NC-18
09.06.2020
Natalie Portman, innanzitutto, è un nome d’arte, anche se pochi lo sanno. All’anagrafe, l’attrice è registrata come Natalie Hershlag, nata a Gerusalemme il 9 giugno 1981 da padre medico e madre casalinga, diventata in seguito sua agente.
Il suo nome di battesimo è stato scelto dal padre basandosi sulla canzone “Nathalie” del cantautore francese Gilbert Bécaud, il cui testo si ricollega curiosamente con quella che sarà una grande passione per l’attrice israeliana, ossia lo studio delle lingue. La ragazza protagonista del brano è infatti una giovane guida turistica, esperta di storia e traduttrice, che accompagna un ragazzo per le strade della Russia fino al momento del triste addio: egli si innamorerà di lei, augurandosi di rivederla nella sua Parigi per ricambiare il favore di avergli fatto scoprire una nazione straniera.
La Portman è poliglotta proprio come lei, dato che parla, tra le altre lingue, tedesco, giapponese e un accenno di arabo (a cui si sta dedicando negli ultimi anni).
Ma le doti della protagonista de Il cigno nero non si limitano certo a questo ristretto ambito: è infatti noto che si è laureata ad Harvard in psicologia, anche se meno noto è forse l’argomento della sua tesi triennale, che ci fornisce uno spunto per collegare questi fun facts sulla sua vita alla sua carriera nel mondo del cinema. Il suo elaborato finale parlava infatti di come l’identità di un soggetto si costituisca tramite i ricordi che si configurano in una linea temporale stabile. Nel recente Vox Lux, l’identità della cantante protagonista viene continuamente ricostituita attraverso maschere, trucco e performance dai toni molto diversi. Chi meglio di un attore può sperimentare sulla propria pelle che cosa voglia dire mantenere con sforzo un senso solido di identità, ma essere al contempo flessibile e permeabile?
Il ruolo di ballerina, anche se di un tipo di danza diversa, era d’altronde lo stesso che le era stato richiesto per Il Cigno Nero, e non esiste forse disciplina più adatta a rappresentare i limiti e le possibilità estensive del corpo, oltre che il valore della resistenza mentale e della dedizione spasmodica che tante volte la Portman avrà studiato e analizzato durante il suo percorso universitario.
Tra fragilità e picchi creativi, il suo ruolo le valse l’Oscar anche grazie all’abilità di reinventarsi in maniera credibile in sfumature che vanno dalla follia all'apatia estrema. Come però dichiara lei stessa, siamo lontani dalla situazione-tipo in cui l’attore si cimenta con sacrificio nella sua interpretazione: per diventare Nina ed essere credibile nel farlo, Natalie Portman ha applicato la capacità di mimesi e di comprensione dell’altro che aveva affrontato nei suoi studi, dimostrandosi capace di fare delle proprie doti extra-attoriali la sua chiave vincente.
Tra le sue ultime interpretazioni, quella nel travagliato e molto discusso nuovo lavoro di Xavier Dolan, La mia vita con John F. Donovan, dove la troviamo nei panni di una madre dal rapporto burrascoso con il giovane figlio. Egli infatti vorrebbe intraprendere la carriera da attore, proprio come lei aveva tentato da ragazza, ed è molto determinato, al punto da scontrarsi spesso con i limiti e le regole che la disillusa madre vorrebbe imporre. Anche in questo caso emerge il collegamento diretto tra l’interpretazione attoriale e il background di studi universitari in psicologia della Portman: quale miglior corso di studio poteva infatti fungere da preparazione per mettersi nei panni di un genitore dalla storia personale difficile e dal complesso rapporto con un minore dalla personalità esuberante?
Importante anche ricordare sia le sue prese di posizione in favore di movimenti femministi contemporanei (la partecipazione al documentario di Tom Donahue This changes everything) sia le sue scelte politiche, dirette o di riflesso, come la decisione di non partecipare alla cerimonia di premiazione del Genesis Price, altrimenti detto "Nobel israeliano", data la difficile situazione del paese e le lotte continue con i Palestinesi, che l'avrebbero messa in posizione di difficoltà nel presentarsi sulla scena pubblica. Il tutto a conferma di una coerenza tra la grande carriera da attrice, il ruolo universitario e le idee politico/sociali che si sente di portare avanti, dato che l’identità, seguendo la traccia della sua tesi, è un costrutto in costante evoluzione e necessita di componenti coerenti che la rendano sia stabile che aperta a consolidamenti successivi.
NC-18
09.06.2020
Natalie Portman, innanzitutto, è un nome d’arte, anche se pochi lo sanno. All’anagrafe, l’attrice è registrata come Natalie Hershlag, nata a Gerusalemme il 9 giugno 1981 da padre medico e madre casalinga, diventata in seguito sua agente.
Il suo nome di battesimo è stato scelto dal padre basandosi sulla canzone “Nathalie” del cantautore francese Gilbert Bécaud, il cui testo si ricollega curiosamente con quella che sarà una grande passione per l’attrice israeliana, ossia lo studio delle lingue. La ragazza protagonista del brano è infatti una giovane guida turistica, esperta di storia e traduttrice, che accompagna un ragazzo per le strade della Russia fino al momento del triste addio: egli si innamorerà di lei, augurandosi di rivederla nella sua Parigi per ricambiare il favore di avergli fatto scoprire una nazione straniera.
La Portman è poliglotta proprio come lei, dato che parla, tra le altre lingue, tedesco, giapponese e un accenno di arabo (a cui si sta dedicando negli ultimi anni).
Ma le doti della protagonista de Il cigno nero non si limitano certo a questo ristretto ambito: è infatti noto che si è laureata ad Harvard in psicologia, anche se meno noto è forse l’argomento della sua tesi triennale, che ci fornisce uno spunto per collegare questi fun facts sulla sua vita alla sua carriera nel mondo del cinema. Il suo elaborato finale parlava infatti di come l’identità di un soggetto si costituisca tramite i ricordi che si configurano in una linea temporale stabile. Nel recente Vox Lux, l’identità della cantante protagonista viene continuamente ricostituita attraverso maschere, trucco e performance dai toni molto diversi. Chi meglio di un attore può sperimentare sulla propria pelle che cosa voglia dire mantenere con sforzo un senso solido di identità, ma essere al contempo flessibile e permeabile?
Il ruolo di ballerina, anche se di un tipo di danza diversa, era d’altronde lo stesso che le era stato richiesto per Il Cigno Nero, e non esiste forse disciplina più adatta a rappresentare i limiti e le possibilità estensive del corpo, oltre che il valore della resistenza mentale e della dedizione spasmodica che tante volte la Portman avrà studiato e analizzato durante il suo percorso universitario.
Tra fragilità e picchi creativi, il suo ruolo le valse l’Oscar anche grazie all’abilità di reinventarsi in maniera credibile in sfumature che vanno dalla follia all'apatia estrema. Come però dichiara lei stessa, siamo lontani dalla situazione-tipo in cui l’attore si cimenta con sacrificio nella sua interpretazione: per diventare Nina ed essere credibile nel farlo, Natalie Portman ha applicato la capacità di mimesi e di comprensione dell’altro che aveva affrontato nei suoi studi, dimostrandosi capace di fare delle proprie doti extra-attoriali la sua chiave vincente.
Tra le sue ultime interpretazioni, quella nel travagliato e molto discusso nuovo lavoro di Xavier Dolan, La mia vita con John F. Donovan, dove la troviamo nei panni di una madre dal rapporto burrascoso con il giovane figlio. Egli infatti vorrebbe intraprendere la carriera da attore, proprio come lei aveva tentato da ragazza, ed è molto determinato, al punto da scontrarsi spesso con i limiti e le regole che la disillusa madre vorrebbe imporre. Anche in questo caso emerge il collegamento diretto tra l’interpretazione attoriale e il background di studi universitari in psicologia della Portman: quale miglior corso di studio poteva infatti fungere da preparazione per mettersi nei panni di un genitore dalla storia personale difficile e dal complesso rapporto con un minore dalla personalità esuberante?
Importante anche ricordare sia le sue prese di posizione in favore di movimenti femministi contemporanei (la partecipazione al documentario di Tom Donahue This changes everything) sia le sue scelte politiche, dirette o di riflesso, come la decisione di non partecipare alla cerimonia di premiazione del Genesis Price, altrimenti detto "Nobel israeliano", data la difficile situazione del paese e le lotte continue con i Palestinesi, che l'avrebbero messa in posizione di difficoltà nel presentarsi sulla scena pubblica. Il tutto a conferma di una coerenza tra la grande carriera da attrice, il ruolo universitario e le idee politico/sociali che si sente di portare avanti, dato che l’identità, seguendo la traccia della sua tesi, è un costrutto in costante evoluzione e necessita di componenti coerenti che la rendano sia stabile che aperta a consolidamenti successivi.