Il tramonto apocalittico del cinema italiano,
recensione di Cecilia Parini
RV-26
31.08.2023
Quando si guarda un film catastrofico poche volte capita di sperare che l’asteroide, intorno alla quale ruota la trama, colpisca davvero il pianeta mettendo fine a tutto. Purtroppo, il nuovo film di Liliana Cavani, presentato fuori concorso all’ottantesima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, ha fatto sperare a tutti i presenti in sala che una roccia aliena interrompesse la loro agonia.
Un commento che può sembrare esagerato ma che in realtà non lo è, il lungometraggio si basa su una sceneggiatura che, nonostante l’interessante soggetto di partenza - un gruppo di amici che assieme vive quella che sembra essere la fine del mondo - si fonda su dialoghi fatti di nulla e frasi scontate messe in sequenza che spesso sembrano non rispettare un ordine logico. La regia della Cavani, che nel 1974 conquistò pubblico e critica internazionale con Il portiere di notte, in questo suo ultimo lavoro pare inesistente. Si intravede la chiave documentarista del suo cinema attraverso l’uso della camera fissa, che sembra cogliere le situazioni che si sviluppano tra gli attori, ma nulla di più.
L’intento dell’opera nel trattare le emozioni che scaturiscono davanti a una fine imminente naufraga non raggiungendo i risultati sperati. L’ordine del tempo sembra rispecchiare un tipo di cinema italiano sul baratro dell’estinzione (e non a causa di un meteorite). Il film, come purtroppo buona parte del cinema nostrano, sembra focalizzarsi esclusivamente sui grandi nomi che hanno partecipato alla sua realizzazione, dalla regista fino a un cast di attori - come Edoardo Leo, Claudia Gerini, Alessandro Gassman e Valentina Cervi - che sembra scordarsi dell’importanza della sceneggiatura. L’elemento fondamentale di riuscire a far immedesimare lo spettatore con i personaggi, facendo leva sui sentimenti, fallisce nel suo intento.
Al contrario del film d’apertura della Mostra - Comandante di Edoardo De Angelis, che anche se imperfetto cerca di portare il cinema italiano verso nuovi orizzonti, raccontando una storia locale ma dall’interesse internazionale - il lungometraggio di Liliana Cavani rimane sfortunatamente ancorato a un’idea oramai antiquata di cinematografia.
Ci auguriamo che l’asteroide del film, che ha svegliato la coscienza dei protagonisti, risvegli anche quella dei produttori italiani a investire su progetti di maggior valore in modo da regalare nuova vita al nostro cinema.
Il tramonto apocalittico del cinema italiano,
recensione di Cecilia Parini
RV-26
31.08.2023
Quando si guarda un film catastrofico poche volte capita di sperare che l’asteroide, intorno alla quale ruota la trama, colpisca davvero il pianeta mettendo fine a tutto. Purtroppo, il nuovo film di Liliana Cavani, presentato fuori concorso all’ottantesima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, ha fatto sperare a tutti i presenti in sala che una roccia aliena interrompesse la loro agonia.
Un commento che può sembrare esagerato ma che in realtà non lo è, il lungometraggio si basa su una sceneggiatura che, nonostante l’interessante soggetto di partenza - un gruppo di amici che assieme vive quella che sembra essere la fine del mondo - si fonda su dialoghi fatti di nulla e frasi scontate messe in sequenza che spesso sembrano non rispettare un ordine logico. La regia della Cavani, che nel 1974 conquistò pubblico e critica internazionale con Il portiere di notte, in questo suo ultimo lavoro pare inesistente. Si intravede la chiave documentarista del suo cinema attraverso l’uso della camera fissa, che sembra cogliere le situazioni che si sviluppano tra gli attori, ma nulla di più.
L’intento dell’opera nel trattare le emozioni che scaturiscono davanti a una fine imminente naufraga non raggiungendo i risultati sperati. L’ordine del tempo sembra rispecchiare un tipo di cinema italiano sul baratro dell’estinzione (e non a causa di un meteorite). Il film, come purtroppo buona parte del cinema nostrano, sembra focalizzarsi esclusivamente sui grandi nomi che hanno partecipato alla sua realizzazione, dalla regista fino a un cast di attori - come Edoardo Leo, Claudia Gerini, Alessandro Gassman e Valentina Cervi - che sembra scordarsi dell’importanza della sceneggiatura. L’elemento fondamentale di riuscire a far immedesimare lo spettatore con i personaggi, facendo leva sui sentimenti, fallisce nel suo intento.
Al contrario del film d’apertura della Mostra - Comandante di Edoardo De Angelis, che anche se imperfetto cerca di portare il cinema italiano verso nuovi orizzonti, raccontando una storia locale ma dall’interesse internazionale - il lungometraggio di Liliana Cavani rimane sfortunatamente ancorato a un’idea oramai antiquata di cinematografia.
Ci auguriamo che l’asteroide del film, che ha svegliato la coscienza dei protagonisti, risvegli anche quella dei produttori italiani a investire su progetti di maggior valore in modo da regalare nuova vita al nostro cinema.