Sopravvivere al tunnel,
recensione di Arturo Garavaglia
RV-11
04.04.2023
Una ripresa aerea ci mostra Milano mentre scorrono i titoli di testa. Fra le note della colonna sonora emerge un respiro sempre più affannoso che cessa solo quando la camera si ferma all’esterno di un appartamento. Dentro quella casa è in corso una festa a sorpresa per festeggiare il pensionamento del poliziotto Franco Amore. Un bambino gioca con una pistola giocattolo e spara a uno degli invitati che reagisce con stizza. Le immagini con cui si apre L’ultima notte di amore, terzo lungometraggio di Andrea di Stefano che vede nel cast Pierfrancesco Favino, Linda Caridi, Antonio Gerardi e Francesco di Leva, introducono allo spettatore gli elementi cardine sui quali si innesta la struttura drammaturgica ed estetica del film.
Il respiro affannoso è quello di un uomo, Franco Amore, che nella notte prima del pensionamento, dopo una vita passata in seconda linea a causa delle parentele poco limpide della moglie, decide di trasgredire e si trova coinvolto in un intrigo più grande di lui. La città vista dall’alto, Milano, è quella che Di Stefano riporta al centro di un noir, recuperando e reinventando la tradizione dei polizieschi che venivano ambientati nel capoluogo lombardo negli anni ’70. Le stesse note della colonna sonora di Santi Pulvirenti richiamano le atmosfere tipiche di quegli anni. Il bambino spara con la pistola giocattolo alla persona che si scoprirà responsabile della morte di suo padre Dino. Dall’alto, la macchina da presa immortala l’arrivo di Franco Amore per poi tornare a terra e focalizzarsi solo sul suo volto, lasciando l’ambiente fuori fuoco.
Dopo la spettacolare ripresa aerea iniziale, in L’ultima notte di Amore gli ambienti e gli edifici vengono mostrati solo parzialmente, privi dei legami spaziali delineati dal long take che apre il film. Si fanno sineddochi che esistono solo ed esclusivamente come tetri e verticali establishing shot, così da contestualizzare con la loro presenza i caratteri e le azioni dei personaggi. Hanno un corpo e una rilevanza, ma il loro mostrarsi sembra soltanto una metafora che definisce chi si muove in essi. Non è un caso che compaiano prevalentemente nella prima parte del film, quella del flashback che mette le carte in tavola e presenta i giocatori, per poi scomparire quando il ritmo si fa più incalzante e l’azione si svolge in un unico tempo, una notte, e in un unico luogo, un tunnel poco fuori dalla città. In esso Franco Amore e sua moglie Viviana giocano una partita fino all’ultimo respiro con il proprio futuro. Un tunnel dal quale uscire indenni per trovare una nuova luce, in una notte a cui sopravvivere per veder sorgere una nuova alba.
La macchina da presa ingabbia i volti e i corpi dei personaggi costringendoli all’interno degli spazi, lasciandoli ansimanti, deformando il loro linguaggio, riuscendo in questo modo a trasmettere allo spettatore la tensione psicologica e il nervosismo che li contraddistingue. Il processo di immedesimazione nei protagonisti - favorito da un’intelligente scrittura dei caratteri e dalle interpretazioni degli attori che donano a essi profondità e spessore - è ottenuto. Di Stefano può quindi contare su un’elevata sospensione dell’incredulità da parte del pubblico per trascinarlo in un tunnel di sequenze di tensione che angosciano e lasciano senza fiato.
La già citata colonna sonora di Pulvirenti e il montaggio curato da Giogiò Franchini contribuiscono ad alzare il voltaggio del film che si fa via via sempre più vorticoso fino a un ellittico showdown finale che sembra congelare la tensione accumulata fino a quel momento salvo poi farla riemergere, latente e perturbante, nelle ultime inquadrature. Franco Amore ce l’ha fatta? È riuscito a lasciarsi indietro il buio della notte? È uscito dal tunnel? La carpa che lo rappresenta ha superato la cascata per diventare dragone? Il film non indugia oltre, ma la sagoma che si avvicina minacciosa alla sua auto sembra far ricadere il protagonista nel buio. È un cinese? Un calabrese? Un poliziotto? Non ha importanza. Il destino di Amore sembra consegnato a quel nero su cui il film si conclude. La macchina da presa, ora, lo inquadra dal basso.
Sopravvivere al tunnel,
recensione di Arturo Garavaglia
RV-11
04.04.2023
Una ripresa aerea ci mostra Milano mentre scorrono i titoli di testa. Fra le note della colonna sonora emerge un respiro sempre più affannoso che cessa solo quando la camera si ferma all’esterno di un appartamento. Dentro quella casa è in corso una festa a sorpresa per festeggiare il pensionamento del poliziotto Franco Amore. Un bambino gioca con una pistola giocattolo e spara a uno degli invitati che reagisce con stizza. Le immagini con cui si apre L’ultima notte di amore, terzo lungometraggio di Andrea di Stefano che vede nel cast Pierfrancesco Favino, Linda Caridi, Antonio Gerardi e Francesco di Leva, introducono allo spettatore gli elementi cardine sui quali si innesta la struttura drammaturgica ed estetica del film.
Il respiro affannoso è quello di un uomo, Franco Amore, che nella notte prima del pensionamento, dopo una vita passata in seconda linea a causa delle parentele poco limpide della moglie, decide di trasgredire e si trova coinvolto in un intrigo più grande di lui. La città vista dall’alto, Milano, è quella che Di Stefano riporta al centro di un noir, recuperando e reinventando la tradizione dei polizieschi che venivano ambientati nel capoluogo lombardo negli anni ’70. Le stesse note della colonna sonora di Santi Pulvirenti richiamano le atmosfere tipiche di quegli anni. Il bambino spara con la pistola giocattolo alla persona che si scoprirà responsabile della morte di suo padre Dino. Dall’alto, la macchina da presa immortala l’arrivo di Franco Amore per poi tornare a terra e focalizzarsi solo sul suo volto, lasciando l’ambiente fuori fuoco.
Dopo la spettacolare ripresa aerea iniziale, in L’ultima notte di Amore gli ambienti e gli edifici vengono mostrati solo parzialmente, privi dei legami spaziali delineati dal long take che apre il film. Si fanno sineddochi che esistono solo ed esclusivamente come tetri e verticali establishing shot, così da contestualizzare con la loro presenza i caratteri e le azioni dei personaggi. Hanno un corpo e una rilevanza, ma il loro mostrarsi sembra soltanto una metafora che definisce chi si muove in essi. Non è un caso che compaiano prevalentemente nella prima parte del film, quella del flashback che mette le carte in tavola e presenta i giocatori, per poi scomparire quando il ritmo si fa più incalzante e l’azione si svolge in un unico tempo, una notte, e in un unico luogo, un tunnel poco fuori dalla città. In esso Franco Amore e sua moglie Viviana giocano una partita fino all’ultimo respiro con il proprio futuro. Un tunnel dal quale uscire indenni per trovare una nuova luce, in una notte a cui sopravvivere per veder sorgere una nuova alba.
La macchina da presa ingabbia i volti e i corpi dei personaggi costringendoli all’interno degli spazi, lasciandoli ansimanti, deformando il loro linguaggio, riuscendo in questo modo a trasmettere allo spettatore la tensione psicologica e il nervosismo che li contraddistingue. Il processo di immedesimazione nei protagonisti - favorito da un’intelligente scrittura dei caratteri e dalle interpretazioni degli attori che donano a essi profondità e spessore - è ottenuto. Di Stefano può quindi contare su un’elevata sospensione dell’incredulità da parte del pubblico per trascinarlo in un tunnel di sequenze di tensione che angosciano e lasciano senza fiato.
La già citata colonna sonora di Pulvirenti e il montaggio curato da Giogiò Franchini contribuiscono ad alzare il voltaggio del film che si fa via via sempre più vorticoso fino a un ellittico showdown finale che sembra congelare la tensione accumulata fino a quel momento salvo poi farla riemergere, latente e perturbante, nelle ultime inquadrature. Franco Amore ce l’ha fatta? È riuscito a lasciarsi indietro il buio della notte? È uscito dal tunnel? La carpa che lo rappresenta ha superato la cascata per diventare dragone? Il film non indugia oltre, ma la sagoma che si avvicina minacciosa alla sua auto sembra far ricadere il protagonista nel buio. È un cinese? Un calabrese? Un poliziotto? Non ha importanza. Il destino di Amore sembra consegnato a quel nero su cui il film si conclude. La macchina da presa, ora, lo inquadra dal basso.