INT-76
30.07.2024
In Italia, come sullo scenario internazionale, il volto di Alexandra Borbély è diventato estremamente noto in associazione a Corpo e Anima (Testről és lélekről, 2017), di Ildikó Enyedi, opera candidata all’Oscar per il miglior film straniero del 2018, e vincitrice dell’Orso d’Oro alla berlinale 2017. La splendida performance della Borbély, attrice ungherese nata a Nitra, in Slovacchia, l’ha da subito consacrata come una stella emergente del cinema est europeo. In Ungheria, Borbély ha recitato in svariati film di genere, come Comrade Drakulics (2019) o Spiral (2020), ma si è anche mossa nel cinema della Repubblica Ceca e della Slovacchia.
All’ultimo Karlovy Vary Film Festival ha presentato The Hungarian Dressmaker (Ema a smrtihlav, 2024) di Iveta Grofová, lungometraggio ambientato durante la seconda guerra mondiale in cui interpreta Marika, una giovane vedova ungherese che fa la sarta in un paesino di campagna, in un’atmosfera cupa in cui l’opprimente regime slovacco, fascista, si accannisce sempre di più sulla minoranza ungherese - episodio ancora oggi poco approfondito e molto strumentalizzato all’interno del conflitto plurisecolare tra le comunità slovacche ed ungheresi dei territori di confine.
Abbiamo incontrato Alexandra Borbély, e parlato con lei della sua carriera e del suo rapporto con la recitazione.
Prima di Corpo e Anima, ho visto che hai avuto ben pochi ruoli, alcuni in televisione.
In televisione, si, ma principalmente a teatro. Appena ho finito l’università, il mio docente Máté Gábor mi ha inserito nella compagnia del teatro Katona József, di cui era il direttore. Perciò ho lavorato in principio a teatro, poi in alcune serie tv, e poi, dopo non molto, è arrivata la richiesta per Corpo ed Anima.
Com’è avvenuto, come hai ottenuto il ruolo da protagonista nel film?
Ildikó Enyedi mi aveva già notato in università, perché aveva un corso di regia cinematografica, ma all’inizio non mi voleva per il ruolo principale. Desiderava assegnarmi il ruolo di un personaggio secondario, quello della psicologa. Poi, si mise a cercare Mária, la protagonista, così a lungo che le venne l’idea di vedere se fossi adatta al ruolo. Abbiamo fatto un lungo casting in seguito, e solo dopo ha deciso che l'avrei interpretata io.
Com’è stato collaborare con Ildikó Enyedi? Era sia il primo film che faceva da decenni che il primo ruolo da protagonista per te.
È stato molto facile, come se ci conoscessimo da sempre, o meglio, come se conoscessimo il linguaggio l’una dell’altra. Per cui spesso ci bastavano due o tre take, perché grossomodo già con così poco facevamo nascere la scena giusta, così come doveva essere.
Forse è una domanda scontata da fare a chi si muove tra il cinema e il teatro, ma quale dei due preferisci?
Il cinema è il mio vero amore, perché mi ispira molto di più avere un solo giorno, e quindi una sola possibilità per portare a termine qualcosa in modo eccellente, mentre nel teatro non è un problema commettere errori, le repliche permettono di continuare a migliorare. A me ispira piuttosto non avere seconde possibilità, sul set la scena verrà girata solo in quel momento, hai poco tempo e in quel tempo devi recitare perfettamente.
Avendo lavorato in varie industrie cinematografiche, notavi differenze negli approcci?
Non proprio, sono molto simili. L’unica cosa che ho notato è che in Slovacchia e Repubblica Ceca i produttori sono più presenti, non si palesano solo ad inizio o fine riprese, e spesso hanno loro il controllo, quindi richiedono, se c’è bisogno, degli ulteriori take - non mi era mai capitata una cosa del genere in Ungheria prima, o perlomeno, forse non l’avevo mai visto accadere perché lo facevano di nascosto. In ogni caso era una cosa nuova per me che un produttore intervenisse nel processo a tal punto. Però nel mio ultimo film, The Hungarian Dressmaker, ho sentito che a dominare fosse interamente la visione della regista Iveta Grofová.
Visto che stiamo già parlando di questo film: cosa ti ha attratto del ruolo di Marika?
Tutto. Prima di cominciare a girare adoravo già terribilmente la sceneggiatura e sentivo che sarebbe stato un ruolo difficile, una sfida, a dire il vero dopo Corpo ed Anima sento che possono arrivare solo sfide più grandi. Il fatto che io sia un’attrice ungherese, o meglio, che sia nata come ungherese in un paesino della Slovacchia, mi faceva sentire già vicina al personaggio, dato che anche Marika è ungherese ma vive e lavora in un ambiente slovacco. Già questa era una similitudine forte, tutta la situazione politica tra ungheresi e slovacchi, il conflitto continuo, la politica che influenza i rapporti umani e li avvelena. Tutto questo è sempre stato presente nella mia infanzia. Mi piaceva anche come nel film emergesse l’aspetto che spesso vogliamo essere persone buone, ma siamo influenzati dalle circostanze e sono le situazioni che dimostrano la nostra vera natura.
Sai già quale sarà il prossimo ruolo per te?
Si, ho già iniziato a prepararmi per un nuovo ruolo, di nuovo da protagonista per fortuna. Nel film parlerò in un dialetto tedesco della zona del volga, e il film riguarderà di nuovo gli anni quaranta, ma stavolta sarà ambientato in un campo in Siberia. Sarò una cantante lirica, quindi sarà di nuovo una sfida molto, molto grande.
Questo è effettivamente uno dei tuoi talenti, la conoscenza di varie lingue!
Sto imparando l’italiano da qualche anno, in passato ho studiato il tedesco, ma non lo uso da anni, quindi dovrò riprenderlo per questo film. Perciò si, attualmente parlo italiano, tedesco, slovacco, ungherese e naturalmente il ceco.
Recitare in lingue diverse comporta per te anche un diverso approccio a livello di performance? O non senti differenze?
Nella mia esperienza, se sei un attore e inizi a parlare più lingue fin dall'infanzia, ti apri in modo diverso e riesci maggiormente a cogliere il significato, in senso astratto, delle battute che devi pronunciare. È come se nella tua mente ci fossero dei cassetti, che ti rendano più naturale parlare in altre lingue. Per me la lingua non è mai un ostacolo perché quello che conta è la messa in scena del ruolo, e quella viene stabilita dal mio cuore e il mio sguardo, la lingua in cui mi esprimo diventa secondaria. Io ho bisogno di muovermi comunque in vari paesi, perché la carriera di una persona spesso dipende dalle situazioni politiche, soprattutto se suo marito, come nel mio caso, esprime sempre le proprie opinioni.
INT-76
30.07.2024
In Italia, come sullo scenario internazionale, il volto di Alexandra Borbély è diventato estremamente noto in associazione a Corpo e Anima (Testről és lélekről, 2017), di Ildikó Enyedi, opera candidata all’Oscar per il miglior film straniero del 2018, e vincitrice dell’Orso d’Oro alla berlinale 2017. La splendida performance della Borbély, attrice ungherese nata a Nitra, in Slovacchia, l’ha da subito consacrata come una stella emergente del cinema est europeo. In Ungheria, Borbély ha recitato in svariati film di genere, come Comrade Drakulics (2019) o Spiral (2020), ma si è anche mossa nel cinema della Repubblica Ceca e della Slovacchia.
All’ultimo Karlovy Vary Film Festival ha presentato The Hungarian Dressmaker (Ema a smrtihlav, 2024) di Iveta Grofová, lungometraggio ambientato durante la seconda guerra mondiale in cui interpreta Marika, una giovane vedova ungherese che fa la sarta in un paesino di campagna, in un’atmosfera cupa in cui l’opprimente regime slovacco, fascista, si accannisce sempre di più sulla minoranza ungherese - episodio ancora oggi poco approfondito e molto strumentalizzato all’interno del conflitto plurisecolare tra le comunità slovacche ed ungheresi dei territori di confine.
Abbiamo incontrato Alexandra Borbély, e parlato con lei della sua carriera e del suo rapporto con la recitazione.
Prima di Corpo e Anima, ho visto che hai avuto ben pochi ruoli, alcuni in televisione.
In televisione, si, ma principalmente a teatro. Appena ho finito l’università, il mio docente Máté Gábor mi ha inserito nella compagnia del teatro Katona József, di cui era il direttore. Perciò ho lavorato in principio a teatro, poi in alcune serie tv, e poi, dopo non molto, è arrivata la richiesta per Corpo ed Anima.
Com’è avvenuto, come hai ottenuto il ruolo da protagonista nel film?
Ildikó Enyedi mi aveva già notato in università, perché aveva un corso di regia cinematografica, ma all’inizio non mi voleva per il ruolo principale. Desiderava assegnarmi il ruolo di un personaggio secondario, quello della psicologa. Poi, si mise a cercare Mária, la protagonista, così a lungo che le venne l’idea di vedere se fossi adatta al ruolo. Abbiamo fatto un lungo casting in seguito, e solo dopo ha deciso che l'avrei interpretata io.
Com’è stato collaborare con Ildikó Enyedi? Era sia il primo film che faceva da decenni che il primo ruolo da protagonista per te.
È stato molto facile, come se ci conoscessimo da sempre, o meglio, come se conoscessimo il linguaggio l’una dell’altra. Per cui spesso ci bastavano due o tre take, perché grossomodo già con così poco facevamo nascere la scena giusta, così come doveva essere.
Forse è una domanda scontata da fare a chi si muove tra il cinema e il teatro, ma quale dei due preferisci?
Il cinema è il mio vero amore, perché mi ispira molto di più avere un solo giorno, e quindi una sola possibilità per portare a termine qualcosa in modo eccellente, mentre nel teatro non è un problema commettere errori, le repliche permettono di continuare a migliorare. A me ispira piuttosto non avere seconde possibilità, sul set la scena verrà girata solo in quel momento, hai poco tempo e in quel tempo devi recitare perfettamente.
Avendo lavorato in varie industrie cinematografiche, notavi differenze negli approcci?
Non proprio, sono molto simili. L’unica cosa che ho notato è che in Slovacchia e Repubblica Ceca i produttori sono più presenti, non si palesano solo ad inizio o fine riprese, e spesso hanno loro il controllo, quindi richiedono, se c’è bisogno, degli ulteriori take - non mi era mai capitata una cosa del genere in Ungheria prima, o perlomeno, forse non l’avevo mai visto accadere perché lo facevano di nascosto. In ogni caso era una cosa nuova per me che un produttore intervenisse nel processo a tal punto. Però nel mio ultimo film, The Hungarian Dressmaker, ho sentito che a dominare fosse interamente la visione della regista Iveta Grofová.
Visto che stiamo già parlando di questo film: cosa ti ha attratto del ruolo di Marika?
Tutto. Prima di cominciare a girare adoravo già terribilmente la sceneggiatura e sentivo che sarebbe stato un ruolo difficile, una sfida, a dire il vero dopo Corpo ed Anima sento che possono arrivare solo sfide più grandi. Il fatto che io sia un’attrice ungherese, o meglio, che sia nata come ungherese in un paesino della Slovacchia, mi faceva sentire già vicina al personaggio, dato che anche Marika è ungherese ma vive e lavora in un ambiente slovacco. Già questa era una similitudine forte, tutta la situazione politica tra ungheresi e slovacchi, il conflitto continuo, la politica che influenza i rapporti umani e li avvelena. Tutto questo è sempre stato presente nella mia infanzia. Mi piaceva anche come nel film emergesse l’aspetto che spesso vogliamo essere persone buone, ma siamo influenzati dalle circostanze e sono le situazioni che dimostrano la nostra vera natura.
Sai già quale sarà il prossimo ruolo per te?
Si, ho già iniziato a prepararmi per un nuovo ruolo, di nuovo da protagonista per fortuna. Nel film parlerò in un dialetto tedesco della zona del volga, e il film riguarderà di nuovo gli anni quaranta, ma stavolta sarà ambientato in un campo in Siberia. Sarò una cantante lirica, quindi sarà di nuovo una sfida molto, molto grande.
Questo è effettivamente uno dei tuoi talenti, la conoscenza di varie lingue!
Sto imparando l’italiano da qualche anno, in passato ho studiato il tedesco, ma non lo uso da anni, quindi dovrò riprenderlo per questo film. Perciò si, attualmente parlo italiano, tedesco, slovacco, ungherese e naturalmente il ceco.
Recitare in lingue diverse comporta per te anche un diverso approccio a livello di performance? O non senti differenze?
Nella mia esperienza, se sei un attore e inizi a parlare più lingue fin dall'infanzia, ti apri in modo diverso e riesci maggiormente a cogliere il significato, in senso astratto, delle battute che devi pronunciare. È come se nella tua mente ci fossero dei cassetti, che ti rendano più naturale parlare in altre lingue. Per me la lingua non è mai un ostacolo perché quello che conta è la messa in scena del ruolo, e quella viene stabilita dal mio cuore e il mio sguardo, la lingua in cui mi esprimo diventa secondaria. Io ho bisogno di muovermi comunque in vari paesi, perché la carriera di una persona spesso dipende dalle situazioni politiche, soprattutto se suo marito, come nel mio caso, esprime sempre le proprie opinioni.