INT-29
14.04.2023
Abbiamo avuto l’onore di conversare con Krzysztof Zanussi, uno degli autori più importanti della storia del cinema polacco. La sua carriera pluridecennale l’ha visto debuttare con La struttura di cristallo (1969), al quale sono seguiti, tra i vari film, Illuminazione (1973), Colori Mimetici (1973), La Costante (1980) - vincitore del Premio della Giuria alla 33ª edizione del Festival di Cannes - opere spesso incentrate sul mondo accademico o su figure di giovani scienziati. Lui stesso, prima di cominciare a frequentare la scuola del cinema di Łódź, lo storico istituto che ha formato la crème del mondo cinematografico polacco, è stato studente di Filosofia all’Università di Cracovia. La filmografia di Zanussi ha conosciuto anche opere legate al mondo religioso, come Vita per vita (1991), o ad ambiti socio-politici, come Da un paese lontano (1981). Ha vinto il Leone d’Oro, nel 1984, con L’anno del sole quieto.
Ad ottantatrè anni, Zanussi ancora dirige film di co-produzione italiana, come Corpo Estraneo (2014), Eter (2018), e il suo più recente, Il Numero Perfetto (2022), che segue il rapporto tra un giovane matematico, ossessionato dall’interesse per il mondo dei numeri e indesideroso di ricchezze, ed il suo più anziano cugino, magnate che intende lasciargli in eredità il suo capitale. Un’opera che riprende una dinamica simile a quella di La vita come malattia fatale sessualmente trasmessa (2000), e con la presenza di un protagonista, e di un montaggio, che ricordano Illuminazione, ma che esprime la maturità attuale del regista, una ricerca spirituale che si accentua in direzioni inedite. Il Numero Perfetto è stato presentato, lo scorso 25 Gennaio, al Trieste Film Festival, dove Zanussi ha anche ricevuto il premio Eastern Star alla carriera.
Lei come percepisce l’evoluzione di certi temi etici e tipi di personaggi ricorrenti nei suoi film?
Ritengo che sia una domanda illegittima, da rivolgere allo spettatore o al critico e non all’autore. Non sono consapevole e non ne dovrei essere. Sono fiero se riesco a fare qualcosa di spontaneo, che viene dal mio cuore. Ritengo che sia riduttivo limitare lo spazio solo all’etica e la sociologia. Il mio interesse è per la metafisica. Forse tornerà di moda ora, ma stiamo ancora vivendo nell’epoca di Newton e della fisica meccanica, che ora è stata interamente riformata dalla scienza. Non abbiamo garanzia che la realtà che percepiamo coi nostri sensi sia la sola realtà esistente, dobbiamo ammettere che ce ne siano delle altre, che ci sia forse un Dio o una sorta di essere assoluto del genere, questa è l’area che mi affascina. Sono ancora in contatto con amici che sono scienziati, sono molto più avanzati dell’opinione pubblica. L’opinione pubblica è di norma sempre indietro. Le idee di Copernico ci hanno messo trecento anni a diventare comuni, è naturale che la fisica quantistica entrerà nel ragionamento quotidiano, forse tra qualche decennio ma non adesso. Si crede che gli umani siano padroni dell’universo. Non lo siamo. Dobbiamo cambiare la nostra visione e comprendere che la vita è un qualcosa di molto precario, uno strano fenomeno che è venuto ad esistere, e che forse può essere distrutto altrettanto facilmente. Tutte queste domande mi intrigano anche se sono molto anziano, ma penso che questa sia la nuova prospettiva. Per questo ne ho abbastanza delle discussioni sulla politica perché non raggiungono mai la profondità della definizione del concetto che è necessario all’umanità, a ciò che è l’umano. Anche il protagonista di Il Numero Perfetto è legato al mondo della metafisica. Dobbiamo aprirci al mistero. Io non do risposte, ma pongo domande. Ognuno di noi cerca una risposta ogni giorno, e nessuna risposta è definitiva, ma è intrigante chiedersi se c’è qualcosa o se non c’è nulla oltre alla nostra coscienza, al di fuori della nostra portata. Questa è la domanda che grandi filosofi come Pascal si sono posti nei secoli, ed è la vera questione dell’umanità che anche Dostoevskij ha posto, cioè che l’unica vera questione per l’uomo è se c’è qualcosa o se c’è il nulla, se c’è un abisso o un’altra realtà che noi chiamiamo il divino, e penso che siamo più vicini, con la nostra civilizzazione, a riconoscere che la nostra visione materialistica è limitata, che c’è un mistero dietro che è molto più stimolante. Alcuni pensatori marxisti, come Žižek, ora prospettano l’idea di aprirsi alla metafisica. Io cerco di farlo, ed è questo che ora, forse, mi renderà impopolare, e sarò ampiamente criticato dai marxisti e i loro discendenti post-moderni, ma resterò sulla mia via per quanto a lungo potrò.
Sia in Il Numero Perfetto che anche in La vita come malattia fatale sessualmente trasmessa troviamo la frequente interazione di due personaggi di età molto diverse fra loro, cosa la interessa in questo tipo di confronto?
É un contrasto che mi stimola molto, perché – mi permetta di essere didattico – la narrativa permette a noi umani di distinguerci da altri esseri viventi che non conoscono le esperienze dei loro antenati. Noi umani questo lo abbiamo, grazie ad Omero, all’Odissea, e Shakespeare, e Dante, e gli altri. Accumuliamo le esperienze delle altre generazioni. É un grande vantaggio, perché possiamo crescere, siamo molto più sviluppati rispetto ai cro-magnon ed ai neanderthal che popolavano il pianeta decine di migliaia di anni fa. In questo processo di crescita la narrativa ha una grande influenza e non dobbiamo perderla perché è il mezzo che ci permette di apprendere le esperienze dagli altri e di confrontarci con situazioni che non abbiamo ancora riscontrato nella vita ma con le quali potremmo avere a che fare un giorno. È quello che mi spinge a fare film.
Un elemento che vediamo spesso nei suoi film - ma non ne Il Numero Perfetto - è la presenza di montagne.
E di fiumi. Anche i fiumi sono un mio motivo ricorrente per via del concetto greco del panta rei, il divenire. La corrente del fiume è come il flusso del tempo, e nessuno dei due è reversibile, entrambi vanno nella stessa direzione. C’è anche un’altra metafora: quando vai verso la sorgente devi muoverti controcorrente. Penso sia un buon suggerimento, ma non sempre pratico perché chi va controcorrente probabilmente avrà meno successo, e penso sia un problema in particolare adesso che il conformismo è molto intenso nel facoltoso mondo occidentale, dove le persone hanno sempre meno coraggio di essere diversi, originali, di andare controcorrente. Molti vogliono aderire e confermare l’opinione comune, anche se l’opinione comune alle volte è sbagliata, e molte opinioni comuni lo sono.
Pur essendo centrale la metafisica nella sua ricerca, comunque si trova spazio anche per temi di ordine etico-morale.
Bisogna cercare di trovare il modo giusto per giocare a questo gioco che chiamiamo “vita”, che ci è stato offerto al momento della nostra nascita e che si chiude con la morte. È un gioco che si può giocare nel meglio o nel peggio. Nessuno è perfetto ma ci sono persone che sprecano la loro vita in modo palese, scelgono di essere mediocri e poi si lamentano che la vita è mediocre, ma è una loro scelta. Ci sono anche situazioni per le quali non ci sono ricette o consigli sul cosa fare, c’è molta ingiustizia nel mondo, tant’è che non sappiamo chi è colpevole del perché le persone nascano entro certe credenze o perché si ammalino, possiamo solo trovare spiegazioni metafisiche, se naturalmente ammettiamo che qualcuno, al di sopra della realtà, ci osservi o ci influenzi.
Lei ha anche diretto molti film con temi legati al mondo religioso, come concilia i suoi pensieri sulla metafisica con queste opere?
La metafisica è una prospettiva. La religione è un’espressione concreta della fede, credere in qualcosa. Io ammetto che certe religioni siano migliori di altre, dipende dalle epoche e dai credenti, da quanto approfondiscono e quanto è ricca la loro dimensione spirituale. Mi considero un cristiano, con tutte le riserve, dubbi e critiche sulla corrente situazione della chiesa cattolica, l’uno non cancella l’altro. Ritengo che la religione ci dia una forma di cui abbiamo bisogno. É una benedizione che, duemila anni fa, qualcuno chiamato Gesù abbia portato nel mondo una dimensione più umana del divino. Lo riconosco. Ho fatto film legati alla chiesa che, a volte, non sono per niente religiosi, come Da un paese lontano. Non ho analizzato i rapporti del Papa con Dio ma quelli con la società, la storia della nazione, che era il mio interesse principale. Ad esempio ho fatto un film su un monaco che ha sacrificato volontariamente la propria vita, di sua spontanea volontà, per salvare un altro prigioniero ad Auschwitz, e questo riguarda esclusivamente la metafisica, perché è un valore più grande della vita stessa.
Ha menzionato Vita per Vita, nel quale ritroviamo, in un ruolo principale, un giovane Christoph Waltz ancora ignoto al vasto pubblico. Com’era collaborare con lui all’epoca, e cosa pensa del suo successo di oggi?
L’ho scoperto io, ne sono fiero. Era un attore in un piccolo teatro di Zurigo, ancora agli inizi. Avevamo un ruolo nel film per il quale pensavo che era perfetto. È stata una grande collaborazione. Quando abbiamo finito, gli ho detto: «abbi cura di te e combatti perché hai talento». Un giovane attore ha bisogno di conferme delle sue capacità. L’ho incontrato dieci anni dopo, nel 2001, e mi ha detto: «forse sei una bravo regista ma non un bravo veggente perché ho fatto solo piccoli progressi e ricevuto piccole parti». Gli ho risposto che c’era una cosa che era fuori del suo controllo: la fortuna. Se hai fortuna, avrai la tua chance. È Tarantino che gli ha dato fortuna (il regista americano ha assegnato a Waltz il ruolo del colonello Hans Landa in Bastardi senza gloria n.d.r.) e non sono stato io, ma sicuramente ne ho riconosciuto il talento, ed ora che è molto famoso sono contento di ammettere che lui menziona sempre che i suoi primi passi sono stati in Polonia.
Tenendo in considerazione la presenza di film religiosi nella sua filmografia, si evince anche un suo legame con l’istituzione cattolica. Come descriverebbe i suoi rapporti con la chiesa?
Non è stata una scelta quanto una coincidenza, mi è stato offerto di fare un film all’inizio del pontificato del Papa, era una missione impossibile perché non mi trovavo in una posizione tale da valutare la sua vita, l’ho reso un testimone del suo tempo, altrimenti sarebbe diventata un’agiografia. Era un momento critico per il mio paese, con il movimento del Solidarność ed il parossismo del combattimento contro il comunismo e la dominazione sovietica. Questo film era una questione patriottica per me, dovevo farlo che lo volessi o meno, ed era l’inizio di un certo legame con l’istituzione, il che è qualcosa di sempre scomodo per un cattolico, essere vicini. Come mio padre ha sempre detto: «per essere un buon cattolico è meglio non invitare un prete a cena perché ne potresti rimanere scandalizzato». In questa prospettiva ho avuto molti contatti, ed ora sono particolarmente depresso nel veder quanto male c’è nella chiesa, ma vedo anche quanto male c’è nella società. La società è semplicemente piena di difetti, è imperfetta, e la metafora del peccato originario della tradizione giudeo-cristiana ne aiuta a comprenderne l’inevitabilità. Ci sono casi individuali, ma l’umanità intera sarà sempre storpiata. Il peggio che possiamo produrre è un’utopia che ci concede di usare la violenza per rendere gli altri “felici” e “raddrizzare” il mondo, come fanno le rivolte.
Pochi anni dopo Da un paese lontano è arrivata la vittoria del Leone d’Oro con L’anno del sole quieto. Come ha influenzato la sua carriera?
Il film del Papa ha antagonizzato molte cerchie, c’è una sorta di allergia contro la chiesa cattolica. Anche se non era un film confessionale, sono stato cancellato da certi ambienti. Questo film che mi ha dato il Leone d’Oro segue un’altro, che ha ottenuto il premio della Giuria, questi mi hanno certamente aiutato a fare altri film, ma è tutto ciò che ne posso dire, chiaramente i premi hanno aiutato il mio ego, ma essendo stato membro di varie giurie so quanto relativi possono essere certi giudizi. Sono felice se sono a mio favore, ma comprendo ugualmente se non lo sono.
Ci sono stati molti cambiamenti nel mezzo secolo di carriera che ha avuto finora, in ambito tecnologico. Com’è fare film adesso rispetto a quando ha iniziato ?
Fluttuiamo in questo fiume, non siamo consapevoli di come questi cambiamenti siano avvenuti. Non mi interessano i cambiamenti tecnologici, ma ci sono stati grandi cambiamenti sociali. Ancora ricordo quando ero molto giovane, che la registrazione della voce era qualcosa di eccitante, molti non si erano mai sentiti registrati. Quando ho avuto il mio primo registratore, i vicini venivano a chiedere di essere registrati così potevano ascoltarsi. Poi è venuta l’immagine. Molto prima delle cineprese amatoriali registrare l’immagine era sensazionale, permetteva di vederti da dietro. Il Papa ha fatto un commento interessante quando ha visto il film di finzione su di lui, ha detto: «mi sono reso conto di non aver alcun ricordo di essermi visto da dietro». Il cinema adesso è diventato qualcosa di comune rispetto a quando ho iniziato. Ora chiunque può accedere ad un cellulare e fotografare o riprendere quello che vuole. Questo è cambiato. C’è stato anche un altro cambiamento, cito mio nonno che aveva un orecchio musicale: lui pur essendo un imprenditore preciso che arrivava a cena a casa sempre puntuale, a volte faceva ritardo perché, se sentiva della musica, si fermava ad ascoltare. Oggi non arriverebbe mai perché c’è musica ovunque, dal mattino presto fino a tarda serata, ma non all’epoca. La musica era una celebrazione, una festa, qualcosa di solenne. Lo stesso vale per il cinema. Andare al cinema prima era un evento. Ora, tra centinaia di canali, la solennità è sparita. Chiaramente mi dispiace ma non ci possiamo fare nulla, la vita sta cambiando, spero che le persone saranno gentili abbastanza da vedere i miei film su uno schermo in una stanza buia anziché su un cellulare, ma se la scelta è tra qualcosa ed il nulla, preferisco i cellulari al nulla.
Ha già futuri progetti in mente?
Sono ultra ottantenne, è frivolo fare progetti alla mia età perché la vita può sì finire in qualsiasi momento, ma con maggiori probabilità in età avanzata. Ho un paio di progetti, ed ho un grande desiderio di concretizzarli. Non ho una necessità materiale di realizzarli, perché posso vivere pacificamente insegnando, facendo interviste e scrivendo libri, mi basterebbe, ma sono fortemente motivato a sperimentare di più in termini narrativi. Ho un progetto riguardo un paio di storie in forma di miniserie, ma destinati ad un pubblico avanzato, non a tutti. Ho appena ricevuto una chiamata dove sono stato avvertito che è prevista una conversazione al riguardo.
INT-29
14.04.2023
Abbiamo avuto l’onore di conversare con Krzysztof Zanussi, uno degli autori più importanti della storia del cinema polacco. La sua carriera pluridecennale l’ha visto debuttare con La struttura di cristallo (1969), al quale sono seguiti, tra i vari film, Illuminazione (1973), Colori Mimetici (1973), La Costante (1980) - vincitore del Premio della Giuria alla 33ª edizione del Festival di Cannes - opere spesso incentrate sul mondo accademico o su figure di giovani scienziati. Lui stesso, prima di cominciare a frequentare la scuola del cinema di Łódź, lo storico istituto che ha formato la crème del mondo cinematografico polacco, è stato studente di Filosofia all’Università di Cracovia. La filmografia di Zanussi ha conosciuto anche opere legate al mondo religioso, come Vita per vita (1991), o ad ambiti socio-politici, come Da un paese lontano (1981). Ha vinto il Leone d’Oro, nel 1984, con L’anno del sole quieto.
Ad ottantatrè anni, Zanussi ancora dirige film di co-produzione italiana, come Corpo Estraneo (2014), Eter (2018), e il suo più recente, Il Numero Perfetto (2022), che segue il rapporto tra un giovane matematico, ossessionato dall’interesse per il mondo dei numeri e indesideroso di ricchezze, ed il suo più anziano cugino, magnate che intende lasciargli in eredità il suo capitale. Un’opera che riprende una dinamica simile a quella di La vita come malattia fatale sessualmente trasmessa (2000), e con la presenza di un protagonista, e di un montaggio, che ricordano Illuminazione, ma che esprime la maturità attuale del regista, una ricerca spirituale che si accentua in direzioni inedite. Il Numero Perfetto è stato presentato, lo scorso 25 Gennaio, al Trieste Film Festival, dove Zanussi ha anche ricevuto il premio Eastern Star alla carriera.
Lei come percepisce l’evoluzione di certi temi etici e tipi di personaggi ricorrenti nei suoi film?
Ritengo che sia una domanda illegittima, da rivolgere allo spettatore o al critico e non all’autore. Non sono consapevole e non ne dovrei essere. Sono fiero se riesco a fare qualcosa di spontaneo, che viene dal mio cuore. Ritengo che sia riduttivo limitare lo spazio solo all’etica e la sociologia. Il mio interesse è per la metafisica. Forse tornerà di moda ora, ma stiamo ancora vivendo nell’epoca di Newton e della fisica meccanica, che ora è stata interamente riformata dalla scienza. Non abbiamo garanzia che la realtà che percepiamo coi nostri sensi sia la sola realtà esistente, dobbiamo ammettere che ce ne siano delle altre, che ci sia forse un Dio o una sorta di essere assoluto del genere, questa è l’area che mi affascina. Sono ancora in contatto con amici che sono scienziati, sono molto più avanzati dell’opinione pubblica. L’opinione pubblica è di norma sempre indietro. Le idee di Copernico ci hanno messo trecento anni a diventare comuni, è naturale che la fisica quantistica entrerà nel ragionamento quotidiano, forse tra qualche decennio ma non adesso. Si crede che gli umani siano padroni dell’universo. Non lo siamo. Dobbiamo cambiare la nostra visione e comprendere che la vita è un qualcosa di molto precario, uno strano fenomeno che è venuto ad esistere, e che forse può essere distrutto altrettanto facilmente. Tutte queste domande mi intrigano anche se sono molto anziano, ma penso che questa sia la nuova prospettiva. Per questo ne ho abbastanza delle discussioni sulla politica perché non raggiungono mai la profondità della definizione del concetto che è necessario all’umanità, a ciò che è l’umano. Anche il protagonista di Il Numero Perfetto è legato al mondo della metafisica. Dobbiamo aprirci al mistero. Io non do risposte, ma pongo domande. Ognuno di noi cerca una risposta ogni giorno, e nessuna risposta è definitiva, ma è intrigante chiedersi se c’è qualcosa o se non c’è nulla oltre alla nostra coscienza, al di fuori della nostra portata. Questa è la domanda che grandi filosofi come Pascal si sono posti nei secoli, ed è la vera questione dell’umanità che anche Dostoevskij ha posto, cioè che l’unica vera questione per l’uomo è se c’è qualcosa o se c’è il nulla, se c’è un abisso o un’altra realtà che noi chiamiamo il divino, e penso che siamo più vicini, con la nostra civilizzazione, a riconoscere che la nostra visione materialistica è limitata, che c’è un mistero dietro che è molto più stimolante. Alcuni pensatori marxisti, come Žižek, ora prospettano l’idea di aprirsi alla metafisica. Io cerco di farlo, ed è questo che ora, forse, mi renderà impopolare, e sarò ampiamente criticato dai marxisti e i loro discendenti post-moderni, ma resterò sulla mia via per quanto a lungo potrò.
Sia in Il Numero Perfetto che anche in La vita come malattia fatale sessualmente trasmessa troviamo la frequente interazione di due personaggi di età molto diverse fra loro, cosa la interessa in questo tipo di confronto?
É un contrasto che mi stimola molto, perché – mi permetta di essere didattico – la narrativa permette a noi umani di distinguerci da altri esseri viventi che non conoscono le esperienze dei loro antenati. Noi umani questo lo abbiamo, grazie ad Omero, all’Odissea, e Shakespeare, e Dante, e gli altri. Accumuliamo le esperienze delle altre generazioni. É un grande vantaggio, perché possiamo crescere, siamo molto più sviluppati rispetto ai cro-magnon ed ai neanderthal che popolavano il pianeta decine di migliaia di anni fa. In questo processo di crescita la narrativa ha una grande influenza e non dobbiamo perderla perché è il mezzo che ci permette di apprendere le esperienze dagli altri e di confrontarci con situazioni che non abbiamo ancora riscontrato nella vita ma con le quali potremmo avere a che fare un giorno. È quello che mi spinge a fare film.
Un elemento che vediamo spesso nei suoi film - ma non ne Il Numero Perfetto - è la presenza di montagne.
E di fiumi. Anche i fiumi sono un mio motivo ricorrente per via del concetto greco del panta rei, il divenire. La corrente del fiume è come il flusso del tempo, e nessuno dei due è reversibile, entrambi vanno nella stessa direzione. C’è anche un’altra metafora: quando vai verso la sorgente devi muoverti controcorrente. Penso sia un buon suggerimento, ma non sempre pratico perché chi va controcorrente probabilmente avrà meno successo, e penso sia un problema in particolare adesso che il conformismo è molto intenso nel facoltoso mondo occidentale, dove le persone hanno sempre meno coraggio di essere diversi, originali, di andare controcorrente. Molti vogliono aderire e confermare l’opinione comune, anche se l’opinione comune alle volte è sbagliata, e molte opinioni comuni lo sono.
Pur essendo centrale la metafisica nella sua ricerca, comunque si trova spazio anche per temi di ordine etico-morale.
Bisogna cercare di trovare il modo giusto per giocare a questo gioco che chiamiamo “vita”, che ci è stato offerto al momento della nostra nascita e che si chiude con la morte. È un gioco che si può giocare nel meglio o nel peggio. Nessuno è perfetto ma ci sono persone che sprecano la loro vita in modo palese, scelgono di essere mediocri e poi si lamentano che la vita è mediocre, ma è una loro scelta. Ci sono anche situazioni per le quali non ci sono ricette o consigli sul cosa fare, c’è molta ingiustizia nel mondo, tant’è che non sappiamo chi è colpevole del perché le persone nascano entro certe credenze o perché si ammalino, possiamo solo trovare spiegazioni metafisiche, se naturalmente ammettiamo che qualcuno, al di sopra della realtà, ci osservi o ci influenzi.
Lei ha anche diretto molti film con temi legati al mondo religioso, come concilia i suoi pensieri sulla metafisica con queste opere?
La metafisica è una prospettiva. La religione è un’espressione concreta della fede, credere in qualcosa. Io ammetto che certe religioni siano migliori di altre, dipende dalle epoche e dai credenti, da quanto approfondiscono e quanto è ricca la loro dimensione spirituale. Mi considero un cristiano, con tutte le riserve, dubbi e critiche sulla corrente situazione della chiesa cattolica, l’uno non cancella l’altro. Ritengo che la religione ci dia una forma di cui abbiamo bisogno. É una benedizione che, duemila anni fa, qualcuno chiamato Gesù abbia portato nel mondo una dimensione più umana del divino. Lo riconosco. Ho fatto film legati alla chiesa che, a volte, non sono per niente religiosi, come Da un paese lontano. Non ho analizzato i rapporti del Papa con Dio ma quelli con la società, la storia della nazione, che era il mio interesse principale. Ad esempio ho fatto un film su un monaco che ha sacrificato volontariamente la propria vita, di sua spontanea volontà, per salvare un altro prigioniero ad Auschwitz, e questo riguarda esclusivamente la metafisica, perché è un valore più grande della vita stessa.
Ha menzionato Vita per Vita, nel quale ritroviamo, in un ruolo principale, un giovane Christoph Waltz ancora ignoto al vasto pubblico. Com’era collaborare con lui all’epoca, e cosa pensa del suo successo di oggi?
L’ho scoperto io, ne sono fiero. Era un attore in un piccolo teatro di Zurigo, ancora agli inizi. Avevamo un ruolo nel film per il quale pensavo che era perfetto. È stata una grande collaborazione. Quando abbiamo finito, gli ho detto: «abbi cura di te e combatti perché hai talento». Un giovane attore ha bisogno di conferme delle sue capacità. L’ho incontrato dieci anni dopo, nel 2001, e mi ha detto: «forse sei una bravo regista ma non un bravo veggente perché ho fatto solo piccoli progressi e ricevuto piccole parti». Gli ho risposto che c’era una cosa che era fuori del suo controllo: la fortuna. Se hai fortuna, avrai la tua chance. È Tarantino che gli ha dato fortuna (il regista americano ha assegnato a Waltz il ruolo del colonello Hans Landa in Bastardi senza gloria n.d.r.) e non sono stato io, ma sicuramente ne ho riconosciuto il talento, ed ora che è molto famoso sono contento di ammettere che lui menziona sempre che i suoi primi passi sono stati in Polonia.
Tenendo in considerazione la presenza di film religiosi nella sua filmografia, si evince anche un suo legame con l’istituzione cattolica. Come descriverebbe i suoi rapporti con la chiesa?
Non è stata una scelta quanto una coincidenza, mi è stato offerto di fare un film all’inizio del pontificato del Papa, era una missione impossibile perché non mi trovavo in una posizione tale da valutare la sua vita, l’ho reso un testimone del suo tempo, altrimenti sarebbe diventata un’agiografia. Era un momento critico per il mio paese, con il movimento del Solidarność ed il parossismo del combattimento contro il comunismo e la dominazione sovietica. Questo film era una questione patriottica per me, dovevo farlo che lo volessi o meno, ed era l’inizio di un certo legame con l’istituzione, il che è qualcosa di sempre scomodo per un cattolico, essere vicini. Come mio padre ha sempre detto: «per essere un buon cattolico è meglio non invitare un prete a cena perché ne potresti rimanere scandalizzato». In questa prospettiva ho avuto molti contatti, ed ora sono particolarmente depresso nel veder quanto male c’è nella chiesa, ma vedo anche quanto male c’è nella società. La società è semplicemente piena di difetti, è imperfetta, e la metafora del peccato originario della tradizione giudeo-cristiana ne aiuta a comprenderne l’inevitabilità. Ci sono casi individuali, ma l’umanità intera sarà sempre storpiata. Il peggio che possiamo produrre è un’utopia che ci concede di usare la violenza per rendere gli altri “felici” e “raddrizzare” il mondo, come fanno le rivolte.
Pochi anni dopo Da un paese lontano è arrivata la vittoria del Leone d’Oro con L’anno del sole quieto. Come ha influenzato la sua carriera?
Il film del Papa ha antagonizzato molte cerchie, c’è una sorta di allergia contro la chiesa cattolica. Anche se non era un film confessionale, sono stato cancellato da certi ambienti. Questo film che mi ha dato il Leone d’Oro segue un’altro, che ha ottenuto il premio della Giuria, questi mi hanno certamente aiutato a fare altri film, ma è tutto ciò che ne posso dire, chiaramente i premi hanno aiutato il mio ego, ma essendo stato membro di varie giurie so quanto relativi possono essere certi giudizi. Sono felice se sono a mio favore, ma comprendo ugualmente se non lo sono.
Ci sono stati molti cambiamenti nel mezzo secolo di carriera che ha avuto finora, in ambito tecnologico. Com’è fare film adesso rispetto a quando ha iniziato ?
Fluttuiamo in questo fiume, non siamo consapevoli di come questi cambiamenti siano avvenuti. Non mi interessano i cambiamenti tecnologici, ma ci sono stati grandi cambiamenti sociali. Ancora ricordo quando ero molto giovane, che la registrazione della voce era qualcosa di eccitante, molti non si erano mai sentiti registrati. Quando ho avuto il mio primo registratore, i vicini venivano a chiedere di essere registrati così potevano ascoltarsi. Poi è venuta l’immagine. Molto prima delle cineprese amatoriali registrare l’immagine era sensazionale, permetteva di vederti da dietro. Il Papa ha fatto un commento interessante quando ha visto il film di finzione su di lui, ha detto: «mi sono reso conto di non aver alcun ricordo di essermi visto da dietro». Il cinema adesso è diventato qualcosa di comune rispetto a quando ho iniziato. Ora chiunque può accedere ad un cellulare e fotografare o riprendere quello che vuole. Questo è cambiato. C’è stato anche un altro cambiamento, cito mio nonno che aveva un orecchio musicale: lui pur essendo un imprenditore preciso che arrivava a cena a casa sempre puntuale, a volte faceva ritardo perché, se sentiva della musica, si fermava ad ascoltare. Oggi non arriverebbe mai perché c’è musica ovunque, dal mattino presto fino a tarda serata, ma non all’epoca. La musica era una celebrazione, una festa, qualcosa di solenne. Lo stesso vale per il cinema. Andare al cinema prima era un evento. Ora, tra centinaia di canali, la solennità è sparita. Chiaramente mi dispiace ma non ci possiamo fare nulla, la vita sta cambiando, spero che le persone saranno gentili abbastanza da vedere i miei film su uno schermo in una stanza buia anziché su un cellulare, ma se la scelta è tra qualcosa ed il nulla, preferisco i cellulari al nulla.
Ha già futuri progetti in mente?
Sono ultra ottantenne, è frivolo fare progetti alla mia età perché la vita può sì finire in qualsiasi momento, ma con maggiori probabilità in età avanzata. Ho un paio di progetti, ed ho un grande desiderio di concretizzarli. Non ho una necessità materiale di realizzarli, perché posso vivere pacificamente insegnando, facendo interviste e scrivendo libri, mi basterebbe, ma sono fortemente motivato a sperimentare di più in termini narrativi. Ho un progetto riguardo un paio di storie in forma di miniserie, ma destinati ad un pubblico avanzato, non a tutti. Ho appena ricevuto una chiamata dove sono stato avvertito che è prevista una conversazione al riguardo.