Il cammino verso la libertà,
recensione di Diana Incorvaia
RV-27
08.09.2023
Seydou Sarr e suo cugino hanno sedici anni, vivono in Senegal e sognano l’Europa. Decidono di partire per inseguire il loro progetto di una vita diversa senza però rivelarlo alle rispettive famiglie. Con Io Capitano Matteo Garrone torna a Venezia e riesce in una missione apparentemente impossibile. Un film che parla di migrazione senza perdersi in retoriche scadenti e falsi moralismi, che fugge costantemente il rischio di eccedere nella pornografia del dolore.
Come pochissimi, il regista romano riesce a rendere proprie le storie di altri, lasciando che si impossessino completamente di lui e del suo cinema. Così Io Capitano è quanto di più lontano si possa pensare da un film di denuncia politica. Quello che interessa a Garrone è raccontare il mondo del suo protagonista, un adolescente pieno di vita, di speranze e di ingenuità come qualsiasi altro ragazzo del mondo.
“Devi respirare la stessa aria che respiro io” dice la madre al giovane Seydou nel tentativo di proteggere lui è sé stessa dal dolore incolmabile provocato da una perdita quasi certa. Eppure Seydou non la ascolta, decide di partire lo stesso, in gran segreto. Le grandi speranze dei due giovani avventurieri, però, si spengono quasi immediatamente. Vittime della corruzione in ogni fase del loro viaggio, i protagonisti sono costretti ad affrontare decine di difficoltà inimmaginabili.
L’elemento poetico che di tanto in tanto spezza il crudo realismo (mai insistito) racconta con estrema eleganza il tumulto interiore di Seydou, animato da sensi di colpa è terrorizzato dall’idea di non poter più ricongiungersi ai suoi cari.
Io Capitano riporta la mente a Gomorra (2008) e si lega, attraverso l’escamotage della favola, con Pinocchio (2019). Al pari del burattino di legno Seydou sente il bisogno, quasi necessario, di essere protagonista della sua vita e di scoprire il mondo esterno, senza limiti e costrizioni. Allo stesso modo è un adolescente e come Ciro e Toto (entrambi protagonisti di una delle storie che si intrecciano in Gomorra), sogna in grande, vuole diventare un cantante famoso così da poter aiutare la sua famiglia in Senegal.
Impostando la narrazione attraverso la sua unica, e visionaria, chiave di lettura della realtà, Matteo Garrone ribalta completamente la prospettiva e riesce a marginalizzare l’aspetto politico della storia che ci vuole raccontare. Seydou, posto al comando di un'imbarcazione piena di migranti, sa di poter contare solo sulle sue forze ed eroicamente riesce a trarre tutti in salvo. I suoi occhi commossi al grido di “Io, capitano” raccontano coraggio, forza e ardore di un giovane ragazzo che diventa eroe. Io capitano è un viaggio che non si dimenticherà facilmente.
Il cammino verso la libertà,
recensione di Diana Incorvaia
RV-27
08.09.2023
Seydou Sarr e suo cugino hanno sedici anni, vivono in Senegal e sognano l’Europa. Decidono di partire per inseguire il loro progetto di una vita diversa senza però rivelarlo alle rispettive famiglie. Con Io Capitano Matteo Garrone torna a Venezia e riesce in una missione apparentemente impossibile. Un film che parla di migrazione senza perdersi in retoriche scadenti e falsi moralismi, che fugge costantemente il rischio di eccedere nella pornografia del dolore.
Come pochissimi, il regista romano riesce a rendere proprie le storie di altri, lasciando che si impossessino completamente di lui e del suo cinema. Così Io Capitano è quanto di più lontano si possa pensare da un film di denuncia politica. Quello che interessa a Garrone è raccontare il mondo del suo protagonista, un adolescente pieno di vita, di speranze e di ingenuità come qualsiasi altro ragazzo del mondo.
“Devi respirare la stessa aria che respiro io” dice la madre al giovane Seydou nel tentativo di proteggere lui è sé stessa dal dolore incolmabile provocato da una perdita quasi certa. Eppure Seydou non la ascolta, decide di partire lo stesso, in gran segreto. Le grandi speranze dei due giovani avventurieri, però, si spengono quasi immediatamente. Vittime della corruzione in ogni fase del loro viaggio, i protagonisti sono costretti ad affrontare decine di difficoltà inimmaginabili.
L’elemento poetico che di tanto in tanto spezza il crudo realismo (mai insistito) racconta con estrema eleganza il tumulto interiore di Seydou, animato da sensi di colpa è terrorizzato dall’idea di non poter più ricongiungersi ai suoi cari.
Io Capitano riporta la mente a Gomorra (2008) e si lega, attraverso l’escamotage della favola, con Pinocchio (2019). Al pari del burattino di legno Seydou sente il bisogno, quasi necessario, di essere protagonista della sua vita e di scoprire il mondo esterno, senza limiti e costrizioni. Allo stesso modo è un adolescente e come Ciro e Toto (entrambi protagonisti di una delle storie che si intrecciano in Gomorra), sogna in grande, vuole diventare un cantante famoso così da poter aiutare la sua famiglia in Senegal.
Impostando la narrazione attraverso la sua unica, e visionaria, chiave di lettura della realtà, Matteo Garrone ribalta completamente la prospettiva e riesce a marginalizzare l’aspetto politico della storia che ci vuole raccontare. Seydou, posto al comando di un'imbarcazione piena di migranti, sa di poter contare solo sulle sue forze ed eroicamente riesce a trarre tutti in salvo. I suoi occhi commossi al grido di “Io, capitano” raccontano coraggio, forza e ardore di un giovane ragazzo che diventa eroe. Io capitano è un viaggio che non si dimenticherà facilmente.