NC-200
11.04.2024
La parabola registica attraversata da Michael Cimino non ha precedenti nella storia del cinema - e non è un complimento. Classe 1939, anche se sul suo anno di nascita ha affabulato le date più variegate da intervista a intervista, dopo un buon esordio con Thunderbolt and Lightfoot (Una calibro 20 per lo specialista), film prodotto e interpretato da Clint Eastwood nel 1974, si procurò un posto inestirpabile nella storia del cinema con The Deer Hunter (Il Cacciatore). Premiata con cinque premi Oscar, incluso Miglior film e Miglior regia, questa eloquente e divisiva epopea sul Vietnam metteva insieme i migliori giovani talenti della Hollywood di allora - Robert De Niro, Christopher Walken, John Cazale, Meryl Streep - per raccontare una storia che, a differenza dei vari Apocalypse Now (1979), Platoon (1986) e Full Metal Jacket (1987), si estendeva, avanti e indietro, tra gli States e il Vietnam, mostrando non solo gli orrori della guerra, ma anche la vita che i protagonisti si lasciano alla spalle e la difficoltà di reinserirsi nel tessuto civile a conflitto terminato.
Dopo l'exploit, il disastro assoluto: il western d’autore I cancelli del cielo, con Kris Kristofferson, Christopher Walken, John Hurt e una giovane Isabelle Huppert. Il film incassa in patria tre milioni e mezzo di dollari contro un budget di circa quarantacinque lievitato durante la lavorazione, nonostante un imbarazzante tentativo, da parte dello stesso Cimino d’accordo con la casa di produzione, di ritirare il film dalle sale e rimontarlo.
Passato ingiustamente alla storia come "il flop che fece fallire la United Artist" e un po' più correttamente come l’opera che segna idealmente la fine della New Hollywood, I cancelli del cielo rimase una macchia indelebile nella carriera professionale del cineasta, anche se negli anni, soprattutto grazie al restauro della versione integrale, la pellicola ha trovato anche i suoi estimatori. Qualche anno dopo questo insuccesso epocale Cimino si rimise in pista grazie a Dino De Laurentiis, che gli fece dirigere The Year of the Dragon (L'anno del dragone, 1985) con Mickey Rourke, film che ebbe un discreto successo ai botteghini ma che non riuscì a rivitalizzare la carriera del suo regista. Il successivo The Sicilian (Il siciliano), del 1987, venne stroncato dalla critica e dal pubblico in patria, pur trovando spazio nel concorso di Cannes e una buona accoglienza stampa in Europa.
Gli ultimi due film, Desperate Hours (Ore disperate) e The Sunchaser (Verso il sole), usciti rispettivamente nel 1990 e nel 1996, passarono sostanzialmente inosservati. Solo grazie al festival di Cannes e al suo direttore Thierry Fremaux Cimino riuscì a concludere la sua unica regia degli anni duemila, l’episodio Traduzione non richiesta del film collettivo Chacun son cinéma - A ciascuno il suo cinema (2007), prodotto per celebrare i sessant’anni del festival di Cannes. La sua ultima apparizione pubblica, tanto affascinante quanto sconclusionata, fu nel 2015, quando venne insignito del Pardo alla Carriera dal Festival di Locarno; morì a luglio 2016, completamente solo, nella sua casa a Beverly Hills.
Il produttore televisivo e romanziere Charles Elton, britannico, ha dedicato alla vita del regista una documentatissima e voluminosa ricostruzione biografica: intitolata semplicemente Michael Cimino - con il significativo sottotitolo Il cacciatore, I cancelli del cielo e il prezzo delle visioni - il libro viene adesso reso disponibile anche sul mercato italiano dalla Baldini e Castoldi.
Il testo di Elton va dai primi agli ultimissimi anni della vita del cineasta, dalla sua infanzia nella cittadina di Westbury fino alla morte nella sua Xanadu a Beverly Hills, raccontando dettagliatamente la storia della realizzazione di ogni film e, prima dello sbarco a Hollywood, la promettente ascesa di Cimino come regista pubblicitario. La scoperta più sorprendente che si fa leggendo la biografia di Elton su Cimino riguarda il suo rapporto pluridecennale con una misteriosa donna, Joann Carelli, non meno evasiva e secretative di lui sulla sua personalità, che ha accompagnato il regista lungo tutto il corso della sua carriera, dai tempi delle pubblicità agli ultimi flop, venendo accreditata il più delle volte come produttrice da I cancelli del cielo in poi.
Se tra loro ci fosse stata una relazione sentimentale resta nell’incerto: certo il rapporto tra i due proseguì anche dopo il matrimonio di lei con David Mansfield, giovane compositore e attore in Heaven's Gate. “Carelli mi ha raccontato che per lei Cimino era una specie di idiot sauvant, che il suo compito era assisterlo e che, come se lui fosse troppo puro per il sordido mondo del cinema, i rozzi e spesso disonesti finanziatori con cui avevano a che fare non riuscivano a comprenderlo davvero”, scrive Elton introducendo questa figura. Alla morte, Cimino lasciò a lei tutti i suoi beni, e i giornali di settore la definirono, forse non erroneamente, la sua widow.
Il rapporto con Joann Carelli - “il suo vero nome è Giovanna, ma lei insiste a farsi chiamare Joann, che a me non piace”, era una battuta ricorrente del regista - fa da fil rouge per tutta la carriera di Cimino: a detta di lui, fu lei a convincerlo a cercare il successo ad Hollywood, lasciando il mondo della pubblicità per tentare la fortuna sul grande schermo. Arrivato a Los Angeles nel 1971, agli albori della New Hollywood, Cimino ebbe la sua prima grande occasione quando Michael Gruskoff, il suo agente di allora, strinse un accordo vantaggioso con la Universal e il suo executive Ned Tanen per la realizzazione di più film a basso budget che potessero intercettare il segmento di pubblico giovanile.
In questo suo primo contatto con il mondo e le dinamiche delle major Cimino si trovò a sviluppare più titoli, tra cui il film di fantascienza Silent Running (1972), poi storpiato nell’edizione italiana in 2002: la seconda Odissea. Alla fine arrivò a poter proporre direttamente all’agente di Clint Eastwood una sceneggiatura di un film scritto su misura per lui e Eastwood, anche produttore, accettò la richiesta di Cimino di dirigere il film con la condizione che se dopo i primi tre giorni di riprese non funzionava sarebbe stato sostituito immediatamente. Il rapporto tra i due funzionò bene, tanto che Eastwood chiese a Cimino di rimaneggiare anche la sceneggiatura di Magnum Force (Una 44 magnum per l’ispettore Callaghan, 1973). Le riprese non ebbero particolari problemi e l’accoglienza al film fu benevola tanto da parte del pubblico quanto da parte della critica, anche se Cimino si sentì oscurato dalla popolarità e dall’attenzione rivolta alla star.
La realizzazione di The Deer Hunter fu molto più travagliata, e si concretizzò dopo diversi anni passati da Cimino, nonostante il buon successo della sua opera prima, a cercare finanziamenti per nuovi progetti. Tutto cambiò quando il regista e la Carelli incontrarono Marion Rosenberg, produttrice mandata negli States dalla EMI, una società inglese che cercava di sfondare sul mercato americano: per ragioni fiscali, la Rosenberg e i dirigenti della EMI avevano bisogno di individuare rapidamente un soggetto e, secondo il racconto di Cimino, la produttrice accettò di finanziare The Deer Hunter subito dopo aver sentito la trama del futuro film.
Elton, grazie a un incontro con la Rosenberg, riporta una versione molto diversa della stessa storia: tutto partiva da una sceneggiatura intitolata The Man Who Came to Play, ricevuta e rifiutata da Cimino, ma da cui questi avrebbe tratto l’elemento narrativo della roulette russa. The Deer Hunter fu poi al centro di molteplici discussioni sui diritti d’autore e sui credit di scrittura, per non parlare del dibattito, più cinefilo che legale, di chi potrebbe rivendicare la paternità del finale con i protagonisti sopravvissuti che intonano God Bless America; ma fu effettivamente vero che il film venne messo in pre-produzione subito dopo il greenlight.
Le riprese di The Deer Hunter furono complicate da un aumento dei costi già in fase di location scouting, dai comportamenti enigmatici di Cimino e della Carelli, dalle liti con il co-sceneggiatore Deric Washburn che poi furono portate all’attenzione della Writers Guild of America, dalla malattia terminale da cui era affetto il co-protagonista John Cazale, da indecisioni di casting e di assicurazioni, e soprattutto dalla scelta della Thailandia come luogo dove ricreare il Vietnam. Memorabile uno scambio tra il produttore Barry Spikings e il generale thailandese Kriangsak Chomanan, che aveva fornito alla produzione tutti i veicoli militari necessari salvo poi chiederli indietro nel bel mezzo di una crisi politica: “Barry, per favore, state facendo un film, io devo gestire un golpe militare. Comunque non ci metterò molto: domenica fuciliamo un po’ di gente, poi avrai indietro la tua roba”.
Nonostante tutto questo, e innumerevoli faide tra Cimino, i montatori e i produttori in fase di montaggio per la lunghezza del film, The Deer Hunter fu uno dei successi più sorprendenti del cinema americano degli anni settanta: tutto ciò fu anche merito di Allan Carr, un ex-ufficio stampa di Hollywood diventato produttore che venne convinto dalla EMI e dalla Universal a occuparsi del marketing del film, e che propose l’idea, del tutto innovativa per i tempi, di trasmettere per un’unica serata The Deer Hunter in tv prima ancora della sua uscita in sala.
Il passaparola fu dirompente, l’attesa e l’attenzione per il film fu ulteriormente enfatizzata dalla scelta di distribuire in un primo momento il film in due sole sale, una a New York e l’altra a L.A. a dicembre 1978, il minimo sindacale per essere eleggibili agli Oscar: dopo recensioni molto divisive, ben nove nomination da parte dell’Academy, e la rivelazione da parte del New York Times che Cimino non aveva mai fatto parte dei Berretti Verdi nonostante le sue affermazioni e allusioni a riguardo, The Deer Hunter divenne un successo di sala da quasi cinquanta milioni di dollari nei soli Stati Uniti d’America, una cifra sorprendente per l’epoca.
Quando The Deer Hunter vinse i suoi cinque Oscar – Miglior film, Miglior regia, Miglior attore non protagonista per Cristopher Walken, Miglior montaggio e Miglior sonoro – la pre-produzione del successivo progetto di Cimino era già a un livello avanzato: Heaven's Gate, una sorta di epopea western revisionista, su cui la United Artist aveva scelto di puntare. Questo è il passaggio del testo di Elton che ha più “precedenti” in numerosi altri libri, articoli e documentari sul dietro le quinte di uno dei più grandi e inspiegabili flop della storia del cinema, ma la sua ricostruzione brilla per il numero di dettagli e per l’imparzialità dello sguardo.
Le trattative sul contratto di Cimino che Elton ripercorre, brillantemente condotte dall’avvocato Eric Weissmann, dicono tanto della Hollywood di fine anni settanta: tutte le vicissitudini delle riprese a Kalispell, in Montana, sono invece una contro-epopea a sé stante, con un impressionante aumento di costi, un continuo defenestrarsi di produttori e line producer, il rischio concreto che Cimino venisse licenziato a metà riprese e sostituito probabilmente da Norman Jewison, e la frequente minaccia che al regista venisse impedito di girare il prologo e l’epilogo del film, ambientati rispettivamente ad Harvard e su una barca a vapore nel mezzo dell’oceano. Non per nulla dopo che il set abbandonò la cittadina di Kalispell tutti gli abitanti locali, a vario titolo coinvolti nella realizzazione del film, presero a indossare una bizzarra t-shirt con la scritta “sono sopravvissuto a Heaven's Gate”. Il solito braccio di ferro al montaggio che accompagnava e avrebbe accompagnato la finalizzazione di tutti i film di Cimino, da The Deer Hunter in poi, venne complicato dall’insistenza da parte della United Artist di far uscire il film in tempo per il Natale 1980.
A fronte di un’accoglienza disastrosa alla prima a New York a novembre, con una lettera aperta pubblicata in contemporanea su The Hollywood Reporter e su Variety preventivamente concordata con la United Artist, Cimino ammetteva che la fretta nel chiudere il montaggio in tempo per la data prevista di uscita aveva “offuscato la mia percezione del film” e gli chiedeva di interromperne la distribuzione “per darmi modo di presentare al pubblico una pellicola la cui conclusione sia fatta con la medesima cura e attenzione che abbiamo prestato all’inizio”. Affascinanti e significative le differenti due tagline con cui Heaven's Gate venne pubblicizzato, prima per l’uscita abortita a fine 1980 e poi per la ri-distribuzione nel 1981: “della vita si ama ciò che è destinato a svanire”, e “l’unica cosa più grande del loro amore per l’America era l’amore che provavano l’uno per l’altra”.
Gli sforzi in moviola di Cimino non portarono alcun frutto, al momento della sua uscita effettiva nelle sale americane Heaven's Gate racimolò pochi milioni, e la notizia della sua selezione in concorso al Festival di Cannes venne prontamente offuscata da un’altra notizia, ben più cupa: la vendita della United Artists a Kirk Kerkorian, proprietario dell’MGM, di cui tutti accusarono Cimino per il flop del film. Elton, credibile agiografo, dimostra invece che la vendita fu dovuta a una perdita di interesse generale per il cinema da parte del maggiore azionista della United, la holding Transamerica, più legata al core business dei trasporti.
La parte finale della carriera cinematografica di Cimino non ha lo stesso interesse del suo capitolo iniziale: le riprese di Year of the Dragon, e The Sicilian e degli ultimi due titoli della sua breve filmografia furono alternate da infinite incertezze, lunghe illusioni e attese, progetti sfiorati e poi perduti, e un senso di isolamento se non di vera e propria espulsione provata nei confronti di quella comunità di registi italo-americani che faceva capo a Coppola e Scorsese. “A Hollywood, il telefono è la spada più affilata”, era la battuta di Cimino che meglio descriveva questo periodo del suo percorso.
Più sorprendenti, e trattati con grande delicatezza da Elton, sono invece due componenti della vita privata di Cimino, il rapporto con la giovane Calantha, figlia del matrimonio tra Joann Carelli e David Mansfield, che il regista ritenne a tutti gli effetti sua figlia, e un progressivo avvicinamento al mondo e alle dinamiche della transessualità, su cui nelle ultime apparizioni pubbliche Cimino venne silenziosamente allo scoperto. La battuta che suggellava una delle poche interviste di questo periodo - “non sono chi sono, e sono chi non sono” - assumeva un’infinità di echi al confronto con un’esistenza dilaniata dal più grande successo e dai più clamorosi flop, da una vorticosa ascesa al centro dell’industria e da un’altrettanto repentina espulsione finale. Il regista e produttore Pablo Ferro, che aveva dato a Cimino i suoi primi lavori nel mondo della pubblicità, ricordò che un giorno lo chiamò e gli disse: “non voglio più essere Michael Cimino”.
“Quando ho fatto Thunderbolt and Lightfoot mi hanno dato dell’omofobo. Quando ho fatto The Deer Hunter hanno detto che ero un fascista. Quando ho fatto Heaven's Gate hanno detto che ero marxista. Quando ho fatto Year of the Dragon, mi hanno dato del razzista. Dove sta la verità? Davvero posso essere tutte queste cose insieme?”. Il cinema di Cimino, anche nei suoi episodi più fiacchi, ha sempre saputo trovare uno straordinario pas de deux tra epica e decostruzione: il suo stesso posizionamento politico non fu mai chiarissimo, e un film come The Deer Hunter seppe dare motivi di scontento tanto ai repubblicani quanto ai democratici. Ma da Thunderbolt and Lightfoot fino a The Sunchaser, quello che Cimino ha saputo disegnare è un ritratto accuratissimo delle pulsioni più ambigue dell’America e dell’Occidente tutto. Stare sul crinale era la sua dannazione registica e personale. Come dice la battuta più celere de The Man Who Shot Liberty Valance (L’uomo che uccise Liberty Valance, 1962)di John Ford, uno dei film preferiti di Cimino: “qui siamo nel West, dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda”.
Più di un Coppola, più di uno Scorsese, persino più di un Kubrick, in Cimino spicca la capacità di incarnare nella sua stessa biografia le stesse pulsazioni che nutrono i suoi film: un rapporto contraddittorio con la violenza, una visione problematica della mascolinità, fascino e disgusto in sincrono per l’America e la sua storia. Il libro di Charles Elton, che si legge come un romanzo, sa affrontare con tutta la competenza del caso una figura di questa grandeur e di questa ambiguità, e lascia una chiave di lettura ulteriore con cui approcciarsi alla filmografia di Cimino.
NC-200
11.04.2024
La parabola registica attraversata da Michael Cimino non ha precedenti nella storia del cinema - e non è un complimento. Classe 1939, anche se sul suo anno di nascita ha affabulato le date più variegate da intervista a intervista, dopo un buon esordio con Thunderbolt and Lightfoot (Una calibro 20 per lo specialista), film prodotto e interpretato da Clint Eastwood nel 1974, si procurò un posto inestirpabile nella storia del cinema con The Deer Hunter (Il Cacciatore). Premiata con cinque premi Oscar, incluso Miglior film e Miglior regia, questa eloquente e divisiva epopea sul Vietnam metteva insieme i migliori giovani talenti della Hollywood di allora - Robert De Niro, Christopher Walken, John Cazale, Meryl Streep - per raccontare una storia che, a differenza dei vari Apocalypse Now (1979), Platoon (1986) e Full Metal Jacket (1987), si estendeva, avanti e indietro, tra gli States e il Vietnam, mostrando non solo gli orrori della guerra, ma anche la vita che i protagonisti si lasciano alla spalle e la difficoltà di reinserirsi nel tessuto civile a conflitto terminato.
Dopo l'exploit, il disastro assoluto: il western d’autore I cancelli del cielo, con Kris Kristofferson, Christopher Walken, John Hurt e una giovane Isabelle Huppert. Il film incassa in patria tre milioni e mezzo di dollari contro un budget di circa quarantacinque lievitato durante la lavorazione, nonostante un imbarazzante tentativo, da parte dello stesso Cimino d’accordo con la casa di produzione, di ritirare il film dalle sale e rimontarlo.
Passato ingiustamente alla storia come "il flop che fece fallire la United Artist" e un po' più correttamente come l’opera che segna idealmente la fine della New Hollywood, I cancelli del cielo rimase una macchia indelebile nella carriera professionale del cineasta, anche se negli anni, soprattutto grazie al restauro della versione integrale, la pellicola ha trovato anche i suoi estimatori. Qualche anno dopo questo insuccesso epocale Cimino si rimise in pista grazie a Dino De Laurentiis, che gli fece dirigere The Year of the Dragon (L'anno del dragone, 1985) con Mickey Rourke, film che ebbe un discreto successo ai botteghini ma che non riuscì a rivitalizzare la carriera del suo regista. Il successivo The Sicilian (Il siciliano), del 1987, venne stroncato dalla critica e dal pubblico in patria, pur trovando spazio nel concorso di Cannes e una buona accoglienza stampa in Europa.
Gli ultimi due film, Desperate Hours (Ore disperate) e The Sunchaser (Verso il sole), usciti rispettivamente nel 1990 e nel 1996, passarono sostanzialmente inosservati. Solo grazie al festival di Cannes e al suo direttore Thierry Fremaux Cimino riuscì a concludere la sua unica regia degli anni duemila, l’episodio Traduzione non richiesta del film collettivo Chacun son cinéma - A ciascuno il suo cinema (2007), prodotto per celebrare i sessant’anni del festival di Cannes. La sua ultima apparizione pubblica, tanto affascinante quanto sconclusionata, fu nel 2015, quando venne insignito del Pardo alla Carriera dal Festival di Locarno; morì a luglio 2016, completamente solo, nella sua casa a Beverly Hills.
Il produttore televisivo e romanziere Charles Elton, britannico, ha dedicato alla vita del regista una documentatissima e voluminosa ricostruzione biografica: intitolata semplicemente Michael Cimino - con il significativo sottotitolo Il cacciatore, I cancelli del cielo e il prezzo delle visioni - il libro viene adesso reso disponibile anche sul mercato italiano dalla Baldini e Castoldi.
Il testo di Elton va dai primi agli ultimissimi anni della vita del cineasta, dalla sua infanzia nella cittadina di Westbury fino alla morte nella sua Xanadu a Beverly Hills, raccontando dettagliatamente la storia della realizzazione di ogni film e, prima dello sbarco a Hollywood, la promettente ascesa di Cimino come regista pubblicitario. La scoperta più sorprendente che si fa leggendo la biografia di Elton su Cimino riguarda il suo rapporto pluridecennale con una misteriosa donna, Joann Carelli, non meno evasiva e secretative di lui sulla sua personalità, che ha accompagnato il regista lungo tutto il corso della sua carriera, dai tempi delle pubblicità agli ultimi flop, venendo accreditata il più delle volte come produttrice da I cancelli del cielo in poi.
Se tra loro ci fosse stata una relazione sentimentale resta nell’incerto: certo il rapporto tra i due proseguì anche dopo il matrimonio di lei con David Mansfield, giovane compositore e attore in Heaven's Gate. “Carelli mi ha raccontato che per lei Cimino era una specie di idiot sauvant, che il suo compito era assisterlo e che, come se lui fosse troppo puro per il sordido mondo del cinema, i rozzi e spesso disonesti finanziatori con cui avevano a che fare non riuscivano a comprenderlo davvero”, scrive Elton introducendo questa figura. Alla morte, Cimino lasciò a lei tutti i suoi beni, e i giornali di settore la definirono, forse non erroneamente, la sua widow.
Il rapporto con Joann Carelli - “il suo vero nome è Giovanna, ma lei insiste a farsi chiamare Joann, che a me non piace”, era una battuta ricorrente del regista - fa da fil rouge per tutta la carriera di Cimino: a detta di lui, fu lei a convincerlo a cercare il successo ad Hollywood, lasciando il mondo della pubblicità per tentare la fortuna sul grande schermo. Arrivato a Los Angeles nel 1971, agli albori della New Hollywood, Cimino ebbe la sua prima grande occasione quando Michael Gruskoff, il suo agente di allora, strinse un accordo vantaggioso con la Universal e il suo executive Ned Tanen per la realizzazione di più film a basso budget che potessero intercettare il segmento di pubblico giovanile.
In questo suo primo contatto con il mondo e le dinamiche delle major Cimino si trovò a sviluppare più titoli, tra cui il film di fantascienza Silent Running (1972), poi storpiato nell’edizione italiana in 2002: la seconda Odissea. Alla fine arrivò a poter proporre direttamente all’agente di Clint Eastwood una sceneggiatura di un film scritto su misura per lui e Eastwood, anche produttore, accettò la richiesta di Cimino di dirigere il film con la condizione che se dopo i primi tre giorni di riprese non funzionava sarebbe stato sostituito immediatamente. Il rapporto tra i due funzionò bene, tanto che Eastwood chiese a Cimino di rimaneggiare anche la sceneggiatura di Magnum Force (Una 44 magnum per l’ispettore Callaghan, 1973). Le riprese non ebbero particolari problemi e l’accoglienza al film fu benevola tanto da parte del pubblico quanto da parte della critica, anche se Cimino si sentì oscurato dalla popolarità e dall’attenzione rivolta alla star.
La realizzazione di The Deer Hunter fu molto più travagliata, e si concretizzò dopo diversi anni passati da Cimino, nonostante il buon successo della sua opera prima, a cercare finanziamenti per nuovi progetti. Tutto cambiò quando il regista e la Carelli incontrarono Marion Rosenberg, produttrice mandata negli States dalla EMI, una società inglese che cercava di sfondare sul mercato americano: per ragioni fiscali, la Rosenberg e i dirigenti della EMI avevano bisogno di individuare rapidamente un soggetto e, secondo il racconto di Cimino, la produttrice accettò di finanziare The Deer Hunter subito dopo aver sentito la trama del futuro film.
Elton, grazie a un incontro con la Rosenberg, riporta una versione molto diversa della stessa storia: tutto partiva da una sceneggiatura intitolata The Man Who Came to Play, ricevuta e rifiutata da Cimino, ma da cui questi avrebbe tratto l’elemento narrativo della roulette russa. The Deer Hunter fu poi al centro di molteplici discussioni sui diritti d’autore e sui credit di scrittura, per non parlare del dibattito, più cinefilo che legale, di chi potrebbe rivendicare la paternità del finale con i protagonisti sopravvissuti che intonano God Bless America; ma fu effettivamente vero che il film venne messo in pre-produzione subito dopo il greenlight.
Le riprese di The Deer Hunter furono complicate da un aumento dei costi già in fase di location scouting, dai comportamenti enigmatici di Cimino e della Carelli, dalle liti con il co-sceneggiatore Deric Washburn che poi furono portate all’attenzione della Writers Guild of America, dalla malattia terminale da cui era affetto il co-protagonista John Cazale, da indecisioni di casting e di assicurazioni, e soprattutto dalla scelta della Thailandia come luogo dove ricreare il Vietnam. Memorabile uno scambio tra il produttore Barry Spikings e il generale thailandese Kriangsak Chomanan, che aveva fornito alla produzione tutti i veicoli militari necessari salvo poi chiederli indietro nel bel mezzo di una crisi politica: “Barry, per favore, state facendo un film, io devo gestire un golpe militare. Comunque non ci metterò molto: domenica fuciliamo un po’ di gente, poi avrai indietro la tua roba”.
Nonostante tutto questo, e innumerevoli faide tra Cimino, i montatori e i produttori in fase di montaggio per la lunghezza del film, The Deer Hunter fu uno dei successi più sorprendenti del cinema americano degli anni settanta: tutto ciò fu anche merito di Allan Carr, un ex-ufficio stampa di Hollywood diventato produttore che venne convinto dalla EMI e dalla Universal a occuparsi del marketing del film, e che propose l’idea, del tutto innovativa per i tempi, di trasmettere per un’unica serata The Deer Hunter in tv prima ancora della sua uscita in sala.
Il passaparola fu dirompente, l’attesa e l’attenzione per il film fu ulteriormente enfatizzata dalla scelta di distribuire in un primo momento il film in due sole sale, una a New York e l’altra a L.A. a dicembre 1978, il minimo sindacale per essere eleggibili agli Oscar: dopo recensioni molto divisive, ben nove nomination da parte dell’Academy, e la rivelazione da parte del New York Times che Cimino non aveva mai fatto parte dei Berretti Verdi nonostante le sue affermazioni e allusioni a riguardo, The Deer Hunter divenne un successo di sala da quasi cinquanta milioni di dollari nei soli Stati Uniti d’America, una cifra sorprendente per l’epoca.
Quando The Deer Hunter vinse i suoi cinque Oscar – Miglior film, Miglior regia, Miglior attore non protagonista per Cristopher Walken, Miglior montaggio e Miglior sonoro – la pre-produzione del successivo progetto di Cimino era già a un livello avanzato: Heaven's Gate, una sorta di epopea western revisionista, su cui la United Artist aveva scelto di puntare. Questo è il passaggio del testo di Elton che ha più “precedenti” in numerosi altri libri, articoli e documentari sul dietro le quinte di uno dei più grandi e inspiegabili flop della storia del cinema, ma la sua ricostruzione brilla per il numero di dettagli e per l’imparzialità dello sguardo.
Le trattative sul contratto di Cimino che Elton ripercorre, brillantemente condotte dall’avvocato Eric Weissmann, dicono tanto della Hollywood di fine anni settanta: tutte le vicissitudini delle riprese a Kalispell, in Montana, sono invece una contro-epopea a sé stante, con un impressionante aumento di costi, un continuo defenestrarsi di produttori e line producer, il rischio concreto che Cimino venisse licenziato a metà riprese e sostituito probabilmente da Norman Jewison, e la frequente minaccia che al regista venisse impedito di girare il prologo e l’epilogo del film, ambientati rispettivamente ad Harvard e su una barca a vapore nel mezzo dell’oceano. Non per nulla dopo che il set abbandonò la cittadina di Kalispell tutti gli abitanti locali, a vario titolo coinvolti nella realizzazione del film, presero a indossare una bizzarra t-shirt con la scritta “sono sopravvissuto a Heaven's Gate”. Il solito braccio di ferro al montaggio che accompagnava e avrebbe accompagnato la finalizzazione di tutti i film di Cimino, da The Deer Hunter in poi, venne complicato dall’insistenza da parte della United Artist di far uscire il film in tempo per il Natale 1980.
A fronte di un’accoglienza disastrosa alla prima a New York a novembre, con una lettera aperta pubblicata in contemporanea su The Hollywood Reporter e su Variety preventivamente concordata con la United Artist, Cimino ammetteva che la fretta nel chiudere il montaggio in tempo per la data prevista di uscita aveva “offuscato la mia percezione del film” e gli chiedeva di interromperne la distribuzione “per darmi modo di presentare al pubblico una pellicola la cui conclusione sia fatta con la medesima cura e attenzione che abbiamo prestato all’inizio”. Affascinanti e significative le differenti due tagline con cui Heaven's Gate venne pubblicizzato, prima per l’uscita abortita a fine 1980 e poi per la ri-distribuzione nel 1981: “della vita si ama ciò che è destinato a svanire”, e “l’unica cosa più grande del loro amore per l’America era l’amore che provavano l’uno per l’altra”.
Gli sforzi in moviola di Cimino non portarono alcun frutto, al momento della sua uscita effettiva nelle sale americane Heaven's Gate racimolò pochi milioni, e la notizia della sua selezione in concorso al Festival di Cannes venne prontamente offuscata da un’altra notizia, ben più cupa: la vendita della United Artists a Kirk Kerkorian, proprietario dell’MGM, di cui tutti accusarono Cimino per il flop del film. Elton, credibile agiografo, dimostra invece che la vendita fu dovuta a una perdita di interesse generale per il cinema da parte del maggiore azionista della United, la holding Transamerica, più legata al core business dei trasporti.
La parte finale della carriera cinematografica di Cimino non ha lo stesso interesse del suo capitolo iniziale: le riprese di Year of the Dragon, e The Sicilian e degli ultimi due titoli della sua breve filmografia furono alternate da infinite incertezze, lunghe illusioni e attese, progetti sfiorati e poi perduti, e un senso di isolamento se non di vera e propria espulsione provata nei confronti di quella comunità di registi italo-americani che faceva capo a Coppola e Scorsese. “A Hollywood, il telefono è la spada più affilata”, era la battuta di Cimino che meglio descriveva questo periodo del suo percorso.
Più sorprendenti, e trattati con grande delicatezza da Elton, sono invece due componenti della vita privata di Cimino, il rapporto con la giovane Calantha, figlia del matrimonio tra Joann Carelli e David Mansfield, che il regista ritenne a tutti gli effetti sua figlia, e un progressivo avvicinamento al mondo e alle dinamiche della transessualità, su cui nelle ultime apparizioni pubbliche Cimino venne silenziosamente allo scoperto. La battuta che suggellava una delle poche interviste di questo periodo - “non sono chi sono, e sono chi non sono” - assumeva un’infinità di echi al confronto con un’esistenza dilaniata dal più grande successo e dai più clamorosi flop, da una vorticosa ascesa al centro dell’industria e da un’altrettanto repentina espulsione finale. Il regista e produttore Pablo Ferro, che aveva dato a Cimino i suoi primi lavori nel mondo della pubblicità, ricordò che un giorno lo chiamò e gli disse: “non voglio più essere Michael Cimino”.
“Quando ho fatto Thunderbolt and Lightfoot mi hanno dato dell’omofobo. Quando ho fatto The Deer Hunter hanno detto che ero un fascista. Quando ho fatto Heaven's Gate hanno detto che ero marxista. Quando ho fatto Year of the Dragon, mi hanno dato del razzista. Dove sta la verità? Davvero posso essere tutte queste cose insieme?”. Il cinema di Cimino, anche nei suoi episodi più fiacchi, ha sempre saputo trovare uno straordinario pas de deux tra epica e decostruzione: il suo stesso posizionamento politico non fu mai chiarissimo, e un film come The Deer Hunter seppe dare motivi di scontento tanto ai repubblicani quanto ai democratici. Ma da Thunderbolt and Lightfoot fino a The Sunchaser, quello che Cimino ha saputo disegnare è un ritratto accuratissimo delle pulsioni più ambigue dell’America e dell’Occidente tutto. Stare sul crinale era la sua dannazione registica e personale. Come dice la battuta più celere de The Man Who Shot Liberty Valance (L’uomo che uccise Liberty Valance, 1962)di John Ford, uno dei film preferiti di Cimino: “qui siamo nel West, dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda”.
Più di un Coppola, più di uno Scorsese, persino più di un Kubrick, in Cimino spicca la capacità di incarnare nella sua stessa biografia le stesse pulsazioni che nutrono i suoi film: un rapporto contraddittorio con la violenza, una visione problematica della mascolinità, fascino e disgusto in sincrono per l’America e la sua storia. Il libro di Charles Elton, che si legge come un romanzo, sa affrontare con tutta la competenza del caso una figura di questa grandeur e di questa ambiguità, e lascia una chiave di lettura ulteriore con cui approcciarsi alla filmografia di Cimino.