Guerre d'Europa e realismo poetico,
recensione di Arturo Garavaglia
RV-46
21.12.2023
Dentro a un bar karaoke si incrociano gli sguardi di due esistenze. Lei è appena stata licenziata dal supermercato in cui lavorava, lui è un saldatore alcolizzato. Nel mentre, una canzone d’amore finlandese recita: “Chi non ha le ali rimane legato a questa fredda terra desolata”. Ansa e Holappa, questi i nomi dei protagonisti di Foglie al vento, conducono due vite solitarie in un mondo contemporaneo che sembra condannarli e non concedere alcuna possibilità di redenzione. Prigionieri nei loro angusti spazi domestici, la donna e l’uomo vivono in una condizione di perenne precarietà. L’una perché lavora senza alcuna garanzia contrattuale, l’altro poiché assillato dal vizio dell’alcol. Forse solo l’amore può donare loro delle ali per sopravvivere in una società sempre più simile a una fredda landa desolata.
Aki Kaurismaki, vero e proprio pilastro del cinema d’autore europeo, torna al cinema sei anni dopo L’altro lato della speranza; recuperando tematiche e situazioni che attraversano la sua filmografia sin dalla cosiddetta “Trilogia dei perdenti”, composta da Ombre nel paradiso, Ariel e La fiammiferaia, il regista finlandese porta sul grande schermo una commedia pregna di umanità, capace di far sorridere e commuovere e fra le cui pieghe si può intravedere la speranza per un futuro migliore.
La messa in scena segue i canoni stilistici a cui il regista ha da sempre abituato il suo pubblico. Uno stile essenziale, ma non per questo banale, che dà molta importanza agli sguardi, ai dettagli e che alterna con un grande senso del ritmo i vari piani dell’immagine. Il lavoro compiuto sulle luci e sul color grading, impostato sulla ipersaturazione dei toni freddi e caldi, dona agli ambienti e ai personaggi una plasticità, ora gelida e ora avvolgente, che rende le immagini armoniose. A ciò si oppone una storia dai connotati estremamente realistici. Il contrasto fra questi due elementi dona al film quell’atmosfera singolare, sospesa tra poesia e realismo, che caratterizza molte delle opere di Kaurismaki e che non smette mai di affascinare.
Pur nell’apparente schematicità dell’intreccio e nella semplicità della messa in scena, è possibile riscontrare una serie di soluzioni stilistiche che mettono a punto un discorso sulla contemporaneità europea che il regista finlandese porta da sempre avanti. Se nei due precedenti film del regista emergeva con forza la tematica dell’immigrazione, a prendere prepotentemente spazio in Foglie al vento è il conflitto fra Russia e Ucraina. La radio che Ansa ascolta per alleviare la propria solitudine, infatti, annuncia in continuazione le tragiche svolte della guerra. La violenza del conflitto, però, viene appositamente relegata nel fuori campo acusmatico garantito dal media radiofonico, senza essere corredata da immagini che la mostrino sullo schermo. Il principio di espulsione di ogni forma di violenza fisica dal visibile è un elemento fondante del film, tanto da venire pedissequamente seguito in diverse scene con intenti sia comici che drammatici.
A trovare spazio nell’immagine sono invece due elementi: la musica e il cinema. La prima, a differenza del suono radiofonico, guadagna una propria completezza all’interno del film. Il cinema invece compare a più riprese, disseminato in citazioni, locandine e sale cinematografiche, sembrando esistere in un altrove separato dalla violenta contemporaneità che attanaglia il mondo. Sia la musica sia il cinema sono due dispositivi che, nella loro natura rappresentativa, si fanno portatori di un discorso sulla realtà la cui fruizione permette allo spettatore di uscire momentaneamente da essa per poi ritornarci con occhio nuovo.
Il cinema, in tutte le sue componenti, può farsi carico di rappresentare criticamente la violenza, suscitando nello spettatore una presa di coscienza che va oltre la passiva angoscia causata dall’informazione radiofonica e televisiva. Il cinema può narrare storie al di fuori dal tempo, come sembra essere nelle sue dinamiche quella che vede coinvolti Ansa e Holappa, pur essendo strettamente legato al presente, così da fondere al proprio interno gli opposti e riuscire a essere grande pur raccontando storie in apparenza semplici. Foglie al vento, non a caso, si conclude citando Charlie Chaplin. Primo maestro di un tipo di cinema che sta sempre di più riducendosi, ma che, per fortuna, viene ancora tenuto vivo da registi come Aki Kaurismaki.
Guerre d'Europa e realismo poetico,
recensione di Arturo Garavaglia
RV-46
21.12.2023
Dentro a un bar karaoke si incrociano gli sguardi di due esistenze. Lei è appena stata licenziata dal supermercato in cui lavorava, lui è un saldatore alcolizzato. Nel mentre, una canzone d’amore finlandese recita: “Chi non ha le ali rimane legato a questa fredda terra desolata”. Ansa e Holappa, questi i nomi dei protagonisti di Foglie al vento, conducono due vite solitarie in un mondo contemporaneo che sembra condannarli e non concedere alcuna possibilità di redenzione. Prigionieri nei loro angusti spazi domestici, la donna e l’uomo vivono in una condizione di perenne precarietà. L’una perché lavora senza alcuna garanzia contrattuale, l’altro poiché assillato dal vizio dell’alcol. Forse solo l’amore può donare loro delle ali per sopravvivere in una società sempre più simile a una fredda landa desolata.
Aki Kaurismaki, vero e proprio pilastro del cinema d’autore europeo, torna al cinema sei anni dopo L’altro lato della speranza; recuperando tematiche e situazioni che attraversano la sua filmografia sin dalla cosiddetta “Trilogia dei perdenti”, composta da Ombre nel paradiso, Ariel e La fiammiferaia, il regista finlandese porta sul grande schermo una commedia pregna di umanità, capace di far sorridere e commuovere e fra le cui pieghe si può intravedere la speranza per un futuro migliore.
La messa in scena segue i canoni stilistici a cui il regista ha da sempre abituato il suo pubblico. Uno stile essenziale, ma non per questo banale, che dà molta importanza agli sguardi, ai dettagli e che alterna con un grande senso del ritmo i vari piani dell’immagine. Il lavoro compiuto sulle luci e sul color grading, impostato sulla ipersaturazione dei toni freddi e caldi, dona agli ambienti e ai personaggi una plasticità, ora gelida e ora avvolgente, che rende le immagini armoniose. A ciò si oppone una storia dai connotati estremamente realistici. Il contrasto fra questi due elementi dona al film quell’atmosfera singolare, sospesa tra poesia e realismo, che caratterizza molte delle opere di Kaurismaki e che non smette mai di affascinare.
Pur nell’apparente schematicità dell’intreccio e nella semplicità della messa in scena, è possibile riscontrare una serie di soluzioni stilistiche che mettono a punto un discorso sulla contemporaneità europea che il regista finlandese porta da sempre avanti. Se nei due precedenti film del regista emergeva con forza la tematica dell’immigrazione, a prendere prepotentemente spazio in Foglie al vento è il conflitto fra Russia e Ucraina. La radio che Ansa ascolta per alleviare la propria solitudine, infatti, annuncia in continuazione le tragiche svolte della guerra. La violenza del conflitto, però, viene appositamente relegata nel fuori campo acusmatico garantito dal media radiofonico, senza essere corredata da immagini che la mostrino sullo schermo. Il principio di espulsione di ogni forma di violenza fisica dal visibile è un elemento fondante del film, tanto da venire pedissequamente seguito in diverse scene con intenti sia comici che drammatici.
A trovare spazio nell’immagine sono invece due elementi: la musica e il cinema. La prima, a differenza del suono radiofonico, guadagna una propria completezza all’interno del film. Il cinema invece compare a più riprese, disseminato in citazioni, locandine e sale cinematografiche, sembrando esistere in un altrove separato dalla violenta contemporaneità che attanaglia il mondo. Sia la musica sia il cinema sono due dispositivi che, nella loro natura rappresentativa, si fanno portatori di un discorso sulla realtà la cui fruizione permette allo spettatore di uscire momentaneamente da essa per poi ritornarci con occhio nuovo.
Il cinema, in tutte le sue componenti, può farsi carico di rappresentare criticamente la violenza, suscitando nello spettatore una presa di coscienza che va oltre la passiva angoscia causata dall’informazione radiofonica e televisiva. Il cinema può narrare storie al di fuori dal tempo, come sembra essere nelle sue dinamiche quella che vede coinvolti Ansa e Holappa, pur essendo strettamente legato al presente, così da fondere al proprio interno gli opposti e riuscire a essere grande pur raccontando storie in apparenza semplici. Foglie al vento, non a caso, si conclude citando Charlie Chaplin. Primo maestro di un tipo di cinema che sta sempre di più riducendosi, ma che, per fortuna, viene ancora tenuto vivo da registi come Aki Kaurismaki.