La tragica sinfonia di un'ossessione,
recensione di Cecilia Parini
RV-33
18.10.2023
Dopo l’indimenticabile biografia che Ken Russell filmò nel 1970, il regista russo Kirill Serebrennikov - autore apolide e poco amato dai poteri forti del suo paese - riporta sul grande schermo il ritratto del morboso e sofferto rapporto tra il celebre compositore Pëtr Tchaikovsky e sua moglie Antonina Ivanovna Miljukova.
Al contrario di Russell - che raccontò la storia dal punto di vista di Tchaikovsky - Serebrennikov si concentra esclusivamente sulla figura di Antonina, interpretata da una sublime Alyona Mikhailova, caratterizzandola come una perfetta eroina tragica degna di un romanzo di Tolstoj o Dostoevskij.
Antonina è una giovane studentessa del conservatorio di Mosca che, conoscendo ad un evento musicale l’affascinante e talentuoso compositore, se ne innamora perdutamente. Dopo un primo approccio e una dichiarazione d’amore che il musicista rifiuta, la ragazza riesce, durante un secondo incontro, a convincere il Maestro a sposarla, dando così inizio al proprio inferno personale.
Non è mai stato un mistero che Tchaikovsky preferisse la compagnia maschile a quella femminile, e, come ci mostra Serebrennikov, l’uomo non cela la sua sessualità nemmeno ad Antonina, spiegandole, prima delle nozze, che lui “non ama le donne” e che lei dovrà accontentarsi di un matrimonio privo di sentimenti.
Il regista riesce dunque a mettere insieme una pellicola che richiama il ritmo e gli struggimenti di una “sinfonia musicale” - elemento rievocato chiaramente attraverso i fluidi movimenti di camera - un poema che mostra la nascita di un’ossessione crudele, dolorosa e inevitabilmente fatale. L’Antonina di Serebrennikov, al contrario di quella rappresentata da Ken Russell, diviene un personaggio maggiormente sfaccettato: ella non è descritta semplicemente come una donna pazza e ninfomane, ma come una vittima delle proprie illusioni, difatto la sua discesa nella follia, illustrata in maniera graduale e stratificata, viene interpretata dal cineasta come la conseguenza di un calvario sentimentale. Il ritratto che viene fatto della consorte di Tchaikovsky è quello di un essere umano meticoloso, preciso e pieno di demoni interiori. Antonina vive in un mondo tutto suo, fatto di musica e di amore, un amore che lei è convinta di vivere insieme al marito rifiutando di vedere la realtà davanti ai suoi stessi occhi.
Attraverso il suo film, Serebrennikov ci fa immergere nella Russia di fine Ottocento senza lasciarsi scappare l’occasione di lanciare qualche stoccata alla situazione politica odierna. La realtà che viene descritta è quella di una nazione putrefatta, sull’orlo del collasso e abitata da figure decadenti ed avare. La fotografia di Vladislav Opelyants - fidato collaboratore del regista in lavori visionari come Parola di Dio (2016), Summer (2018) e Petrov’s Flu (2021) - rende perfettamente il senso di divisione sociale di quegli anni. La palette adoperata da Opelyants si divide infatti in colori neutri e polverosi per le sequenze che mostrano il popolo vestito di stracci ed ormai ridotto alla fame, e in toni caldi, scuri e quasi soffocanti per raffigurare gli interni dei palazzi nobiliari abitati da un'élite che si intrattiene in “banali” discussioni in francese o in festini dominati dall’eccesso e dallo spreco.
La protagonista è però meno fragile di quel che si possa pensare. La sua ossessione nei confronti del marito, che la fa risultare sciocca e cocciuta davanti agli altri, cela invece un'enorme forza d’animo e di resistenza. Antonina non cede davanti a nulla, anzi asseconda i giochi e i costumi di una classe che non conosce partecipando ad orge organizzate in suo onore e facendosi una seconda vita con un amante, ma, nonostante tutto, rifiutandosi categoricamente di abbandonare il suo status di moglie.
Serebrennikov ci fa comprendere, fin dall’inizio del film, come all’epoca le donne rappresentassero solo un nome sul passaporto dei mariti, per tanto la tenacia di Antonina vuole anche simboleggiare la volontà femminile di essere in qualche modo riconosciuta almeno nel ruolo che le viene assegnato. Il cineasta costruisce il “lungo incubo” dell’eroina in maniera magistrale, creando una vera e propria discrepanza tra la mente della protagonista e la realtà che la circonda. Al contrario del celebre film di Russell, che metteva in scena una pazzia evidente ed enfatizzata, Kirill Serebrennikov ci da solo degli accenni, come delle premonizioni a metà tra la realtà ed il sogno, di quella che sarà la triste fine di Antonina. Estremamente significativa in questo senso è infatti una scena che mostra la ragazza, in un momento di preghiera prima del matrimonio, insultata da una mendicante che comincia ad inveirle contro ricordandole il suo fallimento e la mancanza d’amore da parte del marito. Questo incontro sembra essere una precisa anticipazione del suo “destino maledetto”.
Le visioni oniriche che costellano l’opera ci fanno penetrare nella psiche frustrata della protagonista: come all’inizio del film dove, al funerale del marito, sarà proprio lei a vederlo alzarsi dal feretro per deriderla e invitarla ad andarsene, o verso la fine quando si troverà, all’interno del proprio appartamento ormai vuoto, vittima di una danza messa in scena da tutti gli uomini che l’hanno desiderata e dai quali cerca disperatamente di fuggire.
Serebrennikov dirige un lungometraggio in cui ogni fotogramma non lascia spazio alla speranza, ma presenta sempre un’ombra, che questa sia di morte o follia. Con maestria ed estro il regista crea un flusso di immagini privo di veri salti temporali, che, come degli accordi musicali che si susseguono senza un reale stacco tra un momento e l’altro, lascia lo spettatore disorientato ma, nello stesso tempo, irrimediabilmente commosso ed incantato.
La tragica sinfonia di un'ossessione,
recensione di Cecilia Parini
RV-33
18.10.2023
Dopo l’indimenticabile biografia che Ken Russell filmò nel 1970, il regista russo Kirill Serebrennikov - autore apolide e poco amato dai poteri forti del suo paese - riporta sul grande schermo il ritratto del morboso e sofferto rapporto tra il celebre compositore Pëtr Tchaikovsky e sua moglie Antonina Ivanovna Miljukova.
Al contrario di Russell - che raccontò la storia dal punto di vista di Tchaikovsky - Serebrennikov si concentra esclusivamente sulla figura di Antonina, interpretata da una sublime Alyona Mikhailova, caratterizzandola come una perfetta eroina tragica degna di un romanzo di Tolstoj o Dostoevskij.
Antonina è una giovane studentessa del conservatorio di Mosca che, conoscendo ad un evento musicale l’affascinante e talentuoso compositore, se ne innamora perdutamente. Dopo un primo approccio e una dichiarazione d’amore che il musicista rifiuta, la ragazza riesce, durante un secondo incontro, a convincere il Maestro a sposarla, dando così inizio al proprio inferno personale.
Non è mai stato un mistero che Tchaikovsky preferisse la compagnia maschile a quella femminile, e, come ci mostra Serebrennikov, l’uomo non cela la sua sessualità nemmeno ad Antonina, spiegandole, prima delle nozze, che lui “non ama le donne” e che lei dovrà accontentarsi di un matrimonio privo di sentimenti.
Il regista riesce dunque a mettere insieme una pellicola che richiama il ritmo e gli struggimenti di una “sinfonia musicale” - elemento rievocato chiaramente attraverso i fluidi movimenti di camera - un poema che mostra la nascita di un’ossessione crudele, dolorosa e inevitabilmente fatale. L’Antonina di Serebrennikov, al contrario di quella rappresentata da Ken Russell, diviene un personaggio maggiormente sfaccettato: ella non è descritta semplicemente come una donna pazza e ninfomane, ma come una vittima delle proprie illusioni, difatto la sua discesa nella follia, illustrata in maniera graduale e stratificata, viene interpretata dal cineasta come la conseguenza di un calvario sentimentale. Il ritratto che viene fatto della consorte di Tchaikovsky è quello di un essere umano meticoloso, preciso e pieno di demoni interiori. Antonina vive in un mondo tutto suo, fatto di musica e di amore, un amore che lei è convinta di vivere insieme al marito rifiutando di vedere la realtà davanti ai suoi stessi occhi.
Attraverso il suo film, Serebrennikov ci fa immergere nella Russia di fine Ottocento senza lasciarsi scappare l’occasione di lanciare qualche stoccata alla situazione politica odierna. La realtà che viene descritta è quella di una nazione putrefatta, sull’orlo del collasso e abitata da figure decadenti ed avare. La fotografia di Vladislav Opelyants - fidato collaboratore del regista in lavori visionari come Parola di Dio (2016), Summer (2018) e Petrov’s Flu (2021) - rende perfettamente il senso di divisione sociale di quegli anni. La palette adoperata da Opelyants si divide infatti in colori neutri e polverosi per le sequenze che mostrano il popolo vestito di stracci ed ormai ridotto alla fame, e in toni caldi, scuri e quasi soffocanti per raffigurare gli interni dei palazzi nobiliari abitati da un'élite che si intrattiene in “banali” discussioni in francese o in festini dominati dall’eccesso e dallo spreco.
La protagonista è però meno fragile di quel che si possa pensare. La sua ossessione nei confronti del marito, che la fa risultare sciocca e cocciuta davanti agli altri, cela invece un'enorme forza d’animo e di resistenza. Antonina non cede davanti a nulla, anzi asseconda i giochi e i costumi di una classe che non conosce partecipando ad orge organizzate in suo onore e facendosi una seconda vita con un amante, ma, nonostante tutto, rifiutandosi categoricamente di abbandonare il suo status di moglie.
Serebrennikov ci fa comprendere, fin dall’inizio del film, come all’epoca le donne rappresentassero solo un nome sul passaporto dei mariti, per tanto la tenacia di Antonina vuole anche simboleggiare la volontà femminile di essere in qualche modo riconosciuta almeno nel ruolo che le viene assegnato. Il cineasta costruisce il “lungo incubo” dell’eroina in maniera magistrale, creando una vera e propria discrepanza tra la mente della protagonista e la realtà che la circonda. Al contrario del celebre film di Russell, che metteva in scena una pazzia evidente ed enfatizzata, Kirill Serebrennikov ci da solo degli accenni, come delle premonizioni a metà tra la realtà ed il sogno, di quella che sarà la triste fine di Antonina. Estremamente significativa in questo senso è infatti una scena che mostra la ragazza, in un momento di preghiera prima del matrimonio, insultata da una mendicante che comincia ad inveirle contro ricordandole il suo fallimento e la mancanza d’amore da parte del marito. Questo incontro sembra essere una precisa anticipazione del suo “destino maledetto”.
Le visioni oniriche che costellano l’opera ci fanno penetrare nella psiche frustrata della protagonista: come all’inizio del film dove, al funerale del marito, sarà proprio lei a vederlo alzarsi dal feretro per deriderla e invitarla ad andarsene, o verso la fine quando si troverà, all’interno del proprio appartamento ormai vuoto, vittima di una danza messa in scena da tutti gli uomini che l’hanno desiderata e dai quali cerca disperatamente di fuggire.
Serebrennikov dirige un lungometraggio in cui ogni fotogramma non lascia spazio alla speranza, ma presenta sempre un’ombra, che questa sia di morte o follia. Con maestria ed estro il regista crea un flusso di immagini privo di veri salti temporali, che, come degli accordi musicali che si susseguono senza un reale stacco tra un momento e l’altro, lascia lo spettatore disorientato ma, nello stesso tempo, irrimediabilmente commosso ed incantato.