NC-54
28.04.2021
Il cinema si rialza dopo un anno davvero complicato a causa della pandemia. Nonostante le premesse di questa 93esima edizione sembrassero ottime, la cerimonia si è rivelata un vero e proprio flop. Ma cominciamo dall’inizio.
Tra i produttori della serata compare il nome di Steven Soderbergh, non proprio l’ultimo arrivato, che quindi lasciava ben sperare. Ma non solo, in contemporanea alla cerimonia è stata pubblicata l’anteprima dell’attesissimo West Side Story di Steven Spielberg. Eppure tutti probabilmente ricorderemo questi Oscar come i più noiosi di sempre. Perchè? Innanzitutto per la mancanza di un presentatore che avrebbe conferito ritmo all’intera serata; poi per la totale mancanza di clip durante la presentazione dei vari candidati, oltre all’assenza di performance musicali in diretta dei candidati a miglior canzone; poi per un incommentabile In Memoriam durato appena tre minuti. La sensazione è stata quella, infatti, di trovarsi di fronte a un compitino frettoloso e abbastanza freddo. Infine, senza farci mancare nulla, l’aver scambiato l’ordine della scaletta dei vincitori, non posizionando, come si è solito fare, il premio al miglior film come ultimo della serata è stato un azzardo e un’indelicatezza verso il vincitore. La scelta è probabilmente dovuta unicamente alla convinzione collettiva che lo scomparso Chadwick Boseman avrebbe vinto come miglior attore protagonista e si avrebbe potuto così avere un momento per ricordarlo insieme alla moglie, invitata alla cerimonia e tornata a casa a mani vuote. Sconveniente è stata anche la chiusura della cerimonia che, dopo la vittoria meritatissima dell’ottantatreenne Anthony Hopkins, si è conclusa frettolosamente con un saluto da parte di Brad Pitt, senza che la regia desse la parola a Olivia Colman, co-protagonista dell’attore in The Father, la quale stava per ritirare il premio al posto di Hopkins.
C’è da dire, tuttavia, che al di là della cerimonia quasi tutti i premi sono stati, secondo noi, meritati e diverranno ben presto il riferimento per una maggiore inclusività di genere e di etnia per le prossimi edizioni. Il fatto che per la prima volta nella storia degli Oscar due registe donne abbiano vinto contemporaneamente nelle categorie più ambite degli Oscar, miglior regia e miglior film (Chloé Zhao) e miglior sceneggiatura (Emerald Fannell), è una svolta incredibile. Diffidate da chi sostiene che siano state vittorie all’insegna del politicamente corretto perché entrambe si sono distinte dagli altri candidati per la loro autorialità e il loro talento, meritando indubbiamente la vittoria, così come la fuoriclasse Yoon Yeo-jeong, vincitrice del premio come miglior attrice non protagonista, la cui performance ha brillato nello splendido Minari.
Nella categoria di miglior attore non protagonista invece nessuna sorpresa, trionfa infatti Daniel Kluuya, nel ruolo di Fred Hampton, martire delle campagne per i diritti degli afroamericani in Judas and the Black Messiah.
Inaspettata è stata invece la vittoria come miglior attrice protagonista da parte di Frances McDormand, non tra le favorite della categoria, che erano invece Carey Mulligan e Viola Davis. Terzo premio Oscar nel ruolo di migliore protagonista all’interno della sfolgorante carriera dell’attrice. Nell’impresa prima di lei era riuscita soltanto Katharine Hepburn. Noi siamo contente della non vittoria della Davis e ci dispiace un po’ per le altre candidate quali Vanessa Kirby e Andra Day, ma è vero comunque che la perfomance di Frances McDormand è unica e davvero molto intima, una perla all’interno della sua filmografia. Ogni sguardo, ogni espressione silenziosa è di un’intensità difficile da esprimere. Riesce ad affiancare gli altri protagonisti del film, non solo fisicamente. La sua partecipazione emotiva è palpabile, tanto da azzerare totalmente la percezione del confine tra lei, attrice professionista e loro, veri nomadi.
Mank invece, candidato in ben dieci categorie, porta a casa solo due premi: miglior scenografia e miglior fotografia. Un affresco molto ben confezionato della Hollywood del passato, una regia esemplare dal gusto retrò interamente valorizzata da una curata fotografia. Tecnicamente ineccepibile, ma forse poco più.
Premiato Thomas Vinterberg, regista di Druk - Another Round, nella categoria di miglior film internazionale. Il discorso del regista danese è stato senza dubbio uno dei più commoventi della serata. Vittoria annunciata, ma a nostro parere più che meritata per un film che in estrema sintesi è un’intensa celebrazione della vita.
Veniamo ora alla categoria di miglior documentario. In gara grandi titoli quali Collective, candidato anche come miglior film straniero, e Time. Ma, sorpresa delle sorprese, almeno per noi, ad essere premiato è stato The Octopus Teacher. Documentario disponibile su Netflix ambientato negli splendidi fondali marini del Sudafrica. Un documentario indubbiamente interessante che apre ad un punto di vista inedito, ma, visti gli altri candidati, la premiazione ci è sembrata a dir poco insolita.
Concludiamo ammettendo il nostro profondo dispiacere per la mancata vittoria degli unici due film italiani in gara, Mark Coulier per il trucco e parrucco di Pinocchio di Matteo Garrone e Laura Pausini con la sua canzone “Io sì” per La vita davanti a sé di Edoardo Ponti, non tanto perché spinte dal classico patriottismo, ma perché tra i vari candidati erano di fatto i più meritevoli.
Una cerimonia diversa dalle precedenti, sia in termini di atmosfera che di svolgimento. Ma la cosa fondamentale era mandare un segnale. Il Cinema è vivo, non si è mai fermato, e questa 93esima edizione degli Oscar ne è la prova.
NC-54
28.04.2021
Il cinema si rialza dopo un anno davvero complicato a causa della pandemia. Nonostante le premesse di questa 93esima edizione sembrassero ottime, la cerimonia si è rivelata un vero e proprio flop. Ma cominciamo dall’inizio.
Tra i produttori della serata compare il nome di Steven Soderbergh, non proprio l’ultimo arrivato, che quindi lasciava ben sperare. Ma non solo, in contemporanea alla cerimonia è stata pubblicata l’anteprima dell’attesissimo West Side Story di Steven Spielberg. Eppure tutti probabilmente ricorderemo questi Oscar come i più noiosi di sempre. Perchè? Innanzitutto per la mancanza di un presentatore che avrebbe conferito ritmo all’intera serata; poi per la totale mancanza di clip durante la presentazione dei vari candidati, oltre all’assenza di performance musicali in diretta dei candidati a miglior canzone; poi per un incommentabile In Memoriam durato appena tre minuti. La sensazione è stata quella, infatti, di trovarsi di fronte a un compitino frettoloso e abbastanza freddo. Infine, senza farci mancare nulla, l’aver scambiato l’ordine della scaletta dei vincitori, non posizionando, come si è solito fare, il premio al miglior film come ultimo della serata è stato un azzardo e un’indelicatezza verso il vincitore. La scelta è probabilmente dovuta unicamente alla convinzione collettiva che lo scomparso Chadwick Boseman avrebbe vinto come miglior attore protagonista e si avrebbe potuto così avere un momento per ricordarlo insieme alla moglie, invitata alla cerimonia e tornata a casa a mani vuote. Sconveniente è stata anche la chiusura della cerimonia che, dopo la vittoria meritatissima dell’ottantatreenne Anthony Hopkins, si è conclusa frettolosamente con un saluto da parte di Brad Pitt, senza che la regia desse la parola a Olivia Colman, co-protagonista dell’attore in The Father, la quale stava per ritirare il premio al posto di Hopkins.
C’è da dire, tuttavia, che al di là della cerimonia quasi tutti i premi sono stati, secondo noi, meritati e diverranno ben presto il riferimento per una maggiore inclusività di genere e di etnia per le prossimi edizioni. Il fatto che per la prima volta nella storia degli Oscar due registe donne abbiano vinto contemporaneamente nelle categorie più ambite degli Oscar, miglior regia e miglior film (Chloé Zhao) e miglior sceneggiatura (Emerald Fannell), è una svolta incredibile. Diffidate da chi sostiene che siano state vittorie all’insegna del politicamente corretto perché entrambe si sono distinte dagli altri candidati per la loro autorialità e il loro talento, meritando indubbiamente la vittoria, così come la fuoriclasse Yoon Yeo-jeong, vincitrice del premio come miglior attrice non protagonista, la cui performance ha brillato nello splendido Minari.
Nella categoria di miglior attore non protagonista invece nessuna sorpresa, trionfa infatti Daniel Kluuya, nel ruolo di Fred Hampton, martire delle campagne per i diritti degli afroamericani in Judas and the Black Messiah.
Inaspettata è stata invece la vittoria come miglior attrice protagonista da parte di Frances McDormand, non tra le favorite della categoria, che erano invece Carey Mulligan e Viola Davis. Terzo premio Oscar nel ruolo di migliore protagonista all’interno della sfolgorante carriera dell’attrice. Nell’impresa prima di lei era riuscita soltanto Katharine Hepburn. Noi siamo contente della non vittoria della Davis e ci dispiace un po’ per le altre candidate quali Vanessa Kirby e Andra Day, ma è vero comunque che la perfomance di Frances McDormand è unica e davvero molto intima, una perla all’interno della sua filmografia. Ogni sguardo, ogni espressione silenziosa è di un’intensità difficile da esprimere. Riesce ad affiancare gli altri protagonisti del film, non solo fisicamente. La sua partecipazione emotiva è palpabile, tanto da azzerare totalmente la percezione del confine tra lei, attrice professionista e loro, veri nomadi.
Mank invece, candidato in ben dieci categorie, porta a casa solo due premi: miglior scenografia e miglior fotografia. Un affresco molto ben confezionato della Hollywood del passato, una regia esemplare dal gusto retrò interamente valorizzata da una curata fotografia. Tecnicamente ineccepibile, ma forse poco più.
Premiato Thomas Vinterberg, regista di Druk - Another Round, nella categoria di miglior film internazionale. Il discorso del regista danese è stato senza dubbio uno dei più commoventi della serata. Vittoria annunciata, ma a nostro parere più che meritata per un film che in estrema sintesi è un’intensa celebrazione della vita.
Veniamo ora alla categoria di miglior documentario. In gara grandi titoli quali Collective, candidato anche come miglior film straniero, e Time. Ma, sorpresa delle sorprese, almeno per noi, ad essere premiato è stato The Octopus Teacher. Documentario disponibile su Netflix ambientato negli splendidi fondali marini del Sudafrica. Un documentario indubbiamente interessante che apre ad un punto di vista inedito, ma, visti gli altri candidati, la premiazione ci è sembrata a dir poco insolita.
Concludiamo ammettendo il nostro profondo dispiacere per la mancata vittoria degli unici due film italiani in gara, Mark Coulier per il trucco e parrucco di Pinocchio di Matteo Garrone e Laura Pausini con la sua canzone “Io sì” per La vita davanti a sé di Edoardo Ponti, non tanto perché spinte dal classico patriottismo, ma perché tra i vari candidati erano di fatto i più meritevoli.
Una cerimonia diversa dalle precedenti, sia in termini di atmosfera che di svolgimento. Ma la cosa fondamentale era mandare un segnale. Il Cinema è vivo, non si è mai fermato, e questa 93esima edizione degli Oscar ne è la prova.