INT-43
24.08.2023
Il cambio di direzione della sezione Quinzaine des Cinéastes ha portato un’aria di freschezza nella lineup, dove il nuovo delegato, Julien Rejl, ha “stravolto” il processo di selezione e ha preferito porre maggiore attenzione su opere prime, o seconde, piuttosto che scegliere film di noti autori. Uno dei registi che ha tratto beneficio da questo processo di selezione è stato Claude Schmitz, cineasta belga, con un lungo background nel mondo del teatro. L’Autre Laurens è il suo terzo lungometraggio, un noir che ruota attorno a Gabriel Laurens (Olivier Rabourdin), investigatore privato di mezz’età che si ritrova ad indagare sulla morte del fratello gemello dopo che la nipote Jade (una misteriosa Louise Leroy) gli chiede aiuto. L’umorismo dark, la ritmata colonna sonora, le due solide interpretazioni centrali e l’utilizzo delle luci al neon hanno creato un’atmosfera davvero accattivante che ci ha convinto fin dal frame iniziale. L’aspetto che ci ha colpito di più è il modo in cui Schmitz adopera dei cliché del genere noir per realizzare un’opera a tratti estremamente originale.
Abbiamo avuto l’occasione di incontrare e intervistare Claude Schmitz, con cui abbiamo approfondito il modo in cui ha omaggiato il genere noir.
Vorrei cominciare l’intervista chiedendoti di un aspetto che mi ha davvero colpito, l’uso delle luci - come nella prima inquadratura o anche verso la metà del film - nella scena dove Laurens e Jade sono in un bar. Puoi dirmi qualcosa su questo aspetto? Quali sono state le tue maggiori ispirazioni cinematografiche?
Ho parlato a lungo con Florian Berutti - il direttore della fotografia - su questo aspetto perché volevamo che le luci richiamassero un’atmosfera onirica. Avevamo diverse reference cinematografiche, i film neo-noir degli anni ‘80 e il cinema di Wim Wenders, L’Amico Americano (1977) su tutti. Il fattore che accomuna questi film è l’uso marcato di luci artificiali che sono in grado di creare un “mondo artificiale” formato da colori contrastanti. Ho lavorato con piccole telecamere, gli iconoscopi, permettono di fare riprese in bassa definizione che donano una texture particolare alle immagini. Volevo creare dei tableaux e la fase di ricerca delle location è stata piuttosto fondamentale, avevo bisogno di luoghi con una forte identità. Il bar che citi esiste nella realtà e la luce al neon dell’insegna appartiene veramente al locale, aveva quell’aspetto artificiale che cercavo. Inoltre, nel film c’è una certa evoluzione, all’inizio ha un aspetto più naturale, ma pian piano si trasforma in questa lunga notte, dove nulla sembra reale. La luce è stata fondamentale nel rappresentare quella sensazione onirica ma non surreale, come se stessi sognando mentre sei sveglio.
Per quanto riguarda la trama del film hai avuto qualche riferimento cinematografico dal cinema noir hollywoodiano? Te lo chiedo perché ci sono diversi omaggi, come nell’uso di una femme fatale, il rapporto detective-cliente e anche i twist verso il finale.
Nessuno in particolare, volevo sperimentare con l’immaginario del genere noir e tutti i cliché legati ad esso. Inoltre l’idea del confine, deriva dal cinema americano in parte. Il confine spagnolo che mostro ricorda quello tra Messico e Stati Uniti. Però devo anche ammettere che Strade Perdute (1997) di David Lynch è stata una grossa ispirazione.
Quale è stata la più grande sfida nella realizzazione del film?
Il tempo. Avevamo poco tempo per girare e, come vedi, abbiamo utilizzato molte location. L’organizzazione dell’aspetto logistico è stata piuttosto difficile.
Vorrei chiederti di Olivier Rabourdin, com'è stato lavorare con lui? Era la prima scelta per il ruolo di protagonista?
Il casting director gli ha parlato del film e Olivier sembrava interessato, quindi abbiamo organizzato un incontro e, dopo averci parlato, ho capito che era la persona giusta per interpretare Laurens. Ha lavorato molto a teatro e questo gli ha permesso di ampliare il suo range recitativo. Quando scrivevo il personaggio, avevo in mente attori del calibro di Lino Ventura e Jean Gabin. Olivier rispecchia tutte le qualità che cercavo nel protagonista.
E per quanto riguarda Louise Leroy, interprete di Jade?
Abbiamo fatto molte audizioni per il ruolo e un giorno si è presentata Louise. Appena l’ho vista, sapevo che lei era Jade. È stata molto brava nel film perché ha saputo mostrare un lato naive e ingenuo da una parte e uno più maturo e consapevole dall’altra. Ha uno sguardo enigmatico, misterioso, che mi ha ricordato quello di alcune attrici degli anni ‘60. Diverse persone l’hanno paragonata a Brigitte Bardot e questo non mi sorprende. Vorrei aggiungere che questo è stato il primo ruolo in assoluto per Louise, è stata una vera rivelazione.
L’Autre Laurens si discosta abbastanza dalle tue opere precedenti. Puoi approfondire questo aspetto?
Ho lavorato a lungo nel mondo del teatro e quando mi sono avvicinato per la prima volta al cinema ho cercato di lavorare con idee e concetti semplici. I primi lavori erano degli essays (inteso come tentativi e non saggi, n.d.r.), dove cercavo di sperimentare su diversi aspetti, come il mix tra documentario e fiction. Ho anche diretto un paio di film con alla base l’improvvisazione, non c’era una sceneggiatura, si inventava tutto sul momento. Mentre con L’Autre Laurens non potevo utilizzare questo metodo, c’era una sceneggiatura ed era già tutto organizzato prima dell’inizio delle riprese. Volevo raccontare una “storia”, mentre i miei lavori precedenti erano basati più su dei concetti, se così posso definirli. In poche parole, definirei L’Autre Laurens come un romanzo, mentre i film precedenti come dei racconti brevi e sperimentali.
Un altro aspetto che mi ha colpito è stato il modo in cui hai gestito il tono del film, c’è un certo bilanciamento tra tensione, dramma e anche humor direi. Come sei riuscito a trovare questo equilibrio?
Mi piace creare un certo contrasto nei miei lavori e mi piacciono i film che hanno delle contraddizioni al loro interno. Per trovare il giusto equilibrio prima devi riuscire a creare questo “universo” che possa sembrare credibile. Per spiegarmi meglio ti faccio l’esempio di Shakespeare, nelle sue storie ha sempre mischiato diversi generi, il dramma, la commedia, la tragedia… e sembra che questo aspetto stia venendo sempre di più a mancare nel cinema. Al giorno d’oggi un film deve essere di un unico genere e seguire solo quella direzione. Quello che mi piace di Shakespeare è che in uno qualsiasi dei suoi testi può passare dal tono tragico a quello burlesco in un attimo. Posso farti l’esempio del tradimento di Jade, la madre e Gabriel. Subito dopo arrivano i poliziotti che funzionano come controparte comica. E questo ha permesso di mostrare un’altra prospettiva sulla tematica del tradimento.
INT-43
24.08.2023
Il cambio di direzione della sezione Quinzaine des Cinéastes ha portato un’aria di freschezza nella lineup, dove il nuovo delegato, Julien Rejl, ha “stravolto” il processo di selezione e ha preferito porre maggiore attenzione su opere prime, o seconde, piuttosto che scegliere film di noti autori. Uno dei registi che ha tratto beneficio da questo processo di selezione è stato Claude Schmitz, cineasta belga, con un lungo background nel mondo del teatro. L’Autre Laurens è il suo terzo lungometraggio, un noir che ruota attorno a Gabriel Laurens (Olivier Rabourdin), investigatore privato di mezz’età che si ritrova ad indagare sulla morte del fratello gemello dopo che la nipote Jade (una misteriosa Louise Leroy) gli chiede aiuto. L’umorismo dark, la ritmata colonna sonora, le due solide interpretazioni centrali e l’utilizzo delle luci al neon hanno creato un’atmosfera davvero accattivante che ci ha convinto fin dal frame iniziale. L’aspetto che ci ha colpito di più è il modo in cui Schmitz adopera dei cliché del genere noir per realizzare un’opera a tratti estremamente originale.
Abbiamo avuto l’occasione di incontrare e intervistare Claude Schmitz, con cui abbiamo approfondito il modo in cui ha omaggiato il genere noir.
Vorrei cominciare l’intervista chiedendoti di un aspetto che mi ha davvero colpito, l’uso delle luci - come nella prima inquadratura o anche verso la metà del film - nella scena dove Laurens e Jade sono in un bar. Puoi dirmi qualcosa su questo aspetto? Quali sono state le tue maggiori ispirazioni cinematografiche?
Ho parlato a lungo con Florian Berutti - il direttore della fotografia - su questo aspetto perché volevamo che le luci richiamassero un’atmosfera onirica. Avevamo diverse reference cinematografiche, i film neo-noir degli anni ‘80 e il cinema di Wim Wenders, L’Amico Americano (1977) su tutti. Il fattore che accomuna questi film è l’uso marcato di luci artificiali che sono in grado di creare un “mondo artificiale” formato da colori contrastanti. Ho lavorato con piccole telecamere, gli iconoscopi, permettono di fare riprese in bassa definizione che donano una texture particolare alle immagini. Volevo creare dei tableaux e la fase di ricerca delle location è stata piuttosto fondamentale, avevo bisogno di luoghi con una forte identità. Il bar che citi esiste nella realtà e la luce al neon dell’insegna appartiene veramente al locale, aveva quell’aspetto artificiale che cercavo. Inoltre, nel film c’è una certa evoluzione, all’inizio ha un aspetto più naturale, ma pian piano si trasforma in questa lunga notte, dove nulla sembra reale. La luce è stata fondamentale nel rappresentare quella sensazione onirica ma non surreale, come se stessi sognando mentre sei sveglio.
Per quanto riguarda la trama del film hai avuto qualche riferimento cinematografico dal cinema noir hollywoodiano? Te lo chiedo perché ci sono diversi omaggi, come nell’uso di una femme fatale, il rapporto detective-cliente e anche i twist verso il finale.
Nessuno in particolare, volevo sperimentare con l’immaginario del genere noir e tutti i cliché legati ad esso. Inoltre l’idea del confine, deriva dal cinema americano in parte. Il confine spagnolo che mostro ricorda quello tra Messico e Stati Uniti. Però devo anche ammettere che Strade Perdute (1997) di David Lynch è stata una grossa ispirazione.
Quale è stata la più grande sfida nella realizzazione del film?
Il tempo. Avevamo poco tempo per girare e, come vedi, abbiamo utilizzato molte location. L’organizzazione dell’aspetto logistico è stata piuttosto difficile.
Vorrei chiederti di Olivier Rabourdin, com'è stato lavorare con lui? Era la prima scelta per il ruolo di protagonista?
Il casting director gli ha parlato del film e Olivier sembrava interessato, quindi abbiamo organizzato un incontro e, dopo averci parlato, ho capito che era la persona giusta per interpretare Laurens. Ha lavorato molto a teatro e questo gli ha permesso di ampliare il suo range recitativo. Quando scrivevo il personaggio, avevo in mente attori del calibro di Lino Ventura e Jean Gabin. Olivier rispecchia tutte le qualità che cercavo nel protagonista.
E per quanto riguarda Louise Leroy, interprete di Jade?
Abbiamo fatto molte audizioni per il ruolo e un giorno si è presentata Louise. Appena l’ho vista, sapevo che lei era Jade. È stata molto brava nel film perché ha saputo mostrare un lato naive e ingenuo da una parte e uno più maturo e consapevole dall’altra. Ha uno sguardo enigmatico, misterioso, che mi ha ricordato quello di alcune attrici degli anni ‘60. Diverse persone l’hanno paragonata a Brigitte Bardot e questo non mi sorprende. Vorrei aggiungere che questo è stato il primo ruolo in assoluto per Louise, è stata una vera rivelazione.
L’Autre Laurens si discosta abbastanza dalle tue opere precedenti. Puoi approfondire questo aspetto?
Ho lavorato a lungo nel mondo del teatro e quando mi sono avvicinato per la prima volta al cinema ho cercato di lavorare con idee e concetti semplici. I primi lavori erano degli essays (inteso come tentativi e non saggi, n.d.r.), dove cercavo di sperimentare su diversi aspetti, come il mix tra documentario e fiction. Ho anche diretto un paio di film con alla base l’improvvisazione, non c’era una sceneggiatura, si inventava tutto sul momento. Mentre con L’Autre Laurens non potevo utilizzare questo metodo, c’era una sceneggiatura ed era già tutto organizzato prima dell’inizio delle riprese. Volevo raccontare una “storia”, mentre i miei lavori precedenti erano basati più su dei concetti, se così posso definirli. In poche parole, definirei L’Autre Laurens come un romanzo, mentre i film precedenti come dei racconti brevi e sperimentali.
Un altro aspetto che mi ha colpito è stato il modo in cui hai gestito il tono del film, c’è un certo bilanciamento tra tensione, dramma e anche humor direi. Come sei riuscito a trovare questo equilibrio?
Mi piace creare un certo contrasto nei miei lavori e mi piacciono i film che hanno delle contraddizioni al loro interno. Per trovare il giusto equilibrio prima devi riuscire a creare questo “universo” che possa sembrare credibile. Per spiegarmi meglio ti faccio l’esempio di Shakespeare, nelle sue storie ha sempre mischiato diversi generi, il dramma, la commedia, la tragedia… e sembra che questo aspetto stia venendo sempre di più a mancare nel cinema. Al giorno d’oggi un film deve essere di un unico genere e seguire solo quella direzione. Quello che mi piace di Shakespeare è che in uno qualsiasi dei suoi testi può passare dal tono tragico a quello burlesco in un attimo. Posso farti l’esempio del tradimento di Jade, la madre e Gabriel. Subito dopo arrivano i poliziotti che funzionano come controparte comica. E questo ha permesso di mostrare un’altra prospettiva sulla tematica del tradimento.