di Aldo Lauro
NC-251
13.11.2024
Ci sono uomini straordinari che vivono vite straordinarie, uomini comuni che ambiscono al posto fisso e uomini riprovevoli che sguazzano ai bordi della società, lambendone i confini, ampliandoli. Ci sono anche uomini come Ėduard Veniaminovič Savenko, al secolo Limonov, che assaporano tutto e lasciano dietro di loro un’esistenza difforme. Vite come quelle di Limonov, contemporaneo Raskolnikov, si dipanano nel loro essere indescrivibili e ispirano romanzi, opere cinematografiche e movimenti politici.
Il film Limonov - The Ballad (2024), di Kirill Serebrennikov, e il romanzo Limonov (2011), di Emmanuel Carrère, sono due opere che, in modi diversi, riflettono su un figura assolutamente unica. La comparazione tra i questi lavori non si pone solo come una mera analisi di due linguaggi, due medium, due visioni, ma come un viaggio che affonda le radici nell’identità complessa di Eduard/Edicka/Eddie/Limonov. Poeta, scrittore, politico, guerrigliero, dissidente anti-putiniano, un uomo che, come un attore su un palcoscenico, ha recitato diversi ruoli nella sua tumultuosa esistenza.
Carrère, scrittore francese dalle sfumature sottili, riesce a tratteggiare Limonov non solo come un personaggio letterario, ma come il simbolo di un’epoca, di una nazione in tumulto e di un’umanità in crisi. Il suo romanzo biografico, pubblicata nel 2011 in Francia e nel 2012 in Italia, è un ricettario di politica russa e al contempo un diario intimo, in cui il confine tra realtà e finzione si dissolve, lasciando spazio a una narrazione che intende esplorare l’animo umano. La prosa di Carrère non è semplicemente descrittiva; è un invito a immergersi in un abisso di emozioni e contraddizioni, in un’epoca in cui l’ideale si scontra con la disillusione.
Il romanzo si apre con un ritratto vivido di Limonov: “teppista in Ucraina, idolo dell'underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso, nell'immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados. Un personaggio, insomma, che si può vedere come un eroe e, allo stesso tempo,considerare una carogna: io sospendo il giudizio. Questa identità caleidoscopica, ci offre una visione del protagonista non solo come uomo, ma come simbolo della tumultuosa storia russa post-sovietica. Lo scrittore non teme di sfidarci, esplora questo confine labile, lasciando a noi il compito di confrontarci con una bilancia morale delicata. È un viaggio che, portando il lettore attraverso gli sporchi meandri della fine del millennio, lo interroga sulla sua percezione del mondo e della storia.
Serebrennikov, regista e attivista LGBTQIA+ inviso al potere di Mosca, si pone con un’altra ottica. Il suo film si discosta dall’approccio biografico tradizionale, abbracciando una dimensione più lirica e poetica. Limonov - The Ballad è, come lo stesso cineasta ha dichiarato, una reinterpretazione del personaggio:
“Esistono immagini del vero Limonov che dalle colline spara a persone innocenti a Sarajevo, durante la guerra nei Balcani. Questo per me non è accettabile. Non potevo fare un film su una persona che fa queste cose, e così mi sono creato il mio Limonov”
Qui, la poetica diventa strumento di evasione e, talvolta, di elusione. La scelta da parte di Serebrennikov di distanziarsi dal Limonov reale, per abbracciare un personaggio maggiormente romanzato e letterario, provoca una frattura tra il film e la complessa realtà del protagonista.
Serebrennikov esplora i vari stadi della vita di Limonov con uno sguardo che è allo stesso tempo affascinato e distante. L’uso di un bianco e nero e di frames quasi quadrati che trasmettono il soffocamento dell'URSS, si contrappone a un impiego sapiente del colore, che riflette la frenesia del mondo neo-liberista americano e francese. Il lungometraggio ci guida attraverso la vita di Limonov con eleganza, grazie a giunture di montaggio raffinate. I passaggi tra le varie fasi della sua esistenza, delineati da inquadrature che si aprono su delle porte e si chiudono in sincro con esse, instaurano un ritmo narrativo che si snoda come un poema epico. Quando il giovane Eduard entra nei circoli letterari moscoviti, l’immagine si colora, e il piano si allarga, conferendo al racconto una dimensione di respiro, come se il protagonista trovasse finalmente un momento di sollievo dalla sua condizione di costrizione.
Sapiente anche l’utilizzo del piano-sequenza che conclude il periodo newyorkese del personaggio. L’uccisione metaforica di Limonov-il beatnik porta alla nascita di Limonov-il maggiordomo. Con uno stile di ripresa molto vicino all’estetica del videoclip musicale i complessi movimenti di camera vengono accompagnati dalla voce roca di Lou Reed che intona Yeah baby! Take a walk on the wild side! - i Velvet Underground caratterizzano la colonna sonora del film, quasi a voler stabilire un nesso implicito tra il periodo vissuto dal personaggio e il periodo artistico della Grande Mela.
L’ellissi riguardante gli anni nei Balcani è, invece, in forte odore di meta- cinema e l’artificio visivo crea un certo senso di distacco. Il protagonista corre, anche un po’ buffamente, attraverso una serie di stanze in una città abbandonata. Ad accompagnare la sua corsa, ci sono proiezioni di immagini d’archivio di fine anni ’80 e inizio ’90. La camera ci guida attraverso queste stanze fino a svelarci che tutta l’azione si è appena svolta in un set cinematografico da cui Ėduard esce sbattendo una porta.
L’opera di Serebrennikov, con il suo stile affascinante e performativo, rischia però di sottrarre al personaggio la sua vera essenza. Il regista, infatti, ci restituisce un Limonov pop, un uomo che negli anni ‘70 avrebbe potuto frequentare Warhol e la Factory. Il Limonov storico che si trovava a New York era, tutt’al contrario, un outsider, uno che diceva di essere dalla parte dei rossi, dei neri, dei gay, dei portoricani, di chi non aveva niente da perdere. Uno che andava a letto con i senzatetto e che poi si è ritrovato ad essere il maggiordomo di un riccone. Un libertino che, se a Parigi sarà considerato come uno scrittore alle prime armi che inizia ad orientarsi nel panorama del jet set, a Mosca farà il suo ritorno da personaggio pubblico, da guerrigliero, da criminale di guerra.
La comparazione tra due prodotti, uno letterario e uno cinematografico, basati sul medesimo personaggio è anche di stimolo a una riflessione sulle specificità dei due medium. Il romanzo, la parola scritta, permette di indagare più a fondo determinate questioni, di spiegare nessi poco chiari, di evocare immagini, di far emergere le caratteristiche psicologiche dei personaggi e dello scrittore.
Il film, invece, si caratterizza tramite tutto ciò che si vede a schermo, è scritto al tempo presente, non si avvale di metafore e artifici retorici. Non cerca di spiegare, mette in scena. È una pellicola schiava dell'immortale diktat di Fellini: “Non voglio dimostrare niente. Voglio mostrare”.
Carrère e Serebrennikov, propongono due visioni diverse di un uomo emblematico. Carrère, con la sua scrittura incisiva e profonda, penetra nei recessi dell’animo umano, svelando le ambiguità e i conflitti interiori del protagonista. La sua narrazione diventa un viaggio nell'oscurità, invitando così il lettore a confrontarsi con l'umanità in tutta la sua complessità e vulnerabilità.
Al contrario, Serebrennikov avvolge la sua opera in un’aura di malinconia e liricità, realizzando un film visivamente incantevole ma, paradossalmente, superficiale. La sua scelta di una narrazione poetica rischia di distogliere lo sguardo dalla brutalità e dalle zone d’ombra della vita del protagonista. Qui, il lungometraggio si propone come una ballata, una celebrazione estetica che tende a sublimare la realtà, ma che, alla fine, potrebbe risultare un’evasione dalla crudezza della verità.
Questo è il grande distinguo tra il Limonov di Carrère e il Limonov di Serebrennikov. Carrère ha avuto la possibilità attraverso il suo romanzo di poggiare il suo personaggio su fondamenta più concrete, di sfruttare al meglio tutte le possibilità del mezzo letterario per creare una narrazione maggiormente coinvolgente. Serebrennikov ha invece preferito un’operazione più poetica che di indagine, più ispirata al Limonov "personaggio letterario" che al vero Limonov, un uomo fatto di carne e seme, con tutte le contraddizioni che questa condizione porta con sè.
Limonov, figura poliedrica, si muove tra le macerie del comunismo e l’esplosione di un capitalismo sfrenato, abile nel cogliere le opportunità di un tempo in perpetuo mutamento. Un’anima inquieta che si dibatte tra le contraddizioni di un secolo tumultuoso.
La vita di Limonov diventa un palcoscenico di eccessi e fallimenti, il riflesso distorto di un’umanità in crisi. Limonov più che un maestro di cerimonie è un personaggio che incarna la schizofrenia del nostro tempo. La sua esistenza, costellata di eventi straordinari e momenti di fragilità, invita a osservare senza giudizio, a esplorare le complessità di un’anima che si confronta continuamente con il suo passato e il presente.
Ėduard Veniaminovič Savenko è morto nel 2020 a Mosca, poco prima di vedere la sua Charkov bombardata da missili russi. Lui che sosteneva che il Donbass come la Crimea erano territori russi. Limonov ha avuto il tempo di entrare in contatto con l’opera di Carrère, non con quella di Serebrennikov.
La sua opinione sul romanzo dello scrittore francese è stata, come al solito, ambigua. Diceva nel 2014:
“Sono contento, è un riconoscimento enorme. Quello che ha fatto Carrère per me è meglio che aver vinto un Nobel, è come aver fatto resuscitare uno scrittore morto dopo 20 anni. Come qualsiasi altra persona, scrittore o politico, aspiro ad essere conosciuto. Carrère ha guadagnato molti soldi, e io ho già ricevuto qualcosa per un film che girerà Saverio Costanzo, che a Cannes ha comprato i diritti del libro. Spero che vada bene, ovviamente, ma non sarò io ritrattato lì, ma il mito che si è creato. Certo, anche quello è buono per me”
Mentre, quattro anni dopo, nel 2018, intervistato da Il Giornale esprimeva un altro giudizio:
“Del Limonov di Carrère ho letto le prime 45 pagine e mi sono state sufficienti [...] È una sua opera. Non deve piacermi. Carrère mi ha visto così, io non mi vedo come mi descrive”
Da quella eterna contraddizione che è la vita di Limonov non c’è alcuna lezione da apprendere, nessuna indicazione morale. È solo possibile osservare un’esistenza che si dipana tra luce e ombra, tra splendore e desolazione. Un uomo, in fondo, come tanti, immerso in un dramma in cui il confine tra il mito e la realtà si fa sempre più labile. I giovani russi, nati dagli anni ’90 in poi, ne danno una sola definizione “Limonov? Un freak”.
di Aldo Lauro
NC-251
13.11.2024
Ci sono uomini straordinari che vivono vite straordinarie, uomini comuni che ambiscono al posto fisso e uomini riprovevoli che sguazzano ai bordi della società, lambendone i confini, ampliandoli. Ci sono anche uomini come Ėduard Veniaminovič Savenko, al secolo Limonov, che assaporano tutto e lasciano dietro di loro un’esistenza difforme. Vite come quelle di Limonov, contemporaneo Raskolnikov, si dipanano nel loro essere indescrivibili e ispirano romanzi, opere cinematografiche e movimenti politici.
Il film Limonov - The Ballad (2024), di Kirill Serebrennikov, e il romanzo Limonov (2011), di Emmanuel Carrère, sono due opere che, in modi diversi, riflettono su un figura assolutamente unica. La comparazione tra i questi lavori non si pone solo come una mera analisi di due linguaggi, due medium, due visioni, ma come un viaggio che affonda le radici nell’identità complessa di Eduard/Edicka/Eddie/Limonov. Poeta, scrittore, politico, guerrigliero, dissidente anti-putiniano, un uomo che, come un attore su un palcoscenico, ha recitato diversi ruoli nella sua tumultuosa esistenza.
Carrère, scrittore francese dalle sfumature sottili, riesce a tratteggiare Limonov non solo come un personaggio letterario, ma come il simbolo di un’epoca, di una nazione in tumulto e di un’umanità in crisi. Il suo romanzo biografico, pubblicata nel 2011 in Francia e nel 2012 in Italia, è un ricettario di politica russa e al contempo un diario intimo, in cui il confine tra realtà e finzione si dissolve, lasciando spazio a una narrazione che intende esplorare l’animo umano. La prosa di Carrère non è semplicemente descrittiva; è un invito a immergersi in un abisso di emozioni e contraddizioni, in un’epoca in cui l’ideale si scontra con la disillusione.
Il romanzo si apre con un ritratto vivido di Limonov: “teppista in Ucraina, idolo dell'underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso, nell'immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados. Un personaggio, insomma, che si può vedere come un eroe e, allo stesso tempo,considerare una carogna: io sospendo il giudizio. Questa identità caleidoscopica, ci offre una visione del protagonista non solo come uomo, ma come simbolo della tumultuosa storia russa post-sovietica. Lo scrittore non teme di sfidarci, esplora questo confine labile, lasciando a noi il compito di confrontarci con una bilancia morale delicata. È un viaggio che, portando il lettore attraverso gli sporchi meandri della fine del millennio, lo interroga sulla sua percezione del mondo e della storia.
Serebrennikov, regista e attivista LGBTQIA+ inviso al potere di Mosca, si pone con un’altra ottica. Il suo film si discosta dall’approccio biografico tradizionale, abbracciando una dimensione più lirica e poetica. Limonov - The Ballad è, come lo stesso cineasta ha dichiarato, una reinterpretazione del personaggio:
“Esistono immagini del vero Limonov che dalle colline spara a persone innocenti a Sarajevo, durante la guerra nei Balcani. Questo per me non è accettabile. Non potevo fare un film su una persona che fa queste cose, e così mi sono creato il mio Limonov”
Qui, la poetica diventa strumento di evasione e, talvolta, di elusione. La scelta da parte di Serebrennikov di distanziarsi dal Limonov reale, per abbracciare un personaggio maggiormente romanzato e letterario, provoca una frattura tra il film e la complessa realtà del protagonista.
Serebrennikov esplora i vari stadi della vita di Limonov con uno sguardo che è allo stesso tempo affascinato e distante. L’uso di un bianco e nero e di frames quasi quadrati che trasmettono il soffocamento dell'URSS, si contrappone a un impiego sapiente del colore, che riflette la frenesia del mondo neo-liberista americano e francese. Il lungometraggio ci guida attraverso la vita di Limonov con eleganza, grazie a giunture di montaggio raffinate. I passaggi tra le varie fasi della sua esistenza, delineati da inquadrature che si aprono su delle porte e si chiudono in sincro con esse, instaurano un ritmo narrativo che si snoda come un poema epico. Quando il giovane Eduard entra nei circoli letterari moscoviti, l’immagine si colora, e il piano si allarga, conferendo al racconto una dimensione di respiro, come se il protagonista trovasse finalmente un momento di sollievo dalla sua condizione di costrizione.
Sapiente anche l’utilizzo del piano-sequenza che conclude il periodo newyorkese del personaggio. L’uccisione metaforica di Limonov-il beatnik porta alla nascita di Limonov-il maggiordomo. Con uno stile di ripresa molto vicino all’estetica del videoclip musicale i complessi movimenti di camera vengono accompagnati dalla voce roca di Lou Reed che intona Yeah baby! Take a walk on the wild side! - i Velvet Underground caratterizzano la colonna sonora del film, quasi a voler stabilire un nesso implicito tra il periodo vissuto dal personaggio e il periodo artistico della Grande Mela.
L’ellissi riguardante gli anni nei Balcani è, invece, in forte odore di meta- cinema e l’artificio visivo crea un certo senso di distacco. Il protagonista corre, anche un po’ buffamente, attraverso una serie di stanze in una città abbandonata. Ad accompagnare la sua corsa, ci sono proiezioni di immagini d’archivio di fine anni ’80 e inizio ’90. La camera ci guida attraverso queste stanze fino a svelarci che tutta l’azione si è appena svolta in un set cinematografico da cui Ėduard esce sbattendo una porta.
L’opera di Serebrennikov, con il suo stile affascinante e performativo, rischia però di sottrarre al personaggio la sua vera essenza. Il regista, infatti, ci restituisce un Limonov pop, un uomo che negli anni ‘70 avrebbe potuto frequentare Warhol e la Factory. Il Limonov storico che si trovava a New York era, tutt’al contrario, un outsider, uno che diceva di essere dalla parte dei rossi, dei neri, dei gay, dei portoricani, di chi non aveva niente da perdere. Uno che andava a letto con i senzatetto e che poi si è ritrovato ad essere il maggiordomo di un riccone. Un libertino che, se a Parigi sarà considerato come uno scrittore alle prime armi che inizia ad orientarsi nel panorama del jet set, a Mosca farà il suo ritorno da personaggio pubblico, da guerrigliero, da criminale di guerra.
La comparazione tra due prodotti, uno letterario e uno cinematografico, basati sul medesimo personaggio è anche di stimolo a una riflessione sulle specificità dei due medium. Il romanzo, la parola scritta, permette di indagare più a fondo determinate questioni, di spiegare nessi poco chiari, di evocare immagini, di far emergere le caratteristiche psicologiche dei personaggi e dello scrittore.
Il film, invece, si caratterizza tramite tutto ciò che si vede a schermo, è scritto al tempo presente, non si avvale di metafore e artifici retorici. Non cerca di spiegare, mette in scena. È una pellicola schiava dell'immortale diktat di Fellini: “Non voglio dimostrare niente. Voglio mostrare”.
Carrère e Serebrennikov, propongono due visioni diverse di un uomo emblematico. Carrère, con la sua scrittura incisiva e profonda, penetra nei recessi dell’animo umano, svelando le ambiguità e i conflitti interiori del protagonista. La sua narrazione diventa un viaggio nell'oscurità, invitando così il lettore a confrontarsi con l'umanità in tutta la sua complessità e vulnerabilità.
Al contrario, Serebrennikov avvolge la sua opera in un’aura di malinconia e liricità, realizzando un film visivamente incantevole ma, paradossalmente, superficiale. La sua scelta di una narrazione poetica rischia di distogliere lo sguardo dalla brutalità e dalle zone d’ombra della vita del protagonista. Qui, il lungometraggio si propone come una ballata, una celebrazione estetica che tende a sublimare la realtà, ma che, alla fine, potrebbe risultare un’evasione dalla crudezza della verità.
Questo è il grande distinguo tra il Limonov di Carrère e il Limonov di Serebrennikov. Carrère ha avuto la possibilità attraverso il suo romanzo di poggiare il suo personaggio su fondamenta più concrete, di sfruttare al meglio tutte le possibilità del mezzo letterario per creare una narrazione maggiormente coinvolgente. Serebrennikov ha invece preferito un’operazione più poetica che di indagine, più ispirata al Limonov "personaggio letterario" che al vero Limonov, un uomo fatto di carne e seme, con tutte le contraddizioni che questa condizione porta con sè.
Limonov, figura poliedrica, si muove tra le macerie del comunismo e l’esplosione di un capitalismo sfrenato, abile nel cogliere le opportunità di un tempo in perpetuo mutamento. Un’anima inquieta che si dibatte tra le contraddizioni di un secolo tumultuoso.
La vita di Limonov diventa un palcoscenico di eccessi e fallimenti, il riflesso distorto di un’umanità in crisi. Limonov più che un maestro di cerimonie è un personaggio che incarna la schizofrenia del nostro tempo. La sua esistenza, costellata di eventi straordinari e momenti di fragilità, invita a osservare senza giudizio, a esplorare le complessità di un’anima che si confronta continuamente con il suo passato e il presente.
Ėduard Veniaminovič Savenko è morto nel 2020 a Mosca, poco prima di vedere la sua Charkov bombardata da missili russi. Lui che sosteneva che il Donbass come la Crimea erano territori russi. Limonov ha avuto il tempo di entrare in contatto con l’opera di Carrère, non con quella di Serebrennikov.
La sua opinione sul romanzo dello scrittore francese è stata, come al solito, ambigua. Diceva nel 2014:
“Sono contento, è un riconoscimento enorme. Quello che ha fatto Carrère per me è meglio che aver vinto un Nobel, è come aver fatto resuscitare uno scrittore morto dopo 20 anni. Come qualsiasi altra persona, scrittore o politico, aspiro ad essere conosciuto. Carrère ha guadagnato molti soldi, e io ho già ricevuto qualcosa per un film che girerà Saverio Costanzo, che a Cannes ha comprato i diritti del libro. Spero che vada bene, ovviamente, ma non sarò io ritrattato lì, ma il mito che si è creato. Certo, anche quello è buono per me”
Mentre, quattro anni dopo, nel 2018, intervistato da Il Giornale esprimeva un altro giudizio:
“Del Limonov di Carrère ho letto le prime 45 pagine e mi sono state sufficienti [...] È una sua opera. Non deve piacermi. Carrère mi ha visto così, io non mi vedo come mi descrive”
Da quella eterna contraddizione che è la vita di Limonov non c’è alcuna lezione da apprendere, nessuna indicazione morale. È solo possibile osservare un’esistenza che si dipana tra luce e ombra, tra splendore e desolazione. Un uomo, in fondo, come tanti, immerso in un dramma in cui il confine tra il mito e la realtà si fa sempre più labile. I giovani russi, nati dagli anni ’90 in poi, ne danno una sola definizione “Limonov? Un freak”.