TR-06
12.06.2020
Sofia Coppola è una regista pop. Citando il vocabolario, “pop: abbreviazione di popular ‘popolare’, utilizzata per indicare le tendenze musicali e artistiche che, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, hanno adottato nuovi criteri estetici e contenuti rivolti soprattutto a un pubblico giovanile e di massa”. E cosa c’è di più pop delle Converse All Star? Nel film Marie Antoinette, in mezzo a parrucche, piume, ventagli, dolcetti pannosi, vestiti sfarzosi e scarpette a punta con gioielli in pieno stile Settecento, appare circa a metà film, sulle note di I Want Candy, un paio di Converse color lavanda.
Non è un errore. La scelta della regista è volontaria e simboleggia la destoricizzazione del personaggio. La biografia di Maria Antonietta, pur rispettando gli eventi storici, non è quella di una regina, o almeno non soltanto, ma quella di un’adolescente con tutte le sue insicurezze, malinconie e frivolezze dell’età. La vita di corte fa da sfondo a un’indagine più intima in cui la macchina da presa, tra campi lunghi e primi piani minuziosi, segue l’aspetto più umano del personaggio. La Coppola, che è anche la sceneggiatrice del film, predilige momenti di vita quotidiani, di solitudine, di personale estraneità con il mondo circostante. Alterna scene rumorose, colorate e piene di personaggi occupati in rituali di dissolutezza, a momenti in cui la giovane è sola, assorta nei suoi pensieri, e i colori sono pallidi.
Già durante i titoli di testa fucsia, accompagnati dalla musica punk rock Natural’s not in it dei Gang of Four, ci appare una Maria Antonietta insolita (interpretata da Kirsten Dunst). Sdraiata su una dormeuse, circondata da dolcetti e torte rosa, affonda il dito nella panna per assaggiarla svogliatamente e guardare in macchina in modo provocatorio, mentre una cameriera inginocchiata le infila le scarpette di seta. Già da questi primi secondi è chiaro lo stile pop del film.
La regista ha dichiarato di aver utilizzato per lo studio del personaggio la biografia scritta da Antonia Fraser, Maria Antonietta. La solitudine di una regina, per superare la costruzione mitologica della delfina come simbolo di decadenza, e indagare invece la persona, l’adolescente che a quattordici anni si trasferisce a Versailles. E restituirne invece “una visione impressionista”: “Non è un documentario o una lezione di storia […] Il mio intento era quello di superare i clichés dei film sul periodo e puntare alla dimensione umana”.
Un chiaro esempio di decostruzione dell’immaginario comune è la scena in cui la regina pronuncia la frase “Let them eat cake”. L’originale in francese è “S'ils n'ont plus de pain, qu'ils mangent de la brioche” e fu attribuita a Maria Antonietta come risposta al popolo che moriva di fame a causa delle alte tasse imposte per mantenere la corte di Versailles e il dispendioso stile di vita della famiglia reale. Gli storici però smentiscono che sia stata lei a pronunciarla e la Coppola riesce con una mossa registica a dimostrarne l’inesattezza. Prima inquadra la reggia in campo lungo, con la voce fuori campo del popolo in rivolta. Poi si vede la regina immersa in una vasca da bagno ingioiellata e truccata che dice la celebre frase, ma è come il popolo s’immagina che abbia replicato alle loro richieste. Infatti segue un’inquadratura, che smentisce la precedente, in cui Maria Antonietta legge la notizia sul giornale insieme alle sue amiche e dice che non avrebbe mai detto una cosa del genere.
Pur non essendo un film in costume tradizionale, gli abiti giocano un ruolo eccezionale. Non a caso la costumista italiana Milena Canonero ha vinto l’Oscar nel 2007 per le sue creazioni color pastello, e le scarpette sono state tutte realizzate appositamente dallo stilista spagnolo d’alta moda Manolo Blahnik. Le parrucche e i numerosi accessori usati per le pettinature elaborate sono stati forniti dall’azienda romana Rocchetti&Rocchetti. Le Converse invece sono un’idea del fratello Roman Coppola: le ha inserite durante il montaggio per divertire la sorella, che ha deciso di conservarle. Non si tratta quindi di un caso di product placement. Lo è invece quello di Ladurée, la più famosa pasticceria di lusso francese, che ha confezionato tutti i dolci del film e più volte vengono inquadrati i suoi emblematici macarons.
Un altro elemento di anacronismo volontario è la musica. L’alternanza di brani moderni e classici contribuisce a rendere il racconto atemporale. La regista ha affermato che la musica classica è inserita in tutte le scene di vita adulta a corte, ad esempio durante la caccia o le cerimonie ufficiali, mentre quella contemporanea, in un mix di generi pop, new wave, new romantic, post-punk, elettronica e rock, accompagna i momenti di vita più adolescenziali. Ad esempio, per l’amore nei confronti del conte Fersen sceglie il brano What Ever Happened? degli Strokes, gruppo che la Coppola inserisce spesso all’interno dei suoi film. Per il ballo in maschera usa la canzone Hong Kong Garden degli Siouxsie and the Banshees pur essendo un evento formale, con il desiderio di dare voce all’entusiasmo interiore della giovane per la festa da lei tanto desiderata. Altro gruppo britannico post-punk e rock prediletto dalla regista sono i New Order, di cui utilizza il brano Ceremony per il festeggiamento del compleanno di Maria Antonietta. Nelle scene di vita quotidiana compaiono tre brani del gruppo indie pop svedese The Radio Dept.: Pulling Our Weight, I Don’t Like it Like This, Keen On Boys.
Non è un caso che la mamma di Maria Antonietta, Maria Teresa d’Austria, sia interpretata da Marianne Faithfull, che non è attrice di professione, ma un’icona rock e musa dei Rolling Stones. È presente anche un cameo del gruppo rock francese (formatosi appunto a Versailles) Phoenix, che suonano per la regina nel salotto del Petit Trianon vestiti da menestrelli. La voce principale della band, Thomas Pablo Croquet (in arte Thomas Mars), è il marito della Coppola.
Le musiche sono abbondanti perché riempiono i momenti dove i dialoghi sono pochi (ma tanti i voice over) e sono soprattutto le immagini a raccontare. L’attrice Kirsten Dunst ha dichiarato che molte delle canzoni scelte erano usate da Sofia Coppola anche sul set per infondere la giusta carica alla troupe e al cast.
La scenografia invece è fedele ai libri di storia. Sofia Coppola ha avuto il privilegio, concesso a pochi, di girare la maggior parte del film all’interno del palazzo di Versailles. Solo il lunedì e di notte per non disturbare i turisti, per €15.000 al giorno, €300.000 in totale (su un budget di $40.000.000). Ottenne anche il permesso di girare la scena del ballo matrimoniale all’interno della famosa Galleria degli Specchi pur essendo chiusa al pubblico per restauro. In questi luoghi sono state scattate le iconiche immagini del backstage, dove il passato e il presente si fondono in pieno stile pop.
L’immaginario evocato dal film, oltre che pop, richiama a piccoli tratti l’estetica twee (da come i bambini nel mondo anglofono pronunciano “sweet”). L’innocenza, il candore e l’infantilismo sono i postulati di questo movimento color pastello di cui parla Marc Spitz in Twee: The Gentle Revolution in Music, Books, Television, Fashion, and Film. Wes Anderson ne è considerato il capostipite cinematografico sia per il suo stile registico che per i contenuti dei suoi film: Moonrise Kingdom è il twee per eccellenza. La sceneggiatura (candidata agli Oscar 2013 come miglior sceneggiatura originale) è stata scritta insieme a Roman Coppola, fratello di Sofia. Quest’ultimo, oltre ad aver partecipato alla produzione di diversi film del regista americano e a essere suo amico stretto e collaboratore dietro le quinte di ogni suo film, è co-sceneggiatore anche de Il treno per Darjeeling. Ai due si aggiunge il cugino dei fratelli Coppola, Jason Schwartzman (che in Marie Antoinette interpreta Luigi XVI), attore prediletto in diversi film di Wes Anderson. La relazione di questo trio è sia amichevole che creativa. Due anni fa, in ritorno dalla presentazione de L’isola dei cani, di cui sono tutti e tre autori del soggetto, hanno fatto tappa alla Cineteca di Bologna (autoinvitandosi con un sms inviato al direttore Gian Luca Farinelli) per guardare film e corti della prima metà del Novecento con l’intento di fare ricerca per i loro prossimi progetti.
Il tocco di Roman Coppola è costante anche nei film della sorella, ma sempre sottobanco. Partecipa costantemente alla produzione e alla regia, e non è un caso che sia stato proprio lui ad inserire le Converse all’interno del film. Il modello di scarpa e il colore lilla scelti sono un chiaro richiamo all’infanzia e all’adolescenza. Maria Antonietta all’inizio del film ha appena quattordici anni, ed è ancora una bambina che guarda con sensibilità fanciullesca la foto del suo futuro marito con le amiche, abbraccia con tenerezza chi le si presenta davanti, e piange per la separazione dal suo cagnolino Mops. Arrivata a corte però conosce un mondo che da caramellato e dolce diventa amaro e peccaminoso. Non è un caso ad esempio che i costumi di Madame du Barry (interpretata da Asia Argento), l’amante del re, per la quale la regina nutriva una profonda ostilità, siano di colori scuri e forti, in contrasto con quelli color pastello della scenografia. Essa rappresenta il mondo erotico al quale Maria Antonietta vuole accedere senza che gli sia permesso per l’inadeguatezza del marito. Infatti il delfino (per l’appunto Jason Schwartzman) ha dei comportamenti molto infantili e non riesce a consumare il loro matrimonio per lungo tempo. La regina conoscerà l’amore solo al di fuori del matrimonio con la breve relazione adulterina con il capitano Fersen (Jamie Dornan).
In tutta la sua permanenza alla reggia di Versailles (che sono gli anni raccontati nel film) Maria Antonietta oscilla tra una tendenza bambinesca e una adulta più perversa: è l’adolescenza. Da una parte i macarons e i merletti, dall’altra il gioco d’azzardo e uno stile di vita dissoluto. La vita di corte si alterna al ritorno alla natura e alla semplicità nel Petit Trianon, piccolo castello all’interno del parco di Versailles, tutto per la regina. Qui trascorre le giornate in vesti bianche semplici, con la propria bambina dai boccoli d’oro, a rincorrersi nel prato, a giocare con le capre e l’agnello (in contrasto con animali più esotici presenti a corte come l’elefante in gabbia) e a bere latte appena munto (non più alcolici e dolci elaborati): un ritorno nostalgico alla purezza e all’essenzialità tipici dell’infanzia. Così Maria Antonietta, come qualsiasi altra adolescente di qualsiasi epoca e luogo, affronta l’adolescenza, spaziando tra l’ingenuità e l’innocenza fanciullesche e un senso di ribellione e perversione nel passaggio all’età adulta. Questa oscillazione, che possiamo considerare un anacronismo nell’anacronismo generale del film, si riflette anche nella scelta musicale: si passa da brani malinconici indie a quelli più rock e punk.
Il film è stato presentato a Cannes nel 2006 in gara per la Palma d’Oro ricevendo dei consensi ma anche molte critiche. Ad esempio Jean-Michel Frodon, direttore all’epoca dei Cahiers du cinéma, ha apprezzato di Sofia Coppola il “‘genio’ nel ritrarre l’alienazione adolescenziale”. Altri gli hanno invece contestato la lontananza dalla veridicità storica come lo storico francese Jean Tulard che ha definito il film su Le Figaro una “Versailles in salsa Hollywood”. Sofia Coppola in varie interviste ha affermato di non esserne particolarmente amareggiata perché soddisfatta del suo lavoro e di essere riuscita nel suo intento. Il risultato è stato apprezzato anche da Antonia Fraser: “lo adoro, non ha deviato la storia e non ha neanche copiato pedissequamente il libro. È la visione di Sofia di Maria Antonietta, la mia era sulle pagine, la sua è sullo schermo. L’ho apprezzato molto e anche mio marito Harold [Pinter]”. Quest’ultimo ha scritto una lettera personale alla regista: “Se alla fine nessuno apprezzerà il mio lavoro, posso sempre dire che almeno Harold Pinter l’ha fatto!”. Ma questo non si è verificato perché c’è stato grande consenso per questo film anticonformista, un po’ come lo era Maria Antonietta, regina informale e iconoclasta.
TR-06
12.06.2020
Sofia Coppola è una regista pop. Citando il vocabolario, “pop: abbreviazione di popular ‘popolare’, utilizzata per indicare le tendenze musicali e artistiche che, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, hanno adottato nuovi criteri estetici e contenuti rivolti soprattutto a un pubblico giovanile e di massa”. E cosa c’è di più pop delle Converse All Star? Nel film Marie Antoinette, in mezzo a parrucche, piume, ventagli, dolcetti pannosi, vestiti sfarzosi e scarpette a punta con gioielli in pieno stile Settecento, appare circa a metà film, sulle note di I Want Candy, un paio di Converse color lavanda.
Non è un errore. La scelta della regista è volontaria e simboleggia la destoricizzazione del personaggio. La biografia di Maria Antonietta, pur rispettando gli eventi storici, non è quella di una regina, o almeno non soltanto, ma quella di un’adolescente con tutte le sue insicurezze, malinconie e frivolezze dell’età. La vita di corte fa da sfondo a un’indagine più intima in cui la macchina da presa, tra campi lunghi e primi piani minuziosi, segue l’aspetto più umano del personaggio. La Coppola, che è anche la sceneggiatrice del film, predilige momenti di vita quotidiani, di solitudine, di personale estraneità con il mondo circostante. Alterna scene rumorose, colorate e piene di personaggi occupati in rituali di dissolutezza, a momenti in cui la giovane è sola, assorta nei suoi pensieri, e i colori sono pallidi.
Già durante i titoli di testa fucsia, accompagnati dalla musica punk rock Natural’s not in it dei Gang of Four, ci appare una Maria Antonietta insolita (interpretata da Kirsten Dunst). Sdraiata su una dormeuse, circondata da dolcetti e torte rosa, affonda il dito nella panna per assaggiarla svogliatamente e guardare in macchina in modo provocatorio, mentre una cameriera inginocchiata le infila le scarpette di seta. Già da questi primi secondi è chiaro lo stile pop del film.
La regista ha dichiarato di aver utilizzato per lo studio del personaggio la biografia scritta da Antonia Fraser, Maria Antonietta. La solitudine di una regina, per superare la costruzione mitologica della delfina come simbolo di decadenza, e indagare invece la persona, l’adolescente che a quattordici anni si trasferisce a Versailles. E restituirne invece “una visione impressionista”: “Non è un documentario o una lezione di storia […] Il mio intento era quello di superare i clichés dei film sul periodo e puntare alla dimensione umana”.
Un chiaro esempio di decostruzione dell’immaginario comune è la scena in cui la regina pronuncia la frase “Let them eat cake”. L’originale in francese è “S'ils n'ont plus de pain, qu'ils mangent de la brioche” e fu attribuita a Maria Antonietta come risposta al popolo che moriva di fame a causa delle alte tasse imposte per mantenere la corte di Versailles e il dispendioso stile di vita della famiglia reale. Gli storici però smentiscono che sia stata lei a pronunciarla e la Coppola riesce con una mossa registica a dimostrarne l’inesattezza. Prima inquadra la reggia in campo lungo, con la voce fuori campo del popolo in rivolta. Poi si vede la regina immersa in una vasca da bagno ingioiellata e truccata che dice la celebre frase, ma è come il popolo s’immagina che abbia replicato alle loro richieste. Infatti segue un’inquadratura, che smentisce la precedente, in cui Maria Antonietta legge la notizia sul giornale insieme alle sue amiche e dice che non avrebbe mai detto una cosa del genere.
Pur non essendo un film in costume tradizionale, gli abiti giocano un ruolo eccezionale. Non a caso la costumista italiana Milena Canonero ha vinto l’Oscar nel 2007 per le sue creazioni color pastello, e le scarpette sono state tutte realizzate appositamente dallo stilista spagnolo d’alta moda Manolo Blahnik. Le parrucche e i numerosi accessori usati per le pettinature elaborate sono stati forniti dall’azienda romana Rocchetti&Rocchetti. Le Converse invece sono un’idea del fratello Roman Coppola: le ha inserite durante il montaggio per divertire la sorella, che ha deciso di conservarle. Non si tratta quindi di un caso di product placement. Lo è invece quello di Ladurée, la più famosa pasticceria di lusso francese, che ha confezionato tutti i dolci del film e più volte vengono inquadrati i suoi emblematici macarons.
Un altro elemento di anacronismo volontario è la musica. L’alternanza di brani moderni e classici contribuisce a rendere il racconto atemporale. La regista ha affermato che la musica classica è inserita in tutte le scene di vita adulta a corte, ad esempio durante la caccia o le cerimonie ufficiali, mentre quella contemporanea, in un mix di generi pop, new wave, new romantic, post-punk, elettronica e rock, accompagna i momenti di vita più adolescenziali. Ad esempio, per l’amore nei confronti del conte Fersen sceglie il brano What Ever Happened? degli Strokes, gruppo che la Coppola inserisce spesso all’interno dei suoi film. Per il ballo in maschera usa la canzone Hong Kong Garden degli Siouxsie and the Banshees pur essendo un evento formale, con il desiderio di dare voce all’entusiasmo interiore della giovane per la festa da lei tanto desiderata. Altro gruppo britannico post-punk e rock prediletto dalla regista sono i New Order, di cui utilizza il brano Ceremony per il festeggiamento del compleanno di Maria Antonietta. Nelle scene di vita quotidiana compaiono tre brani del gruppo indie pop svedese The Radio Dept.: Pulling Our Weight, I Don’t Like it Like This, Keen On Boys.
Non è un caso che la mamma di Maria Antonietta, Maria Teresa d’Austria, sia interpretata da Marianne Faithfull, che non è attrice di professione, ma un’icona rock e musa dei Rolling Stones. È presente anche un cameo del gruppo rock francese (formatosi appunto a Versailles) Phoenix, che suonano per la regina nel salotto del Petit Trianon vestiti da menestrelli. La voce principale della band, Thomas Pablo Croquet (in arte Thomas Mars), è il marito della Coppola.
Le musiche sono abbondanti perché riempiono i momenti dove i dialoghi sono pochi (ma tanti i voice over) e sono soprattutto le immagini a raccontare. L’attrice Kirsten Dunst ha dichiarato che molte delle canzoni scelte erano usate da Sofia Coppola anche sul set per infondere la giusta carica alla troupe e al cast.
La scenografia invece è fedele ai libri di storia. Sofia Coppola ha avuto il privilegio, concesso a pochi, di girare la maggior parte del film all’interno del palazzo di Versailles. Solo il lunedì e di notte per non disturbare i turisti, per €15.000 al giorno, €300.000 in totale (su un budget di $40.000.000). Ottenne anche il permesso di girare la scena del ballo matrimoniale all’interno della famosa Galleria degli Specchi pur essendo chiusa al pubblico per restauro. In questi luoghi sono state scattate le iconiche immagini del backstage, dove il passato e il presente si fondono in pieno stile pop.
L’immaginario evocato dal film, oltre che pop, richiama a piccoli tratti l’estetica twee (da come i bambini nel mondo anglofono pronunciano “sweet”). L’innocenza, il candore e l’infantilismo sono i postulati di questo movimento color pastello di cui parla Marc Spitz in Twee: The Gentle Revolution in Music, Books, Television, Fashion, and Film. Wes Anderson ne è considerato il capostipite cinematografico sia per il suo stile registico che per i contenuti dei suoi film: Moonrise Kingdom è il twee per eccellenza. La sceneggiatura (candidata agli Oscar 2013 come miglior sceneggiatura originale) è stata scritta insieme a Roman Coppola, fratello di Sofia. Quest’ultimo, oltre ad aver partecipato alla produzione di diversi film del regista americano e a essere suo amico stretto e collaboratore dietro le quinte di ogni suo film, è co-sceneggiatore anche de Il treno per Darjeeling. Ai due si aggiunge il cugino dei fratelli Coppola, Jason Schwartzman (che in Marie Antoinette interpreta Luigi XVI), attore prediletto in diversi film di Wes Anderson. La relazione di questo trio è sia amichevole che creativa. Due anni fa, in ritorno dalla presentazione de L’isola dei cani, di cui sono tutti e tre autori del soggetto, hanno fatto tappa alla Cineteca di Bologna (autoinvitandosi con un sms inviato al direttore Gian Luca Farinelli) per guardare film e corti della prima metà del Novecento con l’intento di fare ricerca per i loro prossimi progetti.
Il tocco di Roman Coppola è costante anche nei film della sorella, ma sempre sottobanco. Partecipa costantemente alla produzione e alla regia, e non è un caso che sia stato proprio lui ad inserire le Converse all’interno del film. Il modello di scarpa e il colore lilla scelti sono un chiaro richiamo all’infanzia e all’adolescenza. Maria Antonietta all’inizio del film ha appena quattordici anni, ed è ancora una bambina che guarda con sensibilità fanciullesca la foto del suo futuro marito con le amiche, abbraccia con tenerezza chi le si presenta davanti, e piange per la separazione dal suo cagnolino Mops. Arrivata a corte però conosce un mondo che da caramellato e dolce diventa amaro e peccaminoso. Non è un caso ad esempio che i costumi di Madame du Barry (interpretata da Asia Argento), l’amante del re, per la quale la regina nutriva una profonda ostilità, siano di colori scuri e forti, in contrasto con quelli color pastello della scenografia. Essa rappresenta il mondo erotico al quale Maria Antonietta vuole accedere senza che gli sia permesso per l’inadeguatezza del marito. Infatti il delfino (per l’appunto Jason Schwartzman) ha dei comportamenti molto infantili e non riesce a consumare il loro matrimonio per lungo tempo. La regina conoscerà l’amore solo al di fuori del matrimonio con la breve relazione adulterina con il capitano Fersen (Jamie Dornan).
In tutta la sua permanenza alla reggia di Versailles (che sono gli anni raccontati nel film) Maria Antonietta oscilla tra una tendenza bambinesca e una adulta più perversa: è l’adolescenza. Da una parte i macarons e i merletti, dall’altra il gioco d’azzardo e uno stile di vita dissoluto. La vita di corte si alterna al ritorno alla natura e alla semplicità nel Petit Trianon, piccolo castello all’interno del parco di Versailles, tutto per la regina. Qui trascorre le giornate in vesti bianche semplici, con la propria bambina dai boccoli d’oro, a rincorrersi nel prato, a giocare con le capre e l’agnello (in contrasto con animali più esotici presenti a corte come l’elefante in gabbia) e a bere latte appena munto (non più alcolici e dolci elaborati): un ritorno nostalgico alla purezza e all’essenzialità tipici dell’infanzia. Così Maria Antonietta, come qualsiasi altra adolescente di qualsiasi epoca e luogo, affronta l’adolescenza, spaziando tra l’ingenuità e l’innocenza fanciullesche e un senso di ribellione e perversione nel passaggio all’età adulta. Questa oscillazione, che possiamo considerare un anacronismo nell’anacronismo generale del film, si riflette anche nella scelta musicale: si passa da brani malinconici indie a quelli più rock e punk.
Il film è stato presentato a Cannes nel 2006 in gara per la Palma d’Oro ricevendo dei consensi ma anche molte critiche. Ad esempio Jean-Michel Frodon, direttore all’epoca dei Cahiers du cinéma, ha apprezzato di Sofia Coppola il “‘genio’ nel ritrarre l’alienazione adolescenziale”. Altri gli hanno invece contestato la lontananza dalla veridicità storica come lo storico francese Jean Tulard che ha definito il film su Le Figaro una “Versailles in salsa Hollywood”. Sofia Coppola in varie interviste ha affermato di non esserne particolarmente amareggiata perché soddisfatta del suo lavoro e di essere riuscita nel suo intento. Il risultato è stato apprezzato anche da Antonia Fraser: “lo adoro, non ha deviato la storia e non ha neanche copiato pedissequamente il libro. È la visione di Sofia di Maria Antonietta, la mia era sulle pagine, la sua è sullo schermo. L’ho apprezzato molto e anche mio marito Harold [Pinter]”. Quest’ultimo ha scritto una lettera personale alla regista: “Se alla fine nessuno apprezzerà il mio lavoro, posso sempre dire che almeno Harold Pinter l’ha fatto!”. Ma questo non si è verificato perché c’è stato grande consenso per questo film anticonformista, un po’ come lo era Maria Antonietta, regina informale e iconoclasta.