di Omar Franini
NC-194
12.03.2024
“My eyes see Oppenheimer”, sono state queste le buffe parole pronunciate da Al Pacino per l’annuncio del premio al Miglior Film durante la 96ª edizione dei premi Oscar. Buffe poichè il celebre attore ha ignorato la classica prassi legata all’annuncio dei candidati dichiarando il vincitore inaspettatamente. Le telecamere non erano ancora pronte e sono dovute “correre” verso Christopher Nolan e la produttrice Emma Thomas in modo da catturare immediatamente le loro reazioni. Forse l’Academy avrebbe dovuto chiedere nuovamente a Jane Fonda di annunciare il premio più importante della serata, la cui solenne pronuncia del titolo “Parasite” (2019) ammalia ancora dopo ben quattro anni. A parte questo scenario un po’ imbarazzante, la cerimonia non ha avuto grosse note di demerito. I siparietti demenziali non hanno arrecato troppo fastidio e il conduttore Jimmy Kimmel ha svolto un discreto lavoro, anche se la classica battuta sulla durata dei film, quest’anno incentrata su Killers of the Flower Moon, poteva essere evitata.
Passando ora ai vincitori, questa cerimonia verrà probabilmente ricordata negli anni a venire come il grande trionfo del cinema di Christopher Nolan. Oppenheimer, infatti, si è portato a casa ben sette statuette, tra cui quelle di miglior film, regia, attore protagonista e attore non protagonista. Stiamo citando queste vittorie nello specifico perché, dopo Going My Way (La mia via, 1944), The Best Years of Ours Lives (I migliori anni della nostra vita, 1946) e Ben-Hur (1959), il film di Nolan è il quarto nella storia degli Oscar a trionfare nelle quattro categorie. Il percorso che ha portato Oppenheimer alla vittoria è stato piuttosto in discesa, il film non è mai stato in “pericolo” e l’industria americana sentiva che era arrivato il momento di premiare uno dei cineasti più riconosciuti dell’odierno panorama cinematografico.
Lo stesso si potrebbe dire di Robert Downey Jr., la cui vittoria del Golden Globe lo scorso gennaio aveva già predetto una sweep da parte dell'ex Iron Man, anche se un riconoscimento a Robert De Niro (Killers of the Flower Moon) o Mark Ruffalo (Povere Creature!) sarebbe stato più meritevole. Per quanto riguarda Cillian Murphy, la sua salita sul podio non è apparsa così scontata quanto quella della sua co-star e fino all’ultimo vi è stata l’incognita di Paul Giamatti, un pretendente al premio che poteva rovinare il grande momento dell’attore di origini irlandesi. Il trionfo di Murphy è stato uno dei frammenti più belli della serata; una volta sul palcoscenico, il pubblico presente si alzato per una standing ovation facendo riempire il viso dell’attore di emozione, gioia e anche un po’ di imbarazzo. Inoltre, fa davvero piacere vedere Nolan e Murphy premiati durante la stessa serata, dal momento che il sodalizio tra attore e regista ha sempre portato ad ottimi risultati.
Emma Stone, a soli 35 anni, entra nella storia degli Oscar grazie alla sua seconda vittoria come Miglior Attrice Protagonista per Povere creature! di Yorgos Lanthimos, un premio che ha rappresentato uno dei momenti più sorprendenti della serata. Lily Gladstone era la “favorita” dopo la vittoria dello Screen Actor Guild, ma Stone è riuscita a prevalere, forse grazie al sostegno della branca europea dell'Academy, uno scenario, insomma, che poteva essere predetto dopo che l’attrice aveva vinto qualche settimana fa il BAFTA, premio che sta pian piano diventando il precursore più attendibile per gli Oscar.
Come per la sfida Yeoh/Blanchett degli Oscar 2023, quella tra Stone/Gladstone è stata una delle più agguerrite degli ultimi anni e chiunque avesse prevalso, sarebbe stata una vincitrice eccellente. L’ipotetico trionfo di Lily Gladstone sarebbe entrato nella storia come il primo Academy Awards per un’attrice Nativa Americana e avrebbe portato maggiore attenzione nei confronti della comunità Osage e verso l’immenso talento degli attori presenti nel film di Scorsese. Killers of the Flower Moon è solo l’inizio e si spera che, negli anni a venire, Hollywood sarà in grado di creare ruoli significativi e non stereotipati per attori di origini nativo americane.
Il premio per la Miglior Attrice non protagonista è stato invece assegnato a Da’Vine Joy Randolph per The Holdovers di Alexander Payne, una delle vittorie più nette della storia degli Oscar. L’attrice, infatti, aveva vinto i quattro riconoscimenti più importanti della critica statunitense (NBR, NYFFC, LAFCA, NSFC) e ogni premio possibile dell’industria. Il discorso di Randolph è stato il più toccante della serata e, in lacrime, l’interprete ha raccontato del suo passato, di come all’inizio non era nei suoi piani diventare un’attrice, fino a terminare con un “Thank you for seeing me”, una frase che ha commosso chiunque presente in sala, soprattutto Paul Giamatti, collega della Randolph in The Holdovers.
Passando ora ai due premi per la sceneggiatura, si sono verificati due scenari che fino a due/tre mesi fa sembravano poco probabili. Cord Jefferson trionfa per la Sceneggiatura non originale di American Fiction, adattamento del romanzo Erasure di Percival Everett. La vittoria del film è risultata da una parte sorprendente per il superamento di film come Oppenheimer, Barbie e Povere creature!, ma dall’altra, analizzando l’andamento dei premi principali alla sceneggiatura adattata, è parsa la scelta più scontata. L’opera prima di Jefferson aveva vinto ogni premio antecedente agli Oscar, soprattutto il BAFTA, e vedere un film indipendente americano trionfare su Povere creature! e Oppenheimer durante i premi dell’industria britannica, doveva far presagire la vittoria agli Oscar. Durante il discorso di ringraziamento, Jefferson ha criticato aspramente Hollywood e le produzioni a grosso budget, invitando i produttori ad investire su “50 film da 4 milioni di dollari” piuttosto che rischiarne 200 in un solo progetto.
Invece, sulle note di PIMP di Bacao Rhythm & Steel Band, il duo formato da Arthur Harari e Justine Triet è salito sul palco per ritirare il premio alla Miglior Sceneggiatura Originale per lo strabiliante Anatomia di una caduta, e la scelta di utilizzare il brano più caratteristico del film per accompagnare i due sceneggiatori è stata geniale e in qualche modo inaspettata da parte dell’Academy. Sul palcoscenico Justine Triet ha iniziato a riflettere sul “crazy year” appena trascorso, raccontando di come il film sia nato durante il lockdown e di come sia riconoscente verso il cast e i produttori.
Le categorie “tecniche”, invece, sono state dominate per lo più da Povere creature! e Oppenheimer. Il film di Lanthimos ha vinto in tre delle categorie più incerte, quella di miglior trucco, dove ha prevalso sul grande favorito Maestro, e quelle di Migliori costumi e scenografie. Queste ultime due categorie erano tra le più equilibrate; Barbie aveva preso inizialmente un vantaggio con i premi della critica, ma Povere creature! aveva “rimontato” con i premi dell’industria e, come abbiamo spesso affermato, questi hanno una maggiore importanza quando bisogna pronosticare gli Oscar.
La vittoria per miglior trucco è stata piuttosto interessante ed era un indizio per la vittoria finale di Stone. Infatti, negli ultimi anni si è sempre più vista la connotazione tra la categoria di trucco e di attore/attrice protagonista, basti pensare a Fraser/The Whale l’anno scorso o Chastain/The Eyes of Tammy Faye due anni fa. Le vittorie di Oppenheimer in Miglior montaggio, fotografia e colonna sonora sono state invece piuttosto prevedibili, soprattutto quella del compositore Ludwig Göransson, la seconda dopo il riconoscimento per Black Panther (2019).
Per quanto riguardo l'opera di Nolan, ci si aspettava anche una statuetta per il Miglior Suono, ma a prevalere è stato La Zona d’Interesse, una vittoria che ha piacevolmente stupito soprattutto perché la categoria è stata caratterizzata da molta “ignoranza” negli scorsi anni e spesso a vincere erano i film a grosso budget o di genere action, ovvero quelli più “rumorosi”. A ritirare i premi sono stati Tarn Willers e Johnnie Burn, e vedere quest’ultimo finalmente riconosciuto da un premio così importante è stato piuttosto gratificante, anche perché in un mondo ideale Burn avrebbe dovuto vincere già un paio di Oscar per il montaggio sonoro in Nope (2022) e Under The Skin (2013). Infine, l’Academy Award ai Migliori Effetti Speciali è stato assegnato al team di Godzilla Minus One di Takeshita Yamazaki, una vittoria più che meritata visto che il lavoro svolto era nettamente superiore agli altri quattro nominati. Inoltre è affascinante notare come due produzioni internazionali abbiano vinto le ultime due categorie citate, poichè non era mai successo prima nella storia degli Oscar.
Nella categoria di miglior film d’animazione si è potuto assistere ad un’altra piacevole sorpresa con la vittoria de Il Ragazzo e l’airone di Hayao Miyazaki che ha prevalso su Spider-Man: Across the Spider-verse in una sfida piuttosto equilibrata.
Mstyslav Chernov ha invece vinto per il Miglior Documentario grazie a 20 Days in Mariupol, film che documenta le atrocità dell’invasione russa sul suolo ucraino. Mentre per quanto riguarda la categoria di Miglior Film Internazionale, si è potuto assistere ad un’altra vittoria prevedibile, ovvero quella de La Zona d’Interesse di Jonathan Glazer, che ha trionfato su Io Capitano di Matteo Garrone e Perfect Days di Wim Wenders.
Barbie si è dovuto accontentare del solo premio alla Miglior Canzone Originale per la ballata What I Was Made For di Billie Eilish. È dispiaciuto non vedere il team di I’m Just Ken, la migliore composizione della cinquina, sul palco. Inoltre, l’esibizione canora di Ryan Gosling a metà serata ha rubato la scena e coinvolto tutti i presenti. Il numero musicale ha stupito per la creatività e per gli omaggi cinematografici al suo interno, a partire dal chiaro riferimento al celebre brano cantato da Marilyn Monroe, Diamonds Are a Girl’s Best Friend, nei costumi, o alle coreografie di Busby Berkeley presenti in alcuni musical degli anni ‘30.
di Omar Franini
NC-194
12.03.2024
“My eyes see Oppenheimer”, sono state queste le buffe parole pronunciate da Al Pacino per l’annuncio del premio al Miglior Film durante la 96ª edizione dei premi Oscar. Buffe poichè il celebre attore ha ignorato la classica prassi legata all’annuncio dei candidati dichiarando il vincitore inaspettatamente. Le telecamere non erano ancora pronte e sono dovute “correre” verso Christopher Nolan e la produttrice Emma Thomas in modo da catturare immediatamente le loro reazioni. Forse l’Academy avrebbe dovuto chiedere nuovamente a Jane Fonda di annunciare il premio più importante della serata, la cui solenne pronuncia del titolo “Parasite” (2019) ammalia ancora dopo ben quattro anni. A parte questo scenario un po’ imbarazzante, la cerimonia non ha avuto grosse note di demerito. I siparietti demenziali non hanno arrecato troppo fastidio e il conduttore Jimmy Kimmel ha svolto un discreto lavoro, anche se la classica battuta sulla durata dei film, quest’anno incentrata su Killers of the Flower Moon, poteva essere evitata.
Passando ora ai vincitori, questa cerimonia verrà probabilmente ricordata negli anni a venire come il grande trionfo del cinema di Christopher Nolan. Oppenheimer, infatti, si è portato a casa ben sette statuette, tra cui quelle di miglior film, regia, attore protagonista e attore non protagonista. Stiamo citando queste vittorie nello specifico perché, dopo Going My Way (La mia via, 1944), The Best Years of Ours Lives (I migliori anni della nostra vita, 1946) e Ben-Hur (1959), il film di Nolan è il quarto nella storia degli Oscar a trionfare nelle quattro categorie. Il percorso che ha portato Oppenheimer alla vittoria è stato piuttosto in discesa, il film non è mai stato in “pericolo” e l’industria americana sentiva che era arrivato il momento di premiare uno dei cineasti più riconosciuti dell’odierno panorama cinematografico.
Lo stesso si potrebbe dire di Robert Downey Jr., la cui vittoria del Golden Globe lo scorso gennaio aveva già predetto una sweep da parte dell'ex Iron Man, anche se un riconoscimento a Robert De Niro (Killers of the Flower Moon) o Mark Ruffalo (Povere Creature!) sarebbe stato più meritevole. Per quanto riguarda Cillian Murphy, la sua salita sul podio non è apparsa così scontata quanto quella della sua co-star e fino all’ultimo vi è stata l’incognita di Paul Giamatti, un pretendente al premio che poteva rovinare il grande momento dell’attore di origini irlandesi. Il trionfo di Murphy è stato uno dei frammenti più belli della serata; una volta sul palcoscenico, il pubblico presente si alzato per una standing ovation facendo riempire il viso dell’attore di emozione, gioia e anche un po’ di imbarazzo. Inoltre, fa davvero piacere vedere Nolan e Murphy premiati durante la stessa serata, dal momento che il sodalizio tra attore e regista ha sempre portato ad ottimi risultati.
Emma Stone, a soli 35 anni, entra nella storia degli Oscar grazie alla sua seconda vittoria come Miglior Attrice Protagonista per Povere creature! di Yorgos Lanthimos, un premio che ha rappresentato uno dei momenti più sorprendenti della serata. Lily Gladstone era la “favorita” dopo la vittoria dello Screen Actor Guild, ma Stone è riuscita a prevalere, forse grazie al sostegno della branca europea dell'Academy, uno scenario, insomma, che poteva essere predetto dopo che l’attrice aveva vinto qualche settimana fa il BAFTA, premio che sta pian piano diventando il precursore più attendibile per gli Oscar.
Come per la sfida Yeoh/Blanchett degli Oscar 2023, quella tra Stone/Gladstone è stata una delle più agguerrite degli ultimi anni e chiunque avesse prevalso, sarebbe stata una vincitrice eccellente. L’ipotetico trionfo di Lily Gladstone sarebbe entrato nella storia come il primo Academy Awards per un’attrice Nativa Americana e avrebbe portato maggiore attenzione nei confronti della comunità Osage e verso l’immenso talento degli attori presenti nel film di Scorsese. Killers of the Flower Moon è solo l’inizio e si spera che, negli anni a venire, Hollywood sarà in grado di creare ruoli significativi e non stereotipati per attori di origini nativo americane.
Il premio per la Miglior Attrice non protagonista è stato invece assegnato a Da’Vine Joy Randolph per The Holdovers di Alexander Payne, una delle vittorie più nette della storia degli Oscar. L’attrice, infatti, aveva vinto i quattro riconoscimenti più importanti della critica statunitense (NBR, NYFFC, LAFCA, NSFC) e ogni premio possibile dell’industria. Il discorso di Randolph è stato il più toccante della serata e, in lacrime, l’interprete ha raccontato del suo passato, di come all’inizio non era nei suoi piani diventare un’attrice, fino a terminare con un “Thank you for seeing me”, una frase che ha commosso chiunque presente in sala, soprattutto Paul Giamatti, collega della Randolph in The Holdovers.
Passando ora ai due premi per la sceneggiatura, si sono verificati due scenari che fino a due/tre mesi fa sembravano poco probabili. Cord Jefferson trionfa per la Sceneggiatura non originale di American Fiction, adattamento del romanzo Erasure di Percival Everett. La vittoria del film è risultata da una parte sorprendente per il superamento di film come Oppenheimer, Barbie e Povere creature!, ma dall’altra, analizzando l’andamento dei premi principali alla sceneggiatura adattata, è parsa la scelta più scontata. L’opera prima di Jefferson aveva vinto ogni premio antecedente agli Oscar, soprattutto il BAFTA, e vedere un film indipendente americano trionfare su Povere creature! e Oppenheimer durante i premi dell’industria britannica, doveva far presagire la vittoria agli Oscar. Durante il discorso di ringraziamento, Jefferson ha criticato aspramente Hollywood e le produzioni a grosso budget, invitando i produttori ad investire su “50 film da 4 milioni di dollari” piuttosto che rischiarne 200 in un solo progetto.
Invece, sulle note di PIMP di Bacao Rhythm & Steel Band, il duo formato da Arthur Harari e Justine Triet è salito sul palco per ritirare il premio alla Miglior Sceneggiatura Originale per lo strabiliante Anatomia di una caduta, e la scelta di utilizzare il brano più caratteristico del film per accompagnare i due sceneggiatori è stata geniale e in qualche modo inaspettata da parte dell’Academy. Sul palcoscenico Justine Triet ha iniziato a riflettere sul “crazy year” appena trascorso, raccontando di come il film sia nato durante il lockdown e di come sia riconoscente verso il cast e i produttori.
Le categorie “tecniche”, invece, sono state dominate per lo più da Povere creature! e Oppenheimer. Il film di Lanthimos ha vinto in tre delle categorie più incerte, quella di miglior trucco, dove ha prevalso sul grande favorito Maestro, e quelle di Migliori costumi e scenografie. Queste ultime due categorie erano tra le più equilibrate; Barbie aveva preso inizialmente un vantaggio con i premi della critica, ma Povere creature! aveva “rimontato” con i premi dell’industria e, come abbiamo spesso affermato, questi hanno una maggiore importanza quando bisogna pronosticare gli Oscar.
La vittoria per miglior trucco è stata piuttosto interessante ed era un indizio per la vittoria finale di Stone. Infatti, negli ultimi anni si è sempre più vista la connotazione tra la categoria di trucco e di attore/attrice protagonista, basti pensare a Fraser/The Whale l’anno scorso o Chastain/The Eyes of Tammy Faye due anni fa. Le vittorie di Oppenheimer in Miglior montaggio, fotografia e colonna sonora sono state invece piuttosto prevedibili, soprattutto quella del compositore Ludwig Göransson, la seconda dopo il riconoscimento per Black Panther (2019).
Per quanto riguardo l'opera di Nolan, ci si aspettava anche una statuetta per il Miglior Suono, ma a prevalere è stato La Zona d’Interesse, una vittoria che ha piacevolmente stupito soprattutto perché la categoria è stata caratterizzata da molta “ignoranza” negli scorsi anni e spesso a vincere erano i film a grosso budget o di genere action, ovvero quelli più “rumorosi”. A ritirare i premi sono stati Tarn Willers e Johnnie Burn, e vedere quest’ultimo finalmente riconosciuto da un premio così importante è stato piuttosto gratificante, anche perché in un mondo ideale Burn avrebbe dovuto vincere già un paio di Oscar per il montaggio sonoro in Nope (2022) e Under The Skin (2013). Infine, l’Academy Award ai Migliori Effetti Speciali è stato assegnato al team di Godzilla Minus One di Takeshita Yamazaki, una vittoria più che meritata visto che il lavoro svolto era nettamente superiore agli altri quattro nominati. Inoltre è affascinante notare come due produzioni internazionali abbiano vinto le ultime due categorie citate, poichè non era mai successo prima nella storia degli Oscar.
Nella categoria di miglior film d’animazione si è potuto assistere ad un’altra piacevole sorpresa con la vittoria de Il Ragazzo e l’airone di Hayao Miyazaki che ha prevalso su Spider-Man: Across the Spider-verse in una sfida piuttosto equilibrata.
Mstyslav Chernov ha invece vinto per il Miglior Documentario grazie a 20 Days in Mariupol, film che documenta le atrocità dell’invasione russa sul suolo ucraino. Mentre per quanto riguarda la categoria di Miglior Film Internazionale, si è potuto assistere ad un’altra vittoria prevedibile, ovvero quella de La Zona d’Interesse di Jonathan Glazer, che ha trionfato su Io Capitano di Matteo Garrone e Perfect Days di Wim Wenders.
Barbie si è dovuto accontentare del solo premio alla Miglior Canzone Originale per la ballata What I Was Made For di Billie Eilish. È dispiaciuto non vedere il team di I’m Just Ken, la migliore composizione della cinquina, sul palco. Inoltre, l’esibizione canora di Ryan Gosling a metà serata ha rubato la scena e coinvolto tutti i presenti. Il numero musicale ha stupito per la creatività e per gli omaggi cinematografici al suo interno, a partire dal chiaro riferimento al celebre brano cantato da Marilyn Monroe, Diamonds Are a Girl’s Best Friend, nei costumi, o alle coreografie di Busby Berkeley presenti in alcuni musical degli anni ‘30.