Al Festival di Venezia abbiamo avuto l’occasione di incontrare Cèline Rouzet che ci ha parlato del forte legame tra il film e la sua vita, dell’utilizzo della figura del vampiro e come ha saputo bilanciare i momenti più comici a quelli più drammatici.
Quest’anno al Festival di Venezia hanno mostrato ben quattro film sui vampiri, En Attendant la Nuit è uno di questi. Secondo te a cosa è dovuto questo revival?
Credo che il cinema di genere stia acquisendo più visibilità nei festival europei e che si possa sperimentare sempre più con figure gotiche o horror in diversi modi.
Come è andata la premiere del film?
È stata un’esperienza surreale e mi sono sentita fiera. Il pubblico era piuttosto coinvolto e vedere l’emozione nei loro occhi è stato speciale.
Quale è stato il punto di partenza di En Attendant la Nuit? Come mai hai deciso di utilizzare la figura del vampiro nel tuo film?
Ho preso ispirazione dalla mia famiglia e alcune vicende che mi hanno fatto soffrire, arrabbiare e capire cosa sia l’ingiustizia. Avevo bisogno di raccontare questa storia, più nello specifico quella di mio fratello… ma non sapevo come raccontarla. Un approccio troppo realistico non avrebbe funzionato per me, dovevo trovare una certa distanza tra la mia esperienza e la vicenda che volevo raccontare nel film. Poi un giorno mi sono svegliata e mi è venuta in mente l’idea di utilizzare la figura del vampiro. Il che è assurdo perché solo dopo un po’ di tempo mi sono ricordata che mio fratello, da piccolo, raccontava che dei vampiri andavano spesso a trovarlo e che gli parlavano. All’inizio aveva paura, ma pian piano ha iniziato a provare interesse. Siccome lui era nato “diverso”, trovava una connessione con queste fragili e incomprese creature. La loro condizione sembra invisibile all’inizio, come lo è la depressione o certe disabilità. Inoltre, il cinema di genere permette di esasperare alcune emozioni e allo stesso tempo pone una certa distanza dalla realtà.
Quale è il tuo rapporto con i film sui vampiri? C’è qualche opera in particolare che ti ha ispirato?
Ho guardato e amato molti film sui vampiri. Near Dark (1987) di Katherine Bigelow, Dracula (1992) di Francis Ford Coppola e in particolare Only Lovers Left Alive (2013) di Jim Jarmush. Volevo discostarmi leggermente da alcuni stereotipi legati al mondo dei vampiri, tipo l’aglio o i crocifissi. Quello che mi interessava era fare un film su un “mostro” incompreso, come The Elephant Man (1980) di David Lynch, Edward mani di forbice (1990) di Tim Burton e La mosca (1986) di David Cronenberg.
L’interpretazione centrale di Mathias Legoût Hammond mi ha convinto proprio per il modo in cui mostra la vulnerabilità di Philémon. Volevo chiederti se avevi visto tanti altri ragazzi prima di scegliere lui.
Abbiamo fatto audizioni ad un po’ di ragazzi, ma quando si è presentato Matthias, ho pensato che non volevo vedere nessun altro. L’attore protagonista doveva rispettare certi criteri, uno di questi era l’aspetto fisico. Il vampiro è anche una figura piuttosto “erotica” e cercavo un ragazzo con una presenza magnetica. Poi, come regista, mi sono stufata di vedere film o serie tv dove c’è sempre la bellissima ragazza che si innamora del ragazzo poco attraente. Bisogna essere un po’ realisti e credere, capire il perché di quell'attrazione. Avevo bisogno di un ragazzo con un aspetto ipnotico, carismatico, ma che allo stesso tempo avesse un lato misterioso dove nasconde una rabbia profonda. Matthias mi ha stupito anche nel modo in cui recitava le battute. Le pause che faceva e il modo in cui scandiva le parole era quello che avevo immaginato quando stavo scrivendo il ruolo.
Quando il film è stato annunciato ero piuttosto felice perché avevo letto che nel cast era presente Élodie Bouchez, attrice davvero sottovalutata, che nel tuo film regala una grande interpretazione. Era la prima scelta per il ruolo? Com'è stato lavorare con lei?
Si lo era. Quello che amo di Élodie è il modo in cui trasmette le emozioni, non la vedrai mai interpretare un ruolo in cui deve rimanere impassibile. La sua voce ha un qualcosa di fragile, quasi bambinesco, che nel film crea un contrasto affascinante con il carattere forte del suo ruolo. Avevo bisogno di questo per il personaggio di una madre pronta a rubare e mentire per proteggere il proprio figlio.
Credo sia raro trovare un rapporto genitore-figlio così “positivo” all’interno di un coming of age. Era così anche nella tua famiglia?
Si, c’era molto amore tra di noi, e soprattutto comprensione. Io e William Martin (co-sceneggiatore del film, n.d.r.) volevamo rappresentare la famiglia nel modo più “umano” possibile. Il che è strano, perché è una famiglia disfunzionale, ma ci sono amore e gioia nella loro vita caotica e disordinata. Volevo che il pubblico potesse provare empatia per ogni membro di essa.
Ho apprezzato anche l’interpretazione di Jean-Charles Clichet, soprattutto i tempi comici del suo personaggio.
Come per Èlodie, non ho fatto casting per il ruolo del padre. Prima di passare a Jean-Charles volevo aggiungere un’ultima cosa su Èlodie, quando le ho inviato la sceneggiatura, l’ha letta in meno di ventiquattro ore, ha visto qualcosa di speciale nel ruolo e ha accettato subito. Quello che mi piace di Jean-Charles è che quando lo vedi, ti da quella sensazione di sicurezza e fiducia. Credo che il pubblico riesca ad immedesimarsi e ad empatizzare maggiormente con il suo personaggio perché dall’esterno deve trasmettere questa sensazione di sicurezza, ma all’interno sta soffrendo e pian piano sgretolando. Inoltre, come hai detto tu, il suo comic timing è impeccabile, come nella scena del barbecue. Ci devono essere anche dei momenti più leggeri in questa triste famiglia. Anche la sorellina, cerca sempre di portare un po’ di umorismo in diverse situazioni.
Proprio questo aspetto mi è piaciuto nel tuo film. Di solito, in questo tipo di storie, i registi tendono a rappresentare solo il lato più tragico, ma tu hai trovato un certo equilibrio tra le scene più drammatiche e quelle più comiche.
Grazie, mi fa piacere che tu abbia apprezzato. Trovare un equilibrio tra le due parti è stato piuttosto difficile. Prendi ad esempio la scena dove la sorellina inizia a criticare i vicini di casa, è una sequenza semplice e divertente, ma che apporta umorismo e leggerezza alla storia.
Puoi dirmi qualcosa sull’uso della musica? Mi ha colpito molto l’utilizzo di certi brani.
Grazie. Le musiche sono state composte da Jean-Benoît Duncke, ex membro del duo Air. Lui e Nicholas Godin avevano composto anche la colonna sonora di Il giardino delle vergini suicide (1999) di Sofia Coppola. Amo quella colonna sonora ed è stata una fonte di ispirazione, volevo avere quella sensazione di romanticismo ma che allo stesso tempo diventa sempre più dark man mano che il film prosegue. C’è una continua evoluzione nella musica, come ad esempio nella ripetizione del tema iniziale verso la fine. Oppure prendi la scena dove la famiglia è in auto, la musica inizia come un brano da chiesa, ma si trasforma presto in qualcosa di più “infernale”. Come puoi notare, la musica ha avuto un ruolo fondamentale nella riuscita del film.
Quale è stata la difficoltà maggiore nella realizzazione di En attendant la nuit?
Ci sono state difficoltà e sfide ovunque. Dal montaggio alla gestione della giovane attrice, ma anche la breve durata concessa per le riprese. C’erano pochi soldi e abbiamo girato in sole cinque settimane. Inoltre avevamo bisogno del sole ogni giorno, la luce è ovvimente importante in questo caso. E poi la già citata scena dell’auto con la famiglia e i vicini. È stato piuttosto difficile gestire le comparse e decidere come posizionarle. Poi, per quella scena avevamo poco tempo e doveva essere girata di notte. Amo le sfide, ma ci è voluta tanta forza di volontà ed energia per continuare.
INT-45
22.09.2023
Una peculiarità del Festival di Venezia di quest’anno è stata la presenza di ben quattro film che si focalizzano sulla figura dei vampiri. Pablo Larrain, con El Conde, ha certamente compiuto l’operazione più complessa, costruendo un’allegoria politica sulla controversa figura di Augusto Pinochet. Ariane Louise-seize, con Vampire humaniste cherche suicidaire consentant, e Céline Rouzet, con En attendant la nuit - due giovani registe al loro primo lungometraggio - hanno invece sfruttato il “vampiro” per realizzare due affascinanti coming of age.
En attendant la nuit racconta le vicende della famiglia Feral e più nello specifico del primogenito Philémon, vampiro sin dalla nascita. Questo fatto ha sempre causato dei problemi, soprattutto alla madre di Philémon, che lavora in centri di trasfusione e ruba di nascosto delle sacche di sangue per nutrire il figlio. Proprio per questo motivo, i Feral si vedono costretti a cambiare continuamente abitazione e ricominciare, ogni volta, una vita diversa. Arrivati in un nuovo quartiere, cercheranno di condurre un’esistenza tranquilla, ma nuovi problemi sorgeranno. L’opera di Rouzet è stata una delle sorprese più piacevoli della sezione Orizzonti, abbiamo apprezzato il modo in cui la regista rielabora situazioni e tematiche del genere teen, apportando una nuova prospettiva grazie all’inserimento della figura “gotica” del protagonista.
Al Festival di Venezia abbiamo avuto l’occasione di incontrare Cèline Rouzet che ci ha parlato del forte legame tra il film e la sua vita, dell’utilizzo della figura del vampiro e come ha saputo bilanciare i momenti più comici a quelli più drammatici.
Quest’anno al Festival di Venezia hanno mostrato ben quattro film sui vampiri, En Attendant la Nuit è uno di questi. Secondo te a cosa è dovuto questo revival?
Credo che il cinema di genere stia acquisendo più visibilità nei festival europei e che si possa sperimentare sempre più con figure gotiche o horror in diversi modi.
Come è andata la premiere del film?
È stata un’esperienza surreale e mi sono sentita fiera. Il pubblico era piuttosto coinvolto e vedere l’emozione nei loro occhi è stato speciale.
Quale è stato il punto di partenza di En Attendant la Nuit? Come mai hai deciso di utilizzare la figura del vampiro nel tuo film?
Ho preso ispirazione dalla mia famiglia e alcune vicende che mi hanno fatto soffrire, arrabbiare e capire cosa sia l’ingiustizia. Avevo bisogno di raccontare questa storia, più nello specifico quella di mio fratello… ma non sapevo come raccontarla. Un approccio troppo realistico non avrebbe funzionato per me, dovevo trovare una certa distanza tra la mia esperienza e la vicenda che volevo raccontare nel film. Poi un giorno mi sono svegliata e mi è venuta in mente l’idea di utilizzare la figura del vampiro. Il che è assurdo perché solo dopo un po’ di tempo mi sono ricordata che mio fratello, da piccolo, raccontava che dei vampiri andavano spesso a trovarlo e che gli parlavano. All’inizio aveva paura, ma pian piano ha iniziato a provare interesse. Siccome lui era nato “diverso”, trovava una connessione con queste fragili e incomprese creature. La loro condizione sembra invisibile all’inizio, come lo è la depressione o certe disabilità. Inoltre, il cinema di genere permette di esasperare alcune emozioni e allo stesso tempo pone una certa distanza dalla realtà.
Quale è il tuo rapporto con i film sui vampiri? C’è qualche opera in particolare che ti ha ispirato?
Ho guardato e amato molti film sui vampiri. Near Dark (1987) di Katherine Bigelow, Dracula (1992) di Francis Ford Coppola e in particolare Only Lovers Left Alive (2013) di Jim Jarmush. Volevo discostarmi leggermente da alcuni stereotipi legati al mondo dei vampiri, tipo l’aglio o i crocifissi. Quello che mi interessava era fare un film su un “mostro” incompreso, come The Elephant Man (1980) di David Lynch, Edward mani di forbice (1990) di Tim Burton e La mosca (1986) di David Cronenberg.
L’interpretazione centrale di Mathias Legoût Hammond mi ha convinto proprio per il modo in cui mostra la vulnerabilità di Philémon. Volevo chiederti se avevi visto tanti altri ragazzi prima di scegliere lui.
Abbiamo fatto audizioni ad un po’ di ragazzi, ma quando si è presentato Matthias, ho pensato che non volevo vedere nessun altro. L’attore protagonista doveva rispettare certi criteri, uno di questi era l’aspetto fisico. Il vampiro è anche una figura piuttosto “erotica” e cercavo un ragazzo con una presenza magnetica. Poi, come regista, mi sono stufata di vedere film o serie tv dove c’è sempre la bellissima ragazza che si innamora del ragazzo poco attraente. Bisogna essere un po’ realisti e credere, capire il perché di quell'attrazione. Avevo bisogno di un ragazzo con un aspetto ipnotico, carismatico, ma che allo stesso tempo avesse un lato misterioso dove nasconde una rabbia profonda. Matthias mi ha stupito anche nel modo in cui recitava le battute. Le pause che faceva e il modo in cui scandiva le parole era quello che avevo immaginato quando stavo scrivendo il ruolo.
Quando il film è stato annunciato ero piuttosto felice perché avevo letto che nel cast era presente Élodie Bouchez, attrice davvero sottovalutata, che nel tuo film regala una grande interpretazione. Era la prima scelta per il ruolo? Com'è stato lavorare con lei?
Si lo era. Quello che amo di Élodie è il modo in cui trasmette le emozioni, non la vedrai mai interpretare un ruolo in cui deve rimanere impassibile. La sua voce ha un qualcosa di fragile, quasi bambinesco, che nel film crea un contrasto affascinante con il carattere forte del suo ruolo. Avevo bisogno di questo per il personaggio di una madre pronta a rubare e mentire per proteggere il proprio figlio.
Credo sia raro trovare un rapporto genitore-figlio così “positivo” all’interno di un coming of age. Era così anche nella tua famiglia?
Si, c’era molto amore tra di noi, e soprattutto comprensione. Io e William Martin (co-sceneggiatore del film, n.d.r.) volevamo rappresentare la famiglia nel modo più “umano” possibile. Il che è strano, perché è una famiglia disfunzionale, ma ci sono amore e gioia nella loro vita caotica e disordinata. Volevo che il pubblico potesse provare empatia per ogni membro di essa.
Ho apprezzato anche l’interpretazione di Jean-Charles Clichet, soprattutto i tempi comici del suo personaggio.
Come per Èlodie, non ho fatto casting per il ruolo del padre. Prima di passare a Jean-Charles volevo aggiungere un’ultima cosa su Èlodie, quando le ho inviato la sceneggiatura, l’ha letta in meno di ventiquattro ore, ha visto qualcosa di speciale nel ruolo e ha accettato subito. Quello che mi piace di Jean-Charles è che quando lo vedi, ti da quella sensazione di sicurezza e fiducia. Credo che il pubblico riesca ad immedesimarsi e ad empatizzare maggiormente con il suo personaggio perché dall’esterno deve trasmettere questa sensazione di sicurezza, ma all’interno sta soffrendo e pian piano sgretolando. Inoltre, come hai detto tu, il suo comic timing è impeccabile, come nella scena del barbecue. Ci devono essere anche dei momenti più leggeri in questa triste famiglia. Anche la sorellina, cerca sempre di portare un po’ di umorismo in diverse situazioni.
Proprio questo aspetto mi è piaciuto nel tuo film. Di solito, in questo tipo di storie, i registi tendono a rappresentare solo il lato più tragico, ma tu hai trovato un certo equilibrio tra le scene più drammatiche e quelle più comiche.
Grazie, mi fa piacere che tu abbia apprezzato. Trovare un equilibrio tra le due parti è stato piuttosto difficile. Prendi ad esempio la scena dove la sorellina inizia a criticare i vicini di casa, è una sequenza semplice e divertente, ma che apporta umorismo e leggerezza alla storia.
Puoi dirmi qualcosa sull’uso della musica? Mi ha colpito molto l’utilizzo di certi brani.
Grazie. Le musiche sono state composte da Jean-Benoît Duncke, ex membro del duo Air. Lui e Nicholas Godin avevano composto anche la colonna sonora di Il giardino delle vergini suicide (1999) di Sofia Coppola. Amo quella colonna sonora ed è stata una fonte di ispirazione, volevo avere quella sensazione di romanticismo ma che allo stesso tempo diventa sempre più dark man mano che il film prosegue. C’è una continua evoluzione nella musica, come ad esempio nella ripetizione del tema iniziale verso la fine. Oppure prendi la scena dove la famiglia è in auto, la musica inizia come un brano da chiesa, ma si trasforma presto in qualcosa di più “infernale”. Come puoi notare, la musica ha avuto un ruolo fondamentale nella riuscita del film.
Quale è stata la difficoltà maggiore nella realizzazione di En attendant la nuit?
Ci sono state difficoltà e sfide ovunque. Dal montaggio alla gestione della giovane attrice, ma anche la breve durata concessa per le riprese. C’erano pochi soldi e abbiamo girato in sole cinque settimane. Inoltre avevamo bisogno del sole ogni giorno, la luce è ovvimente importante in questo caso. E poi la già citata scena dell’auto con la famiglia e i vicini. È stato piuttosto difficile gestire le comparse e decidere come posizionarle. Poi, per quella scena avevamo poco tempo e doveva essere girata di notte. Amo le sfide, ma ci è voluta tanta forza di volontà ed energia per continuare.