INT-19
25.01.2023
Il nome di Veerle Baetens potrebbe risultare sconosciuto a molti, forse perché la maggior parte dei progetti a cui ha preso parte l’attrice belga non sono stati mai distribuiti in Italia. Un gran peccato visto che Veerle Baetens, nel 2012, ha vinto l’ambito European Film Award nella categoria di miglior attrice per Alabama Monroe di Felix Van Groeningen. Dopo una carriera ventennale nell’ambito recitativo, la Baetens ha deciso di intraprendere una nuova sfida, ovvero dirigere un film. Così, dopo una lunga lavorazione, è riuscita a completare la sua opera prima: When It Melts, adattamento di un romanzo di gran successo. Il film racconta la tragica storia di Eva, una donna solitaria sulla trentina che fatica a stringere rapporti umani a causa di un evento traumatico che la perseguita sin dall’adolescenza. Veerle Baetens dirige un film inteso e commovente dove riesce ad adattare egregiamente la struttura enigmatica del romanzo. Enigmatica perché lo spettatore si trova davanti ad una storia dove solo verso il finale si riusciranno a capire le motivazioni dietro al comportamento discutibile della protagonista. Il film, come il romanzo, segue sia la versione adulta che quella adolescente di Eva e la regista è riuscita a creare un equilibrio, dal punto di vista emotivo e narrativo, davvero impressionante. Bisogna anche citare le due, magnetiche, interpretazioni delle protagoniste: Charlotte de Bruyne - vista di recente nel film Tori e Lokita dei fratelli Dardenne - e della giovane Rose Marchant, capaci di trasmettere la complessa condizione emotiva del personaggio principale.
Dopo la premiere al Sundance Film Festival, abbiamo avuto l’enorme piacere di chiacchierare con Veerle Baetens e di parlare con lei del suo approccio come regista e della complessa lavorazione di When It Melts.
Al giorno d’oggi vediamo sempre più attori fare questa sorta di transizione tra recitazione e regia, quindi volevo chiederti se avessi sempre avuto il desiderio di girare un film.
Quando avevo 18 anni non sapevo ancora cosa volevo fare, ero andata ad un open day in una scuola di regia a Bruxelles ed ero rimasta affascinata . In quello stesso periodo avevo dato anche un esame per essere ammessa, era sul teatro però e più nello specifico sui musical. Avevo passato l’esame e quindi avevo scelto di intraprendere il percorso della recitazione. Ma ho sempre avuto quel desiderio di creare qualcosa dal nulla e di essere impegnata con delle storie originali. Dopo aver recitato per più di venti anni, questo desiderio è sempre rimasto, voglio essere presente sin dall’inizio della lavorazione di un film e costruire qualcosa di speciale. Desidero essere coinvolta nella storia e nello sviluppo di una pellicola. Ogni volta che leggo un copione per un ruolo che devo preparare, voglio sempre dire la mia sulla sceneggiatura e dare anche qualche input, e se un regista non mi ascolta… mi sento insultata! (la regista scoppia a ridere, n.d.r.)
Concordo appieno con te, infatti chiedo spesso ai registi quanta «libertà» concedono ad un attore.
Il punto è che gli attori hanno menti inventive e certi autori dovrebbero coinvolgerli di più dal punto di vista creativo. Anche perché anche loro devono «raccontare» una storia attraverso il proprio ruolo. Si ha la sceneggiatura certo, ma durante le riprese, è come se regista e attori stessero riscrivendo quella sceneggiatura. Poi c’è anche il processo di montaggio, dove si riscrive la storia ancora una volta, ma attraverso le immagini. È per questo che alcune volte mi sono trovata a pensare «Aah! Voglio farlo anche io, voglio raccontare la mia storia!». Ovviamente questo film non è una mia storia originale, ma avrai capito quello che intendo.
When It Melts infatti è l’adattamento di un romanzo che ha avuto un enorme successo in Belgio: Het Smelt di Liza Spit. L’autrice ha scritto anche la sceneggiatura e visto quello che hai detto, volevo chiederti com’è stato collaborare con lei.
Abbiamo avuto diverse conversazioni mentre stava scrivendo la sceneggiatura, è sempre stata gentile e aperta ai suggerimenti. Ho fatto lo stesso con lei in fase di montaggio, le ho mostrato una delle ultime versioni del film e mi ha dato qualche consiglio su diverse scene. È stata fondamentale, sempre presente, ma soprattutto mi ha concesso molta creatività. Sono rimasta molto soddisfatta da questa collaborazione.
E perché hai scelto di adattare questo romanzo?
Era «un’offerta che non potevo rifiutare» (la regista ride citando una celebre frase da Il Padrino, n.d.r.). A parte gli scherzi, un produttore aveva comprato i diritti del libro e mi aveva detto che avrei potuto fare un buon lavoro. Quando l’ho letto mi sono davvero emozionata e sentivo una certa connessione con le due versioni di Eva, ma ero rimasta molto intrigata dall’enigma, dal mistero dietro a questo personaggio. Ho subito pensato che avevo tutti gli ingredienti per fare un film intenso, toccante, ma soprattutto creare qualcosa dove il pubblico non riesce a comprendere le motivazioni dietro a certe scene fino alla parte finale.
Questo aspetto intrigante e misterioso del personaggio di Eva adulta è anche messo in risalto dalla convincente interpretazione di Charlotte De Bruyne. È riuscita a creare questo «enigma» e a trasmettere così tante emozioni attraverso i vari sguardi e i momenti di silenzio.
Esatto, avevo bisogno di un’attrice brava come Charlotte. Nel film ci sono molti momenti di silenzio e la buona riuscita di certe scene dipendeva solo da lei. Attraverso il suo sguardo e i suoi occhi, Charlotte ha comunicato perfettamente lo stato melanconico e enigmatico di Eva. Sono stata più che soddisfatta di Charlotte.
E quale è stato il tuo approccio con gli attori? Gli hai concesso quella «libertà creativa» che citavi prima?
È un discorso complesso, non si poteva improvvisare molto con questa sceneggiatura, ma Charlotte ha dato lo stesso il suo contributo. Nella sequenza dove Eva parla con la sorella ad esempio, le ho dato poche indicazioni, solo gli «ingredienti» essenziali per fare la scena, e lei ha fatto il resto. Con i bambini è stato diverso, abbiamo dovuto educarli e prepararli bene prima del film. E per loro improvvisare è stato molto difficile, a questa età sono abituati ad ascoltare i genitori e gli insegnanti a scuola. Non sto dicendo che non sono capaci o altro, questi ragazzi erano al loro primo ruolo e si distraevano facilmente. Mi piace quando un attore vuole improvvisare, e ricreare o riformulare certe frasi può essere davvero utile per lui, ma con loro forse sarebbe stato chiedere troppo.
Posso dedurre che dirigere questi ragazzi sia stata la sfida più impegnativa in questo film.
A dire il vero no, l’aspetto più impegnativo ha forse riguardato la versione adulta di Eva, nel libro è un personaggio molto passivo, ha tutti questi monologhi interni e ti trovi a leggere costantemente i suoi pensieri. La sfida maggiore è stata adattare sullo schermo questi attimi. Inoltre è stato difficile provare a costruire una certa empatia verso questo personaggio, anche perché è una persona solitaria che vive costantemente nel silenzio. È stato anche difficile creare una connessione tra le due versioni di Eva, soprattutto in fase di montaggio. Dovevo riuscire a connettere il presente e il passato di questa donna e creare un’unica Eva, dove lo spettatore può provare la stessa empatia per entrambe le versioni. Spero tu mi abbia capito.
Si certo, anzi, credo che tu e il montatore abbiate fatto un ottimo lavoro, soprattutto nel modo in cui sovrapponete le due storie e più nello specifico nelle scene di transizione tra passato e presente.
Devo ammettere che la prima versione del film che avevamo montato era terribile (la regista ride, n.d.r.). Se non sbaglio, Scorsese aveva detto che la prima versione del film che monti è la più bella, poi arrivano i problemi. È stata una fase lunga il montaggio, più che altro perché alcune transizioni non funzionavano propriamente con il film. È stato un va et viant, inserivamo e toglievamo scene di continuo, dovevamo trovare il giusto ritmo. Sapevamo che il filo conduttore della storia era lo stato emotivo di Eva e quel crescendo di emozioni che avviene nella versione teenager. Vorrei entrare di più nel dettaglio, ma sarebbe un discorso troppo lungo (la regista ride, n.d.r.). La fase di montaggio è stata davvero lunga.
Dovevate creare il giusto equilibrio tra le due versioni di Eva e, avendo già visto il film due volte, credo che ci siate riusciti.
Davvero? Hai già visto il film due volte? Wow! Ora ti faccio io le domande però. Cosa ne hai pensato ad una seconda visione?
Mi è piaciuto ancora di più perché sapevo già il twist, se così posso definirlo, che riguardava la protagonista. Certe scene acquisiscono un impatto maggiore, ad esempio la scena dell’appuntamento di Eva adulta o anche la sequenza con la sorella e i genitori.
Ottimo! Mi fa davvero piacere.
E cosa dobbiamo aspettarci da Veerle Baetens nel prossimo futuro? Continuerai la carriera da regista o tornerai a recitare?
Mi piacerebbe continuare a fare entrambe le cose. Ho fatto di recente un provino per un ruolo e sto ancora aspettando una risposta. Mentre per quanto riguarda la regia, sto cercando di adattare questa pièce teatrale inglese, sono ancora alle fasi iniziali, ma sono sicura che questo sarà il mio secondo film.
E come è stato presentare il film e mostrarlo per la prima volta ad un pubblico?
Ero molto agitata e nervosa. Non ho dormito per niente bene la settimana scorsa, ma credo sia una cosa normale (la regista ride, n.d.r.). Qualche settimana fa ho fatto vedere il lungometraggio finito a tutta la crew, c’era un’atmosfera intensa ma la reazione generale é stata positiva. Ci siamo impegnati duramente perché volevamo creare un film che potesse trasmettere un forte messaggio allo spettatore.
INT-19
25.01.2023
Il nome di Veerle Baetens potrebbe risultare sconosciuto a molti, forse perché la maggior parte dei progetti a cui ha preso parte l’attrice belga non sono stati mai distribuiti in Italia. Un gran peccato visto che Veerle Baetens, nel 2012, ha vinto l’ambito European Film Award nella categoria di miglior attrice per Alabama Monroe di Felix Van Groeningen. Dopo una carriera ventennale nell’ambito recitativo, la Baetens ha deciso di intraprendere una nuova sfida, ovvero dirigere un film. Così, dopo una lunga lavorazione, è riuscita a completare la sua opera prima: When It Melts, adattamento di un romanzo di gran successo. Il film racconta la tragica storia di Eva, una donna solitaria sulla trentina che fatica a stringere rapporti umani a causa di un evento traumatico che la perseguita sin dall’adolescenza. Veerle Baetens dirige un film inteso e commovente dove riesce ad adattare egregiamente la struttura enigmatica del romanzo. Enigmatica perché lo spettatore si trova davanti ad una storia dove solo verso il finale si riusciranno a capire le motivazioni dietro al comportamento discutibile della protagonista. Il film, come il romanzo, segue sia la versione adulta che quella adolescente di Eva e la regista è riuscita a creare un equilibrio, dal punto di vista emotivo e narrativo, davvero impressionante. Bisogna anche citare le due, magnetiche, interpretazioni delle protagoniste: Charlotte de Bruyne - vista di recente nel film Tori e Lokita dei fratelli Dardenne - e della giovane Rose Marchant, capaci di trasmettere la complessa condizione emotiva del personaggio principale.
Dopo la premiere al Sundance Film Festival, abbiamo avuto l’enorme piacere di chiacchierare con Veerle Baetens e di parlare con lei del suo approccio come regista e della complessa lavorazione di When It Melts.
Al giorno d’oggi vediamo sempre più attori fare questa sorta di transizione tra recitazione e regia, quindi volevo chiederti se avessi sempre avuto il desiderio di girare un film.
Quando avevo 18 anni non sapevo ancora cosa volevo fare, ero andata ad un open day in una scuola di regia a Bruxelles ed ero rimasta affascinata . In quello stesso periodo avevo dato anche un esame per essere ammessa, era sul teatro però e più nello specifico sui musical. Avevo passato l’esame e quindi avevo scelto di intraprendere il percorso della recitazione. Ma ho sempre avuto quel desiderio di creare qualcosa dal nulla e di essere impegnata con delle storie originali. Dopo aver recitato per più di venti anni, questo desiderio è sempre rimasto, voglio essere presente sin dall’inizio della lavorazione di un film e costruire qualcosa di speciale. Desidero essere coinvolta nella storia e nello sviluppo di una pellicola. Ogni volta che leggo un copione per un ruolo che devo preparare, voglio sempre dire la mia sulla sceneggiatura e dare anche qualche input, e se un regista non mi ascolta… mi sento insultata! (la regista scoppia a ridere, n.d.r.)
Concordo appieno con te, infatti chiedo spesso ai registi quanta «libertà» concedono ad un attore.
Il punto è che gli attori hanno menti inventive e certi autori dovrebbero coinvolgerli di più dal punto di vista creativo. Anche perché anche loro devono «raccontare» una storia attraverso il proprio ruolo. Si ha la sceneggiatura certo, ma durante le riprese, è come se regista e attori stessero riscrivendo quella sceneggiatura. Poi c’è anche il processo di montaggio, dove si riscrive la storia ancora una volta, ma attraverso le immagini. È per questo che alcune volte mi sono trovata a pensare «Aah! Voglio farlo anche io, voglio raccontare la mia storia!». Ovviamente questo film non è una mia storia originale, ma avrai capito quello che intendo.
When It Melts infatti è l’adattamento di un romanzo che ha avuto un enorme successo in Belgio: Het Smelt di Liza Spit. L’autrice ha scritto anche la sceneggiatura e visto quello che hai detto, volevo chiederti com’è stato collaborare con lei.
Abbiamo avuto diverse conversazioni mentre stava scrivendo la sceneggiatura, è sempre stata gentile e aperta ai suggerimenti. Ho fatto lo stesso con lei in fase di montaggio, le ho mostrato una delle ultime versioni del film e mi ha dato qualche consiglio su diverse scene. È stata fondamentale, sempre presente, ma soprattutto mi ha concesso molta creatività. Sono rimasta molto soddisfatta da questa collaborazione.
E perché hai scelto di adattare questo romanzo?
Era «un’offerta che non potevo rifiutare» (la regista ride citando una celebre frase da Il Padrino, n.d.r.). A parte gli scherzi, un produttore aveva comprato i diritti del libro e mi aveva detto che avrei potuto fare un buon lavoro. Quando l’ho letto mi sono davvero emozionata e sentivo una certa connessione con le due versioni di Eva, ma ero rimasta molto intrigata dall’enigma, dal mistero dietro a questo personaggio. Ho subito pensato che avevo tutti gli ingredienti per fare un film intenso, toccante, ma soprattutto creare qualcosa dove il pubblico non riesce a comprendere le motivazioni dietro a certe scene fino alla parte finale.
Questo aspetto intrigante e misterioso del personaggio di Eva adulta è anche messo in risalto dalla convincente interpretazione di Charlotte De Bruyne. È riuscita a creare questo «enigma» e a trasmettere così tante emozioni attraverso i vari sguardi e i momenti di silenzio.
Esatto, avevo bisogno di un’attrice brava come Charlotte. Nel film ci sono molti momenti di silenzio e la buona riuscita di certe scene dipendeva solo da lei. Attraverso il suo sguardo e i suoi occhi, Charlotte ha comunicato perfettamente lo stato melanconico e enigmatico di Eva. Sono stata più che soddisfatta di Charlotte.
E quale è stato il tuo approccio con gli attori? Gli hai concesso quella «libertà creativa» che citavi prima?
È un discorso complesso, non si poteva improvvisare molto con questa sceneggiatura, ma Charlotte ha dato lo stesso il suo contributo. Nella sequenza dove Eva parla con la sorella ad esempio, le ho dato poche indicazioni, solo gli «ingredienti» essenziali per fare la scena, e lei ha fatto il resto. Con i bambini è stato diverso, abbiamo dovuto educarli e prepararli bene prima del film. E per loro improvvisare è stato molto difficile, a questa età sono abituati ad ascoltare i genitori e gli insegnanti a scuola. Non sto dicendo che non sono capaci o altro, questi ragazzi erano al loro primo ruolo e si distraevano facilmente. Mi piace quando un attore vuole improvvisare, e ricreare o riformulare certe frasi può essere davvero utile per lui, ma con loro forse sarebbe stato chiedere troppo.
Posso dedurre che dirigere questi ragazzi sia stata la sfida più impegnativa in questo film.
A dire il vero no, l’aspetto più impegnativo ha forse riguardato la versione adulta di Eva, nel libro è un personaggio molto passivo, ha tutti questi monologhi interni e ti trovi a leggere costantemente i suoi pensieri. La sfida maggiore è stata adattare sullo schermo questi attimi. Inoltre è stato difficile provare a costruire una certa empatia verso questo personaggio, anche perché è una persona solitaria che vive costantemente nel silenzio. È stato anche difficile creare una connessione tra le due versioni di Eva, soprattutto in fase di montaggio. Dovevo riuscire a connettere il presente e il passato di questa donna e creare un’unica Eva, dove lo spettatore può provare la stessa empatia per entrambe le versioni. Spero tu mi abbia capito.
Si certo, anzi, credo che tu e il montatore abbiate fatto un ottimo lavoro, soprattutto nel modo in cui sovrapponete le due storie e più nello specifico nelle scene di transizione tra passato e presente.
Devo ammettere che la prima versione del film che avevamo montato era terribile (la regista ride, n.d.r.). Se non sbaglio, Scorsese aveva detto che la prima versione del film che monti è la più bella, poi arrivano i problemi. È stata una fase lunga il montaggio, più che altro perché alcune transizioni non funzionavano propriamente con il film. È stato un va et viant, inserivamo e toglievamo scene di continuo, dovevamo trovare il giusto ritmo. Sapevamo che il filo conduttore della storia era lo stato emotivo di Eva e quel crescendo di emozioni che avviene nella versione teenager. Vorrei entrare di più nel dettaglio, ma sarebbe un discorso troppo lungo (la regista ride, n.d.r.). La fase di montaggio è stata davvero lunga.
Dovevate creare il giusto equilibrio tra le due versioni di Eva e, avendo già visto il film due volte, credo che ci siate riusciti.
Davvero? Hai già visto il film due volte? Wow! Ora ti faccio io le domande però. Cosa ne hai pensato ad una seconda visione?
Mi è piaciuto ancora di più perché sapevo già il twist, se così posso definirlo, che riguardava la protagonista. Certe scene acquisiscono un impatto maggiore, ad esempio la scena dell’appuntamento di Eva adulta o anche la sequenza con la sorella e i genitori.
Ottimo! Mi fa davvero piacere.
E cosa dobbiamo aspettarci da Veerle Baetens nel prossimo futuro? Continuerai la carriera da regista o tornerai a recitare?
Mi piacerebbe continuare a fare entrambe le cose. Ho fatto di recente un provino per un ruolo e sto ancora aspettando una risposta. Mentre per quanto riguarda la regia, sto cercando di adattare questa pièce teatrale inglese, sono ancora alle fasi iniziali, ma sono sicura che questo sarà il mio secondo film.
E come è stato presentare il film e mostrarlo per la prima volta ad un pubblico?
Ero molto agitata e nervosa. Non ho dormito per niente bene la settimana scorsa, ma credo sia una cosa normale (la regista ride, n.d.r.). Qualche settimana fa ho fatto vedere il lungometraggio finito a tutta la crew, c’era un’atmosfera intensa ma la reazione generale é stata positiva. Ci siamo impegnati duramente perché volevamo creare un film che potesse trasmettere un forte messaggio allo spettatore.