Primari e complementari
recensione di Beatrice Gangi
RV-81
08.12.2024
Giallo, rosso, e blu sono colori primari. Rosso e verde, blu e arancione, giallo e viola, sono complementari. Dove i primi sono anche denominati “assoluti”, non ricavabili dalla combinazione di altri colori, i secondi ne sono dei derivati, in completa opposizione sulla ruota cromatica. In La stanza accanto, Pedro Almodóvar accompagna ancora una volta la narrazione alla propria personale estetica, designando il colore saturo, in toni primari e complementari, come attore fondamentale di continui binomi visivi. Nei vestiti delle due protagoniste, negli spazi che abitano, negli oggetti con cui entrano in contatto, rosso magenta, giallo limone, o blu acceso, sono costantemente presenti. Contrasti che accompagnano la riflessione sul binomio più complesso di tutti, bianco e nero, vita e morte. Se ne discute la posizione reciproca, primaria o complementare, opposizione o imprescindibilità.
Il dramma di Almodóvar, è apparentemente semplice. Due amiche, Ingrid (Julianne Moore), che teme la morte, e Martha (Tilda Swinton), costretta ad affrontarla. Per farsi forza, Martha chiede a Ingrid di “accompagnarla” nel passaggio, quindi di assisterla nella sua volontà di ricorrere all’eutanasia. L’ennesima variazione sulla mortalità, Almodóvar ritorna sul tema del fine vita, ritraendo la reazione alla morte da parte di attori in posizioni diverse rispetto ad essa, primariamente di rifiuto e di accettazione. Tratto dal romanzo What Are You Going Through di Sigrid Nunez, è il primo lungometraggio del regista spagnolo in lingua inglese, ed il dialogo rappresenta il secondo elemento strutturale di quest’opera, in associazione alla calcata estetica. Inizialmente, il fitto intreccio discorsivo traballa in una sconnessa sbrigatività, in particolare nella gestione di improvvisi flashback con riferimento al passato, privi di respiro, e nella subordinazione della componente emotiva alla tecnica delle (comunque eccellenti) attrici, per poi aprirsi a una maggiore umanità esondante soprattutto nel secondo atto della pellicola.
L’iniziale senso di artefazione, è rinforzato dalla scelta di accostare una così raffinata ricerca di bellezza visiva, a un tema delicato come quello della malattia e della mortalità. Solo nel successivo dipanarsi della narrazione, Almodóvar riequilibra questa ricerca di estetismo, asservendo efficacemente l’elemento visivo alla storia, e non viceversa. É, di fatti, nel suo graduale sviluppo che La stanza accanto si configura in una forma più bilanciata e maggiormente riuscita. In maniera similare, i costanti rimandi e riferimenti - ricorre tra essi l’epilogo di Gente di Dublino di James Joyce - da manieristici, si traslano in efficaci vettori del più intimo legame tra l’esperienza umana e la capacità delle arti di catturarla.
Nonostante l’incipit narrativo, La stanza accanto non discute il diritto, o meno, di decidere liberamente della propria vita così come della propria morte. Riflette sul più ampio divario tra presenza e assenza, sul morire come, appunto, spostarsi nella stanza accanto, un qualcosa di osservabile ma non tangibile. Quindi, sul rapporto umano verso ciò che è familiare e al contempo inconoscibile. Una tematica ricorrente, non solo in sequenze più didascaliche quali il dialogo di Ingrid con il proprio personal trainer, ma ancora una volta anche a livello visivo, nello splendido set della casa vacanze, strutturata in enormi finestre, vetri divisori e, porte (e tra esse una, sostanziale, porta rossa).
Vincitrice del Leone d’Oro all’ultima Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, La stanza accanto di Pedro Almodóvar, non è un’opera priva di difetti. Eppure, l’iniziale senso di artificio, la mancanza di coesione di alcuni dei suoi elementi, il forse eccessivo citazionismo, non ne pregiudicano l’insita profondità. Dove funziona, è di fatto impeccabile. Momenti in cui ogni suo elemento, visivo, sonoro, le interpretazioni attoriali, la fluidità di scrittura, divengono coadiuvanti nella perfetta espressione di una tematica irrisolvibile. Cosa avviene nello spazio vuoto tra una cosa e un'altra, la sussistenza di tale vuoto come elemento divisorio o unificatore. Domande prive di risposta alla quale, come nella delicata sequenza finale, è comunque possibile azzardare un’ipotesi.
Primari e complementari
recensione di Beatrice Gangi
RV-81
08.12.2024
Giallo, rosso, e blu sono colori primari. Rosso e verde, blu e arancione, giallo e viola, sono complementari. Dove i primi sono anche denominati “assoluti”, non ricavabili dalla combinazione di altri colori, i secondi ne sono dei derivati, in completa opposizione sulla ruota cromatica. In La stanza accanto, Pedro Almodóvar accompagna ancora una volta la narrazione alla propria personale estetica, designando il colore saturo, in toni primari e complementari, come attore fondamentale di continui binomi visivi. Nei vestiti delle due protagoniste, negli spazi che abitano, negli oggetti con cui entrano in contatto, rosso magenta, giallo limone, o blu acceso, sono costantemente presenti. Contrasti che accompagnano la riflessione sul binomio più complesso di tutti, bianco e nero, vita e morte. Se ne discute la posizione reciproca, primaria o complementare, opposizione o imprescindibilità.
Il dramma di Almodóvar, è apparentemente semplice. Due amiche, Ingrid (Julianne Moore), che teme la morte, e Martha (Tilda Swinton), costretta ad affrontarla. Per farsi forza, Martha chiede a Ingrid di “accompagnarla” nel passaggio, quindi di assisterla nella sua volontà di ricorrere all’eutanasia. L’ennesima variazione sulla mortalità, Almodóvar ritorna sul tema del fine vita, ritraendo la reazione alla morte da parte di attori in posizioni diverse rispetto ad essa, primariamente di rifiuto e di accettazione. Tratto dal romanzo What Are You Going Through di Sigrid Nunez, è il primo lungometraggio del regista spagnolo in lingua inglese, ed il dialogo rappresenta il secondo elemento strutturale di quest’opera, in associazione alla calcata estetica. Inizialmente, il fitto intreccio discorsivo traballa in una sconnessa sbrigatività, in particolare nella gestione di improvvisi flashback con riferimento al passato, privi di respiro, e nella subordinazione della componente emotiva alla tecnica delle (comunque eccellenti) attrici, per poi aprirsi a una maggiore umanità esondante soprattutto nel secondo atto della pellicola.
L’iniziale senso di artefazione, è rinforzato dalla scelta di accostare una così raffinata ricerca di bellezza visiva, a un tema delicato come quello della malattia e della mortalità. Solo nel successivo dipanarsi della narrazione, Almodóvar riequilibra questa ricerca di estetismo, asservendo efficacemente l’elemento visivo alla storia, e non viceversa. É, di fatti, nel suo graduale sviluppo che La stanza accanto si configura in una forma più bilanciata e maggiormente riuscita. In maniera similare, i costanti rimandi e riferimenti - ricorre tra essi l’epilogo di Gente di Dublino di James Joyce - da manieristici, si traslano in efficaci vettori del più intimo legame tra l’esperienza umana e la capacità delle arti di catturarla.
Nonostante l’incipit narrativo, La stanza accanto non discute il diritto, o meno, di decidere liberamente della propria vita così come della propria morte. Riflette sul più ampio divario tra presenza e assenza, sul morire come, appunto, spostarsi nella stanza accanto, un qualcosa di osservabile ma non tangibile. Quindi, sul rapporto umano verso ciò che è familiare e al contempo inconoscibile. Una tematica ricorrente, non solo in sequenze più didascaliche quali il dialogo di Ingrid con il proprio personal trainer, ma ancora una volta anche a livello visivo, nello splendido set della casa vacanze, strutturata in enormi finestre, vetri divisori e, porte (e tra esse una, sostanziale, porta rossa).
Vincitrice del Leone d’Oro all’ultima Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, La stanza accanto di Pedro Almodóvar, non è un’opera priva di difetti. Eppure, l’iniziale senso di artificio, la mancanza di coesione di alcuni dei suoi elementi, il forse eccessivo citazionismo, non ne pregiudicano l’insita profondità. Dove funziona, è di fatto impeccabile. Momenti in cui ogni suo elemento, visivo, sonoro, le interpretazioni attoriali, la fluidità di scrittura, divengono coadiuvanti nella perfetta espressione di una tematica irrisolvibile. Cosa avviene nello spazio vuoto tra una cosa e un'altra, la sussistenza di tale vuoto come elemento divisorio o unificatore. Domande prive di risposta alla quale, come nella delicata sequenza finale, è comunque possibile azzardare un’ipotesi.