INT-93
11.04.2025
Denis Côté è un regista canadese la cui carriera spazia fra film di finzione e documentari. La sua opera segue una doppia traiettoria: da un lato, si concentra su personaggi eccentrici situati in spazi che accentuano la loro solitudine e alienazione, dall’altro affronta tematiche queer con uno sguardo sempre attento a non scadere nel voyeurismo.
Nel corso dell’ultima Berlinale, Côté ha presentato nella sezione Panorama Paul, un documentario incentrato sulla figura di Cleaning Simp Paul, un influencer canadese che, dopo un decennio passato a combattere la depressione e l’ansia sociale, sta trovando un proprio particolare modo per riaffacciarsi al mondo: Paul, infatti, pulisce gratuitamente case di donne dominatrici e - in cambio - chiede di essere dominato.
Abbiamo incontrato Denis Côté, e parlando del suo lavoro sono emersi alcuni aspetti interessanti sulla realizzazione del documentario e sulla modalità di messa in scena adottata dal regista.
Una scena di Paul (2025)
Come ti è venuto in mente di fare un documentario su Paul? Puoi raccontarci di come lo hai conosciuto?
È stato molto casuale. Spesso succede che si cercano idee per dei film e quelle ti capitano nella maniera più impensabile. Mi vedevo con questa donna e, a tarda notte, lei diceva: “Oh, sono stanca. Chiamo Paul”. E io mi chiedevo: “chi è Paul”? La cosa si è ripetuta diverse volte finché non ho deciso di chiederle chi fosse Paul. “Oh, è solo un ragazzo sottomesso, posso chiamarlo e mi darà un passaggio in cambio di qualche regalo”. Così la terza volta ho detto che volevo vederlo. Lei mi ha risposto: “C’è un problema, non parla molto con i maschi”. In quel periodo ero molto malato e stavo aspettando un trapianto di rene, ma mi sono ripromesso che, dopo il trapianto, avrei fatto un documentario su di lui. Mi sono detto: questo ragazzo è molto intelligente. È in grado di creare un personaggio. È una persona davvero ansiosa. Soffre di tutto ciò che dice di soffrire, ma è un personaggio al 100%. Quindi ho pensato: “Ok”. Qualche anno fa ho fatto un film intitolato A Skin So Soft (2017), che aveva come soggetto dei bodybuilders, e quel film era stato molto sfidante perché sentivo il rischio del voyeurismo. La sfida, in questo caso, era quella di non fare un film di exploitation su un tema come il sadomasochismo. Così ho chiesto a Paul di darmi almeno sei contatti di dominatrici. Ci sono voluti due mesi perché me li desse. Le nostre mail erano solo di due o tre parole. Così mi è venuta l'idea di avere un direttore di produzione donna, e l'ho usata per approcciarmi meglio a lui. Quando giravamo, eravamo solo io e la mia direttrice della fotografia, stavamo molto attenti a non essere troppo visibili. Ho rifiutato l’espediente dell’intervista, perché era davvero difficile per Paul aprirsi con me, così abbiamo creato appositamente una finta chat in cui lui potesse, in maniera più filtrata, dare delle info su sé stesso. Del resto, è logico guardare con diffidenza chi vuole fare un documentario sulla tua vita. Non voglio dire che lui sia stato scortese con me, anzi. Ma il nostro rapporto è sempre stato molto distaccato. È stato sicuramente il film più difficile che abbia mai fatto, perché il pericolo di perdere il soggetto era altissimo. Abbiamo girato il film in 19 giorni spalmati su sette mesi e solo guardando il materiale a posteriori ho capito che avevamo fatto qualcosa di interessante. Ma è stato davvero molto difficile.
Trovo che tu sia stato molto abile a dare l’idea di un’identità in progressione, che affronta passo dopo passo una serie di sfide per ritrovarsi e riconoscersi. Ho notato che il film inizia in inverno, con un’immagine che vede Paul quasi confondersi con lo spazio, e termina in primavera o in estate, con il corpo di Paul che domina l’inquadratura. È una scelta simbolica?
È stata una mia scelta, ma perché ho sperato per tutto il documentario di avere delle sorprese. Giravo due giorni a febbraio, due giorni a marzo, due giorni ad aprile, sempre in attesa di qualcosa che mi sorprendesse. Certo riuscivo sempre a cogliere che la sua era un’identità in formazione, ma è davvero difficile, vedendo una persona che soffre d’ansia poche volte al mese, cogliere il cambiamento nelle riprese. Di mese in mese andavamo da nuove dominatrici, ma non riuscivo ancora a cogliere una sorpresa. Avevo bisogno di un finale. Alloro ho pensato: il film è Paul da un punto A a un punto B. Nel film vediamo che Paul lotta, prova ad andare da qualche parte, prova a risalire e lo fa condividendo la propria ruotina sui social, cercando il confronto con i suoi followers, cercando di avere un suo seguito. Così gli ho detto: "Paul, penso che il finale sarà che vai su una montagna, durante un'escursione.” “Ma non lo faccio nella mia vita reale.” “Sì, ma Paul, sai, vedrai, che sarà una cosa bella, una cosa forte.” “Ma io non lo faccio nella mia vita. Non faccio escursioni”. “Paul, nel mio film tu farai un’escursione”. E così siamo arrivati a quel finale. E dovreste vedere quanto era soddisfatto. Quando Paul ha visto il film mi ha stretto la mano e mi ha detto: “Grazie Denis. Questo film copre tutte le parti della mia vita.” Era la prima volta che mi stringeva la mano. Sono molto felice di aver fatto un film in cui non si ride mai di lui. Volevo filmare la sua vita, che certo ha delle eccentricità, in maniera normale, naturale. Perché, se filmi cose eccentriche con uno stile eccentrico cadi nel voyeurismo. E io non volevo fare il voyeur. Durante le riprese mi sono sempre sentito come un intruso. Ma credo che questo sia stato utile per la riuscita del film.
Paul (2025)
Come hai scelto la distanza della camera dai personaggi? Ci sono dei momenti in cui sei molto vicino a loro e dei momenti in cui ti poni più in una posizione di osservazione distaccata.
Non credo che la risposta ti piacerà. Semplicemente gli appartamenti in cui giravamo erano molto diversi. Ovviamente prima di andare nelle case delle dominatrici le contattavamo per chiedere loro delle informazioni molto tecniche. Ma abbiamo girato con una piccola Blackmagic. Sai, queste camere sono molto maneggevoli e funzionano benissimo. La mia direttrice della fotografia poi è estremamente abile e quindi siamo riusciti sempre a trovare il modo per porci a una distanza giusta da Paul e dalle dominatrici e a dare alla grana dell’immagine uno stile 16mm, un po’ vintage.
Hai mai avuto la sensazione che Paul stesse recitando un ruolo?
O le donne dominatrici. La cosa più difficile è stata non far recitare le dominatrici. Quando sai di essere filmato cerchi sempre di dare qualcosa di più, di falsare un po’ la tua immagine. Paul stesso mi ha detto che una delle dominatrici, durante le riprese, lo ha colpito molte più volte rispetto a quanto facesse normalmente. Per non parlare di un’altra dominatrice, che non voleva smettere di parlare. Lì abbiamo dovuto ingegnarci per trovare un modo interessante per metterla nel film.
Quando sentivi di aver avuto il materiale di cui necessitavi e che potevi interrompere la ripresa? Hai scoperto qualcosa di interessante, a cui mai avevi fatto caso, girando questo film?
È difficile rispondere. Diciamo che prima di andare a girare nelle loro case conoscevamo già più o meno le dominatrici; quindi, sapevamo a grandi linee cosa sarebbe successo, dove si sarebbero collocati con Paul e cosa avrebbero fatto. Una cosa che ho trovato davvero interessante di Paul è che davvero tutta la sua vita doveva essere filtrata dai video, dalla condivisione sui social, dal telefono. Se ora venisse qui, prima di salutarvi, avrebbe già avviato una registrazione sui social. La vita nel suo telefono è uno spazio sicuro che ho esplorato girando il film. E le stesse donne dominatrici non cercavano solo la pulizia, ma anche il controllo e la creazione della propria immagine sul telefono. Mi sono detto: queste persone sono completamente ossessionate dalla loro immagine. E pian piano ho pensato: “Tutte queste donne usano Paul”. E lui è consenziente. Questa cosa davvero mi ha colpito e mi ha aiutato a pormi nelle condizioni di filmare non un “povero ragazzo ansioso”, ma, semplicemente, un ragazzo ansioso che ha una sua routine. Questo era il mio obiettivo. Ed aver avuto già in passato esperienza con film che esplorano kink e fetish mi ha certamente aiutato a sapere cosa fare e cosa non fare.
INT-93
11.04.2025
Denis Côté è un regista canadese la cui carriera spazia fra film di finzione e documentari. La sua opera segue una doppia traiettoria: da un lato, si concentra su personaggi eccentrici situati in spazi che accentuano la loro solitudine e alienazione, dall’altro affronta tematiche queer con uno sguardo sempre attento a non scadere nel voyeurismo.
Nel corso dell’ultima Berlinale, Côté ha presentato nella sezione Panorama Paul, un documentario incentrato sulla figura di Cleaning Simp Paul, un influencer canadese che, dopo un decennio passato a combattere la depressione e l’ansia sociale, sta trovando un proprio particolare modo per riaffacciarsi al mondo: Paul, infatti, pulisce gratuitamente case di donne dominatrici e - in cambio - chiede di essere dominato.
Abbiamo incontrato Denis Côté, e parlando del suo lavoro sono emersi alcuni aspetti interessanti sulla realizzazione del documentario e sulla modalità di messa in scena adottata dal regista.
Una scena di Paul (2025)
Come ti è venuto in mente di fare un documentario su Paul? Puoi raccontarci di come lo hai conosciuto?
È stato molto casuale. Spesso succede che si cercano idee per dei film e quelle ti capitano nella maniera più impensabile. Mi vedevo con questa donna e, a tarda notte, lei diceva: “Oh, sono stanca. Chiamo Paul”. E io mi chiedevo: “chi è Paul”? La cosa si è ripetuta diverse volte finché non ho deciso di chiederle chi fosse Paul. “Oh, è solo un ragazzo sottomesso, posso chiamarlo e mi darà un passaggio in cambio di qualche regalo”. Così la terza volta ho detto che volevo vederlo. Lei mi ha risposto: “C’è un problema, non parla molto con i maschi”. In quel periodo ero molto malato e stavo aspettando un trapianto di rene, ma mi sono ripromesso che, dopo il trapianto, avrei fatto un documentario su di lui. Mi sono detto: questo ragazzo è molto intelligente. È in grado di creare un personaggio. È una persona davvero ansiosa. Soffre di tutto ciò che dice di soffrire, ma è un personaggio al 100%. Quindi ho pensato: “Ok”. Qualche anno fa ho fatto un film intitolato A Skin So Soft (2017), che aveva come soggetto dei bodybuilders, e quel film era stato molto sfidante perché sentivo il rischio del voyeurismo. La sfida, in questo caso, era quella di non fare un film di exploitation su un tema come il sadomasochismo. Così ho chiesto a Paul di darmi almeno sei contatti di dominatrici. Ci sono voluti due mesi perché me li desse. Le nostre mail erano solo di due o tre parole. Così mi è venuta l'idea di avere un direttore di produzione donna, e l'ho usata per approcciarmi meglio a lui. Quando giravamo, eravamo solo io e la mia direttrice della fotografia, stavamo molto attenti a non essere troppo visibili. Ho rifiutato l’espediente dell’intervista, perché era davvero difficile per Paul aprirsi con me, così abbiamo creato appositamente una finta chat in cui lui potesse, in maniera più filtrata, dare delle info su sé stesso. Del resto, è logico guardare con diffidenza chi vuole fare un documentario sulla tua vita. Non voglio dire che lui sia stato scortese con me, anzi. Ma il nostro rapporto è sempre stato molto distaccato. È stato sicuramente il film più difficile che abbia mai fatto, perché il pericolo di perdere il soggetto era altissimo. Abbiamo girato il film in 19 giorni spalmati su sette mesi e solo guardando il materiale a posteriori ho capito che avevamo fatto qualcosa di interessante. Ma è stato davvero molto difficile.
Trovo che tu sia stato molto abile a dare l’idea di un’identità in progressione, che affronta passo dopo passo una serie di sfide per ritrovarsi e riconoscersi. Ho notato che il film inizia in inverno, con un’immagine che vede Paul quasi confondersi con lo spazio, e termina in primavera o in estate, con il corpo di Paul che domina l’inquadratura. È una scelta simbolica?
È stata una mia scelta, ma perché ho sperato per tutto il documentario di avere delle sorprese. Giravo due giorni a febbraio, due giorni a marzo, due giorni ad aprile, sempre in attesa di qualcosa che mi sorprendesse. Certo riuscivo sempre a cogliere che la sua era un’identità in formazione, ma è davvero difficile, vedendo una persona che soffre d’ansia poche volte al mese, cogliere il cambiamento nelle riprese. Di mese in mese andavamo da nuove dominatrici, ma non riuscivo ancora a cogliere una sorpresa. Avevo bisogno di un finale. Alloro ho pensato: il film è Paul da un punto A a un punto B. Nel film vediamo che Paul lotta, prova ad andare da qualche parte, prova a risalire e lo fa condividendo la propria ruotina sui social, cercando il confronto con i suoi followers, cercando di avere un suo seguito. Così gli ho detto: "Paul, penso che il finale sarà che vai su una montagna, durante un'escursione.” “Ma non lo faccio nella mia vita reale.” “Sì, ma Paul, sai, vedrai, che sarà una cosa bella, una cosa forte.” “Ma io non lo faccio nella mia vita. Non faccio escursioni”. “Paul, nel mio film tu farai un’escursione”. E così siamo arrivati a quel finale. E dovreste vedere quanto era soddisfatto. Quando Paul ha visto il film mi ha stretto la mano e mi ha detto: “Grazie Denis. Questo film copre tutte le parti della mia vita.” Era la prima volta che mi stringeva la mano. Sono molto felice di aver fatto un film in cui non si ride mai di lui. Volevo filmare la sua vita, che certo ha delle eccentricità, in maniera normale, naturale. Perché, se filmi cose eccentriche con uno stile eccentrico cadi nel voyeurismo. E io non volevo fare il voyeur. Durante le riprese mi sono sempre sentito come un intruso. Ma credo che questo sia stato utile per la riuscita del film.
Paul (2025)
Come hai scelto la distanza della camera dai personaggi? Ci sono dei momenti in cui sei molto vicino a loro e dei momenti in cui ti poni più in una posizione di osservazione distaccata.
Non credo che la risposta ti piacerà. Semplicemente gli appartamenti in cui giravamo erano molto diversi. Ovviamente prima di andare nelle case delle dominatrici le contattavamo per chiedere loro delle informazioni molto tecniche. Ma abbiamo girato con una piccola Blackmagic. Sai, queste camere sono molto maneggevoli e funzionano benissimo. La mia direttrice della fotografia poi è estremamente abile e quindi siamo riusciti sempre a trovare il modo per porci a una distanza giusta da Paul e dalle dominatrici e a dare alla grana dell’immagine uno stile 16mm, un po’ vintage.
Hai mai avuto la sensazione che Paul stesse recitando un ruolo?
O le donne dominatrici. La cosa più difficile è stata non far recitare le dominatrici. Quando sai di essere filmato cerchi sempre di dare qualcosa di più, di falsare un po’ la tua immagine. Paul stesso mi ha detto che una delle dominatrici, durante le riprese, lo ha colpito molte più volte rispetto a quanto facesse normalmente. Per non parlare di un’altra dominatrice, che non voleva smettere di parlare. Lì abbiamo dovuto ingegnarci per trovare un modo interessante per metterla nel film.
Quando sentivi di aver avuto il materiale di cui necessitavi e che potevi interrompere la ripresa? Hai scoperto qualcosa di interessante, a cui mai avevi fatto caso, girando questo film?
È difficile rispondere. Diciamo che prima di andare a girare nelle loro case conoscevamo già più o meno le dominatrici; quindi, sapevamo a grandi linee cosa sarebbe successo, dove si sarebbero collocati con Paul e cosa avrebbero fatto. Una cosa che ho trovato davvero interessante di Paul è che davvero tutta la sua vita doveva essere filtrata dai video, dalla condivisione sui social, dal telefono. Se ora venisse qui, prima di salutarvi, avrebbe già avviato una registrazione sui social. La vita nel suo telefono è uno spazio sicuro che ho esplorato girando il film. E le stesse donne dominatrici non cercavano solo la pulizia, ma anche il controllo e la creazione della propria immagine sul telefono. Mi sono detto: queste persone sono completamente ossessionate dalla loro immagine. E pian piano ho pensato: “Tutte queste donne usano Paul”. E lui è consenziente. Questa cosa davvero mi ha colpito e mi ha aiutato a pormi nelle condizioni di filmare non un “povero ragazzo ansioso”, ma, semplicemente, un ragazzo ansioso che ha una sua routine. Questo era il mio obiettivo. Ed aver avuto già in passato esperienza con film che esplorano kink e fetish mi ha certamente aiutato a sapere cosa fare e cosa non fare.