Il dolore ti sta logorando i denti
recensione di Lorenzo Sartor
RV-98
29.03.2025
Un’associazione tra sofferenza emotiva e fisica definisce l’inizio del nuovo film di David Cronenberg, in cui una nuova creazione dell’inventore Karsh (Vincent Cassel) permette ai vivi di affrontare la morte dei propri cari attraverso la visione di una copia digitale dei loro cadaveri durante il processo di decomposizione. Su stessa ammissione del padre del body-horror, i suoi film si presentano sempre “dal punto di vista della malattia” e in questo suo ultimo lavoro è il lutto il morbo incurabile che muta il modo in cui l’essere umano si relaziona ai corpi.
Per comprendere il nuovo tassello del percorso del cineasta canadese non possiamo limitarci alla sua penultima opera (Crimes of the Future, 2022) ma dobbiamo ritornare al 2021, al corto realizzato assieme alla figlia Caitlin, The Death of David Cronenberg, in cui in un minuto viene riassunto il senso ultimo della sua nuova poetica. Come in The Shrouds è centrale la visione di salme ricostruite digitalmente, anche nel cortometraggio il rapporto di sguardo avviene tra il vero David Cronenberg che osserva il proprio cadavere. Centrale in entrambe le opere è quindi non solo l’idea del duplice (la carne viva e il suo simulacro digitale), ma anche la stessa commercializzazione di tale corpo.
L’esperimento breve diretto da Cronenberg e dalla figlia nasceva infatti come NFT, un prodotto da essere messo all’asta e quindi svuotato di ogni implicazione umana o personale per diventare materiale da riprodurre e rivendere. La stessa sorte a cui vanno incontro i corpi di The Shrouds, ricreati come simulacri digitali solo per essere osservati, goduti come esperienza visiva, per divenire materiali di consumo.
Si è parlato di recente di come l’intelligenza artificiale possa diventare uno strumento utile a ricreare la voce dei morti, per offrire un conforto a chi deve elaborare un lutto. Il protagonista della pellicola trova questo conforto non nell’ideale che la moglie sia viva in un ipotetico aldilà, ma nella visione della sua salma che si decompone, nell’idea che sottoterra la carne continui il suo processo di decomposizione allo stesso modo in cui i corpi vivi continuano a mutare e a degradarsi. L’umanità mostrata da Cronenberg si rifugia quindi nell’idea della copia digitale come sostituzione alle mancanze materiali, tanto che Karsh riempie tale vuoto attraverso due riproduzioni della moglie deceduta: l’assistente artificiale riprodotta in CGI e la sorella di lei (tutte interpretate da Diane Kruger).
L’erotismo conturbante che è sempre stato centrale nell’operato del regista torna come pulsione verso la morte e, come James Stewart in Vertigo (La donna che visse due volte, 1958), che a detta stessa di Hitchcock, provava un’attrazione necrofila all’idea di poter ridare un corpo alla propria amata morta, anche Karsh diThe Shrouds trova nel fantasma della moglie la fonte per consumare un desiderio carnale di piacere.
Ma non sono solo le fantasie sessuali del protagonista a essere un’illusione, perché anche la realtà delle cose non appare mai definita nettamente agli occhi del personaggio, a cui tutti gli eventi di cui è spettatore e gli snodi fondamentali dell’intreccio arrivano mediati da un dispositivo ogni volta diverso. Sono infatti numerosi i momenti in cui un tablet, un telefono o altri strumenti mediali rivelano agli occhi di chi guarda nuovi pezzi del puzzle caotico che stanno alla base del racconto, esibendo i meccanismi attraverso cui nella contemporaneità ogni informazione arriva sempre filtrata e non nella sua forma reale. Come noi ogni giorno siamo costretti a riempire da soli gli spazi tra le notizie contraddittorie che arrivano da fonti diverse, i personaggi di Cronenberg inventano complotti artificiosi e contraddittori tra loro per arrivare a una verità che il visibile non può più rivelargli.
La cospirazione diventa così una fonte di godimento e il desiderio di raggiungere una verità finale con cui svelare i segreti alla base di questi complotti va di pari passo con l’aspirazione a raggiungere un orgasmo che i corpi da soli non sono più capaci di ottenere. Karsh e gli altri personaggi traggono piacere dalle loro stesse paranoie e laddove in eXistenZ (1999) vigeva la paura di non saper più distinguere il mondo digitale da quello tangibile, oggi siamo totalmente calati in una realtà fluida, mediata, dove non potendo più distinguere il concreto dal fasullo possiamo godere solo dell’artificio e della finzione.
Cronenberg mette così l’uomo occidentale a confronto con i propri timori per un continente al suo tramonto e con il proprio sentimento di impotenza (politica, ma anche sessuale) nei confronti delle altre potenze mondiali, le quali non lo fanno più sentire come il centro del mondo. Non è un caso che l’unico altro personaggio femminile con cui Karsh riesce ad avere un rapporto sessuale sia la ricca asiatica Soo-Min (Sandrine Holt), donna cieca la cui unica possibilità di visualizzare gli oggetti che la circondano è rappresentata dal senso del tatto, come se non fosse possibile definire un oggetto che non sia un’imitazione, una copia di un altro. Lo stesso Vincent Cassel ricorda nell’aspetto il cineasta canadese proprio perché deve fungere da ideale controparte attraverso cui il regista può rielaborare il lutto per la moglie, venuta a mancare nel 2017.
“Hai basato una carriera sui corpi” dice Diane Kruger al protagonista, che come lo stesso Cronenberg ha costruito ogni propria opera attorno a corpi che si deteriorano e occhi che li guardano mutare. Le spoglia digitali ricostruite attraverso il dispositivo altro non sono che i film stessi del regista e chi paga per vedere la loro decomposizione rispecchia lo spettatore comune, che assistendo a questi processi di mutazione esorcizza la consapevolezza della caducità della carne.
The Shrouds rappresenta così non solo il compimento di un’intera carriera costruita sui corpi e i loro cambiamenti, ma è il manifesto di una sua nuova fase, di un’elegia del body horror che nell’epoca della digitalizzazione diventa consapevole di non poter più parlare del visibile, ma solo di un suo doppio inautentico.
Il dolore ti sta logorando i denti
recensione di Lorenzo Sartor
RV-98
29.03.2025
Un’associazione tra sofferenza emotiva e fisica definisce l’inizio del nuovo film di David Cronenberg, in cui una nuova creazione dell’inventore Karsh (Vincent Cassel) permette ai vivi di affrontare la morte dei propri cari attraverso la visione di una copia digitale dei loro cadaveri durante il processo di decomposizione. Su stessa ammissione del padre del body-horror, i suoi film si presentano sempre “dal punto di vista della malattia” e in questo suo ultimo lavoro è il lutto il morbo incurabile che muta il modo in cui l’essere umano si relaziona ai corpi.
Per comprendere il nuovo tassello del percorso del cineasta canadese non possiamo limitarci alla sua penultima opera (Crimes of the Future, 2022) ma dobbiamo ritornare al 2021, al corto realizzato assieme alla figlia Caitlin, The Death of David Cronenberg, in cui in un minuto viene riassunto il senso ultimo della sua nuova poetica. Come in The Shrouds è centrale la visione di salme ricostruite digitalmente, anche nel cortometraggio il rapporto di sguardo avviene tra il vero David Cronenberg che osserva il proprio cadavere. Centrale in entrambe le opere è quindi non solo l’idea del duplice (la carne viva e il suo simulacro digitale), ma anche la stessa commercializzazione di tale corpo.
L’esperimento breve diretto da Cronenberg e dalla figlia nasceva infatti come NFT, un prodotto da essere messo all’asta e quindi svuotato di ogni implicazione umana o personale per diventare materiale da riprodurre e rivendere. La stessa sorte a cui vanno incontro i corpi di The Shrouds, ricreati come simulacri digitali solo per essere osservati, goduti come esperienza visiva, per divenire materiali di consumo.
Si è parlato di recente di come l’intelligenza artificiale possa diventare uno strumento utile a ricreare la voce dei morti, per offrire un conforto a chi deve elaborare un lutto. Il protagonista della pellicola trova questo conforto non nell’ideale che la moglie sia viva in un ipotetico aldilà, ma nella visione della sua salma che si decompone, nell’idea che sottoterra la carne continui il suo processo di decomposizione allo stesso modo in cui i corpi vivi continuano a mutare e a degradarsi. L’umanità mostrata da Cronenberg si rifugia quindi nell’idea della copia digitale come sostituzione alle mancanze materiali, tanto che Karsh riempie tale vuoto attraverso due riproduzioni della moglie deceduta: l’assistente artificiale riprodotta in CGI e la sorella di lei (tutte interpretate da Diane Kruger).
L’erotismo conturbante che è sempre stato centrale nell’operato del regista torna come pulsione verso la morte e, come James Stewart in Vertigo (La donna che visse due volte, 1958), che a detta stessa di Hitchcock, provava un’attrazione necrofila all’idea di poter ridare un corpo alla propria amata morta, anche Karsh diThe Shrouds trova nel fantasma della moglie la fonte per consumare un desiderio carnale di piacere.
Ma non sono solo le fantasie sessuali del protagonista a essere un’illusione, perché anche la realtà delle cose non appare mai definita nettamente agli occhi del personaggio, a cui tutti gli eventi di cui è spettatore e gli snodi fondamentali dell’intreccio arrivano mediati da un dispositivo ogni volta diverso. Sono infatti numerosi i momenti in cui un tablet, un telefono o altri strumenti mediali rivelano agli occhi di chi guarda nuovi pezzi del puzzle caotico che stanno alla base del racconto, esibendo i meccanismi attraverso cui nella contemporaneità ogni informazione arriva sempre filtrata e non nella sua forma reale. Come noi ogni giorno siamo costretti a riempire da soli gli spazi tra le notizie contraddittorie che arrivano da fonti diverse, i personaggi di Cronenberg inventano complotti artificiosi e contraddittori tra loro per arrivare a una verità che il visibile non può più rivelargli.
La cospirazione diventa così una fonte di godimento e il desiderio di raggiungere una verità finale con cui svelare i segreti alla base di questi complotti va di pari passo con l’aspirazione a raggiungere un orgasmo che i corpi da soli non sono più capaci di ottenere. Karsh e gli altri personaggi traggono piacere dalle loro stesse paranoie e laddove in eXistenZ (1999) vigeva la paura di non saper più distinguere il mondo digitale da quello tangibile, oggi siamo totalmente calati in una realtà fluida, mediata, dove non potendo più distinguere il concreto dal fasullo possiamo godere solo dell’artificio e della finzione.
Cronenberg mette così l’uomo occidentale a confronto con i propri timori per un continente al suo tramonto e con il proprio sentimento di impotenza (politica, ma anche sessuale) nei confronti delle altre potenze mondiali, le quali non lo fanno più sentire come il centro del mondo. Non è un caso che l’unico altro personaggio femminile con cui Karsh riesce ad avere un rapporto sessuale sia la ricca asiatica Soo-Min (Sandrine Holt), donna cieca la cui unica possibilità di visualizzare gli oggetti che la circondano è rappresentata dal senso del tatto, come se non fosse possibile definire un oggetto che non sia un’imitazione, una copia di un altro. Lo stesso Vincent Cassel ricorda nell’aspetto il cineasta canadese proprio perché deve fungere da ideale controparte attraverso cui il regista può rielaborare il lutto per la moglie, venuta a mancare nel 2017.
“Hai basato una carriera sui corpi” dice Diane Kruger al protagonista, che come lo stesso Cronenberg ha costruito ogni propria opera attorno a corpi che si deteriorano e occhi che li guardano mutare. Le spoglia digitali ricostruite attraverso il dispositivo altro non sono che i film stessi del regista e chi paga per vedere la loro decomposizione rispecchia lo spettatore comune, che assistendo a questi processi di mutazione esorcizza la consapevolezza della caducità della carne.
The Shrouds rappresenta così non solo il compimento di un’intera carriera costruita sui corpi e i loro cambiamenti, ma è il manifesto di una sua nuova fase, di un’elegia del body horror che nell’epoca della digitalizzazione diventa consapevole di non poter più parlare del visibile, ma solo di un suo doppio inautentico.