I tre lati del desiderio,
recensione di Federico Mattioni
RV-24
21.08.2023
La relazione sentimentale tra il regista Tomas e Martin si nasconde dietro l’imbellettata trasversalità della Parigi contemporanea, per poi deragliare dal momento in cui Tomas incontra l’insegnante Agathe durante la festa di fine riprese del suo ultimo film, lavoro su cui ripone molte aspettative. Tomas cede alle lusinghe della ragazza, ci va a letto e confessa tutto al marito Martin che sembra essere piuttosto distratto rispetto alle sue attività professionali. Tomas cerca di affrontare il fatto obiettivamente, provando a considerarne le contraddizioni ma anche la portata eccitante data dall’incontro inaspettato e segretamente ricercato. Vale a dire che il rapporto tra Tomas e Martin ha subito qualche contraccolpo, dettato da stanchezza, da un malcelato disinteresse per i rispettivi talenti creativi o più semplicemente dalla necessità insita nell’essere umano, di tanto in tanto, di concedersi altre occasioni, nel dimostrare a se stessi che si può essere ancora attraenti agli occhi di altri potenziali partner.
Questo non è amore? E invece sembrerebbe soltanto una reazione scomposta, un grido d’aiuto silenzioso e a debita distanza da parte di un innamorato che si sente trascurato, capace d’innescare una molla nelle tendenze di Martin. Ed è proprio da quando Martin decide di associarsi ad un’apertura verso nuove conoscenze di natura sessuale, nella fattispecie con uno scrittore, che Tomas torna a bussare alla sua porta, persino con maggior impeto di prima ma senza più il necessario equilibrio. Tomas è diventato irruento e non riesce a controllare il suo furore di uomo abbandonato e tradito da suoi stessi desideri, dalla repressa ambivalente passionalità nei riguardi di entrambi i sessi. Tutto ciò dopo aver sentimentalmente illuso Agathe e aver compreso quanto preziosa fosse la persona che aveva perso. Sono le dinamiche di coppia di uomini e donne, senza arrischiare nel farne una questione di genere, che si muovono arrancando verso una morale di senso da restituire al flusso disordinato delle emozioni. Dinamiche risapute che si susseguono nelle lotte quotidiane nel tentativo di mantenere in salute una relazione amorosa. Desideri e aspettative si muovono confuse negli interni di appartamenti dagli spazi ristretti, a un passo dal definirsi angusti, dove potersi prendere con vigore sessuale ed entro i quali respingersi per il troppo ardore sviscerato.
Ira Sachs, con il contributo dello sceneggiatore Mauricio Zacharias, scrive e dirige con precisione d’intenti, nei caratteri e nei toni, restituendo un arco narrativo credibile e autentico incentrato su di una sceneggiatura che prova a offrire una convincente variazione sul triangolo amoroso, riuscendoci senza sforzarsi troppo di cercare di essere anche originale. E non se ne avverte più di tanto l’esigenza, data l’autenticità dei tratti. Lo accompagnano nel compito, con convincente perspicacia, gli attori: Franz Rogowski, infantilmente fisico e istintivo reazionario; Ben Whishaw, contenuto e formalmente calibrato con un savoir-faire britannico; Adele Exarchopoulos, dall’aria innocente e al contempo affettivamente famelica. Interpreti catturati nel preciso sviluppo di un percorso che Ira Sachs immortala dentro istantanee, col cipiglio sensibile e accorto nei riguardi del potenziale di scena. Nelle pieghe di un film che si muove morbidamente tra le spirali di un dramma sentimentale abbastanza classico ma non tradizionale, c’è posto per una trattazione sufficientemente cruda e realistica della sessualità, con tanto di particolari (sempre e comunque scomodi per la censura) efficientemente rafforzanti quei caratteri che definiscono così bene i tre personaggi principali, sballottati su di una giostra emotiva di svilente instabilità psicologica.
Il punto di forza sta soprattutto in questa dialettica tra scrittura dei personaggi e direzione dei caratteri, nonché in una regia precisa, misurata, perfettamente consapevole di quando intensificare e di quando ammorbidire con immediatezza e fluida sensibilità, permettendo così una grande varietà di sensazioni, capaci di svelare con accuratezza le necessarie sfumature. Ira mira l’obiettivo, spesso e volentieri, su Tomas/Rogowski e decide di lasciarci con lo sguardo su di lui, con vibratile sveltezza, con aleatorietà e allo stesso passo della sua bici, lungo le strade di una Parigi un poco più anonima del solito. Come per farci scegliere, a noi spettatori, se è il caso di lasciarsi trasportare dagli eventi occasionali o domandarsi se è forse più opportuno mollare via tutti quei passi errati. La spinta delle pedalate e le avvolgenti carrellate così ben evidenziate dal ritmo del montaggio, sembrano offrirci una prospettiva rasserenante, dopotutto.
I tre lati del desiderio,
recensione di Federico Mattioni
RV-24
21.08.2023
La relazione sentimentale tra il regista Tomas e Martin si nasconde dietro l’imbellettata trasversalità della Parigi contemporanea, per poi deragliare dal momento in cui Tomas incontra l’insegnante Agathe durante la festa di fine riprese del suo ultimo film, lavoro su cui ripone molte aspettative. Tomas cede alle lusinghe della ragazza, ci va a letto e confessa tutto al marito Martin che sembra essere piuttosto distratto rispetto alle sue attività professionali. Tomas cerca di affrontare il fatto obiettivamente, provando a considerarne le contraddizioni ma anche la portata eccitante data dall’incontro inaspettato e segretamente ricercato. Vale a dire che il rapporto tra Tomas e Martin ha subito qualche contraccolpo, dettato da stanchezza, da un malcelato disinteresse per i rispettivi talenti creativi o più semplicemente dalla necessità insita nell’essere umano, di tanto in tanto, di concedersi altre occasioni, nel dimostrare a se stessi che si può essere ancora attraenti agli occhi di altri potenziali partner.
Questo non è amore? E invece sembrerebbe soltanto una reazione scomposta, un grido d’aiuto silenzioso e a debita distanza da parte di un innamorato che si sente trascurato, capace d’innescare una molla nelle tendenze di Martin. Ed è proprio da quando Martin decide di associarsi ad un’apertura verso nuove conoscenze di natura sessuale, nella fattispecie con uno scrittore, che Tomas torna a bussare alla sua porta, persino con maggior impeto di prima ma senza più il necessario equilibrio. Tomas è diventato irruento e non riesce a controllare il suo furore di uomo abbandonato e tradito da suoi stessi desideri, dalla repressa ambivalente passionalità nei riguardi di entrambi i sessi. Tutto ciò dopo aver sentimentalmente illuso Agathe e aver compreso quanto preziosa fosse la persona che aveva perso. Sono le dinamiche di coppia di uomini e donne, senza arrischiare nel farne una questione di genere, che si muovono arrancando verso una morale di senso da restituire al flusso disordinato delle emozioni. Dinamiche risapute che si susseguono nelle lotte quotidiane nel tentativo di mantenere in salute una relazione amorosa. Desideri e aspettative si muovono confuse negli interni di appartamenti dagli spazi ristretti, a un passo dal definirsi angusti, dove potersi prendere con vigore sessuale ed entro i quali respingersi per il troppo ardore sviscerato.
Ira Sachs, con il contributo dello sceneggiatore Mauricio Zacharias, scrive e dirige con precisione d’intenti, nei caratteri e nei toni, restituendo un arco narrativo credibile e autentico incentrato su di una sceneggiatura che prova a offrire una convincente variazione sul triangolo amoroso, riuscendoci senza sforzarsi troppo di cercare di essere anche originale. E non se ne avverte più di tanto l’esigenza, data l’autenticità dei tratti. Lo accompagnano nel compito, con convincente perspicacia, gli attori: Franz Rogowski, infantilmente fisico e istintivo reazionario; Ben Whishaw, contenuto e formalmente calibrato con un savoir-faire britannico; Adele Exarchopoulos, dall’aria innocente e al contempo affettivamente famelica. Interpreti catturati nel preciso sviluppo di un percorso che Ira Sachs immortala dentro istantanee, col cipiglio sensibile e accorto nei riguardi del potenziale di scena. Nelle pieghe di un film che si muove morbidamente tra le spirali di un dramma sentimentale abbastanza classico ma non tradizionale, c’è posto per una trattazione sufficientemente cruda e realistica della sessualità, con tanto di particolari (sempre e comunque scomodi per la censura) efficientemente rafforzanti quei caratteri che definiscono così bene i tre personaggi principali, sballottati su di una giostra emotiva di svilente instabilità psicologica.
Il punto di forza sta soprattutto in questa dialettica tra scrittura dei personaggi e direzione dei caratteri, nonché in una regia precisa, misurata, perfettamente consapevole di quando intensificare e di quando ammorbidire con immediatezza e fluida sensibilità, permettendo così una grande varietà di sensazioni, capaci di svelare con accuratezza le necessarie sfumature. Ira mira l’obiettivo, spesso e volentieri, su Tomas/Rogowski e decide di lasciarci con lo sguardo su di lui, con vibratile sveltezza, con aleatorietà e allo stesso passo della sua bici, lungo le strade di una Parigi un poco più anonima del solito. Come per farci scegliere, a noi spettatori, se è il caso di lasciarsi trasportare dagli eventi occasionali o domandarsi se è forse più opportuno mollare via tutti quei passi errati. La spinta delle pedalate e le avvolgenti carrellate così ben evidenziate dal ritmo del montaggio, sembrano offrirci una prospettiva rasserenante, dopotutto.