Proteggere la verità
recensione di Lorenzo Messina
RV-88
03.02.2025
Ci sono film in cui lo spettatore ha come l'impressione di varcare la soglia di una casa che non gli appartiene, ne condivide i ricordi e prova le stesse paure, le stesse speranze di persone che non ha mai conosciuto. Io sono ancora qui, diretto da Walter Salles e candidato a tre premi Oscar, è uno di quei film. Ci ricorda che talvolta il cinema compie un'impresa straordinaria: tradurre la memoria in esperienza.
Ispirato alla biografia di Marcelo Rubens Paiva - figlio di uno dei migliaia di desaparecidos vittime della dittatura militare brasiliana degli anni ’70 - il lungometraggio ci porta nella vita di Eunice Paiva e della sua famiglia, un nucleo profondamente unito e inseparabile che si ritrova improvvisamente spezzato. Eunice è costretta, da un giorno all’altro, a farsi carico della famiglia sopportando il peso dell’assenza e la brutalità di un regime che nega persino l’evidenza, obbligandola ad affrontare da sola il peso della verità. La sua vicenda personale è un monito universale sulla resilienza umana, e restituisce con forza il dramma di chi resta e lotta per conservare i ricordi.
Salles pone in contrasto la bellezza naturale del Brasile e la gioia della sua gente con la brutalità della repressione e le stanze anguste in cui vengono interrogati i prigionieri politici. Squarci di luce, riflessi dorati su Rio de Janeiro, strade piene di vita e volti illuminati da una serenità ostinata si oppongono alle ombre della caserma militare e della casa segnata dall’assenza.
La sceneggiatura, scritta da Murilo Hauser e Heitor Lorega e premiata con il Leone d'argento al Festival del Cinema di Venezia 2024, intreccia il dramma individuale con il contesto storico. Dialoghi essenziali, densi di significato, restituiscono l’atmosfera soffocante di un periodo in cui ogni parola poteva essere fatale.
La costruzione dei personaggi è stratificata e profonda: Eunice non è solo una madre in lotta per la verità che incarna la capacità umana di resistere all’annichilimento della propria identità, ma anche una donna in grado di trasformare un sorriso in un gesto di sfida contro l’ingiustizia. Ogni scena è un tassello che aggiunge intensità emotiva, culminando in momenti di grande potenza drammatica. Se il film lascia un segno indelebile, gran parte del merito va a una delle più grandi interpretazioni cinematografiche del XXI secolo. Quella di Fernanda Torres, prima brasiliana a ottenere il Golden Globe come Miglior Attrice protagonista. La sua Eunice Paiva è un personaggio fatto di silenzi pesanti, sguardi che raccontano il dolore meglio di qualsiasi monologo.
L'ultimo lavoro di Walter Salles va oltre la critica e i premi. Con oltre tre milioni di spettatori in Brasile è diventato un vero e proprio fenomeno culturale, ha riacceso il dibattito sulla dittatura e sull’importanza della memoria storica. Un'opera che non si limita a raccontare, ricostruire, ma che chiede di essere ascoltata, dialoga attivamente con il presente, interrogando lo spettatore sulla sua responsabilità nella salvaguardia della verità, in un’epoca in cui la verità è spesso distorta o dimenticata.
Io sono ancora qui è quindi una testimonianza che attraversa il tempo e lo spazio per ricordarci, con una sensibilità fuori dal comune, che la lotta per la giustizia non finisce mai. Vederlo in lingua originale è un’esperienza che tocca l’anima e che, soprattutto, è destinata a insinuarsi nella memoria continuando a risuonare ben oltre la visione.
Proteggere la verità
recensione di Lorenzo Messina
RV-88
03.02.2025
Ci sono film in cui lo spettatore ha come l'impressione di varcare la soglia di una casa che non gli appartiene, ne condivide i ricordi e prova le stesse paure, le stesse speranze di persone che non ha mai conosciuto. Io sono ancora qui, diretto da Walter Salles e candidato a tre premi Oscar, è uno di quei film. Ci ricorda che talvolta il cinema compie un'impresa straordinaria: tradurre la memoria in esperienza.
Ispirato alla biografia di Marcelo Rubens Paiva - figlio di uno dei migliaia di desaparecidos vittime della dittatura militare brasiliana degli anni ’70 - il lungometraggio ci porta nella vita di Eunice Paiva e della sua famiglia, un nucleo profondamente unito e inseparabile che si ritrova improvvisamente spezzato. Eunice è costretta, da un giorno all’altro, a farsi carico della famiglia sopportando il peso dell’assenza e la brutalità di un regime che nega persino l’evidenza, obbligandola ad affrontare da sola il peso della verità. La sua vicenda personale è un monito universale sulla resilienza umana, e restituisce con forza il dramma di chi resta e lotta per conservare i ricordi.
Salles pone in contrasto la bellezza naturale del Brasile e la gioia della sua gente con la brutalità della repressione e le stanze anguste in cui vengono interrogati i prigionieri politici. Squarci di luce, riflessi dorati su Rio de Janeiro, strade piene di vita e volti illuminati da una serenità ostinata si oppongono alle ombre della caserma militare e della casa segnata dall’assenza.
La sceneggiatura, scritta da Murilo Hauser e Heitor Lorega e premiata con il Leone d'argento al Festival del Cinema di Venezia 2024, intreccia il dramma individuale con il contesto storico. Dialoghi essenziali, densi di significato, restituiscono l’atmosfera soffocante di un periodo in cui ogni parola poteva essere fatale.
La costruzione dei personaggi è stratificata e profonda: Eunice non è solo una madre in lotta per la verità che incarna la capacità umana di resistere all’annichilimento della propria identità, ma anche una donna in grado di trasformare un sorriso in un gesto di sfida contro l’ingiustizia. Ogni scena è un tassello che aggiunge intensità emotiva, culminando in momenti di grande potenza drammatica. Se il film lascia un segno indelebile, gran parte del merito va a una delle più grandi interpretazioni cinematografiche del XXI secolo. Quella di Fernanda Torres, prima brasiliana a ottenere il Golden Globe come Miglior Attrice protagonista. La sua Eunice Paiva è un personaggio fatto di silenzi pesanti, sguardi che raccontano il dolore meglio di qualsiasi monologo.
L'ultimo lavoro di Walter Salles va oltre la critica e i premi. Con oltre tre milioni di spettatori in Brasile è diventato un vero e proprio fenomeno culturale, ha riacceso il dibattito sulla dittatura e sull’importanza della memoria storica. Un'opera che non si limita a raccontare, ricostruire, ma che chiede di essere ascoltata, dialoga attivamente con il presente, interrogando lo spettatore sulla sua responsabilità nella salvaguardia della verità, in un’epoca in cui la verità è spesso distorta o dimenticata.
Io sono ancora qui è quindi una testimonianza che attraversa il tempo e lo spazio per ricordarci, con una sensibilità fuori dal comune, che la lotta per la giustizia non finisce mai. Vederlo in lingua originale è un’esperienza che tocca l’anima e che, soprattutto, è destinata a insinuarsi nella memoria continuando a risuonare ben oltre la visione.