INT-14
06.09.2022
Everything Everywhere All At Once, il secondo lungometraggio de I Daniels, duo formato dai registi Daniel Scheinert e Daniel Kwan - le menti che hanno portato sullo schermo qualche anno fa lo stravagante Swiss Army Man (2016) - si è rivelato fin da subito un successo per la critica e per il pubblico d’oltreoceano, sbancando al botteghino con un incasso di circa settanta milioni di dollari, un risultato impressionante per un film indipendente.
Everything Everywhere All At Once è un film ambizioso in cui i registi sfruttano il concetto del “multiverso” per raccontare una storia universale, quella di una famiglia e, più nello specifico, del rapporto travagliato tra una madre e sua figlia. Con un budget di soli 25 milioni di dollari (a differenza dei 100/150 delle produzioni Marvel), I Daniels riescono a creare un’opera originale e toccante sul trauma generazionale, sull'abbandono del nido familiare e sulla crescita personale, nonché su cosa significhi sacrificarsi per la propria famiglia.
Al centro della storia c’è Evelyn Wang (interpretata dalla sempre brillante Michelle Yeoh), una donna di origini cinesi che gestisce una lavanderia insieme al marito Waymond (Ke Huy Quan); gli affari, tuttavia, non stanno andando a gonfie vele e la coppia rischia la chiusura della propria attività a causa di problemi con il fisco. Tutto d’un tratto, la donna si ritrova a compiere un’avventura attraverso diverse realtà nel tentativo di salvare l’universo, arrivando però a comprendere che ciò che le sta realmente a cuore è preservare il suo rapporto con la figlia Joy (Stephanie Hsu).
La complessa e magistrale uniformità dei diversi generi utilizzati all’interno del film, rendono Everything Everywhere All At Once una delle opere cinematografiche più sorprendenti dell’anno, se non anche la reale risposta della realtà indipendente americana ai colossi degli Studios di Hollywood.
Ciò che davvero eleva Everything Everywhere All At Once, oltre alla storia originale e alla visione de I Daniels, sono le straordinarie interpretazioni di Michelle Yeoh e Ke Huy Quan.
Nel film possiamo vedere diverse versioni dei loro personaggi, ambientati in realtà diverse, ma nonostante ciò è impossibile non percepire l’intesa fra i due attori, tradotta sullo schermo nel complesso rapporto coniugale tra Evelyn e Waymond. Michelle Yeoh, in particolare, che è spesso stata relegata a ruoli minori (e stereotipati) in film commerciali statunitensi, come alcune produzioni Marvel e uno degli ultimi film della saga de La Mummia, dimostra qui di essere una delle attrici più dinamiche e camaleontiche del cinema contemporaneo, come si evince anche dalle sue interpretazioni in La Tigre e Il Dragone (2000) di Ang Lee e The Lady (2011) di Luc Besson. Con Everything Everywhere All At Once, finalmente Michelle Yeoh ottiene il ruolo che le permette di attenzionare anche i meno esperti del settore, non soprendendoci là dove, come speriamo, potrebbe vincere qualche premio importante fra un paio di mesi. Ke Huy Quan, d’altro canto, ha una storia più particolare; l’attore di origini vietnamite ha iniziato la sua carriera negli anni ‘80 - recitando in due film cult quali I Goonies (1985) e Indiana Jones e Il Tempio Maledetto (1984) -, ma questa si interrompe quasi subito a causa dell’incapacità dell’industria hollywoodiana di creare ruoli adatti ad attori di origini asiatiche. Accantonata la recitazione, Ke Huy Quan inizia a lavorare come assistente alle coreografie, ma anche come aiuto regia, arrivando a collaborare con un autore del calibro di Wong Kar-wai. Nel corso degli anni, la situazione ad Hollywood migliora leggermente e con il successo di Crazy Rich Asians (2018), l’attore decide di ritornare sui passi della recitazione, fino ad ottenere, quasi per caso la parte nel film I Daniels. Daniel Kwan, infatti, dopo aver trovato su internet un riferimento a I Goonies, chiedendosi che fine avesse fatto quel giovane attore di origini asiatiche, lo aveva contattato proponendogli di fare il provino per il ruolo di Waymond. Ke Huy Quan è riuscito così a conquistare i due registi, grazie soprattutto alla sua presenza carismatica, al suo bilinguismo e alla sua padronanza delle arti marziali, aspetti centrali per il ruolo.
Abbiamo avuto l’occasione di intervistare Ke Huy Quan e il produttore del film Jonathan Wang, con i quali abbiamo parlato del grande ritorno dell’attore sul grande schermo.
Il film verrà distribuito, dal 6 ottobre, nelle nostre sale italiane grazie a I Wonder Pictures. Noi ve ne consigliamo ampiamente la visione.
KHQ: prima di cominciare l’intervista volevo dirvi un aneddoto divertente, l’attore che ha doppiato la mia voce in italiano ne I Goonies e in Indiana Jones, ha doppiato la mia voce anche per questo film. Ed è anche il doppiatore di Leonardo Di Caprio! (l’attore scoppia a ridere, n.d.r.)
Com'è stato tornare ad interpretare un personaggio dopo quasi ventidue anni? Preferisci recitare o stare dietro la macchina da presa?
KHQ: Ho iniziato la mia carriera come attore e il motivo per cui mi sono allontanato da questa è perché non c’erano ruoli per attori asiatici ad Hollywood. Questa opportunità che mi è stata data è qualcosa di fantastico, di eccezionale. Lavorare in questo progetto, con una sceneggiatura così ben scritta è come un sogno che si realizza, non avrei mai pensato di poter tornare davanti alla macchina da presa a recitare e ne sono estremamente felice. Mi sento vivo e sto vivendo questo periodo come qualcosa di speciale grazie a questo bel ruolo. Mi auguro, e posso dire, di voler continuare a fare l’attore per il prossimo futuro. Sono anche grato che il pubblico abbia accolto il mio ritorno sullo schermo in questa maniera. L’ultima volta che mi avevano visto recitare ero solo un ragazzino.
JW: Voglio aggiungere una cosa. Si vede l’amore e la passione che ha per la recitazione da questo piccolo aneddoto e spero che non lo metta in imbarazzo… A metà delle riprese, la troupe era piuttosto stanca e per tirare su un po’ il morale, abbiamo deciso di proiettare la scena dove Waymond combatte con il marsupio. Ke è rimasto chiuso nella sua roulotte, non era venuto alla proiezione, ma non perché non gliene importasse, era come non voler assistere alla nascita del proprio figlio. Era qualcosa di talmente tanto forte per lui che quando siamo tornati continuava a chiedermi se fosse stato bravo e io gli ho risposto che era stato fantastico.
Com'è stato passare dalla versione Tax Waymond alle altre versioni del multiverso?
KHQ: In realtà ero molto nervoso all’idea di dover interpretare diverse versioni di Waymond. Per fortuna ho avuto molto tempo per prepararmi, mi sono scelto un acting coach, un voice coach e anche uno per i movimenti del corpo per capire ed imparare a camminare e parlare in maniera diversa, cosicché lo spettatore poteva capire quale versione di Waymond era presente in una scena anche solo notando i movimenti del corpo. Da un punto di vista emotivo, posso dire che ho messo tutta la mia vita dentro il personaggio di Waymond; da quando ero bambino ed avevo esordito sul grande schermo, fino a tutte le difficoltà che ho avuto successivamente nel trovare ruoli in cui potevo recitare. Ho riversato tutta la mia vita in questi tre personaggi.
Il film ha una trama davvero peculiare, cosa avresti voluto cambiare dei tuoi personaggi? Con quale versione di Waymond ti identifichi di più? Alpha Waymond o Tax Waymond?
KQH: Innanzitutto, non cambierai assolutamente niente, perché è un personaggio così complesso e con tante sfaccettature che, già sarebbe un sogno poter interpretare uno di questi personaggi, figuriamoci avere l’opportunità di interpretarne tre, e per questo sono grato a I Daniels e a Jonathan. Devo dire che Tax Waymond è la versione che preferisco perché, fondamentalmente, è così gentile, attento e amorevole. Emana così tanta empatia e vorrei essere anche io come lui, per questo che mi sento così vicino a questa versione.
JW: Immaginate di essere un atleta professionista che però per vent’anni (ventidue dall’ultimo ruolo di Ke Huy Quan, n.d.r.) non ha praticato quello sport. E immaginate che venga chiesto a questo atleta di tornare a giocare ad altissimo livello e in tre ruoli diversi, è una cosa che può intimidire alcune persone e Ke è stato così bravo e capace nel memorizzare e imparare a memoria queste lunghe scene. All’inizio ci dovevano essere cinque versioni di Waymond, poi due sono state tagliate. Comunque è davvero qualcosa di lodevole quello che ha fatto con il personaggio di Waymond e si merita tutti i premi che verranno.
Nel film ci sono alcune sequenze che omaggiano chiaramente il cinema di Wong Kar-wai. Come sei riuscito a catturare l’essenza dei personaggi interpretati da Tony Leung dentro al personaggio di CEO Waymond.
KHQ: Quando ho letto la sceneggiatura, in particolare la “versione” CEO di Waymond, ho percepito la presenza o comunque lo stile di Wong Kar-wai, e avendo lavorato con lui dietro la macchina da presa come aiuto regia mentre dirigeva Tony, ho imparato molto e mai avrei potuto immaginare che un giorno mi sarei trovato davanti alla macchina da presa a ripetere, o comunque imitare i personaggi dell’attore. Devo dire che mi ha ricordato molto quando abbiamo lavorato al film 2046. Wong Kar-wai mi ha influenzato moltissimo, sia come attore che come persona.
Il film affronta il tema spinoso del “multiverso”, ma è anche multi-genere, sia dal punto di vista della regia, che della scrittura. Come è stato assistere a questi cambiamenti, sia da attore che da spettatore?
JW: Il film è anche multilingua, se uno legge la sceneggiatura, noterà che ci sono parti in inglese e in mandarino e le varie trascrizioni su più livelli. La sceneggiatura è molto confusa e difficile da leggere ma I Daniels sono così bravi a scrivere che avevano preparato diverse versioni, una incentrata di più sull’aspetto registico dell’opera e un’altra sui dialoghi. Non ci sono stati molti cambiamenti durante le riprese, abbiamo girato quello che era scritto e questo mostra la bravura dei registi. Michelle ha avuto forse il lavoro più difficile perché ha dovuto interpretare così tante versioni di Evelyn. Sia lei che Jamie Lee Curtis si sono lasciate “andare” rispetto alla sceneggiatura, non sono riuscite a capirla fino in fondo e, nonostante ciò, sono riuscite a dare le due performance particolari che avete visto. Ke invece, ha capito, compreso di più il ruolo, nel senso che le due attrici si sono lasciate condurre dalla storia, mentre lui era più “presente” al suo personaggio e al percorso che stava compiendo.
KHQ: Dal punto di vista di un attore, devo dire che è stato incredibile leggere la sceneggiatura, perché veramente la sensazione era che tu ogni giorno stessi interpretando un film diverso. Un giorno era un film di fantascienza, quello dopo un dramma oppure una commedia romantica. Per un attore, questa è la realizzazione di un sogno. La possibilità di interpretare tutti questi ruoli e tutti insieme, dopo non averlo fatto per più di vent’anni e rifarlo, non in un film qualsiasi, ma questo, è stato un enorme privilegio. Io, John, Michelle, I Daniels e Jamie ora abbiamo un legame imprescindibile che ci terrà uniti per sempre, siamo ormai diventati una famiglia.
INT-14
06.09.2022
Everything Everywhere All At Once, il secondo lungometraggio de I Daniels, duo formato dai registi Daniel Scheinert e Daniel Kwan - le menti che hanno portato sullo schermo qualche anno fa lo stravagante Swiss Army Man (2016) - si è rivelato fin da subito un successo per la critica e per il pubblico d’oltreoceano, sbancando al botteghino con un incasso di circa settanta milioni di dollari, un risultato impressionante per un film indipendente.
Everything Everywhere All At Once è un film ambizioso in cui i registi sfruttano il concetto del “multiverso” per raccontare una storia universale, quella di una famiglia e, più nello specifico, del rapporto travagliato tra una madre e sua figlia. Con un budget di soli 25 milioni di dollari (a differenza dei 100/150 delle produzioni Marvel), I Daniels riescono a creare un’opera originale e toccante sul trauma generazionale, sull'abbandono del nido familiare e sulla crescita personale, nonché su cosa significhi sacrificarsi per la propria famiglia.
Al centro della storia c’è Evelyn Wang (interpretata dalla sempre brillante Michelle Yeoh), una donna di origini cinesi che gestisce una lavanderia insieme al marito Waymond (Ke Huy Quan); gli affari, tuttavia, non stanno andando a gonfie vele e la coppia rischia la chiusura della propria attività a causa di problemi con il fisco. Tutto d’un tratto, la donna si ritrova a compiere un’avventura attraverso diverse realtà nel tentativo di salvare l’universo, arrivando però a comprendere che ciò che le sta realmente a cuore è preservare il suo rapporto con la figlia Joy (Stephanie Hsu).
La complessa e magistrale uniformità dei diversi generi utilizzati all’interno del film, rendono Everything Everywhere All At Once una delle opere cinematografiche più sorprendenti dell’anno, se non anche la reale risposta della realtà indipendente americana ai colossi degli Studios di Hollywood.
Ciò che davvero eleva Everything Everywhere All At Once, oltre alla storia originale e alla visione de I Daniels, sono le straordinarie interpretazioni di Michelle Yeoh e Ke Huy Quan.
Nel film possiamo vedere diverse versioni dei loro personaggi, ambientati in realtà diverse, ma nonostante ciò è impossibile non percepire l’intesa fra i due attori, tradotta sullo schermo nel complesso rapporto coniugale tra Evelyn e Waymond. Michelle Yeoh, in particolare, che è spesso stata relegata a ruoli minori (e stereotipati) in film commerciali statunitensi, come alcune produzioni Marvel e uno degli ultimi film della saga de La Mummia, dimostra qui di essere una delle attrici più dinamiche e camaleontiche del cinema contemporaneo, come si evince anche dalle sue interpretazioni in La Tigre e Il Dragone (2000) di Ang Lee e The Lady (2011) di Luc Besson. Con Everything Everywhere All At Once, finalmente Michelle Yeoh ottiene il ruolo che le permette di attenzionare anche i meno esperti del settore, non soprendendoci là dove, come speriamo, potrebbe vincere qualche premio importante fra un paio di mesi. Ke Huy Quan, d’altro canto, ha una storia più particolare; l’attore di origini vietnamite ha iniziato la sua carriera negli anni ‘80 - recitando in due film cult quali I Goonies (1985) e Indiana Jones e Il Tempio Maledetto (1984) -, ma questa si interrompe quasi subito a causa dell’incapacità dell’industria hollywoodiana di creare ruoli adatti ad attori di origini asiatiche. Accantonata la recitazione, Ke Huy Quan inizia a lavorare come assistente alle coreografie, ma anche come aiuto regia, arrivando a collaborare con un autore del calibro di Wong Kar-wai. Nel corso degli anni, la situazione ad Hollywood migliora leggermente e con il successo di Crazy Rich Asians (2018), l’attore decide di ritornare sui passi della recitazione, fino ad ottenere, quasi per caso la parte nel film I Daniels. Daniel Kwan, infatti, dopo aver trovato su internet un riferimento a I Goonies, chiedendosi che fine avesse fatto quel giovane attore di origini asiatiche, lo aveva contattato proponendogli di fare il provino per il ruolo di Waymond. Ke Huy Quan è riuscito così a conquistare i due registi, grazie soprattutto alla sua presenza carismatica, al suo bilinguismo e alla sua padronanza delle arti marziali, aspetti centrali per il ruolo.
Abbiamo avuto l’occasione di intervistare Ke Huy Quan e il produttore del film Jonathan Wang, con i quali abbiamo parlato del grande ritorno dell’attore sul grande schermo.
Il film verrà distribuito, dal 6 ottobre, nelle nostre sale italiane grazie a I Wonder Pictures. Noi ve ne consigliamo ampiamente la visione.
KHQ: prima di cominciare l’intervista volevo dirvi un aneddoto divertente, l’attore che ha doppiato la mia voce in italiano ne I Goonies e in Indiana Jones, ha doppiato la mia voce anche per questo film. Ed è anche il doppiatore di Leonardo Di Caprio! (l’attore scoppia a ridere, n.d.r.)
Com'è stato tornare ad interpretare un personaggio dopo quasi ventidue anni? Preferisci recitare o stare dietro la macchina da presa?
KHQ: Ho iniziato la mia carriera come attore e il motivo per cui mi sono allontanato da questa è perché non c’erano ruoli per attori asiatici ad Hollywood. Questa opportunità che mi è stata data è qualcosa di fantastico, di eccezionale. Lavorare in questo progetto, con una sceneggiatura così ben scritta è come un sogno che si realizza, non avrei mai pensato di poter tornare davanti alla macchina da presa a recitare e ne sono estremamente felice. Mi sento vivo e sto vivendo questo periodo come qualcosa di speciale grazie a questo bel ruolo. Mi auguro, e posso dire, di voler continuare a fare l’attore per il prossimo futuro. Sono anche grato che il pubblico abbia accolto il mio ritorno sullo schermo in questa maniera. L’ultima volta che mi avevano visto recitare ero solo un ragazzino.
JW: Voglio aggiungere una cosa. Si vede l’amore e la passione che ha per la recitazione da questo piccolo aneddoto e spero che non lo metta in imbarazzo… A metà delle riprese, la troupe era piuttosto stanca e per tirare su un po’ il morale, abbiamo deciso di proiettare la scena dove Waymond combatte con il marsupio. Ke è rimasto chiuso nella sua roulotte, non era venuto alla proiezione, ma non perché non gliene importasse, era come non voler assistere alla nascita del proprio figlio. Era qualcosa di talmente tanto forte per lui che quando siamo tornati continuava a chiedermi se fosse stato bravo e io gli ho risposto che era stato fantastico.
Com'è stato passare dalla versione Tax Waymond alle altre versioni del multiverso?
KHQ: In realtà ero molto nervoso all’idea di dover interpretare diverse versioni di Waymond. Per fortuna ho avuto molto tempo per prepararmi, mi sono scelto un acting coach, un voice coach e anche uno per i movimenti del corpo per capire ed imparare a camminare e parlare in maniera diversa, cosicché lo spettatore poteva capire quale versione di Waymond era presente in una scena anche solo notando i movimenti del corpo. Da un punto di vista emotivo, posso dire che ho messo tutta la mia vita dentro il personaggio di Waymond; da quando ero bambino ed avevo esordito sul grande schermo, fino a tutte le difficoltà che ho avuto successivamente nel trovare ruoli in cui potevo recitare. Ho riversato tutta la mia vita in questi tre personaggi.
Il film ha una trama davvero peculiare, cosa avresti voluto cambiare dei tuoi personaggi? Con quale versione di Waymond ti identifichi di più? Alpha Waymond o Tax Waymond?
KQH: Innanzitutto, non cambierai assolutamente niente, perché è un personaggio così complesso e con tante sfaccettature che, già sarebbe un sogno poter interpretare uno di questi personaggi, figuriamoci avere l’opportunità di interpretarne tre, e per questo sono grato a I Daniels e a Jonathan. Devo dire che Tax Waymond è la versione che preferisco perché, fondamentalmente, è così gentile, attento e amorevole. Emana così tanta empatia e vorrei essere anche io come lui, per questo che mi sento così vicino a questa versione.
JW: Immaginate di essere un atleta professionista che però per vent’anni (ventidue dall’ultimo ruolo di Ke Huy Quan, n.d.r.) non ha praticato quello sport. E immaginate che venga chiesto a questo atleta di tornare a giocare ad altissimo livello e in tre ruoli diversi, è una cosa che può intimidire alcune persone e Ke è stato così bravo e capace nel memorizzare e imparare a memoria queste lunghe scene. All’inizio ci dovevano essere cinque versioni di Waymond, poi due sono state tagliate. Comunque è davvero qualcosa di lodevole quello che ha fatto con il personaggio di Waymond e si merita tutti i premi che verranno.
Nel film ci sono alcune sequenze che omaggiano chiaramente il cinema di Wong Kar-wai. Come sei riuscito a catturare l’essenza dei personaggi interpretati da Tony Leung dentro al personaggio di CEO Waymond.
KHQ: Quando ho letto la sceneggiatura, in particolare la “versione” CEO di Waymond, ho percepito la presenza o comunque lo stile di Wong Kar-wai, e avendo lavorato con lui dietro la macchina da presa come aiuto regia mentre dirigeva Tony, ho imparato molto e mai avrei potuto immaginare che un giorno mi sarei trovato davanti alla macchina da presa a ripetere, o comunque imitare i personaggi dell’attore. Devo dire che mi ha ricordato molto quando abbiamo lavorato al film 2046. Wong Kar-wai mi ha influenzato moltissimo, sia come attore che come persona.
Il film affronta il tema spinoso del “multiverso”, ma è anche multi-genere, sia dal punto di vista della regia, che della scrittura. Come è stato assistere a questi cambiamenti, sia da attore che da spettatore?
JW: Il film è anche multilingua, se uno legge la sceneggiatura, noterà che ci sono parti in inglese e in mandarino e le varie trascrizioni su più livelli. La sceneggiatura è molto confusa e difficile da leggere ma I Daniels sono così bravi a scrivere che avevano preparato diverse versioni, una incentrata di più sull’aspetto registico dell’opera e un’altra sui dialoghi. Non ci sono stati molti cambiamenti durante le riprese, abbiamo girato quello che era scritto e questo mostra la bravura dei registi. Michelle ha avuto forse il lavoro più difficile perché ha dovuto interpretare così tante versioni di Evelyn. Sia lei che Jamie Lee Curtis si sono lasciate “andare” rispetto alla sceneggiatura, non sono riuscite a capirla fino in fondo e, nonostante ciò, sono riuscite a dare le due performance particolari che avete visto. Ke invece, ha capito, compreso di più il ruolo, nel senso che le due attrici si sono lasciate condurre dalla storia, mentre lui era più “presente” al suo personaggio e al percorso che stava compiendo.
KHQ: Dal punto di vista di un attore, devo dire che è stato incredibile leggere la sceneggiatura, perché veramente la sensazione era che tu ogni giorno stessi interpretando un film diverso. Un giorno era un film di fantascienza, quello dopo un dramma oppure una commedia romantica. Per un attore, questa è la realizzazione di un sogno. La possibilità di interpretare tutti questi ruoli e tutti insieme, dopo non averlo fatto per più di vent’anni e rifarlo, non in un film qualsiasi, ma questo, è stato un enorme privilegio. Io, John, Michelle, I Daniels e Jamie ora abbiamo un legame imprescindibile che ci terrà uniti per sempre, siamo ormai diventati una famiglia.