La mostruosità dell'umano,
recensione di Federico Mattioni
RV-61
13.06.2024
In un mondo in costante alterazione, sopravvivono ad una misteriosa trasmutazione umana di massa François ed Èmile, un padre ed un figlio che si sono dovuti separare da Lana, rispettivamente moglie e madre dei due, poiché colpita anch'essa da questa inspiegabile condizione. Si presume - ma di questo il film non ci dà spiegazione - che sia avvenuta qualche catastrofe di natura chimica, e che questa si sia infiltrata nell’organismo umano sconvolgendone gli equilibri interni. Le autorità hanno isolato le cosiddette “bestie” - esseri umani regrediti alla forma animale - dai centri abitati, ma, di tanto in tanto, essi fanno capolino nel contesto urbano scompigliando l’ordine costituito. Quando anche l’adolescente Èmile inizia a mostrare i primi, fastidiosi, sintomi della trasmutazione, suo padre, consapevole del fatto che esporsi equivarrebbe a doversi nuovamente separare da un altro membro della famiglia, cerca di attuare un astuto piano per nasconderlo dalla polizia.
Ciò che sorregge la portata etica di The Animal Kingdom è la sua volontà di rielaborare messaggi - come l’integrazione del diverso e dello straniero all’interno di un contesto estraneo ed ostile - mostrati innumerevoli volte sul grande schermo. L’obbiettivo del regista Thomas Cailley, pare essere quello di creare, cinematograficamente parlando, una sorta di “sintesi ecologista” tra la poetica di X-Man (2000) e le atmosfere favolistiche di un’opera più aspra come Birdy (1984).
A sorprendere in positivo è la capacità produttiva di riuscire a competere con i grandi film americani in termini di effetti speciali, cosa che per il cinema europeo non è affatto scontata. La CGI si coniuga perfettamente con il make-up classico, per arrivare a risultati di sana e autentica verosimiglianza: gli uomini sembrano uomini e gli animali, animali, ma all’interno dello stesso corpo. Un altro aspetto che tiene alta l’attenzione lungo tutto l’arco narrativo della pellicola, è la tensione pulsionale (e sensoriale) che si riversa sullo spettatore.
Inizialmente la rappresentazione della metamorfosi fisica sembra voler ricordare quella del classico cronenberghiano The Fly (La Mosca, 1986), salvo poi discostarsi da essa per porre la sua attenzione sulla conflittualità interna del giovane Èmile. Il rischio di incappare nel classico coming of age - con le sue descrizioni di quel tipico bisogno di fuga e quel senso di sfida e smarrimento - è spesso in agguato dietro l’angolo, ma The Animal Kingdom evita abilmente il clichè grazie ad una sceneggiatura equilibrata, e a tratti vibrante di emozioni pure, e alle interpretazioni del duo principale. A colpire particolarmente è l’impressionante performance di Paul Kircher - stella nascente tra i giovanissimi e in rampa di lancio a livello internazionale - affiancato da un bravissimo Romain Duris e da una Adèle Exarchopoulos che, purtroppo, passa decisamente in secondo piano e che a tratti dà la sensazione di essere fuori ruolo.
Se la scrittura appare equilibrata nel riuscire a gestire con intelligenza e precisione i motivi che si nascondono dietro alle conflittualità dei protagonisti, inclusi gli scoppi d’ira e le paure ataviche soggiacenti, tutta la parte centrale del lungometraggio, a livello strutturale, si dilunga troppo sui tentativi dell’adolescente in mutazione di volersi umanamente avvicinare alla vita nella foresta, in cerca di quella “mamma scomparsa” in fuga dalle autorità. La sensazione generale è che, in diversi momenti, Cailley voglia omaggiare alcuni classici del cinema, rischiando però di allentare l’attenzione verso il crescendo di terrore alla base del soggetto. Un’attenzione che però il regista riesce a recuperare, con grande bravura, verso il finale, grazie anche al buon montaggio operato da Lilian Corbeille.
Sono i modi in cui avviene l’unione/separazione che caratterizza i personaggi e la storia a rendere The Animal Kingdom un lavoro compiuto. La forza del film si trova proprio nella descrizione della “via di fuga”, lastricata di ostacoli, che Èmile deve percorrere e nella ricerca di quel senso di comunità che dovrebbe essere alla base del relazionarsi umano. Questo, chi appartiene ancora al regno umano ma che non può fare a meno, evidentemente, di riabbracciare quello animale, lo sa più che bene.
I due regni sono molto più vicini di quel che sembrano, e la sensazione di una catastrofica esplosione delle forze della natura è imminente. L’unica salvezza possibile per chi si è lasciato facilmente contaminare da una (forse) necessaria regressione, è quella di tornare laddove la natura selvaggia può tranquillamente coabitare con il mostruoso e il divino, volti espliciti della stessa emanazione energetica.
La mostruosità dell'umano,
recensione di Federico Mattioni
RV-61
13.06.2024
In un mondo in costante alterazione, sopravvivono ad una misteriosa trasmutazione umana di massa François ed Èmile, un padre ed un figlio che si sono dovuti separare da Lana, rispettivamente moglie e madre dei due, poiché colpita anch'essa da questa inspiegabile condizione. Si presume - ma di questo il film non ci dà spiegazione - che sia avvenuta qualche catastrofe di natura chimica, e che questa si sia infiltrata nell’organismo umano sconvolgendone gli equilibri interni. Le autorità hanno isolato le cosiddette “bestie” - esseri umani regrediti alla forma animale - dai centri abitati, ma, di tanto in tanto, essi fanno capolino nel contesto urbano scompigliando l’ordine costituito. Quando anche l’adolescente Èmile inizia a mostrare i primi, fastidiosi, sintomi della trasmutazione, suo padre, consapevole del fatto che esporsi equivarrebbe a doversi nuovamente separare da un altro membro della famiglia, cerca di attuare un astuto piano per nasconderlo dalla polizia.
Ciò che sorregge la portata etica di The Animal Kingdom è la sua volontà di rielaborare messaggi - come l’integrazione del diverso e dello straniero all’interno di un contesto estraneo ed ostile - mostrati innumerevoli volte sul grande schermo. L’obbiettivo del regista Thomas Cailley, pare essere quello di creare, cinematograficamente parlando, una sorta di “sintesi ecologista” tra la poetica di X-Man (2000) e le atmosfere favolistiche di un’opera più aspra come Birdy (1984).
A sorprendere in positivo è la capacità produttiva di riuscire a competere con i grandi film americani in termini di effetti speciali, cosa che per il cinema europeo non è affatto scontata. La CGI si coniuga perfettamente con il make-up classico, per arrivare a risultati di sana e autentica verosimiglianza: gli uomini sembrano uomini e gli animali, animali, ma all’interno dello stesso corpo. Un altro aspetto che tiene alta l’attenzione lungo tutto l’arco narrativo della pellicola, è la tensione pulsionale (e sensoriale) che si riversa sullo spettatore.
Inizialmente la rappresentazione della metamorfosi fisica sembra voler ricordare quella del classico cronenberghiano The Fly (La Mosca, 1986), salvo poi discostarsi da essa per porre la sua attenzione sulla conflittualità interna del giovane Èmile. Il rischio di incappare nel classico coming of age - con le sue descrizioni di quel tipico bisogno di fuga e quel senso di sfida e smarrimento - è spesso in agguato dietro l’angolo, ma The Animal Kingdom evita abilmente il clichè grazie ad una sceneggiatura equilibrata, e a tratti vibrante di emozioni pure, e alle interpretazioni del duo principale. A colpire particolarmente è l’impressionante performance di Paul Kircher - stella nascente tra i giovanissimi e in rampa di lancio a livello internazionale - affiancato da un bravissimo Romain Duris e da una Adèle Exarchopoulos che, purtroppo, passa decisamente in secondo piano e che a tratti dà la sensazione di essere fuori ruolo.
Se la scrittura appare equilibrata nel riuscire a gestire con intelligenza e precisione i motivi che si nascondono dietro alle conflittualità dei protagonisti, inclusi gli scoppi d’ira e le paure ataviche soggiacenti, tutta la parte centrale del lungometraggio, a livello strutturale, si dilunga troppo sui tentativi dell’adolescente in mutazione di volersi umanamente avvicinare alla vita nella foresta, in cerca di quella “mamma scomparsa” in fuga dalle autorità. La sensazione generale è che, in diversi momenti, Cailley voglia omaggiare alcuni classici del cinema, rischiando però di allentare l’attenzione verso il crescendo di terrore alla base del soggetto. Un’attenzione che però il regista riesce a recuperare, con grande bravura, verso il finale, grazie anche al buon montaggio operato da Lilian Corbeille.
Sono i modi in cui avviene l’unione/separazione che caratterizza i personaggi e la storia a rendere The Animal Kingdom un lavoro compiuto. La forza del film si trova proprio nella descrizione della “via di fuga”, lastricata di ostacoli, che Èmile deve percorrere e nella ricerca di quel senso di comunità che dovrebbe essere alla base del relazionarsi umano. Questo, chi appartiene ancora al regno umano ma che non può fare a meno, evidentemente, di riabbracciare quello animale, lo sa più che bene.
I due regni sono molto più vicini di quel che sembrano, e la sensazione di una catastrofica esplosione delle forze della natura è imminente. L’unica salvezza possibile per chi si è lasciato facilmente contaminare da una (forse) necessaria regressione, è quella di tornare laddove la natura selvaggia può tranquillamente coabitare con il mostruoso e il divino, volti espliciti della stessa emanazione energetica.