INT-64
29.03.2024
La prossima settimana uscirà nelle sale Il Mio Amico Robot di Pablo Berger, uno dei film d’animazione più acclamati dello scorso anno. Il quarto lungometraggio del cineasta spagnolo, che è stato candidato al premio Oscar per il Miglior Film d'Animazione, è un adattamento dell’omonimo fumetto di Sara Varon e si focalizza sull’amicizia tra un cane ed un robot. Ambientata a Manhattan negli anni ottanta, la storia ruota attorno a DOG, che, per non sentirsi più solo, decide di costruire un robot che possa fargli compagnia. In breve tempo tra i due nasce un profondo legame, ma questo durerà ben poco perché, dopo aver passato una giornata al mare, DOG si vede costretto ad abbandonare ROBOT sulla spiaggia poiché i suoi meccanismi si sono danneggiati in mare e non è più in grado di muoversi. L’ultimo lavoro di Berger è un originale e toccante racconto sull’amicizia, la solitudine e soprattutto sul superamento della perdita di una persona importante nella nostra vita.
Il Mio Amico Robot verrà distribuito nei cinema italiani il 4 aprile con I Wonder Pictures in collaborazione con Unipol Biografilm Collection. Per l’occasione, Pablo Berger ha intrapreso un piccolo tour in alcune città italiane per presentare il film in anteprima e, durante la tappa milanese, abbiamo avuto il piacere di incontrare ed intervistare il cineasta, che ci ha raccontato di alcune scelte legate alla storia del film, come l’ambientazione a Manhattan, l’uso del brano September del gruppo Earth, Wind & Fire e la mancanza dei dialoghi.
I protagonisti del film sono un cane ed un robot, una strana accoppiata, come descriveresti questo rapporto? È una sovversione del tipico rapporto tra umano e cane?
La scelta non è dipesa da me poiché Il Mio Amico Robot è un adattamento dell’omonimo graphic novel di Sara Varon (il regista prende in mano il fumetto e lo mostra, n.d.r.), però come dici tu, il rapporto tra DOG e ROBOT rappresenta la sovversione di quello tra umano e cane, però a ruoli invertiti, dove il robot interpreta il cane e… (il regista ride, n.d.r.) il cane invece rappresenta l’umano. L’origine della storia risale a molti anni fa, Sara Varon aveva scritto questo libro nel 2007 per cercare di superare il lutto del suo amico fidato che era venuto a mancare, e devi sapere che Sara ama alla follia i cani, forse più di ogni altra cosa, ha tatuaggi di cani ovunque e, spesso, da una mano nei canili o comunque in quel contesto. É proprio una dog lover, come lo sono io.
Credi che in futuro i robot, o tecnologie simili, potranno aiutare l’uomo a superare un lutto o ad alleviare il senso di solitudine?
Il punto è che io sono un’artista, non uno scienziato (il regista scoppia a ridere, n.d.r.), non sono Nostradamus e non so cosa il futuro ha in serbo per noi. Ma posso dirti che nel film ROBOT rappresenta una metafora; i robot sono formati da congegni elettronici e ingranaggi, ma non hanno un software, una CPU e soprattutto un’intelligenza artificiale, quindi, quando il pubblico vede ROBOT, voglio che lo percepisca come una metafora dell’amico, compagno, o anche amante ideale, e non come una “macchina”. Ovviamente ROBOT è una “macchina”, ma Il Mio Amico Robot è una favola, e il pubblico dovrebbe vedere il film pensando a quello, e non a qualcosa di più complesso. Ma, per rispondere alla domanda che mi hai fatto, ti dico che cerco di seguire l’approccio giapponese sulla robotica, loro non vedono questi androidi come una minaccia, ma come “creature” amichevoli (il regista ride, n.d.r.).
Il Mio Amico Robot è ambientato a Manhattan, come mai hai scelto questa città? È legata al fumetto di Sara Varon?
No, come puoi vedere (il regista inizia a sfogliare il fumetto per mostrare vari disegni, n.d.r.), il fumetto è piuttosto semplice, non ci sono background complessi, potrebbe essere ambientato in una città americana qualunque, ma non quella di New York. Per me era davvero importante ambientare la storia in quella città perché ho vissuto lì per dieci anni e il film è in qualche modo una “lettera d’amore” verso quella metropoli. Il mio intento era anche quello di creare una “macchina del tempo”, dove la gente può vedere una New York che non c’è più, volevo riportare il pubblico nella città in cui ho vissuto durante gli anni ‘80. La città è un personaggio cruciale della storia, allo stesso livello di DOG e ROBOT.
Una delle peculiarità del film è la mancanza di dialoghi, e questa non è la prima volta che utilizzi questo approccio, come ad esempio in Blancanieves (2012), c’è qualche motivazione specifica dietro a questa scelta?
È buffo che me lo chiedi (il regista ride, n.d.r.), mi sento come un “terrorista” cinematografico. Recentemente, Denis Villeneuve ha detto in un’intervista che “odia i dialoghi” e queste parole possono essere intese in maniera metaforica; un film deve essere raccontato tramite le immagini e la penso allo stesso modo. Uno delle epoche cinematografiche che preferisco è quella degli anni ‘20, la “golden age” del cinema. All’epoca c’era una grande volontà di esplorare l’immagine in maniera sperimentale, sia la sua componente poetica che quella visiva. Ed è questo che ha reso il cinema una forma d’arte. Se vuoi ascoltare dei dialoghi, puoi andare a teatro a vedere una pièce, oppure leggere un romanzo, ma se vuoi un’esperienza sensoriale completa nella quale sognare e scappare dalla realtà, devi andare al cinema. E quando dico questo, intendo andare al “cinema” fisicamente e non vedere film sulle piattaforme streaming da casa. Amo l’idea che Il Mio Amico Robot esca in un periodo dove c’è questa epidemia di solitudine nella quale la gente si isola in casa, decide di lavorare da remoto e comunica con altre persone tramite videochiamate. Mi piace molto il pensiero che la gente vada al cinema per stare in compagnia, a vedere un film… insieme.
Il Mio Amico Robot è il tuo quarto lungometraggio, ma il primo d’animazione, era qualcosa di pianificato? Sapevi già che un giorno avresti diretto un film d’animazione?
No, al contrario, non ho mai pensato che un giorno avrei diretto un film d’animazione. Ho scelto di dirigere questo film perché mi piaceva la storia e c’era qualcosa nei personaggi antropomorfi che mi ha incuriosito. Mi piacciono i rischi e le sfide, quindi ho pensato “ok, perché no?”, e ho deciso di fare qualcosa che non ho mai fatto prima.
Rimanendo sul discorso film d’animazione, quali sono i tuoi preferiti, o quelli che ti hanno ispirato per il film?
Oh, L’Isola dei Cani (2018) di Wes Anderson, lo ritengo un capolavoro assoluto del genere. Amo diversi film d’animazione stop-motion, come Mary and Max (2009) di Adam Elliot e La mia vita da Zucchina (2016) di Claude Barras. In generale apprezzo molto il cinema d’animazione che proviene dalla Francia, per citare qualche nome direi Dov’è il mio corpo? (2019) di Jérémy Clapin e Ernest & Celestine (2012) di Stéphane Aubier, Vincent Patar e Benjamin Renner. Amo anche Spider-Man: Across the Spider-Verse (2023) di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson. Ma il cinema d’animazione che apprezzo e rispetto di più è quello dello Studio Ghibli. I film che mi hanno maggiormente ispirato mentre stavo girando Il Mio Amico Robot erano quelli giapponesi e, quando avevo un problema o un dubbio pensavo “cosa farebbero Hayao Miyazaki e Isao Takahata?”. A parte questi due grandi maestri, vorrei citare il nome di un giovane cineasta davvero promettente, ovvero Mamoru Hosoda.
Vorrei concludere questa conversazione facendoti una domanda che, sicuramente, ti avranno rivolto più volte. Come mai hai deciso di inserire l’iconico brano September del gruppo Earth, Wind & Fire?
Quando ho scritto il primo draft della sceneggiatura, September era già presente. È stata una delle prime scelte che ho fatto, anche perché la storia inizia a settembre e finisce nelle stesso mese dell’anno successivo. Inoltre, ho scelto September perché avevo bisogno di un brano funky, uno nel quale i personaggi possono ballare, e il momento in cui si divertono sui pattini a rotelle con la canzone in sottofondo rappresenta uno dei momenti più felici della loro vita. Poi, ho pensato che September potesse diventare la “loro” canzone, e, come puoi vedere, il brano “appare” svariate volte nel corso del film. Per farti un esempio, in Casablanca (1942) c’è l’iconico momento “Play it again, Sam”, dove il personaggio interpretato da Ingrid Bergman chiede al pianista di suonare As Time Goes By perché è la canzone che segna il suo primo incontro con il personaggio di Humphrey Bogart. ROBOT e DOG pensano l’uno all’altro ogni volta che sentono September.
INT-64
29.03.2024
La prossima settimana uscirà nelle sale Il Mio Amico Robot di Pablo Berger, uno dei film d’animazione più acclamati dello scorso anno. Il quarto lungometraggio del cineasta spagnolo, che è stato candidato al premio Oscar per il Miglior Film d'Animazione, è un adattamento dell’omonimo fumetto di Sara Varon e si focalizza sull’amicizia tra un cane ed un robot. Ambientata a Manhattan negli anni ottanta, la storia ruota attorno a DOG, che, per non sentirsi più solo, decide di costruire un robot che possa fargli compagnia. In breve tempo tra i due nasce un profondo legame, ma questo durerà ben poco perché, dopo aver passato una giornata al mare, DOG si vede costretto ad abbandonare ROBOT sulla spiaggia poiché i suoi meccanismi si sono danneggiati in mare e non è più in grado di muoversi. L’ultimo lavoro di Berger è un originale e toccante racconto sull’amicizia, la solitudine e soprattutto sul superamento della perdita di una persona importante nella nostra vita.
Il Mio Amico Robot verrà distribuito nei cinema italiani il 4 aprile con I Wonder Pictures in collaborazione con Unipol Biografilm Collection. Per l’occasione, Pablo Berger ha intrapreso un piccolo tour in alcune città italiane per presentare il film in anteprima e, durante la tappa milanese, abbiamo avuto il piacere di incontrare ed intervistare il cineasta, che ci ha raccontato di alcune scelte legate alla storia del film, come l’ambientazione a Manhattan, l’uso del brano September del gruppo Earth, Wind & Fire e la mancanza dei dialoghi.
I protagonisti del film sono un cane ed un robot, una strana accoppiata, come descriveresti questo rapporto? È una sovversione del tipico rapporto tra umano e cane?
La scelta non è dipesa da me poiché Il Mio Amico Robot è un adattamento dell’omonimo graphic novel di Sara Varon (il regista prende in mano il fumetto e lo mostra, n.d.r.), però come dici tu, il rapporto tra DOG e ROBOT rappresenta la sovversione di quello tra umano e cane, però a ruoli invertiti, dove il robot interpreta il cane e… (il regista ride, n.d.r.) il cane invece rappresenta l’umano. L’origine della storia risale a molti anni fa, Sara Varon aveva scritto questo libro nel 2007 per cercare di superare il lutto del suo amico fidato che era venuto a mancare, e devi sapere che Sara ama alla follia i cani, forse più di ogni altra cosa, ha tatuaggi di cani ovunque e, spesso, da una mano nei canili o comunque in quel contesto. É proprio una dog lover, come lo sono io.
Credi che in futuro i robot, o tecnologie simili, potranno aiutare l’uomo a superare un lutto o ad alleviare il senso di solitudine?
Il punto è che io sono un’artista, non uno scienziato (il regista scoppia a ridere, n.d.r.), non sono Nostradamus e non so cosa il futuro ha in serbo per noi. Ma posso dirti che nel film ROBOT rappresenta una metafora; i robot sono formati da congegni elettronici e ingranaggi, ma non hanno un software, una CPU e soprattutto un’intelligenza artificiale, quindi, quando il pubblico vede ROBOT, voglio che lo percepisca come una metafora dell’amico, compagno, o anche amante ideale, e non come una “macchina”. Ovviamente ROBOT è una “macchina”, ma Il Mio Amico Robot è una favola, e il pubblico dovrebbe vedere il film pensando a quello, e non a qualcosa di più complesso. Ma, per rispondere alla domanda che mi hai fatto, ti dico che cerco di seguire l’approccio giapponese sulla robotica, loro non vedono questi androidi come una minaccia, ma come “creature” amichevoli (il regista ride, n.d.r.).
Il Mio Amico Robot è ambientato a Manhattan, come mai hai scelto questa città? È legata al fumetto di Sara Varon?
No, come puoi vedere (il regista inizia a sfogliare il fumetto per mostrare vari disegni, n.d.r.), il fumetto è piuttosto semplice, non ci sono background complessi, potrebbe essere ambientato in una città americana qualunque, ma non quella di New York. Per me era davvero importante ambientare la storia in quella città perché ho vissuto lì per dieci anni e il film è in qualche modo una “lettera d’amore” verso quella metropoli. Il mio intento era anche quello di creare una “macchina del tempo”, dove la gente può vedere una New York che non c’è più, volevo riportare il pubblico nella città in cui ho vissuto durante gli anni ‘80. La città è un personaggio cruciale della storia, allo stesso livello di DOG e ROBOT.
Una delle peculiarità del film è la mancanza di dialoghi, e questa non è la prima volta che utilizzi questo approccio, come ad esempio in Blancanieves (2012), c’è qualche motivazione specifica dietro a questa scelta?
È buffo che me lo chiedi (il regista ride, n.d.r.), mi sento come un “terrorista” cinematografico. Recentemente, Denis Villeneuve ha detto in un’intervista che “odia i dialoghi” e queste parole possono essere intese in maniera metaforica; un film deve essere raccontato tramite le immagini e la penso allo stesso modo. Uno delle epoche cinematografiche che preferisco è quella degli anni ‘20, la “golden age” del cinema. All’epoca c’era una grande volontà di esplorare l’immagine in maniera sperimentale, sia la sua componente poetica che quella visiva. Ed è questo che ha reso il cinema una forma d’arte. Se vuoi ascoltare dei dialoghi, puoi andare a teatro a vedere una pièce, oppure leggere un romanzo, ma se vuoi un’esperienza sensoriale completa nella quale sognare e scappare dalla realtà, devi andare al cinema. E quando dico questo, intendo andare al “cinema” fisicamente e non vedere film sulle piattaforme streaming da casa. Amo l’idea che Il Mio Amico Robot esca in un periodo dove c’è questa epidemia di solitudine nella quale la gente si isola in casa, decide di lavorare da remoto e comunica con altre persone tramite videochiamate. Mi piace molto il pensiero che la gente vada al cinema per stare in compagnia, a vedere un film… insieme.
Il Mio Amico Robot è il tuo quarto lungometraggio, ma il primo d’animazione, era qualcosa di pianificato? Sapevi già che un giorno avresti diretto un film d’animazione?
No, al contrario, non ho mai pensato che un giorno avrei diretto un film d’animazione. Ho scelto di dirigere questo film perché mi piaceva la storia e c’era qualcosa nei personaggi antropomorfi che mi ha incuriosito. Mi piacciono i rischi e le sfide, quindi ho pensato “ok, perché no?”, e ho deciso di fare qualcosa che non ho mai fatto prima.
Rimanendo sul discorso film d’animazione, quali sono i tuoi preferiti, o quelli che ti hanno ispirato per il film?
Oh, L’Isola dei Cani (2018) di Wes Anderson, lo ritengo un capolavoro assoluto del genere. Amo diversi film d’animazione stop-motion, come Mary and Max (2009) di Adam Elliot e La mia vita da Zucchina (2016) di Claude Barras. In generale apprezzo molto il cinema d’animazione che proviene dalla Francia, per citare qualche nome direi Dov’è il mio corpo? (2019) di Jérémy Clapin e Ernest & Celestine (2012) di Stéphane Aubier, Vincent Patar e Benjamin Renner. Amo anche Spider-Man: Across the Spider-Verse (2023) di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson. Ma il cinema d’animazione che apprezzo e rispetto di più è quello dello Studio Ghibli. I film che mi hanno maggiormente ispirato mentre stavo girando Il Mio Amico Robot erano quelli giapponesi e, quando avevo un problema o un dubbio pensavo “cosa farebbero Hayao Miyazaki e Isao Takahata?”. A parte questi due grandi maestri, vorrei citare il nome di un giovane cineasta davvero promettente, ovvero Mamoru Hosoda.
Vorrei concludere questa conversazione facendoti una domanda che, sicuramente, ti avranno rivolto più volte. Come mai hai deciso di inserire l’iconico brano September del gruppo Earth, Wind & Fire?
Quando ho scritto il primo draft della sceneggiatura, September era già presente. È stata una delle prime scelte che ho fatto, anche perché la storia inizia a settembre e finisce nelle stesso mese dell’anno successivo. Inoltre, ho scelto September perché avevo bisogno di un brano funky, uno nel quale i personaggi possono ballare, e il momento in cui si divertono sui pattini a rotelle con la canzone in sottofondo rappresenta uno dei momenti più felici della loro vita. Poi, ho pensato che September potesse diventare la “loro” canzone, e, come puoi vedere, il brano “appare” svariate volte nel corso del film. Per farti un esempio, in Casablanca (1942) c’è l’iconico momento “Play it again, Sam”, dove il personaggio interpretato da Ingrid Bergman chiede al pianista di suonare As Time Goes By perché è la canzone che segna il suo primo incontro con il personaggio di Humphrey Bogart. ROBOT e DOG pensano l’uno all’altro ogni volta che sentono September.