di Omar Franini
NC-86
05.01.2022
Un uomo e una donna guardano diretti in camera cercando di spiegare la propria situazione: dopo anni di matrimonio, la coppia vuole separarsi ma entrambi chiedono la custodia della figlia undicenne. Mentre espongono le proprie argomentazioni - la donna è intenzionata a lasciare il paese per concedere una vita migliore alla figlia, mentre l’uomo vuole rimanere in Iran per prendersi cura del padre malato di Alzheimer - ci accorgiamo che la coppia è davanti a un magistrato del tribunale islamico.
“Preferisco non far crescere mia figlia in queste condizioni” dice la donna. “Quali condizioni?” le risponde il giudice, ponendo un interrogativo che non riceve risposta.
Quella appena descritta è una parte della sequenza iniziale di Una separazione. Una scena emblematica nella quale Asghar Farhadi mostra con imparziale distacco le motivazioni della coppia, permettendo così allo spettatore di provare empatia per entrambe le parti. Questa caratteristica è un punto chiave ricorrente nella filmografia del cineasta iraniano; Farhadi non assume mai un unico punto di vista sulle vicende da lui raccontate, non stabilisce mai a priori chi dei suoi personaggi si trovi nel torto, ma anzi tenta di sviscerarne le ragioni profonde e gli eventi che li conducono ad agire in un determinato modo, nonché le ripercussioni morali che tali azioni producono sulla loro famiglia e sulla società in cui vivono. Se i dilemmi che i suoi film prospettano assumono sovente contorni categorici e universali, la narrazione attraverso cui vengono esposti è invece spesso caratterizzata da incertezza e ambiguità, restituendo in questo modo allo spettatore la preziosa possibilità di riflettere sulla complessità del reale.
Asghar Farhadi è nato in Iran nel 1972 e a soli otto anni ha vissuto in prima persona le ripercussioni della rivoluzione islamica iraniana del 1979, la quale trasformò la monarchia del paese in una repubblica islamica sciita. Dopo un breve periodo, l’idea di una democrazia liberale fu sostituita da una repubblica teocratica altrettanto retrograda. I cambiamenti tanto desiderati non avvennero e i conflitti di classe e la visione conservatrice della società rimasero pressoché immutati. Il contesto politico e sociale della sua nazione ha sempre avuto una forte influenza sulla filmografia di Farhadi, anche se sarebbe scorretto definire il suo cinema come primariamente politico; se infatti nelle sue prime due opere, Dancing in the Dust (2003) e Beautiful City (2004), poteva riscontrarsi una più marcata impronta critica all’oppressivo operato del regime nei confronti di alcuni ragazzi emarginati, nei successivi lavori la denuncia ha affievolito i suoi toni senza mai più raggiungere l’esplicita connotazione politica riscontrabile in opere di altri registi suoi connazionali, Jafar Panahi e Mohammad Rasoulof su tutti.
È in Firework Wednesday (2006) che è possibile scorgere la svolta del suo lavoro. Infatti, i personaggi al centro della storia sono una coppia borghese alle prese con la crisi del loro matrimonio. Il conflitto fra i due viene filtrato attraverso lo sguardo di una giovane ragazza mandata da un’agenzia a fare le pulizie nella casa della coppia. Il film mette in mostra non solo le radici teatrali del regista ma anche alcuni dei suoi marchi stilistici, quali l’attenzione meticolosa per i dialoghi, la crescente tensione e l’ambiguità morale dei personaggi. La sua consacrazione nel panorama del cinema internazionale avvenne nel 2009, quando fu presentato al Festival di Berlino (dove vinse l’Orso d’argento per la miglior regia) About Elly, lungometraggio che narra di un gruppo di amici in procinto di trascorrere un fine settimana al mare. Tra questi c’è Elly, una giovane insegnante invitata dalla madre di una sua alunna con l’intento di presentarla a un amico; una tragedia stravolgerà i piani. Il film è scritto magistralmente e Farhadi riesce a mettere in risalto diverse questioni etiche e sociali che chiamano in causa la sensibilità dello spettatore su temi universali, come appunto il bene e il male, il giusto e lo sbagliato.
Una separazione (2011), come accennato in precedenza, narra di Simin e Nader, una coppia sposata che sta per separarsi. La donna decide di lasciare l’abitazione mentre aspetta che il divorzio sia ufficializzato, così l’uomo si trova costretto ad ingaggiare qualcuno che si prenda cura del padre malato mentre è via a lavorare. Da questa comune premessa, Farhadi riesce a strutturare un film completo nel quale il dramma personale riflette vari aspetti della cultura iraniana, dalla differenza di classe alla visione della religione, dalla relazione fra i sessi al ruolo della donna. Il film ebbe un enorme successo e il regista vinse il primo Oscar per miglior film straniero. Il cliente (2016) racconta invece la storia di Ermad e Rana, una coppia costretta a trasferirsi in un nuovo appartamento a causa di alcuni lavori vicino alla propria abitazione. Un incidente legato al precedente inquilino cambierà drammaticamente la vita della coppia. Farhadi in questo film utilizza il mondo del teatro in modo diretto, ispirandosi in particolare alla pièce di Arthur Miller Morte di un commesso viaggiatore. I temi dell’onore, dell’ambizione e della vergogna presente nell’opera del celebre drammaturgo vengono utilizzati in maniera efficace dall’autore iraniano per raccontare questa storia piccola ma universale.
Dopo il passo falso spagnolo di Tutti lo sanno (2018), in questi giorni si potrà trovare in sala la nuova pellicola del regista iraniano, Un eroe. Il film racconta la storia di Rahim, un giovane ragazzo finito in carcere a causa di un debito. Durante un permesso di due giorni, l’uomo trova casualmente una borsa piena d’oro che lo aiuterebbe a ripagare i debiti e a costruirsi un futuro, ma un dilemma lo metterà di fronte a scenari impensabili. Nel suo nuovo lavoro Farhadi affronta alcune tematiche ricorrenti anche ne Il cliente, quali l’importanza dell’onore, il dubbio etico e il ruolo dei media nella società. Una forte critica al sistema carcerario iraniano rende inoltre questo film ancor più risonante e degno di essere visto in sala, pronti a mettersi in discussione come cittadini e esseri umani.
di Omar Franini
NC-86
05.01.2022
Un uomo e una donna guardano diretti in camera cercando di spiegare la propria situazione: dopo anni di matrimonio, la coppia vuole separarsi ma entrambi chiedono la custodia della figlia undicenne. Mentre espongono le proprie argomentazioni - la donna è intenzionata a lasciare il paese per concedere una vita migliore alla figlia, mentre l’uomo vuole rimanere in Iran per prendersi cura del padre malato di Alzheimer - ci accorgiamo che la coppia è davanti a un magistrato del tribunale islamico.
“Preferisco non far crescere mia figlia in queste condizioni” dice la donna. “Quali condizioni?” le risponde il giudice, ponendo un interrogativo che non riceve risposta.
Quella appena descritta è una parte della sequenza iniziale di Una separazione. Una scena emblematica nella quale Asghar Farhadi mostra con imparziale distacco le motivazioni della coppia, permettendo così allo spettatore di provare empatia per entrambe le parti. Questa caratteristica è un punto chiave ricorrente nella filmografia del cineasta iraniano; Farhadi non assume mai un unico punto di vista sulle vicende da lui raccontate, non stabilisce mai a priori chi dei suoi personaggi si trovi nel torto, ma anzi tenta di sviscerarne le ragioni profonde e gli eventi che li conducono ad agire in un determinato modo, nonché le ripercussioni morali che tali azioni producono sulla loro famiglia e sulla società in cui vivono. Se i dilemmi che i suoi film prospettano assumono sovente contorni categorici e universali, la narrazione attraverso cui vengono esposti è invece spesso caratterizzata da incertezza e ambiguità, restituendo in questo modo allo spettatore la preziosa possibilità di riflettere sulla complessità del reale.
Asghar Farhadi è nato in Iran nel 1972 e a soli otto anni ha vissuto in prima persona le ripercussioni della rivoluzione islamica iraniana del 1979, la quale trasformò la monarchia del paese in una repubblica islamica sciita. Dopo un breve periodo, l’idea di una democrazia liberale fu sostituita da una repubblica teocratica altrettanto retrograda. I cambiamenti tanto desiderati non avvennero e i conflitti di classe e la visione conservatrice della società rimasero pressoché immutati. Il contesto politico e sociale della sua nazione ha sempre avuto una forte influenza sulla filmografia di Farhadi, anche se sarebbe scorretto definire il suo cinema come primariamente politico; se infatti nelle sue prime due opere, Dancing in the Dust (2003) e Beautiful City (2004), poteva riscontrarsi una più marcata impronta critica all’oppressivo operato del regime nei confronti di alcuni ragazzi emarginati, nei successivi lavori la denuncia ha affievolito i suoi toni senza mai più raggiungere l’esplicita connotazione politica riscontrabile in opere di altri registi suoi connazionali, Jafar Panahi e Mohammad Rasoulof su tutti.
È in Firework Wednesday (2006) che è possibile scorgere la svolta del suo lavoro. Infatti, i personaggi al centro della storia sono una coppia borghese alle prese con la crisi del loro matrimonio. Il conflitto fra i due viene filtrato attraverso lo sguardo di una giovane ragazza mandata da un’agenzia a fare le pulizie nella casa della coppia. Il film mette in mostra non solo le radici teatrali del regista ma anche alcuni dei suoi marchi stilistici, quali l’attenzione meticolosa per i dialoghi, la crescente tensione e l’ambiguità morale dei personaggi. La sua consacrazione nel panorama del cinema internazionale avvenne nel 2009, quando fu presentato al Festival di Berlino (dove vinse l’Orso d’argento per la miglior regia) About Elly, lungometraggio che narra di un gruppo di amici in procinto di trascorrere un fine settimana al mare. Tra questi c’è Elly, una giovane insegnante invitata dalla madre di una sua alunna con l’intento di presentarla a un amico; una tragedia stravolgerà i piani. Il film è scritto magistralmente e Farhadi riesce a mettere in risalto diverse questioni etiche e sociali che chiamano in causa la sensibilità dello spettatore su temi universali, come appunto il bene e il male, il giusto e lo sbagliato.
Una separazione (2011), come accennato in precedenza, narra di Simin e Nader, una coppia sposata che sta per separarsi. La donna decide di lasciare l’abitazione mentre aspetta che il divorzio sia ufficializzato, così l’uomo si trova costretto ad ingaggiare qualcuno che si prenda cura del padre malato mentre è via a lavorare. Da questa comune premessa, Farhadi riesce a strutturare un film completo nel quale il dramma personale riflette vari aspetti della cultura iraniana, dalla differenza di classe alla visione della religione, dalla relazione fra i sessi al ruolo della donna. Il film ebbe un enorme successo e il regista vinse il primo Oscar per miglior film straniero. Il cliente (2016) racconta invece la storia di Ermad e Rana, una coppia costretta a trasferirsi in un nuovo appartamento a causa di alcuni lavori vicino alla propria abitazione. Un incidente legato al precedente inquilino cambierà drammaticamente la vita della coppia. Farhadi in questo film utilizza il mondo del teatro in modo diretto, ispirandosi in particolare alla pièce di Arthur Miller Morte di un commesso viaggiatore. I temi dell’onore, dell’ambizione e della vergogna presente nell’opera del celebre drammaturgo vengono utilizzati in maniera efficace dall’autore iraniano per raccontare questa storia piccola ma universale.
Dopo il passo falso spagnolo di Tutti lo sanno (2018), in questi giorni si potrà trovare in sala la nuova pellicola del regista iraniano, Un eroe. Il film racconta la storia di Rahim, un giovane ragazzo finito in carcere a causa di un debito. Durante un permesso di due giorni, l’uomo trova casualmente una borsa piena d’oro che lo aiuterebbe a ripagare i debiti e a costruirsi un futuro, ma un dilemma lo metterà di fronte a scenari impensabili. Nel suo nuovo lavoro Farhadi affronta alcune tematiche ricorrenti anche ne Il cliente, quali l’importanza dell’onore, il dubbio etico e il ruolo dei media nella società. Una forte critica al sistema carcerario iraniano rende inoltre questo film ancor più risonante e degno di essere visto in sala, pronti a mettersi in discussione come cittadini e esseri umani.