INT-89
17.03.2025
Il mese scorso, alla Berlinale, Nina Hoss ha presentato nella sezione Panorama Cicadas di Ina Weisse, nuovo film di cui è protagonista che marca la seconda collaborazione con la regista tedesca dopo The Audition (2019).
Il terzo lungometraggio di Weisse è un dramma al femminile che esplora la storia di due donne che riescono a instaurare una forte intesa attraverso le difficoltà familiari che stanno entrambe affrontando. Isabell (Nina Hoss), costretta a prendersi cura del padre malato, è stata “forzata” a trascurare non solo la vita matrimoniale con il marito Philippe (Vincent Macaigne), ma anche la carriera di architetto, ritrovandosi a vivere in un loop di autocommiserazione senza via d’uscita. La situazione inizia a cambiare quando nella sua vita entra Anja (Saskia Rosendahl), madre single che sta faticando a costruire un futuro per sua figlia..
Abbiamo avuto il piacere di incontrare Nina Hoss, che oltre a introdurci al suo nuovo film, ci ha descritto il suo processo creativo, spiegato ciò che la spinge ad accettare un ruolo, introdotto al suo metodo di recitazione, ed infine raccontato alcune curiosità sulle sue passate collaborazioni con Christian Petzold, Radu Jude e Todd Field.
Nina Hoss e Saskia Rosendahl in una scena di Cicadas (2025)
Quali sono i fattori più importanti nella scelta di un ruolo? Dipende dal regista o dal personaggio che devi interpretare?
Direi che principalmente è dovuto dal regista con cui collaborerò. Cerco sempre di informarmi su ciò che ha diretto in passato e se trovo qualcosa di interessante, vuol dire che posso avere fiducia nei suoi mezzi e nel progetto che mi propone. Anche la storia che “racconterò” ha una certa importanza, come anche gli altri attori che sono nel cast. Quindi direi che è un mix di vari fattori, ma il legame artistico che riesco a creare al primo impatto con un autore è l’aspetto fondamentale. Con autore intendo un regista che abbia il controllo del progetto, perché a volte ti trovi a lavorare in prodotti televisivi tipo Jack Ryan o Homeland, dove non si ha un unico regista, ma più persone… e quella è ovviamente un’esperienza diversa.
E come ti prepari per un ruolo? Segui il cosiddetto “method acting” o preferisci creare il personaggio sul set con il regista?
Solitamente lavoro molto sullo script, lo leggo più volte e, quando ho tutto in testa, cerco di capire il personaggio, comprendere il perché di certe scelte narrative e cosa si potrebbe celare dietro il suo comportamento. Colleziono idee, creo un immaginario della persona che interpreterò e imparo ad osservare il mondo con i suoi occhi. Accumulo queste informazioni e la gioia più grande per me è arrivare sul set e “dimenticare” tutto. A quel punto so che inconsciamente il personaggio è dentro di me, così inizio a lavorare con quello che ho sul set, mi trovo in una posizione dove mi lascio andare e seguo il momento. Non mi piace pensare troppo a come sarà una scena o come verrà girata. Un’altra gioia per me è affidarmi al lavoro dei miei colleghi. Anche perché magari mi faccio precedentemente un’idea di come potrebbe essere diretta una sequenza ma, una volta sul set, trovo uno scenario diverso da ciò che avevo immaginato. Quindi mi concentro di più sulla psicologia del personaggio, e quando bisogna girare mi “lascio andare” per essere completamente libera.
Cicadas è la seconda collaborazione con Ina Weisse dopo The Audition, come si è evoluto il vostro rapporto lavorativo?
Quando abbiamo lavorato insieme per The Audition ci siamo avvicinate molto, si è creato un buon rapporto tra di noi e sembrava piuttosto naturale una seconda collaborazione. Ina aveva iniziato a pensare ad una storia che potesse interessare ad entrambe. Il punto di partenza non è stato il mio personaggio, ma la bambina che vedi nel film. Ina aveva iniziato a “seguire” sia lei che la madre e questa dinamica l'ha ispirata a scrivere l’incipit di Cicadas. Quale è il suo background? Cosa si cela dietro al suo atteggiamento ambiguo? Da queste domande si è sviluppata la storia e i vari personaggi secondari. Tutto è andato liscio, avevamo la sceneggiatura, Saskia si è unita al cast, abbiamo iniziato a girare e dopo solo quattro mesi ci siamo ritrovate alla Berlinale. Una grande qualità di Cicadas è l’impatto che può avere sullo spettatore, ci sono diverse tematiche e situazioni con le quali ci si può immedesimare. Inoltre, uno spettatore più giovane può avere una visione completamente diversa rispetto ad una persona più anziana, il tutto grazie alla fluidità della storia. Rivedendo il film mi sono resa conto che Isabelle è in questa situazione dove crede di avere il controllo della sua vita, ma non ce l’ha come puoi vedere. A differenza di The Audition, Ina ha lavorato meno rigidamente, nel senso che ha dato maggiore risalto alla storia e dove questa ci avrebbe portato, piuttosto che seguire alla regola ciò che si era prefissata.
Nina Hoss in Yella
Quello che ho amato del film è l’approccio minimalista con cui tu ed Ina avete sviluppato il personaggio, anche perché c’erano diverse sequenze che potevano facilmente scadere nel melodramma. Forse mi sono affezionato al tuo personaggio perché mi sono rivisto in lei avendo avuto una situazione simile in passato, spesso ti trovi costretto a prenderti cura degli altri e inizi a trascurare te stesso.
Esatto, in queste situazioni c'è qualcosa che ti trattiene e che blocca l’andamento della tua vita. Nel caso di Isabell c’è il padre in fin di vita, lei non riesce ad avere il controllo sulla situazione e questo ha un impatto sia sulla sua vita matrimoniale che lavorativa. Ma allo stesso tempo, quello che ho trovato interessante nel personaggio è il modo in cui reagisce a questa situazione e la usa come giustificazione quando non riesce a fare qualcosa. Nel senso, sono sicura che lei fosse una brava architetta e che avrebbe potuto portare a termine i suoi progetti, ma una volta che il padre si ammala, lei si blocca, non continua con quello che aveva iniziato. Non ha fiducia in se stessa anche perché continua a paragonare i suoi successi a quelli del padre, rinomato architetto da una parte, genitore oppressivo dall’altra. Lei non riesce a liberarsi da questo vincolo, e questo l’ha capito anche il marito come si evince dalle loro accese discussioni; Isabell ha sempre cercato di soddisfare il padre, non se stessa o le sue ambizioni. Che questa sia la verità o no, non lo so di preciso, ma c’è qualcosa di vero in quelle parole. Cosa dovrebbe fare? Lei deve prendersi cura dei suoi genitori, gli vuole bene ed è il suo “dovere”, ma a volte è difficile perché hai altri piani o desideri. Sogni una vita migliore, o una diversa da quella che hai. Per questo l’incontro con Anja è così importante per Isabell, in certi momenti della vita si ha bisogno di determinate persone che ti aiutino ad affrontare la situazione, ad aprire gli occhi su quello che hai di fronte, che ti diano la forza di andare avanti e pensare che andrà “tutto bene”. Alla fine del film ho avuto infatti questa sensazione che Isabell sia più lucida e calma. Non so se stia “meglio”, ma almeno ora riesce a vivere certe situazioni diversamente.
Questo si evince anche da una frase che Anja dice ad Isabell, qualcosa tipo “sei bellissima”. L’ho trovato un momento davvero sublime nel film perché è in quell'istante che Isabell capisce di aver trovato qualcuno che la veda per quello che è, e non solo una madre, una badante o una moglie.
È un momento davvero importante perché Isabell non si sente certamente bella, perché non ha considerazione di se stessa e crede di non meritare le attenzioni altrui. Quando all’improvviso Anja dice quelle parole, qualcosa scatta in Isabell, si commuove. Ormai non siamo più abituati a sentire frasi simili e concordo con te, è una scena davvero bella.
Alla Berlinale è stato anche proiettato Yella (2007), cosa hai provato a rivedere il film? Quanto impatto ha avuto quel ruolo sulla tua carriera?
È stato un progetto piuttosto importante come puoi immaginare. Tutti i film che ho fatto con Christian lo sono stati e Yella si posiziona nel mezzo di questa nostra collaborazione, a cui dopo sono susseguiti Barbara (2012) e Phoenix (2014). Tutti questi titoli, come anche Cicadas direi, hanno qualcosa in comune perché sono uno sguardo introspettivo sulla psiche tedesca. Yella esplora la relazione tra i due lati della Germania attraverso il punto di vista di questa ragazza che si lascia il passato alle spalle per inseguire il sogno di una nuova vita nella Berlino Ovest. Tutto ciò è collegato al capitalismo e si vede come, alla fine, ci sono conseguenze tragiche. Il film analizza il fascino e l’illusione di quello che la parte Ovest e il capitale rappresentavano all’epoca. Il parallelismo con Cicadas non è quindi storico-politico, ma per lo più sociale. Anja fatica nella vita per via della sua posizione lavorativa, non è una manager, ma al contrario, è in fondo alla gerarchia, sta cercando di sopravvivere e assicurare un futuro stabile a sua figlia. Mentre Isabell è più simile al personaggio di Philippe (Devid Striesow) in Yella perché rappresentano la specifica idea di un mondo opposto a quello degli altri personaggi. Sono sempre affascinata dai film che parlano della mia Nazione, che si rapportano ad essa e che ridefiniscono il suo aspetto culturale. Non so spiegarlo, ma entrambi i film hanno qualcosa di “tedesco” nel modo in cui analizzano determinati aspetti socio-culturali, anche se sono stati diretti da due cineasti completamente diversi.
Ronald Zehrfeld e Nina Hoss in una sequenza di Phoenix (2014)
Sempre rimanendo sulla tua collaborazione con Petzold, non posso non chiederti di Phoenix e della sensazionale sequenza finale, il momento in cui Nelly canta Speak Low.
Abbiamo provato quella scena molte volte e, se non ricordo male, l’abbiamo girata durante l’ultimo giorno di riprese. Sapevo che quel momento rappresentava una catarsi in Nelly e mi sentivo piuttosto a mio agio con la canzone. Mi ricordo ancora quegli istanti e tutte le persone sedute attorno che guardavano la scena, c’era quest'aura sinistra, e a tratti inquietante, perché è il momento in cui il personaggio trova di nuovo la sua voce. Ho cercato di esplorare le emozioni di Nelly e trovare il modo di trasmetterle tramite quella meravigliosa canzone. È stata una sensazione bellissima. Essere presente con il personaggio in quel momento e arrivare a quella situazione dove finalmente riesce ad abbandonare il suo tragico passato è stato gratificante.
Negli ultimi anni abbiamo visto come hai iniziato a lavorare sempre di più in produzioni internazionali, come ad esempio Do Not Expect Too Much From the End of the World (2023) di Radu Jude e Tár (2022) di Todd Field.
Sono due mondi completamente diversi (l’attrice ride, n.d.r.). Ho adorato lavorare in quei film, è in queste occasioni che mi sento fortunata perché avere l’occasione di entrare brevemente nelle vite di certi autori è davvero fantastico. Ed è qui che mi ricollego a quello che ho detto ad inizio conversazione sull’importanza del regista. Todd Field è un genio assoluto, sotto ogni punto di vista, ha una visione così precisa e cura meticolosamente ogni dettaglio. Allo stesso tempo, quando deve creare una scena, diventa come un attore che non puoi controllare o dirigere, imbastisce una situazione e ti permette di darle vita, ti lascia piena libertà nelle tue scelte creative. A livello creativo, girare Tár è stato veramente gratificante, è la perfetta combinazione che cerco nel rapporto regista/attore. Con Radu è un altro modo di lavorare. Al primo impatto ti sembra una persona caotica, ma non lo è affatto, ha solo questa energia particolare, questo stato di “agitazione” costante (l’attrice ride, n.d.r.). È stata un’esperienza folle, mi sono trovata a girare queste sequenze in auto in Romania mentre pensavo “è sicuro quello che stiamo facendo?”. Mi sono sentita rinvigorita ed elettrizzata nel lavorare con lui. È una persona splendida e un regista eccezionale perché ha sempre questo costante desiderio di sperimentare con l’immagine cinematografica. Cerca sempre nuove vie per raccontare le sue storie che non sempre seguono le “regole” del cinema o cose simili.
C’è qualche regista internazionale con cui vorresti lavorare in futuro?
Visto che ho presentato Cicadas a Berlino nell’anno in cui Todd Haynes è stato il presidente della giuria, non posso non citare il suo nome. Per lo stesso discorso ti direi anche Richard Linklater. Ci sono anche diversi registi europei che mi hanno incuriosito, soprattutto italiani, penso a Vermiglio (2024) di Maura Delpero, un film bellissimo e mi piacerebbe collaborare con lei in futuro.
Nina Hoss e Cate Blanchett in Tár (2022)
Qualche regista tedesco invece? L’anno scorso alla Berlinale avevo visto Sterben di Matthias Glasner e ultimamente ho iniziato a pensare ad una vostra possibile collaborazione.
Beh, chi lo sa? (l’attrice scherza, n.d.r.), non posso dire nulla al momento, ma io e Matthias abbiamo iniziato a “parlare”.
Questo mi fa piacere. Concluderei questa piacevole conversazione chiedendoti qualche anticipazione su un film che dovrebbe uscire quest’anno, Hedda di Nia DaCosta.
Non so se posso dirti qualcosa, non vogliono che si divulghino informazioni, ma posso dirti che è un film che dovrai attendere con ansia. È piuttosto diverso da quello che ho fatto finora o da quello che ti aspetteresti da me come attrice. Rimarrai sorpreso.
Il trailer di Cicadas (2025)
INT-89
17.03.2025
Il mese scorso, alla Berlinale, Nina Hoss ha presentato nella sezione Panorama Cicadas di Ina Weisse, nuovo film di cui è protagonista che marca la seconda collaborazione con la regista tedesca dopo The Audition (2019).
Il terzo lungometraggio di Weisse è un dramma al femminile che esplora la storia di due donne che riescono a instaurare una forte intesa attraverso le difficoltà familiari che stanno entrambe affrontando. Isabell (Nina Hoss), costretta a prendersi cura del padre malato, è stata “forzata” a trascurare non solo la vita matrimoniale con il marito Philippe (Vincent Macaigne), ma anche la carriera di architetto, ritrovandosi a vivere in un loop di autocommiserazione senza via d’uscita. La situazione inizia a cambiare quando nella sua vita entra Anja (Saskia Rosendahl), madre single che sta faticando a costruire un futuro per sua figlia..
Abbiamo avuto il piacere di incontrare Nina Hoss, che oltre a introdurci al suo nuovo film, ci ha descritto il suo processo creativo, spiegato ciò che la spinge ad accettare un ruolo, introdotto al suo metodo di recitazione, ed infine raccontato alcune curiosità sulle sue passate collaborazioni con Christian Petzold, Radu Jude e Todd Field.
Nina Hoss e Saskia Rosendahl in una scena di Cicadas (2025)
Quali sono i fattori più importanti nella scelta di un ruolo? Dipende dal regista o dal personaggio che devi interpretare?
Direi che principalmente è dovuto dal regista con cui collaborerò. Cerco sempre di informarmi su ciò che ha diretto in passato e se trovo qualcosa di interessante, vuol dire che posso avere fiducia nei suoi mezzi e nel progetto che mi propone. Anche la storia che “racconterò” ha una certa importanza, come anche gli altri attori che sono nel cast. Quindi direi che è un mix di vari fattori, ma il legame artistico che riesco a creare al primo impatto con un autore è l’aspetto fondamentale. Con autore intendo un regista che abbia il controllo del progetto, perché a volte ti trovi a lavorare in prodotti televisivi tipo Jack Ryan o Homeland, dove non si ha un unico regista, ma più persone… e quella è ovviamente un’esperienza diversa.
E come ti prepari per un ruolo? Segui il cosiddetto “method acting” o preferisci creare il personaggio sul set con il regista?
Solitamente lavoro molto sullo script, lo leggo più volte e, quando ho tutto in testa, cerco di capire il personaggio, comprendere il perché di certe scelte narrative e cosa si potrebbe celare dietro il suo comportamento. Colleziono idee, creo un immaginario della persona che interpreterò e imparo ad osservare il mondo con i suoi occhi. Accumulo queste informazioni e la gioia più grande per me è arrivare sul set e “dimenticare” tutto. A quel punto so che inconsciamente il personaggio è dentro di me, così inizio a lavorare con quello che ho sul set, mi trovo in una posizione dove mi lascio andare e seguo il momento. Non mi piace pensare troppo a come sarà una scena o come verrà girata. Un’altra gioia per me è affidarmi al lavoro dei miei colleghi. Anche perché magari mi faccio precedentemente un’idea di come potrebbe essere diretta una sequenza ma, una volta sul set, trovo uno scenario diverso da ciò che avevo immaginato. Quindi mi concentro di più sulla psicologia del personaggio, e quando bisogna girare mi “lascio andare” per essere completamente libera.
Cicadas è la seconda collaborazione con Ina Weisse dopo The Audition, come si è evoluto il vostro rapporto lavorativo?
Quando abbiamo lavorato insieme per The Audition ci siamo avvicinate molto, si è creato un buon rapporto tra di noi e sembrava piuttosto naturale una seconda collaborazione. Ina aveva iniziato a pensare ad una storia che potesse interessare ad entrambe. Il punto di partenza non è stato il mio personaggio, ma la bambina che vedi nel film. Ina aveva iniziato a “seguire” sia lei che la madre e questa dinamica l'ha ispirata a scrivere l’incipit di Cicadas. Quale è il suo background? Cosa si cela dietro al suo atteggiamento ambiguo? Da queste domande si è sviluppata la storia e i vari personaggi secondari. Tutto è andato liscio, avevamo la sceneggiatura, Saskia si è unita al cast, abbiamo iniziato a girare e dopo solo quattro mesi ci siamo ritrovate alla Berlinale. Una grande qualità di Cicadas è l’impatto che può avere sullo spettatore, ci sono diverse tematiche e situazioni con le quali ci si può immedesimare. Inoltre, uno spettatore più giovane può avere una visione completamente diversa rispetto ad una persona più anziana, il tutto grazie alla fluidità della storia. Rivedendo il film mi sono resa conto che Isabelle è in questa situazione dove crede di avere il controllo della sua vita, ma non ce l’ha come puoi vedere. A differenza di The Audition, Ina ha lavorato meno rigidamente, nel senso che ha dato maggiore risalto alla storia e dove questa ci avrebbe portato, piuttosto che seguire alla regola ciò che si era prefissata.
Nina Hoss in Yella
Quello che ho amato del film è l’approccio minimalista con cui tu ed Ina avete sviluppato il personaggio, anche perché c’erano diverse sequenze che potevano facilmente scadere nel melodramma. Forse mi sono affezionato al tuo personaggio perché mi sono rivisto in lei avendo avuto una situazione simile in passato, spesso ti trovi costretto a prenderti cura degli altri e inizi a trascurare te stesso.
Esatto, in queste situazioni c'è qualcosa che ti trattiene e che blocca l’andamento della tua vita. Nel caso di Isabell c’è il padre in fin di vita, lei non riesce ad avere il controllo sulla situazione e questo ha un impatto sia sulla sua vita matrimoniale che lavorativa. Ma allo stesso tempo, quello che ho trovato interessante nel personaggio è il modo in cui reagisce a questa situazione e la usa come giustificazione quando non riesce a fare qualcosa. Nel senso, sono sicura che lei fosse una brava architetta e che avrebbe potuto portare a termine i suoi progetti, ma una volta che il padre si ammala, lei si blocca, non continua con quello che aveva iniziato. Non ha fiducia in se stessa anche perché continua a paragonare i suoi successi a quelli del padre, rinomato architetto da una parte, genitore oppressivo dall’altra. Lei non riesce a liberarsi da questo vincolo, e questo l’ha capito anche il marito come si evince dalle loro accese discussioni; Isabell ha sempre cercato di soddisfare il padre, non se stessa o le sue ambizioni. Che questa sia la verità o no, non lo so di preciso, ma c’è qualcosa di vero in quelle parole. Cosa dovrebbe fare? Lei deve prendersi cura dei suoi genitori, gli vuole bene ed è il suo “dovere”, ma a volte è difficile perché hai altri piani o desideri. Sogni una vita migliore, o una diversa da quella che hai. Per questo l’incontro con Anja è così importante per Isabell, in certi momenti della vita si ha bisogno di determinate persone che ti aiutino ad affrontare la situazione, ad aprire gli occhi su quello che hai di fronte, che ti diano la forza di andare avanti e pensare che andrà “tutto bene”. Alla fine del film ho avuto infatti questa sensazione che Isabell sia più lucida e calma. Non so se stia “meglio”, ma almeno ora riesce a vivere certe situazioni diversamente.
Questo si evince anche da una frase che Anja dice ad Isabell, qualcosa tipo “sei bellissima”. L’ho trovato un momento davvero sublime nel film perché è in quell'istante che Isabell capisce di aver trovato qualcuno che la veda per quello che è, e non solo una madre, una badante o una moglie.
È un momento davvero importante perché Isabell non si sente certamente bella, perché non ha considerazione di se stessa e crede di non meritare le attenzioni altrui. Quando all’improvviso Anja dice quelle parole, qualcosa scatta in Isabell, si commuove. Ormai non siamo più abituati a sentire frasi simili e concordo con te, è una scena davvero bella.
Alla Berlinale è stato anche proiettato Yella (2007), cosa hai provato a rivedere il film? Quanto impatto ha avuto quel ruolo sulla tua carriera?
È stato un progetto piuttosto importante come puoi immaginare. Tutti i film che ho fatto con Christian lo sono stati e Yella si posiziona nel mezzo di questa nostra collaborazione, a cui dopo sono susseguiti Barbara (2012) e Phoenix (2014). Tutti questi titoli, come anche Cicadas direi, hanno qualcosa in comune perché sono uno sguardo introspettivo sulla psiche tedesca. Yella esplora la relazione tra i due lati della Germania attraverso il punto di vista di questa ragazza che si lascia il passato alle spalle per inseguire il sogno di una nuova vita nella Berlino Ovest. Tutto ciò è collegato al capitalismo e si vede come, alla fine, ci sono conseguenze tragiche. Il film analizza il fascino e l’illusione di quello che la parte Ovest e il capitale rappresentavano all’epoca. Il parallelismo con Cicadas non è quindi storico-politico, ma per lo più sociale. Anja fatica nella vita per via della sua posizione lavorativa, non è una manager, ma al contrario, è in fondo alla gerarchia, sta cercando di sopravvivere e assicurare un futuro stabile a sua figlia. Mentre Isabell è più simile al personaggio di Philippe (Devid Striesow) in Yella perché rappresentano la specifica idea di un mondo opposto a quello degli altri personaggi. Sono sempre affascinata dai film che parlano della mia Nazione, che si rapportano ad essa e che ridefiniscono il suo aspetto culturale. Non so spiegarlo, ma entrambi i film hanno qualcosa di “tedesco” nel modo in cui analizzano determinati aspetti socio-culturali, anche se sono stati diretti da due cineasti completamente diversi.
Ronald Zehrfeld e Nina Hoss in una sequenza di Phoenix (2014)
Sempre rimanendo sulla tua collaborazione con Petzold, non posso non chiederti di Phoenix e della sensazionale sequenza finale, il momento in cui Nelly canta Speak Low.
Abbiamo provato quella scena molte volte e, se non ricordo male, l’abbiamo girata durante l’ultimo giorno di riprese. Sapevo che quel momento rappresentava una catarsi in Nelly e mi sentivo piuttosto a mio agio con la canzone. Mi ricordo ancora quegli istanti e tutte le persone sedute attorno che guardavano la scena, c’era quest'aura sinistra, e a tratti inquietante, perché è il momento in cui il personaggio trova di nuovo la sua voce. Ho cercato di esplorare le emozioni di Nelly e trovare il modo di trasmetterle tramite quella meravigliosa canzone. È stata una sensazione bellissima. Essere presente con il personaggio in quel momento e arrivare a quella situazione dove finalmente riesce ad abbandonare il suo tragico passato è stato gratificante.
Negli ultimi anni abbiamo visto come hai iniziato a lavorare sempre di più in produzioni internazionali, come ad esempio Do Not Expect Too Much From the End of the World (2023) di Radu Jude e Tár (2022) di Todd Field.
Sono due mondi completamente diversi (l’attrice ride, n.d.r.). Ho adorato lavorare in quei film, è in queste occasioni che mi sento fortunata perché avere l’occasione di entrare brevemente nelle vite di certi autori è davvero fantastico. Ed è qui che mi ricollego a quello che ho detto ad inizio conversazione sull’importanza del regista. Todd Field è un genio assoluto, sotto ogni punto di vista, ha una visione così precisa e cura meticolosamente ogni dettaglio. Allo stesso tempo, quando deve creare una scena, diventa come un attore che non puoi controllare o dirigere, imbastisce una situazione e ti permette di darle vita, ti lascia piena libertà nelle tue scelte creative. A livello creativo, girare Tár è stato veramente gratificante, è la perfetta combinazione che cerco nel rapporto regista/attore. Con Radu è un altro modo di lavorare. Al primo impatto ti sembra una persona caotica, ma non lo è affatto, ha solo questa energia particolare, questo stato di “agitazione” costante (l’attrice ride, n.d.r.). È stata un’esperienza folle, mi sono trovata a girare queste sequenze in auto in Romania mentre pensavo “è sicuro quello che stiamo facendo?”. Mi sono sentita rinvigorita ed elettrizzata nel lavorare con lui. È una persona splendida e un regista eccezionale perché ha sempre questo costante desiderio di sperimentare con l’immagine cinematografica. Cerca sempre nuove vie per raccontare le sue storie che non sempre seguono le “regole” del cinema o cose simili.
C’è qualche regista internazionale con cui vorresti lavorare in futuro?
Visto che ho presentato Cicadas a Berlino nell’anno in cui Todd Haynes è stato il presidente della giuria, non posso non citare il suo nome. Per lo stesso discorso ti direi anche Richard Linklater. Ci sono anche diversi registi europei che mi hanno incuriosito, soprattutto italiani, penso a Vermiglio (2024) di Maura Delpero, un film bellissimo e mi piacerebbe collaborare con lei in futuro.
Nina Hoss e Cate Blanchett in Tár (2022)
Qualche regista tedesco invece? L’anno scorso alla Berlinale avevo visto Sterben di Matthias Glasner e ultimamente ho iniziato a pensare ad una vostra possibile collaborazione.
Beh, chi lo sa? (l’attrice scherza, n.d.r.), non posso dire nulla al momento, ma io e Matthias abbiamo iniziato a “parlare”.
Questo mi fa piacere. Concluderei questa piacevole conversazione chiedendoti qualche anticipazione su un film che dovrebbe uscire quest’anno, Hedda di Nia DaCosta.
Non so se posso dirti qualcosa, non vogliono che si divulghino informazioni, ma posso dirti che è un film che dovrai attendere con ansia. È piuttosto diverso da quello che ho fatto finora o da quello che ti aspetteresti da me come attrice. Rimarrai sorpreso.
Il trailer di Cicadas (2025)