Tenere i vampiri lontano dalla porta,
recensione di Sofia Racco
RV-54
10.03.2024
Estranei (titolo originale All of Us Strangers), film di Andrew Haig tratto dall’omonimo romanzo di Taichi Yamada con Andrew Scott e Paul Mescal, è una storia sul lutto, sul dolore, sulla difficoltà di elaborare qualcosa di così grande come la morte, sull’amore latente nelle nostre solitudini. Ma è soprattutto un film liminale, uno sguardo posto sulla soglia, uno spazio di transizione e trasformazione. L’atmosfera catturata da Haig è pervasa da un senso di innaturalità che genera smarrimento e un vago sentore di inquietudine che aumenta con l’aumentare della sua indecifrabilità, con l’impossibilità di risalire alla sua causa per poterlo afferrare.
I luoghi in cui la storia di Adam (Andrew Scott), uno sceneggiatore che cerca di venire a patti con la morte dei genitori (interpretati da Claire Foy e Jamie Bell), si schiude davanti a noi sono tutti spazi chiusi e delimitati: l’appartamento di Adam in un condominio deserto dove ogni giorno sentiamo suonare un allarme, la casa dei genitori, l’appartamento di Harry (Paul Mescal), l’unico inquilino presente con cui Adam inizierà una relazione, una discoteca, il treno che collega questi posti. Ma i loro confini si smarginano sotto l’azione congiunta del ricordo e della creatività: il mezzo di trasporto, con i suoi finestrini da cui si intravedono paesaggi deformati dal movimento e trasformati in essenze, è il simbolo supremo di questa transizione, di questo senso di indefinitezza e sospensione in cui veniamo trasportati. Le relazioni stesse sono dei luoghi: quella di Adam con Harry e soprattutto quella di Adam con i suoi genitori. Adam cerca di elaborare il lutto e la perdita scrivendoci sopra, utilizzando il suo talento da sceneggiatore per ricreare un mondo in cui i suoi genitori riescono a travalicare persino i confini tra vita e morte per abbracciare il figlio, per osservarlo, per chiedergli scusa. Basta prendere un treno e tornare nella casa di famiglia per trovare un pasto caldo, dei vestiti asciutti, una madre e un padre comprensivi e affettuosi in un’atmosfera familiare e al tempo stesso destabilizzante.
Lo spazio della casa d’infanzia ci provoca le stesse sensazioni evocate dalla vista di un luogo solitamente affollato che attraversiamo quotidianamente deserto: c’è qualcosa che stona, c’è qualcosa fuori posto, che ci fa mancare la terra da sotto i piedi. È quella sensazione che proviamo davanti alle interazioni tra Adam e i genitori: il tempo è congelato, è uno spazio in cui non può succedere nulla di male, ma è anche uno spazio in cui i confini tra vita e morte, tra ricordo e desiderio, tra memoria e presente, diventano una zona liquida soggetta alla contaminazione tra oggetti, persone e destini. In quanto tale è uno spazio fragile, tendente alla sparizione: quanto può durare quest’equilibrio idillico, in cui si è ancora in tempo a riparare alle ferite del passato che paralizzano il presente, rimaste cristallizzate nel tempo del lutto. Nel mondo di Adam può ancora fare coming out con i suoi genitori, parlargli della sua identità di genere e sessuale e del suo percorso di scoperta di sé; può ancora fare domande e chiedere le scuse che gli spettano, può ancora affrontare il padre e chiedergli perché non ha mai avuto il coraggio di asciugare le sue lacrime.
Se Estranei quindi è un film costruito sulle soglie, dal punto di vista narrativo è sorretto da una tensione verso l’oltrepassare di quelle soglie, di quei confini, dalla possibilità di uscire dai margini come dice Harry. Una soglia è la porta che divide l’appartamento di Adam dal corridoio, a cui Harry si presenta chiedendo di entrare per sfuggire alla solitudine della sua dimora. Quella soglia è anche una scelta, un bivio tra la solitudine e l’intimità, un confine tra vita e morte: lasciare entrare la vita, compreso il suo carico di morte e dolore, o rimanere rinchiusi nel guscio? Farsi carico del proprio silenzio o condividerlo con qualcuno? Dalle risposte a queste domande si solcano altri confini, come quelli tra i corpi, in questo caso quelli di Scott e Mescal, che si uniscono, si esplorano e si baciano, sfiorati da luci che ne trasfigurano l’aspetto, a metà tra la corporeità e la spettralità. Il confine tra il corpo e il fantasma è sottile: entrambi dopotutto sono visioni, manifestazioni di desideri, simboli di cose amate.
Ma i corpi, come i fantasmi, rimangono separati: i corpi non si possono fondere, i fantasmi appartengono a un mondo che, alla fine, ci rimane precluso. In questo enorme confine invalicabile e inesplorabile troviamo il cuore pulsante di Estranei, la componente che ci tocca nel profondo e ci commuove: il contatto diretto con il desiderio di riconciliarci con il nostro dolore. I vampiri sono alla mia porta è la frase pronunciata da Harry quando si presenta per la prima volta alla porta di Adam, con il suo carico di dolore e di solitudine. “Terrò i vampiri lontano dalla tua porta” non a caso è il verso di The Power of Love dei Frankie Goes To Hollywood, che fa da sottofondo a uno dei momenti più potenti del film. Una preghiera e una risposta: questi due poli racchiudono la storia di Adam e Harry, due storie separate di due estranei che si fondono in un’unica storia universale.
Tenere i vampiri lontano dalla porta,
recensione di Sofia Racco
RV-54
10.03.2024
Estranei (titolo originale All of Us Strangers), film di Andrew Haig tratto dall’omonimo romanzo di Taichi Yamada con Andrew Scott e Paul Mescal, è una storia sul lutto, sul dolore, sulla difficoltà di elaborare qualcosa di così grande come la morte, sull’amore latente nelle nostre solitudini. Ma è soprattutto un film liminale, uno sguardo posto sulla soglia, uno spazio di transizione e trasformazione. L’atmosfera catturata da Haig è pervasa da un senso di innaturalità che genera smarrimento e un vago sentore di inquietudine che aumenta con l’aumentare della sua indecifrabilità, con l’impossibilità di risalire alla sua causa per poterlo afferrare.
I luoghi in cui la storia di Adam (Andrew Scott), uno sceneggiatore che cerca di venire a patti con la morte dei genitori (interpretati da Claire Foy e Jamie Bell), si schiude davanti a noi sono tutti spazi chiusi e delimitati: l’appartamento di Adam in un condominio deserto dove ogni giorno sentiamo suonare un allarme, la casa dei genitori, l’appartamento di Harry (Paul Mescal), l’unico inquilino presente con cui Adam inizierà una relazione, una discoteca, il treno che collega questi posti. Ma i loro confini si smarginano sotto l’azione congiunta del ricordo e della creatività: il mezzo di trasporto, con i suoi finestrini da cui si intravedono paesaggi deformati dal movimento e trasformati in essenze, è il simbolo supremo di questa transizione, di questo senso di indefinitezza e sospensione in cui veniamo trasportati. Le relazioni stesse sono dei luoghi: quella di Adam con Harry e soprattutto quella di Adam con i suoi genitori. Adam cerca di elaborare il lutto e la perdita scrivendoci sopra, utilizzando il suo talento da sceneggiatore per ricreare un mondo in cui i suoi genitori riescono a travalicare persino i confini tra vita e morte per abbracciare il figlio, per osservarlo, per chiedergli scusa. Basta prendere un treno e tornare nella casa di famiglia per trovare un pasto caldo, dei vestiti asciutti, una madre e un padre comprensivi e affettuosi in un’atmosfera familiare e al tempo stesso destabilizzante.
Lo spazio della casa d’infanzia ci provoca le stesse sensazioni evocate dalla vista di un luogo solitamente affollato che attraversiamo quotidianamente deserto: c’è qualcosa che stona, c’è qualcosa fuori posto, che ci fa mancare la terra da sotto i piedi. È quella sensazione che proviamo davanti alle interazioni tra Adam e i genitori: il tempo è congelato, è uno spazio in cui non può succedere nulla di male, ma è anche uno spazio in cui i confini tra vita e morte, tra ricordo e desiderio, tra memoria e presente, diventano una zona liquida soggetta alla contaminazione tra oggetti, persone e destini. In quanto tale è uno spazio fragile, tendente alla sparizione: quanto può durare quest’equilibrio idillico, in cui si è ancora in tempo a riparare alle ferite del passato che paralizzano il presente, rimaste cristallizzate nel tempo del lutto. Nel mondo di Adam può ancora fare coming out con i suoi genitori, parlargli della sua identità di genere e sessuale e del suo percorso di scoperta di sé; può ancora fare domande e chiedere le scuse che gli spettano, può ancora affrontare il padre e chiedergli perché non ha mai avuto il coraggio di asciugare le sue lacrime.
Se Estranei quindi è un film costruito sulle soglie, dal punto di vista narrativo è sorretto da una tensione verso l’oltrepassare di quelle soglie, di quei confini, dalla possibilità di uscire dai margini come dice Harry. Una soglia è la porta che divide l’appartamento di Adam dal corridoio, a cui Harry si presenta chiedendo di entrare per sfuggire alla solitudine della sua dimora. Quella soglia è anche una scelta, un bivio tra la solitudine e l’intimità, un confine tra vita e morte: lasciare entrare la vita, compreso il suo carico di morte e dolore, o rimanere rinchiusi nel guscio? Farsi carico del proprio silenzio o condividerlo con qualcuno? Dalle risposte a queste domande si solcano altri confini, come quelli tra i corpi, in questo caso quelli di Scott e Mescal, che si uniscono, si esplorano e si baciano, sfiorati da luci che ne trasfigurano l’aspetto, a metà tra la corporeità e la spettralità. Il confine tra il corpo e il fantasma è sottile: entrambi dopotutto sono visioni, manifestazioni di desideri, simboli di cose amate.
Ma i corpi, come i fantasmi, rimangono separati: i corpi non si possono fondere, i fantasmi appartengono a un mondo che, alla fine, ci rimane precluso. In questo enorme confine invalicabile e inesplorabile troviamo il cuore pulsante di Estranei, la componente che ci tocca nel profondo e ci commuove: il contatto diretto con il desiderio di riconciliarci con il nostro dolore. I vampiri sono alla mia porta è la frase pronunciata da Harry quando si presenta per la prima volta alla porta di Adam, con il suo carico di dolore e di solitudine. “Terrò i vampiri lontano dalla tua porta” non a caso è il verso di The Power of Love dei Frankie Goes To Hollywood, che fa da sottofondo a uno dei momenti più potenti del film. Una preghiera e una risposta: questi due poli racchiudono la storia di Adam e Harry, due storie separate di due estranei che si fondono in un’unica storia universale.