di Omar Franini
NC-123
15.08.2022
Lo scorso 13 agosto si è conclusa la settantacinquesima edizione del Festival di Locarno, una delle più antiche manifestazioni cinematografiche in Europa, da sempre, tuttavia, posta in secondo piano rispetto ai grandi nomi come il Festival di Cannes, Venezia e Berlino. Gli ultimi anni hanno mostrato sempre più il divario tra le manifestazioni appena citate e quella di Locarno: la mancata presenza di autori rinomati, il cambio di direzione artistica avvenuto a fine 2018, dopo che Carlo Chatrian è stato nominato direttore della Berlinale, e soprattutto la pandemia, sono stati i fattori che più di tutti hanno giocato un ruolo importante nel declino del festival. L’edizione del 2021 è risultata abbastanza sottotono, con poche opere in programma degne di nota (Vengeance is Mine, All Others Pay Cash di Edwin ed Espíritu Sagrado di Chema García Ibarra) e tanti film dimenticabili. Ci si aspettava un miglioramento nel 2022 e così, fortunatamente, è stato. Il livello della Competizione Internazionale è migliorato e anche le opere che ci hanno convinto meno, contenevano qualche aspetto che ci ha colpito.
Il Pardo d’Oro è stato assegnato a Regra 34 di Julia Murat. Il quinto film della regista brasiliana ha come protagonista Simone, una giovane ragazza di colore che conduce una doppia vita: giorno studia per diventare avvocato d’ufficio, lavorando e impegnandosi per difendere la parte più vulnerabile della società; di notte la ragazza è una cam girl che si esibisce in performance sessuali sempre più spinte. Julia Murat dirige un interessante character study dove è in grado di mettere in luce i problemi contemporanei della società brasiliana per colpa di un regime oppressivo, critica che la stessa regista rivolge direttamente al governo di Jair Bolsonaro e che rimarca durante il suo discorso di premiazione l. Attraverso Simone, il film affronta la visione stereotipata che la maggior parte della popolazione brasiliana, ancora oggi tendente a discriminazioni di tipo razziale, ha nei confronti delle donne di colore. Regra 34 è dunque un’opera politicamente posizionata, non solo ad evidenziare le differenze sociali di una nazione sempre più a destra, ma anche a dare spazio alla sensualità della protagonista Simone. Inoltre bisogna segnalare come Regra 34 sia il secondo film brasiliano a vincere il Pardo d’oro, a distanza di cinquantacinque anni dalla vittoria di Terra em Transe di Glauber Rocha, altro film con una forte impronta politica.
Tengo Sueños Eletricos si è aggiudicato i premi per miglior regia, miglior attore e miglior attrice, una scelta che ci ha lasciato l’amaro in bocca. Il primo lungometraggio di Valentina Maurel esplora il rapporto disfunzionale tra padre e figlia, concentrandosi sul conflitto interiore della ragazza e sui sentimenti contrastanti che prova nei confronti del padre, un uomo spesso aggressivo e dai tratti adolescenziali a seguito del divorzio con la moglie. Nonostante le due buone interpretazioni di Daniela Marin Navarro e Reinaldo Amien nei due ruoli principali, Tengo Sueños Eletricos è un film narrativamente scontato, senza alcuna manovra di sottolivelli interpretativi che offre solamente qualche spunto interessante sul personaggio della figlia Eva sul finale. Tre premi sembrano davvero esagerati, soprattutto se si considera la presenza di opere più meritevoli ed originali che non hanno ricevuto alcun premio.
È di grande orgoglio, al contrario, la vittoria, più che meritata, del Premio Speciale della Giuria del film italiano Gigi La Legge di Alessandro Comodin. Il film segue le vicende di Pierluigi, detto Gigi, vigile del paesino di San Michele al Tagliamento, un comune dove “non succede nulla di strano”. Il ritrovamento di una ragazza morta per suicidio sconvolgerà la monotona routine di Gigi e lo porterà a condurre delle indagini sulla vicenda. Alessandro Comodin si ispira alle vicende reali dello zio, che interpreta il protagonista e confeziona un’opera originale nel suo genere: divertente, malinconica e a tratti onirica, dove lo spettatore rimarrà incantato dal personaggio di Gigi. Tra gli aspetti più entusiasmanti ne troviamo sicuramente due in particolare: il rapporto tra Gigi e una donna di nome Paola, dove Comodin brillantemente costruisce un’aura di mistero dietro a questo personaggio, e le scene girate nella “foresta” casalinga di Gigi, che costituiscono un ambiente visionario che oltre ad essere in netto contrasto con il resto del film, trasporta lo spettatore all’interno del mondo tormentato del protagonista.
Sermon to the Fish di Hilal Baydarov è il capitolo conclusivo della trilogia su Davut, un giovane ragazzo azerbaigiano. Il primo film, In Between Dying era focalizzato sulla costante ricerca dell’amore del protagonista, di una connessione, di un legame che lo possa unirelegarlo alle persone che egli incontra lungo ilnel suo cammino. Il dolore provato da Davut e i fantasmi del passato, quello dei genitori nello specifico, erano invece al centro del secondo film, Crane of the Latern, un ritratto complesso sul vuoto esistenziale del protagonista. Sermon to the Fish si presentaè, invece, come l’opera più nichilista di Baydarov. Tornato nel suo villaggio d’origine dopo la guerra, Davut si ritrova in una landa desolata, dove l’unica persona che continua a vivere, o meglio, a sopravvivere, è la sorella. Questa non vuole e non riesce a lasciare il paese dove ha sempre vissuto, terra ormai inabitabile a causa del costante inquinamento e che ha privato la popolazione di una delle risorse più importanti, il pesce. Davut, in un primo momento, fatica a capire la decisione della sorella ma nel corso del film, comprenderà le motivazioni dietro a questa scelta e verrà sempre più trasportato dal vuoto esistenziale dell’unica persona che gli è rimasta a fianco. La potenza visiva delle immagini, il ritmo solenne e l’uso impeccabile del tableaux vivants sono tutti elementi che contraddistinguono il cinema di Baydarov e ancora una volta, il regista impressiona lo spettatoreci ha impressionato. C’è una sequenza nello specifico che ricorderemo a lungo:; la sorella porta a casa un pesce morto a causa dell’inquinamento, e per mostrare la gravità della situazione a Davut, inizia a dare fuoco al pesce, che in poco tempo creerà un focolare a causa delle reazioni chimiche con il petrolio. I due fratelli rimangono impassibili, in silenzio, mentre osservano questo evento. Una scena dal forte impatto che racchiude quella sensazione di desolazione nei due personaggi.
“Tutto verrà dimenticato e ricomincerà di nuovo.” Dopo sette anni dal suo ultimo film, il grande autore Aleksandr Sokurov presenta a Locarno Fairitayle, un’opera ambiziosa e sperimentale dove il regista mostra ipotetiche conversazioni tra Hitler, Stalin, Mussolini, Churchill, Napoleone e Gesù mentre si trovano in un limbo tra paradiso e inferno. Sokurov analizza le dinamiche politiche tra questi personaggi e mostra come la società continuerà a creare queste figure dittatoriali (con un chiaro riferimento a Putin). Nonostante la complessità dei temi affrontatie tematiche “complesse” mostrate, Sokurov è in grado di implementare un tono sarcastico per mettere in risalto le diverse ideologie dei personaggi. Fairytale è un’opera intrigante che merita più visioni per essere apprezzata al meglio.
Tommy Guns di Carlos Conceição è stata una delle grandi sorprese del Festival. L’opera seconda del regista portoghese è un’analisi sofisticata e surrealista del mondo coloniale e della tirannia portoghese in Angola. Ambientato nel 1974, un anno prima dell’indipendenza dello stato dal Portogallo, il film segue le vicende di un gruppo di soldati che sono estraniati dal mondo, vivono rinchiusi in una base militare e devono seguire gli ordini brutali dei superiori. Questi giovani ragazzi conoscono solo questo mondo di violenza e oppressione, non sanno cos'è l’amore e hanno perso anche la propria identità. Conceição porta sullo schermo un film ambizioso che ricorda la disintegrazione coloniale di White Material di Claire Denis, ma in chiave surrealista. IInfatti, il regista, infatti, utilizza una narrativa non lineare e alcuni elementi del genere soprannaturale per creare una forte allegoria tra il passato e il presente. Tommy Guns è un film immersivo e radicale, che meritava di vincere il premio alla regia, Carlos Conceição è un cineasta da tenere sott’occhio negli anni a venire e non ci stupirebbe vedere il suo prossimo film ad un festival più prestigioso.
Stella est Amoreuse di Sylvye Verheyde è uno dei pochi film che ci ha deluso, un coming of age francese ambientato negli anni ‘80 dalle ambientazioni anonime e dall’andamento piuttosto piatto. Stella è una ragazza che si sta diplomando al liceo, ma invece di studiare e prepararsi per l’esame finale, preferisce passare le sue serate al Baines Douches, un locale parigino, dove conosce André, ragazzo da cui si sentirà attratta fin da subito. Il film mostra questa particolare fase nella vita della protagonista e i rapporti conflittuali con i suoi genitori e i suoi amici. Sylvye Verheyde cerca di dimostrare e giustificare il comportamento ribelle della ragazza, ma il risultato finale è un film che non ha nulla di originale o innovativo da aggiungere all’argomento. Le sequenze al locale parigino sono ben girate, la colonna sonora coinvolgente e che riporta il pubblico agli anni ‘80 e l’interpretazione di Flavie Delangle è notevole, la giovane attrice, infatti, riesce perfettamente a mostrare, nella sua complessità emotiva e fisica, il difficile periodo di transizione della ragazza. Tuttavia, questi elementi non sono in grado di salvare un film che verrà condotto nel dimenticatoio dall'ineluttabile corso del tempo. dimenticatoio.
Mahesh Narayanan è un regista indiano che proviene dal Malayalam, regione situata a sud della Nazione e luogo dove ha ambientato ogni suo film. A Locarno ha presentato Declaration, un dramma che ricorda vagamente il cinema di Asghar Farhadi per le temi affrontati e che si focalizza su una coppia sposata, la cui esistenza viene stravolta dopo che un video manipolatorio viene rilasciato nella fabbrica in cui lavorano. Il regista Mahesh Narayan prova ad affrontare diverse tematiche, tra cui la gerarchia e le classi sociali in India, un’indagine procedurale sull’industria, il dramma interno tra la coppia e anche il periodo della pandemia, ma la sceneggiatura non è in grado di approfondire ognuna di esse nel dettaglio.
Un altro film socialmente impegnato è Stone Turtle, in cui Ming Jin Woo ha cercato di incentrarsi di più sul cinema di genere. Tra realismo magico e revenge story, il film racconta la storia di Zahara, ragazza che vive su un’isola remota della Malaysia che sta progettando un futuro migliore per sua nipote, lontano dall’isola e più vicino alla società. Per fare ciò, la ragazza inizia a vendere uova di una specie rara di tartarughe, attirando anche le attenzioni di Samad, ragazzo che dice di essere un ricercatore universitario. Il film, che ha una struttura che richiama Groundhog Day (1994 di Harold Ramis), si concentra molto su l'intrattenimento del pubblico ma lascia così marginalizzato il tentativo di costruire una critica sulle tematiche sociali da esso evidenziate, pertanto, un maggiore focus sull’elemento mistico legato alla storia di Zahara e al suo territorio avrebbe giovato maggiormente all’intento ultimo dell’opera.Una delle opere più divisive della Competizione Internazionale è stata Bowling Saturne di Patricia Mauzy, thriller a sfumature pulp che analizza il rapporto tra due fratelli che si ritrovano a gestire il bowling lasciatogli in eredità dal padre. Il film ha fatto parlare di sé soprattutto per una scena abbastanza controversa di violenza e stupro nei confronti di una donna. La scena può sembrare sadica e di cattivo gusto ad un primo impatto, ma costruire il cuore fondamentale del film:la regista vuole, infatti, mostrare in modo realistico la psiche malata e la rabbia repressa dell’uomo. L’opera, che riteniamo valga la pena vedere nella sua interezza sapendo meno dettagli possibili, non lascerà indifferenti. Patricia Mauzy utilizza un approccio provocatorio per analizzare la figura tossica del maschio. L’uomo è feroce e spietato, l’uomo è cacciatore ed è sempre in cerca di una preda, è questo il messaggio del film e la regista non si nasconde dal mostrarlo.
Human Flowers of Flesh è l’altro film che ha diviso l’opinione pubblica. L’opera seconda di Helena Wittman ha come protagonista Ida, una donna indipendente che vive e viaggia costantemente in barca con un equipaggio di cinque uomini. Il viaggio di Ida sembra senza destinazione fino a quando un giorno rimane affascinata dal mito della Legione Straniera francese e decide di dirigersi verso il quartier generale di Sidi Bel Abbès. La parte migliore del film è sicuramente l’approdo di Ida a Sidi Bel Abbès e l’incontro con un vecchio legionario, interpretato da Denis Lavant che riprende uno dei suoi ruoli più iconici, cioè quello dell’ufficiale Galoup in Beau Travail di Claire Denis.Il ritmo lento e la mancanza di uno sviluppo narrativo potrebbe mettere a dura prova la pazienza dello spettatore ed estraniarlo dalla visione; c’è, invece come noi, che rimarrebbe affascinato ed ipnotizzato dalle immagini che la Wittman ha voluto portare sul grande schermo.
Tutto sommato, possiamo affermare che la 75a edizione del Festival di Locarno è stata di buon livello, qualitativamente e artisticamente apprezzabile. Il festival, infatti, dopo una fase di stallo durata alcuni anno, sembra abbia ritrovato la propria identità, dando l’occasione a nuovi registi emergenti di mettersi in mostra, come Carlos Conceição, offrendo però anche un palcoscenico ad autori affermati che spesso vengono snobbati dai grandi festival europei o lasciati ai margini di quest’ultimi, come Aleksandr Sokurov, Hilal Baydarov o Patricia Mauzy.
di Omar Franini
NC-123
15.08.2022
Lo scorso 13 agosto si è conclusa la settantacinquesima edizione del Festival di Locarno, una delle più antiche manifestazioni cinematografiche in Europa, da sempre, tuttavia, posta in secondo piano rispetto ai grandi nomi come il Festival di Cannes, Venezia e Berlino. Gli ultimi anni hanno mostrato sempre più il divario tra le manifestazioni appena citate e quella di Locarno: la mancata presenza di autori rinomati, il cambio di direzione artistica avvenuto a fine 2018, dopo che Carlo Chatrian è stato nominato direttore della Berlinale, e soprattutto la pandemia, sono stati i fattori che più di tutti hanno giocato un ruolo importante nel declino del festival. L’edizione del 2021 è risultata abbastanza sottotono, con poche opere in programma degne di nota (Vengeance is Mine, All Others Pay Cash di Edwin ed Espíritu Sagrado di Chema García Ibarra) e tanti film dimenticabili. Ci si aspettava un miglioramento nel 2022 e così, fortunatamente, è stato. Il livello della Competizione Internazionale è migliorato e anche le opere che ci hanno convinto meno, contenevano qualche aspetto che ci ha colpito.
Il Pardo d’Oro è stato assegnato a Regra 34 di Julia Murat. Il quinto film della regista brasiliana ha come protagonista Simone, una giovane ragazza di colore che conduce una doppia vita: giorno studia per diventare avvocato d’ufficio, lavorando e impegnandosi per difendere la parte più vulnerabile della società; di notte la ragazza è una cam girl che si esibisce in performance sessuali sempre più spinte. Julia Murat dirige un interessante character study dove è in grado di mettere in luce i problemi contemporanei della società brasiliana per colpa di un regime oppressivo, critica che la stessa regista rivolge direttamente al governo di Jair Bolsonaro e che rimarca durante il suo discorso di premiazione l. Attraverso Simone, il film affronta la visione stereotipata che la maggior parte della popolazione brasiliana, ancora oggi tendente a discriminazioni di tipo razziale, ha nei confronti delle donne di colore. Regra 34 è dunque un’opera politicamente posizionata, non solo ad evidenziare le differenze sociali di una nazione sempre più a destra, ma anche a dare spazio alla sensualità della protagonista Simone. Inoltre bisogna segnalare come Regra 34 sia il secondo film brasiliano a vincere il Pardo d’oro, a distanza di cinquantacinque anni dalla vittoria di Terra em Transe di Glauber Rocha, altro film con una forte impronta politica.
Tengo Sueños Eletricos si è aggiudicato i premi per miglior regia, miglior attore e miglior attrice, una scelta che ci ha lasciato l’amaro in bocca. Il primo lungometraggio di Valentina Maurel esplora il rapporto disfunzionale tra padre e figlia, concentrandosi sul conflitto interiore della ragazza e sui sentimenti contrastanti che prova nei confronti del padre, un uomo spesso aggressivo e dai tratti adolescenziali a seguito del divorzio con la moglie. Nonostante le due buone interpretazioni di Daniela Marin Navarro e Reinaldo Amien nei due ruoli principali, Tengo Sueños Eletricos è un film narrativamente scontato, senza alcuna manovra di sottolivelli interpretativi che offre solamente qualche spunto interessante sul personaggio della figlia Eva sul finale. Tre premi sembrano davvero esagerati, soprattutto se si considera la presenza di opere più meritevoli ed originali che non hanno ricevuto alcun premio.
È di grande orgoglio, al contrario, la vittoria, più che meritata, del Premio Speciale della Giuria del film italiano Gigi La Legge di Alessandro Comodin. Il film segue le vicende di Pierluigi, detto Gigi, vigile del paesino di San Michele al Tagliamento, un comune dove “non succede nulla di strano”. Il ritrovamento di una ragazza morta per suicidio sconvolgerà la monotona routine di Gigi e lo porterà a condurre delle indagini sulla vicenda. Alessandro Comodin si ispira alle vicende reali dello zio, che interpreta il protagonista e confeziona un’opera originale nel suo genere: divertente, malinconica e a tratti onirica, dove lo spettatore rimarrà incantato dal personaggio di Gigi. Tra gli aspetti più entusiasmanti ne troviamo sicuramente due in particolare: il rapporto tra Gigi e una donna di nome Paola, dove Comodin brillantemente costruisce un’aura di mistero dietro a questo personaggio, e le scene girate nella “foresta” casalinga di Gigi, che costituiscono un ambiente visionario che oltre ad essere in netto contrasto con il resto del film, trasporta lo spettatore all’interno del mondo tormentato del protagonista.
Sermon to the Fish di Hilal Baydarov è il capitolo conclusivo della trilogia su Davut, un giovane ragazzo azerbaigiano. Il primo film, In Between Dying era focalizzato sulla costante ricerca dell’amore del protagonista, di una connessione, di un legame che lo possa unirelegarlo alle persone che egli incontra lungo ilnel suo cammino. Il dolore provato da Davut e i fantasmi del passato, quello dei genitori nello specifico, erano invece al centro del secondo film, Crane of the Latern, un ritratto complesso sul vuoto esistenziale del protagonista. Sermon to the Fish si presentaè, invece, come l’opera più nichilista di Baydarov. Tornato nel suo villaggio d’origine dopo la guerra, Davut si ritrova in una landa desolata, dove l’unica persona che continua a vivere, o meglio, a sopravvivere, è la sorella. Questa non vuole e non riesce a lasciare il paese dove ha sempre vissuto, terra ormai inabitabile a causa del costante inquinamento e che ha privato la popolazione di una delle risorse più importanti, il pesce. Davut, in un primo momento, fatica a capire la decisione della sorella ma nel corso del film, comprenderà le motivazioni dietro a questa scelta e verrà sempre più trasportato dal vuoto esistenziale dell’unica persona che gli è rimasta a fianco. La potenza visiva delle immagini, il ritmo solenne e l’uso impeccabile del tableaux vivants sono tutti elementi che contraddistinguono il cinema di Baydarov e ancora una volta, il regista impressiona lo spettatoreci ha impressionato. C’è una sequenza nello specifico che ricorderemo a lungo:; la sorella porta a casa un pesce morto a causa dell’inquinamento, e per mostrare la gravità della situazione a Davut, inizia a dare fuoco al pesce, che in poco tempo creerà un focolare a causa delle reazioni chimiche con il petrolio. I due fratelli rimangono impassibili, in silenzio, mentre osservano questo evento. Una scena dal forte impatto che racchiude quella sensazione di desolazione nei due personaggi.
“Tutto verrà dimenticato e ricomincerà di nuovo.” Dopo sette anni dal suo ultimo film, il grande autore Aleksandr Sokurov presenta a Locarno Fairitayle, un’opera ambiziosa e sperimentale dove il regista mostra ipotetiche conversazioni tra Hitler, Stalin, Mussolini, Churchill, Napoleone e Gesù mentre si trovano in un limbo tra paradiso e inferno. Sokurov analizza le dinamiche politiche tra questi personaggi e mostra come la società continuerà a creare queste figure dittatoriali (con un chiaro riferimento a Putin). Nonostante la complessità dei temi affrontatie tematiche “complesse” mostrate, Sokurov è in grado di implementare un tono sarcastico per mettere in risalto le diverse ideologie dei personaggi. Fairytale è un’opera intrigante che merita più visioni per essere apprezzata al meglio.
Tommy Guns di Carlos Conceição è stata una delle grandi sorprese del Festival. L’opera seconda del regista portoghese è un’analisi sofisticata e surrealista del mondo coloniale e della tirannia portoghese in Angola. Ambientato nel 1974, un anno prima dell’indipendenza dello stato dal Portogallo, il film segue le vicende di un gruppo di soldati che sono estraniati dal mondo, vivono rinchiusi in una base militare e devono seguire gli ordini brutali dei superiori. Questi giovani ragazzi conoscono solo questo mondo di violenza e oppressione, non sanno cos'è l’amore e hanno perso anche la propria identità. Conceição porta sullo schermo un film ambizioso che ricorda la disintegrazione coloniale di White Material di Claire Denis, ma in chiave surrealista. IInfatti, il regista, infatti, utilizza una narrativa non lineare e alcuni elementi del genere soprannaturale per creare una forte allegoria tra il passato e il presente. Tommy Guns è un film immersivo e radicale, che meritava di vincere il premio alla regia, Carlos Conceição è un cineasta da tenere sott’occhio negli anni a venire e non ci stupirebbe vedere il suo prossimo film ad un festival più prestigioso.
Stella est Amoreuse di Sylvye Verheyde è uno dei pochi film che ci ha deluso, un coming of age francese ambientato negli anni ‘80 dalle ambientazioni anonime e dall’andamento piuttosto piatto. Stella è una ragazza che si sta diplomando al liceo, ma invece di studiare e prepararsi per l’esame finale, preferisce passare le sue serate al Baines Douches, un locale parigino, dove conosce André, ragazzo da cui si sentirà attratta fin da subito. Il film mostra questa particolare fase nella vita della protagonista e i rapporti conflittuali con i suoi genitori e i suoi amici. Sylvye Verheyde cerca di dimostrare e giustificare il comportamento ribelle della ragazza, ma il risultato finale è un film che non ha nulla di originale o innovativo da aggiungere all’argomento. Le sequenze al locale parigino sono ben girate, la colonna sonora coinvolgente e che riporta il pubblico agli anni ‘80 e l’interpretazione di Flavie Delangle è notevole, la giovane attrice, infatti, riesce perfettamente a mostrare, nella sua complessità emotiva e fisica, il difficile periodo di transizione della ragazza. Tuttavia, questi elementi non sono in grado di salvare un film che verrà condotto nel dimenticatoio dall'ineluttabile corso del tempo. dimenticatoio.
Mahesh Narayanan è un regista indiano che proviene dal Malayalam, regione situata a sud della Nazione e luogo dove ha ambientato ogni suo film. A Locarno ha presentato Declaration, un dramma che ricorda vagamente il cinema di Asghar Farhadi per le temi affrontati e che si focalizza su una coppia sposata, la cui esistenza viene stravolta dopo che un video manipolatorio viene rilasciato nella fabbrica in cui lavorano. Il regista Mahesh Narayan prova ad affrontare diverse tematiche, tra cui la gerarchia e le classi sociali in India, un’indagine procedurale sull’industria, il dramma interno tra la coppia e anche il periodo della pandemia, ma la sceneggiatura non è in grado di approfondire ognuna di esse nel dettaglio.
Un altro film socialmente impegnato è Stone Turtle, in cui Ming Jin Woo ha cercato di incentrarsi di più sul cinema di genere. Tra realismo magico e revenge story, il film racconta la storia di Zahara, ragazza che vive su un’isola remota della Malaysia che sta progettando un futuro migliore per sua nipote, lontano dall’isola e più vicino alla società. Per fare ciò, la ragazza inizia a vendere uova di una specie rara di tartarughe, attirando anche le attenzioni di Samad, ragazzo che dice di essere un ricercatore universitario. Il film, che ha una struttura che richiama Groundhog Day (1994 di Harold Ramis), si concentra molto su l'intrattenimento del pubblico ma lascia così marginalizzato il tentativo di costruire una critica sulle tematiche sociali da esso evidenziate, pertanto, un maggiore focus sull’elemento mistico legato alla storia di Zahara e al suo territorio avrebbe giovato maggiormente all’intento ultimo dell’opera.Una delle opere più divisive della Competizione Internazionale è stata Bowling Saturne di Patricia Mauzy, thriller a sfumature pulp che analizza il rapporto tra due fratelli che si ritrovano a gestire il bowling lasciatogli in eredità dal padre. Il film ha fatto parlare di sé soprattutto per una scena abbastanza controversa di violenza e stupro nei confronti di una donna. La scena può sembrare sadica e di cattivo gusto ad un primo impatto, ma costruire il cuore fondamentale del film:la regista vuole, infatti, mostrare in modo realistico la psiche malata e la rabbia repressa dell’uomo. L’opera, che riteniamo valga la pena vedere nella sua interezza sapendo meno dettagli possibili, non lascerà indifferenti. Patricia Mauzy utilizza un approccio provocatorio per analizzare la figura tossica del maschio. L’uomo è feroce e spietato, l’uomo è cacciatore ed è sempre in cerca di una preda, è questo il messaggio del film e la regista non si nasconde dal mostrarlo.
Human Flowers of Flesh è l’altro film che ha diviso l’opinione pubblica. L’opera seconda di Helena Wittman ha come protagonista Ida, una donna indipendente che vive e viaggia costantemente in barca con un equipaggio di cinque uomini. Il viaggio di Ida sembra senza destinazione fino a quando un giorno rimane affascinata dal mito della Legione Straniera francese e decide di dirigersi verso il quartier generale di Sidi Bel Abbès. La parte migliore del film è sicuramente l’approdo di Ida a Sidi Bel Abbès e l’incontro con un vecchio legionario, interpretato da Denis Lavant che riprende uno dei suoi ruoli più iconici, cioè quello dell’ufficiale Galoup in Beau Travail di Claire Denis.Il ritmo lento e la mancanza di uno sviluppo narrativo potrebbe mettere a dura prova la pazienza dello spettatore ed estraniarlo dalla visione; c’è, invece come noi, che rimarrebbe affascinato ed ipnotizzato dalle immagini che la Wittman ha voluto portare sul grande schermo.
Tutto sommato, possiamo affermare che la 75a edizione del Festival di Locarno è stata di buon livello, qualitativamente e artisticamente apprezzabile. Il festival, infatti, dopo una fase di stallo durata alcuni anno, sembra abbia ritrovato la propria identità, dando l’occasione a nuovi registi emergenti di mettersi in mostra, come Carlos Conceição, offrendo però anche un palcoscenico ad autori affermati che spesso vengono snobbati dai grandi festival europei o lasciati ai margini di quest’ultimi, come Aleksandr Sokurov, Hilal Baydarov o Patricia Mauzy.