Le peripezie realizzative di uno dei più grandi lavori di Andrej Tarkovskij,
di Ludovico Cantisani
TR-74
15.01.2023
Pochi capolavori nella storia del cinema hanno avuto gestazioni facili. A Stanley Kubrick e Francis Ford Coppola probabilmente andrebbe il podio per le lavorazioni più lunghe e complesse, ma un altro regista che ha dovuto affrontare le più variegate difficoltà per realizzare i suoi pochi film, fino ad autoesiliarsi dalla nativa Unione Sovietica per ottenere la libertà creativa tanto agognata, è stato Andrej Tarkovskij. Sin dall’esordio L’infanzia di Ivan, immediatamente premiato col Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia del 1962, Tarkovskij aveva ottenuto il plauso della critica internazionale, ma proseguendo la sua carriera con titoli come il monumentale Andrej Rublëv, Solaris e Lo specchio ebbe sempre più difficoltà a interagire con le autorità sovietiche che regolavano i fondi per il cinema: il suo ultimo film sovietico, Stalker, fu talmente accidentato che dovette essere rigirato per la maggior parte della sua durata.
Ma Stalker era, prima ancora che un film, un libro, intitolato Picnic sul ciglio della strada e scritto dai fratelli Arkadij e Boris Strugatskij, due autori sovietici di fantascienza piuttosto popolari ai loro tempi. Nonostante la popolarità, anch’essi andarono incontro a gravi difficoltà dopo aver ultimato la stesura di Picnic sul ciglio della strada: la pubblicazione venne ostacolata dalle autorità sovietiche in ogni modo possibile e immaginabile e, quando alla fine il libro uscì nel 1972, numerosi passi erano stati espunti e censurati – “duecento umilianti correzioni al testo” volute dalla censura, a detta di Boris Strugatskij. Ci vollero una ventina d’anni prima che in Russia potesse uscire la versione integrale del romanzo; in Italia la prima edizione della versione non censurata del testo è stata recentemente pubblicata da Marcos y Marcos, a cura del grande studioso di letteratura russa Paolo Nori che ha ritradotto il testo insieme a Diletta Bacci.
Leggendo Picnic sul ciglio della strada degli Strugatskij due domande sorgono spontanee: cosa portò la censura sovietica ad abbattersi così impietosamente sul testo di due autori tutto sommato pacifici che non si erano mai opposti al regime? E cosa vide Tarkovskij stesso nel nucleo narrativo alla base del testo, che, essenzializzato fino al midollo, fornì la traccia di partenza per quello che fu forse il miglior film di uno dei migliori registi della storia del cinema? Entrambe queste risposte si annidano nel tessuto narrativo del romanzo degli Strugatskij, nei suoi impliciti, nel suo attento sottotesto – e anche nelle monumentali descrizioni che, benché ricche di parole, tracciarono i connotati di quella Zona che poi il film di Tarkovskij consacrò cinematograficamente.
“Da tempo su questa strada non ci cammina e non ci passa più nessuno. L’asfalto è tutto spaccato, dalle fessure spunta l’erba, ma è ancora la nostra erba, umana. E sul marciapiede a sinistra sono già cresciuti dei rovi neri e da questi rovi si può vedere con quanta precisione la Zona si sia manifestata; una vegetazione nera proprio lungo il selciato, come se fossero passati con la falce. No, questi alieni erano gente come si deve…”. Se Andrej Tarkovskij ha avuto un merito, nella scelta delle location, è stato proprio quello di rispettare il minimalismo descritto dagli Strugatskij, di non calcare affatto la mano nella rappresentazione di una natura contaminata e di affidarsi alle musiche, agli effetti sonori, ai dialoghi e alle azioni del film, oltre al vistoso cambio di fotografia dal bianco e nero al colore, per trasmettere la sensazione dell’attraversamento di un confine che porta a un regno estraneo ed estraniante: è da ciò che è famigliare che sorge il perturbante più autentico, insegnava Freud.
“Si immagini di fare ruotare su sé stessa una grande Sfera e di cominciare a spararle contro con una pistola. I fori sulla Sfera si troveranno su una curva regolare. Tutte le sei Zone della Visita sono disposte sulla superficie del nostro pianeta come se qualcuno, collocato da qualche parte tra la Terra e la Costellazione del Cigno, avesse sparato sei colpi di pistola contro la Terra”. Da questa immagine scientificamente rudimentale prende le mosse il racconto degli Strugatskij. La premessa non è dissimile da quella poi mantenuta nel film di Tarkovskij, anche se nel romanzo le Zone sono sei – sarà la trama a essere ridotta all’osso, nel passaggio dalla pagina allo schermo.
A seguito di un misterioso contatto con una razza aliena, si sono create delle Zone sulla Terra, Zone di confine, Zone misteriose, i cui abitanti spesso hanno finito per morire o contrarre malattie invalidanti, ma che potenzialmente traboccano di scoperte scientifiche, tecnologiche, economiche. Nonostante le cautele dell’ONU, in queste Zone spesso si introducono clandestinamente dei mercenari, soprannominati Stalker, alla ricerca di misteriosi e miracolosi manufatti alieni. “Sono risposte cadute dal cielo a domande che ancora noi non riusciamo a porci”, si legge a un certo punto del romanzo. Si vocifera che al centro della Zona ci sia una Sfera che soddisfi tutti i nostri più desideri reconditi, ed è questo l’obiettivo più ambito. Il protagonista del romanzo, lo Stalker Red Schuhart soprannominato il Rosso, è considerato il migliore della Zona, richiesto tanto dagli scienziati quanto dai trafficanti; il suo amico Kirill prova a convincerlo che la Zona è un dono, un’apertura verso il futuro concessaci da una benevola civiltà aliena, ma finisce lui stesso per morire in una spedizione sfortunata. Dopo la morte di Kirill e la scoperta di segni di una contaminazione simil-radioattiva sul corpo della figlia Red vorrebbe ritirarsi, ma, come il mare con Ulisse, la Zona continua a chiamarlo, convincendolo ad un’ultima sortita.
Gli Stalker ritratti dal romanzo degli Strugatskij hanno la stessa sfiducia nei confronti dell’umanità manifestata dal title character a cui prestava il volto Aleksandr Kajdanovskij nel film di Tarkovskij - “sull’umanità ci scatarro su”, leggiamo detto a un certo punto del libro. Nondimeno il protagonista si mostra sensibile verso gli inderogabili interrogativi metafisici che qualunque permanenza nella Zona solleva – “anima complessa” viene tutt’a un tratto definito, in una battura beffarda, da uno dei suoi compagni più fidati.
Sfogliando il Martirologio, i diari di Tarkovskij pubblicati postumi, si trovano le prime evidenze di un progetto di adattamento del Picnic sul ciglio della strada degli Strugatskij tra il 1974 e il 1975; quest’idea prende presto il sopravvento su altri progetti di cui Tarkovskij stava discutendo con le autorità sovietiche in quel momento, inclusi un adattamento de L’idiota dostoevskiano, un non meglio specificato film su Tolstoj e una sorta di biopic su Dostoevskij stesso. “In qualche modo oggi il mio desiderio di fare Picnic è simile allo stato d’animo in cui mi trovavo prima di Solaris. E adesso riesco a capire il perché. È una sensazione che deriva dalla possibilità che ho di accostarmi al trascendente”, si annota Tarkovskij il 7 gennaio 1975.
Non facilissime da stabilire, basandosi sui soli diari di Tarkovskij, le effettive modalità del tavolo di scrittura: sulla base di quanto Tarkovskij scrive, pare che inizialmente la sceneggiatura del film dovesse essere redatta a sei mani dagli Strugatskij e dal regista stesso; poi Tarkovskij sembra aver affidato ai soli Strugatskij l’incarico, benché sia preoccupato dei loro ritardi e si dica certo, senza mezzi termini, che i due scrittori senza di lui non sapranno cavare un ragno dal buco; ai primi di gennaio 1976 ci sono diverse riunioni per definire la scaletta della sceneggiatura, che sembra essere stata materialmente scritta per gran parte dagli Strugatskij, salvo poi essere rivista ed essenzializzata da Tarkovskij prima dell’inizio delle riprese. Nei credits ufficiali del film Stalker è firmato da tutti e tre.
Tarkovskij si era cimentato già con la fantascienza, adattando per il grande schermo Solaris di Stanisław Lem in un film che, nel 1972, era stato distribuito come “la risposta sovietica a 2001: Odissea nello Spazio”. Molto più che un film di fantascienza Solaris aveva rappresentato, per Tarkovskij, un’opportunità nuova per affrontare quei fantasmi della memoria e del rimpianto che a loro modo già componevano la grammatica visiva ed emozionale dei suoi due precedenti film L’infanzia di Ivan e Andrej Rublëv: eppure, come non mancò di dichiarare nel film-intervista-diario Viaggio in Italia realizzato in dialogo col grande sceneggiatore Tonino Guerra nei primi anni ottanta, Tarkovskij era comunque insoddisfatto del risultato ottenuto con Solaris perché, tra viaggi interstellari, pianeti senzienti e astronavi, il film era ancora troppo legato ai topos della fantascienza più classica.
Picnic sul ciglio della strada degli Strugatskij senza dubbio si allontanava da questi cliché, e preservava una certa originalità nell’intuizione di partenza: né un viaggio nello spazio né un’invasione aliena della terra, e neanche la storia di un primo contatto raccontato secondo gli stilemi classici del genere; uno stato di sospensione, se mai, attraversato da una perenne incertezza sulla natura dei fatti a cui assistiamo sotto gli occhi tumefatti del protagonista. Certo, alcuni passaggi di Picnic sul ciglio della strada ricordano la capacità tipica di Lem di far dialogare fantascienza e metafisica, ma stilisticamente parlando il romanzo degli Strugatskij è molto meno compatto di un Solaris o di un Mattatoio N. 5, ed è ancora a metà strada tra speculazione scientifica e pura affabulazione narrativa “di genere”. Essenzialmente, il Picnic degli Strugatskij esplora esplicitamente certi abissi trascendentali che solo la fantascienza in quanto genere, con le sue potenzialità metaforiche, può permettere in letteratura. Ma era proprio di un libro con queste caratteristiche che Tarkovskij aveva bisogno per essenzializzare ancora di più la sperimentazione avviata con Solaris attingendo dalle speculazioni amletiche di Lem.
Finanziata dalla MosFilm, la produzione di Stalker iniziò le riprese il 15 gennaio 1977. Tarkovskij stappò una bottiglia di champagne con la troupe, incollandone l’etichetta su una pagina del suo diario. Una parte importante delle riprese si tenne nella zona di Tallin, nell’attuale Estonia, ai tempi ancora parte integrante dell’Unione Sovietica. Dopo che gran parte del film e tutte le sue scene in esterno erano state girate, Tarkovskij tornò con la troupe a Mosca, per poi scoprire solo in quel momento che la pellicola su cui avevano girato, l’innovativa 5247 della Kodak, era stata sviluppata male dal laboratorio. Pressoché tutto il girato accumulato fino a quel momento era inutilizzabile. Tarkovskij non si sconfortò, e, dopo aver pretestuosamente ottenuto nuovi finanziamenti dalle autorità sovietiche, licenziò il direttore della fotografia Georgy Rerberg, che gli aveva già fotografato Lo specchio, e chiamò al suo fianco Alexander Knyazhinsky, con cui di fatto rigirò in toto il film. Un ulteriore problema legato al momento delle riprese del film si manifestò solo anni dopo: svariati membri della produzione, incluso Tarkovskij stesso e la sua seconda moglie, morirono prematuramente di cancro; questa insolita incidenza venne ipoteticamente spiegata con la scelta di girare molte scene del film in vecchie fabbriche chimiche abbandonate dell’area di Tallin, senza tenere conto della tossicità della zona. Non per nulla, dopo lo scoppio del reattore di Chernobyl, la zona diventata radioattiva venne accostata più volte all’immaginario sviluppato da Tarkovskij nella sua Zona.
Zona che si presta a infinite speculazioni: religiose, spirituali, filosofiche, concettuali, umanistiche, forse anche politiche. “Mi hanno sovente domandato cos’è la Zona, che cosa simboleggia, ed hanno avanzato le interpretazioni più impensabili. Io cado in uno stato di rabbia e di disperazione quando sento domande del genere. La Zona è la Zona, la Zona è la vita: attraversandola l’uomo o si spezza o resiste. Se l’uomo resisterà dipende dal sentimento della propria dignità, dalla sua capacità di distinguere il fondamentale dal passeggero”, fu la laconica e grandiosa autoanalisi che Tarkovskij lasciò in Scolpire il tempo, il suo libro-testamento. “Zona è la stanza scura del nostro desiderio rimosso”, lacanizzò decenni dopo Geoff Dyer in Zona. Un libro su un film su un viaggio verso una stanza, uno dei libri di cinema più minimalisti e originali che siano mai stati scritti.
Una caratteristica del romanzo degli Strugatskij che Tarkovskij ha ulteriormente accentuato e radicalizzato è proprio il rifiuto di dare troppe spiegazioni sulla natura della Zona, sulle capacità effettive della razza aliena, sulle concrete possibilità di utilizzo dei poteri dell’area. In uno dei passaggi più belli del romanzo, quello che peraltro gli dà il titolo, uno scienziato arriva a ipotizzare che la creazione della Zona, anzi delle Zone, sia stato un fenomeno del tutto casuale, provocato da una razza aliena in trasferta che forse neanche si è accorta dell’esistenza degli umani: “si immagini un bosco, una strada sterrata, una radura. Dalla strada una macchina arriva alla radura, dalla macchina scendono dei ragazzi scaricando bottiglie, cestini con viveri, ragazze, transistor, cineprese. Accendono un falò, sistemano le tende, mettono la musica. E la mattina se ne vanno. Le bestie, gli uccelli e gli insetti, che tutta la notte hanno osservato terrorizzati quello che succedeva, escono dai loro rifugi. E che cos’è che vedono? Sull’erba è colato l’olio dei motori, si è sparsa la benzina, sono stati dispersi candele scadenti e filtri dell’olio. Dai battistrada è rimasto il fango che si era attaccato in qualche palude… Be’, e come capisce lei stesso, tracce di falò, avanzi di mele, carta delle caramelle, scatolette di cibo, bottiglie vuote, il fazzoletto da naso di qualcuno, il temperino di qualcuno, delle riviste vecchie e logore, monetine, fili appassiti di altri prati…”. Nel film di Tarkovskij in realtà neanche si chiarisce se la formazione della Zona si debba a un episodio di contatto alieno, sia pure distratto, o a un mero meteorite radioattivo, né si vede la fantomatica Sfera al centro di essa, tanto più che i tre protagonisti neanche varcano la soglia della stanza che esaudisce i desideri; ma l’idea geometrica degli Strugatskij fu, per inciso, recuperata dal grande romanziere americano Michael Crichton, che combinò Stalker e un classico della fantascienza americana degli anni cinquanta come Il pianeta proibito per scrivere uno dei suoi bestseller meglio riusciti, intitolato appunto Sfera, da cui Barry Levinson trasse un film con Dustin Hoffman e Sharon Stone nel 1998.
Peraltro Stalker risultò un film doppiamente aristotelico, e anti-aristotelico al tempo stesso. Da un punto di vista contenutistico, tematico, per gran parte della sua durata Stalker di Tarkovskij pare riallacciarsi a quell’idea, chiaramente espressa da Aristotele nell’Etica e poi insospettabilmente ripresa dai padri costituzionalisti americani, per il cui il fine ultimo a cui tende tutta la vita umana sulla terra è la felicità; il finale del film tuttavia, un’intuizione originale e felicissima di Tarkovskij o quantomeno della sceneggiatura del film, trasuda la rivelazione che questa felicità, seppur esistente e a portata di mano, è in fondo inattingibile, irrealizzabile, impossibile. Lo stesso chiasmo si rinnova a livello di struttura narrativa del film: apparentemente, Stalker rispetta le tre unità aristoteliche di tempo, luogo e azione – una teoria della rappresentazione teatrale nata in realtà nel Medioevo a partire da alcuni passaggi della Poetica di Aristotele. Tuttavia, il perenne ricorso di Tarkovskij a onirismi, riflessioni in voice over e lisergiche visioni quasi mistiche, e l’improvvisa cesura del finale che ci porta a conoscere la figlia dello Stalker dopo un lungo monologo della moglie, fa sì che la stessa struttura aristotelica del film si sfaldi, lacerando un blocco narrativamente monolitico verso una molteplicità di riflessioni di vario tipo.
Dopo queste innumerevoli vicissitudini artistiche, produttive e umane, Stalker venne distribuito con grande successo in Unione Sovietica nel 1979, dove, nonostante lo scetticismo delle maggiori autorità preposte al finanziamento e alla supervisione politica dei film che uscivano al cinema, vendette più di quattro milioni di biglietti. Questo inaspettato trionfo al box office confermava una cosa che Tarkovskij aveva sempre ripetuto, ovvero che, nonostante l’apparente complessità, almeno in Unione Sovietica i suoi film attiravano anche la gente comune, anzi, più la gente comune degli intellettuali di partito. La distribuzione all’estero del film fu ancora più accidentata e ostacolata del solito, e a differenza dei suoi film precedenti Stalker non venne mai programmato in nessun festival di primo piano in Europa: eppure già negli anni ottanta il quinto lungometraggio di Tarkovskij era considerato un classico a livello internazionale, e non ci volle molto tempo prima che venisse considerato come uno dei migliori film di sempre.Stalker resta tuttora uno dei film più influenti della storia del cinema, e si trovano tracce, citazioni od omaggi al film di Tarkovskij in titoli diversissimi tra loro come L’elemento del crimine di Lars von Trier, il blockbuster con Charlize Theron Atomica Bionda, la serie HBO Westworld di Jonathan Nolan e Lisa Joy e il controverso film Netflix Annihilation di Alex Garland.
Dopo l’uscita di Stalker, nonostante i contrasti in fase di scrittura con i due fratelli, Tarkovskij non interruppe subito il rapporto con gli Strugatskij, almeno non con Arkadij. Il regista lo considera, senza mezzi termini, “avaro e meschino”, ma ciò non gli impedisce di continuare a considerare proprio lui un auspicabile collaboratore per futuri progetti. Tra le pagine dei diari scorrono diverse idee concepite assieme, ma nessuna di queste si concretizza, almeno non come stesura a quattro mani. Resta tuttavia attestato che Arkadij Strugatskij fu uno dei primi a cui Tarkovskij confidò l’idea embrionale che portò a Sacrificio, il suo ultimo film, girato in esilio in Svezia e presentato a Cannes nel 1986. Col passare del tempo però il legame tra Tarkovskij e Arkadij Strugatskij andò diradandosi: nel maggio 1981, dopo un incontro fallimentare, Tarkovskij scrive che lo scrittore “da quattro mesi mi prende in giro: si sente male, ma beve, e pretende anche di poter lavorare come si deve. Naturalmente non ci riuscirà mai”. Tempo poche settimane e sembra cessato ogni rapporto: nessuno dei due cerca più l’altro. Tarkovskij attribuisce la cosa al clima politico che si è creato attorno a lui in Unione Sovietica: Strugatskij avrebbe capito che politicamente non gli conviene figurare tra i collaboratori di un regista sempre più scomodo, e non per nulla Tarkovskij di lì a poco annuncerà il suo autoesilio allo scopo di restare in Italia a girare Nostalghia. Tarkovskij morì a dicembre 1986, pochi mesi dopo aver completato Sacrificio, Arkadij Strugatskij nel 1991; Boris Strugatskij invece proseguì la carriera letteraria e morì nel 2012, facendo in tempo a vedere pubblicata in Russia la tanto desiderata edizione integrale del Picnic sul ciglio della strada.
“Lo Stalker, apparentemente debole, è in realtà invincibile grazie alla sua fede e alla sua volontà di servire gli uomini”, scrisse Tarkovskij in Scolpire il tempo, palesando la sua usuale identificazione con il protagonista. “Gli artisti, in fin dei conti, si occupano della propria professione non per raccontare qualcosa, ma per dimostrare la propria volontà di servire l’uomo. Mi stupiscono gli artisti che ritengono di essere liberamente creatori di sé stessi e che ciò sia effettivamente possibile: l’artista è condannato invece a comprendere di essere il frutto del suo tempo e delle persone tra cui vive… Sono convinto che, se l’artista riesce a fare qualcosa, ciò avviene soltanto per il fatto che gli uomini ne hanno bisogno”. Letto in questa ottica, Stalker diventa una grandiosa metafora del lavoro di un artista: e se si considerano dall’inizio alla fine tutte le vicissitudini affrontate dagli Strugatskij e da Tarkovskij prima per permettere la pubblicazione di Picnic sul ciglio della strada, poi per garantire la realizzazione, l’uscita in URSS e la diffusione nel resto del mondo del film tratto dal libro, il messaggio di Stalker si fa ancora più autentico.
Le peripezie realizzative di uno dei più grandi lavori di Andrej Tarkovskij,
di Ludovico Cantisani
TR-74
15.01.2023
Pochi capolavori nella storia del cinema hanno avuto gestazioni facili. A Stanley Kubrick e Francis Ford Coppola probabilmente andrebbe il podio per le lavorazioni più lunghe e complesse, ma un altro regista che ha dovuto affrontare le più variegate difficoltà per realizzare i suoi pochi film, fino ad autoesiliarsi dalla nativa Unione Sovietica per ottenere la libertà creativa tanto agognata, è stato Andrej Tarkovskij. Sin dall’esordio L’infanzia di Ivan, immediatamente premiato col Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia del 1962, Tarkovskij aveva ottenuto il plauso della critica internazionale, ma proseguendo la sua carriera con titoli come il monumentale Andrej Rublëv, Solaris e Lo specchio ebbe sempre più difficoltà a interagire con le autorità sovietiche che regolavano i fondi per il cinema: il suo ultimo film sovietico, Stalker, fu talmente accidentato che dovette essere rigirato per la maggior parte della sua durata.
Ma Stalker era, prima ancora che un film, un libro, intitolato Picnic sul ciglio della strada e scritto dai fratelli Arkadij e Boris Strugatskij, due autori sovietici di fantascienza piuttosto popolari ai loro tempi. Nonostante la popolarità, anch’essi andarono incontro a gravi difficoltà dopo aver ultimato la stesura di Picnic sul ciglio della strada: la pubblicazione venne ostacolata dalle autorità sovietiche in ogni modo possibile e immaginabile e, quando alla fine il libro uscì nel 1972, numerosi passi erano stati espunti e censurati – “duecento umilianti correzioni al testo” volute dalla censura, a detta di Boris Strugatskij. Ci vollero una ventina d’anni prima che in Russia potesse uscire la versione integrale del romanzo; in Italia la prima edizione della versione non censurata del testo è stata recentemente pubblicata da Marcos y Marcos, a cura del grande studioso di letteratura russa Paolo Nori che ha ritradotto il testo insieme a Diletta Bacci.
Leggendo Picnic sul ciglio della strada degli Strugatskij due domande sorgono spontanee: cosa portò la censura sovietica ad abbattersi così impietosamente sul testo di due autori tutto sommato pacifici che non si erano mai opposti al regime? E cosa vide Tarkovskij stesso nel nucleo narrativo alla base del testo, che, essenzializzato fino al midollo, fornì la traccia di partenza per quello che fu forse il miglior film di uno dei migliori registi della storia del cinema? Entrambe queste risposte si annidano nel tessuto narrativo del romanzo degli Strugatskij, nei suoi impliciti, nel suo attento sottotesto – e anche nelle monumentali descrizioni che, benché ricche di parole, tracciarono i connotati di quella Zona che poi il film di Tarkovskij consacrò cinematograficamente.
“Da tempo su questa strada non ci cammina e non ci passa più nessuno. L’asfalto è tutto spaccato, dalle fessure spunta l’erba, ma è ancora la nostra erba, umana. E sul marciapiede a sinistra sono già cresciuti dei rovi neri e da questi rovi si può vedere con quanta precisione la Zona si sia manifestata; una vegetazione nera proprio lungo il selciato, come se fossero passati con la falce. No, questi alieni erano gente come si deve…”. Se Andrej Tarkovskij ha avuto un merito, nella scelta delle location, è stato proprio quello di rispettare il minimalismo descritto dagli Strugatskij, di non calcare affatto la mano nella rappresentazione di una natura contaminata e di affidarsi alle musiche, agli effetti sonori, ai dialoghi e alle azioni del film, oltre al vistoso cambio di fotografia dal bianco e nero al colore, per trasmettere la sensazione dell’attraversamento di un confine che porta a un regno estraneo ed estraniante: è da ciò che è famigliare che sorge il perturbante più autentico, insegnava Freud.
“Si immagini di fare ruotare su sé stessa una grande Sfera e di cominciare a spararle contro con una pistola. I fori sulla Sfera si troveranno su una curva regolare. Tutte le sei Zone della Visita sono disposte sulla superficie del nostro pianeta come se qualcuno, collocato da qualche parte tra la Terra e la Costellazione del Cigno, avesse sparato sei colpi di pistola contro la Terra”. Da questa immagine scientificamente rudimentale prende le mosse il racconto degli Strugatskij. La premessa non è dissimile da quella poi mantenuta nel film di Tarkovskij, anche se nel romanzo le Zone sono sei – sarà la trama a essere ridotta all’osso, nel passaggio dalla pagina allo schermo.
A seguito di un misterioso contatto con una razza aliena, si sono create delle Zone sulla Terra, Zone di confine, Zone misteriose, i cui abitanti spesso hanno finito per morire o contrarre malattie invalidanti, ma che potenzialmente traboccano di scoperte scientifiche, tecnologiche, economiche. Nonostante le cautele dell’ONU, in queste Zone spesso si introducono clandestinamente dei mercenari, soprannominati Stalker, alla ricerca di misteriosi e miracolosi manufatti alieni. “Sono risposte cadute dal cielo a domande che ancora noi non riusciamo a porci”, si legge a un certo punto del romanzo. Si vocifera che al centro della Zona ci sia una Sfera che soddisfi tutti i nostri più desideri reconditi, ed è questo l’obiettivo più ambito. Il protagonista del romanzo, lo Stalker Red Schuhart soprannominato il Rosso, è considerato il migliore della Zona, richiesto tanto dagli scienziati quanto dai trafficanti; il suo amico Kirill prova a convincerlo che la Zona è un dono, un’apertura verso il futuro concessaci da una benevola civiltà aliena, ma finisce lui stesso per morire in una spedizione sfortunata. Dopo la morte di Kirill e la scoperta di segni di una contaminazione simil-radioattiva sul corpo della figlia Red vorrebbe ritirarsi, ma, come il mare con Ulisse, la Zona continua a chiamarlo, convincendolo ad un’ultima sortita.
Gli Stalker ritratti dal romanzo degli Strugatskij hanno la stessa sfiducia nei confronti dell’umanità manifestata dal title character a cui prestava il volto Aleksandr Kajdanovskij nel film di Tarkovskij - “sull’umanità ci scatarro su”, leggiamo detto a un certo punto del libro. Nondimeno il protagonista si mostra sensibile verso gli inderogabili interrogativi metafisici che qualunque permanenza nella Zona solleva – “anima complessa” viene tutt’a un tratto definito, in una battura beffarda, da uno dei suoi compagni più fidati.
Sfogliando il Martirologio, i diari di Tarkovskij pubblicati postumi, si trovano le prime evidenze di un progetto di adattamento del Picnic sul ciglio della strada degli Strugatskij tra il 1974 e il 1975; quest’idea prende presto il sopravvento su altri progetti di cui Tarkovskij stava discutendo con le autorità sovietiche in quel momento, inclusi un adattamento de L’idiota dostoevskiano, un non meglio specificato film su Tolstoj e una sorta di biopic su Dostoevskij stesso. “In qualche modo oggi il mio desiderio di fare Picnic è simile allo stato d’animo in cui mi trovavo prima di Solaris. E adesso riesco a capire il perché. È una sensazione che deriva dalla possibilità che ho di accostarmi al trascendente”, si annota Tarkovskij il 7 gennaio 1975.
Non facilissime da stabilire, basandosi sui soli diari di Tarkovskij, le effettive modalità del tavolo di scrittura: sulla base di quanto Tarkovskij scrive, pare che inizialmente la sceneggiatura del film dovesse essere redatta a sei mani dagli Strugatskij e dal regista stesso; poi Tarkovskij sembra aver affidato ai soli Strugatskij l’incarico, benché sia preoccupato dei loro ritardi e si dica certo, senza mezzi termini, che i due scrittori senza di lui non sapranno cavare un ragno dal buco; ai primi di gennaio 1976 ci sono diverse riunioni per definire la scaletta della sceneggiatura, che sembra essere stata materialmente scritta per gran parte dagli Strugatskij, salvo poi essere rivista ed essenzializzata da Tarkovskij prima dell’inizio delle riprese. Nei credits ufficiali del film Stalker è firmato da tutti e tre.
Tarkovskij si era cimentato già con la fantascienza, adattando per il grande schermo Solaris di Stanisław Lem in un film che, nel 1972, era stato distribuito come “la risposta sovietica a 2001: Odissea nello Spazio”. Molto più che un film di fantascienza Solaris aveva rappresentato, per Tarkovskij, un’opportunità nuova per affrontare quei fantasmi della memoria e del rimpianto che a loro modo già componevano la grammatica visiva ed emozionale dei suoi due precedenti film L’infanzia di Ivan e Andrej Rublëv: eppure, come non mancò di dichiarare nel film-intervista-diario Viaggio in Italia realizzato in dialogo col grande sceneggiatore Tonino Guerra nei primi anni ottanta, Tarkovskij era comunque insoddisfatto del risultato ottenuto con Solaris perché, tra viaggi interstellari, pianeti senzienti e astronavi, il film era ancora troppo legato ai topos della fantascienza più classica.
Picnic sul ciglio della strada degli Strugatskij senza dubbio si allontanava da questi cliché, e preservava una certa originalità nell’intuizione di partenza: né un viaggio nello spazio né un’invasione aliena della terra, e neanche la storia di un primo contatto raccontato secondo gli stilemi classici del genere; uno stato di sospensione, se mai, attraversato da una perenne incertezza sulla natura dei fatti a cui assistiamo sotto gli occhi tumefatti del protagonista. Certo, alcuni passaggi di Picnic sul ciglio della strada ricordano la capacità tipica di Lem di far dialogare fantascienza e metafisica, ma stilisticamente parlando il romanzo degli Strugatskij è molto meno compatto di un Solaris o di un Mattatoio N. 5, ed è ancora a metà strada tra speculazione scientifica e pura affabulazione narrativa “di genere”. Essenzialmente, il Picnic degli Strugatskij esplora esplicitamente certi abissi trascendentali che solo la fantascienza in quanto genere, con le sue potenzialità metaforiche, può permettere in letteratura. Ma era proprio di un libro con queste caratteristiche che Tarkovskij aveva bisogno per essenzializzare ancora di più la sperimentazione avviata con Solaris attingendo dalle speculazioni amletiche di Lem.
Finanziata dalla MosFilm, la produzione di Stalker iniziò le riprese il 15 gennaio 1977. Tarkovskij stappò una bottiglia di champagne con la troupe, incollandone l’etichetta su una pagina del suo diario. Una parte importante delle riprese si tenne nella zona di Tallin, nell’attuale Estonia, ai tempi ancora parte integrante dell’Unione Sovietica. Dopo che gran parte del film e tutte le sue scene in esterno erano state girate, Tarkovskij tornò con la troupe a Mosca, per poi scoprire solo in quel momento che la pellicola su cui avevano girato, l’innovativa 5247 della Kodak, era stata sviluppata male dal laboratorio. Pressoché tutto il girato accumulato fino a quel momento era inutilizzabile. Tarkovskij non si sconfortò, e, dopo aver pretestuosamente ottenuto nuovi finanziamenti dalle autorità sovietiche, licenziò il direttore della fotografia Georgy Rerberg, che gli aveva già fotografato Lo specchio, e chiamò al suo fianco Alexander Knyazhinsky, con cui di fatto rigirò in toto il film. Un ulteriore problema legato al momento delle riprese del film si manifestò solo anni dopo: svariati membri della produzione, incluso Tarkovskij stesso e la sua seconda moglie, morirono prematuramente di cancro; questa insolita incidenza venne ipoteticamente spiegata con la scelta di girare molte scene del film in vecchie fabbriche chimiche abbandonate dell’area di Tallin, senza tenere conto della tossicità della zona. Non per nulla, dopo lo scoppio del reattore di Chernobyl, la zona diventata radioattiva venne accostata più volte all’immaginario sviluppato da Tarkovskij nella sua Zona.
Zona che si presta a infinite speculazioni: religiose, spirituali, filosofiche, concettuali, umanistiche, forse anche politiche. “Mi hanno sovente domandato cos’è la Zona, che cosa simboleggia, ed hanno avanzato le interpretazioni più impensabili. Io cado in uno stato di rabbia e di disperazione quando sento domande del genere. La Zona è la Zona, la Zona è la vita: attraversandola l’uomo o si spezza o resiste. Se l’uomo resisterà dipende dal sentimento della propria dignità, dalla sua capacità di distinguere il fondamentale dal passeggero”, fu la laconica e grandiosa autoanalisi che Tarkovskij lasciò in Scolpire il tempo, il suo libro-testamento. “Zona è la stanza scura del nostro desiderio rimosso”, lacanizzò decenni dopo Geoff Dyer in Zona. Un libro su un film su un viaggio verso una stanza, uno dei libri di cinema più minimalisti e originali che siano mai stati scritti.
Una caratteristica del romanzo degli Strugatskij che Tarkovskij ha ulteriormente accentuato e radicalizzato è proprio il rifiuto di dare troppe spiegazioni sulla natura della Zona, sulle capacità effettive della razza aliena, sulle concrete possibilità di utilizzo dei poteri dell’area. In uno dei passaggi più belli del romanzo, quello che peraltro gli dà il titolo, uno scienziato arriva a ipotizzare che la creazione della Zona, anzi delle Zone, sia stato un fenomeno del tutto casuale, provocato da una razza aliena in trasferta che forse neanche si è accorta dell’esistenza degli umani: “si immagini un bosco, una strada sterrata, una radura. Dalla strada una macchina arriva alla radura, dalla macchina scendono dei ragazzi scaricando bottiglie, cestini con viveri, ragazze, transistor, cineprese. Accendono un falò, sistemano le tende, mettono la musica. E la mattina se ne vanno. Le bestie, gli uccelli e gli insetti, che tutta la notte hanno osservato terrorizzati quello che succedeva, escono dai loro rifugi. E che cos’è che vedono? Sull’erba è colato l’olio dei motori, si è sparsa la benzina, sono stati dispersi candele scadenti e filtri dell’olio. Dai battistrada è rimasto il fango che si era attaccato in qualche palude… Be’, e come capisce lei stesso, tracce di falò, avanzi di mele, carta delle caramelle, scatolette di cibo, bottiglie vuote, il fazzoletto da naso di qualcuno, il temperino di qualcuno, delle riviste vecchie e logore, monetine, fili appassiti di altri prati…”. Nel film di Tarkovskij in realtà neanche si chiarisce se la formazione della Zona si debba a un episodio di contatto alieno, sia pure distratto, o a un mero meteorite radioattivo, né si vede la fantomatica Sfera al centro di essa, tanto più che i tre protagonisti neanche varcano la soglia della stanza che esaudisce i desideri; ma l’idea geometrica degli Strugatskij fu, per inciso, recuperata dal grande romanziere americano Michael Crichton, che combinò Stalker e un classico della fantascienza americana degli anni cinquanta come Il pianeta proibito per scrivere uno dei suoi bestseller meglio riusciti, intitolato appunto Sfera, da cui Barry Levinson trasse un film con Dustin Hoffman e Sharon Stone nel 1998.
Peraltro Stalker risultò un film doppiamente aristotelico, e anti-aristotelico al tempo stesso. Da un punto di vista contenutistico, tematico, per gran parte della sua durata Stalker di Tarkovskij pare riallacciarsi a quell’idea, chiaramente espressa da Aristotele nell’Etica e poi insospettabilmente ripresa dai padri costituzionalisti americani, per il cui il fine ultimo a cui tende tutta la vita umana sulla terra è la felicità; il finale del film tuttavia, un’intuizione originale e felicissima di Tarkovskij o quantomeno della sceneggiatura del film, trasuda la rivelazione che questa felicità, seppur esistente e a portata di mano, è in fondo inattingibile, irrealizzabile, impossibile. Lo stesso chiasmo si rinnova a livello di struttura narrativa del film: apparentemente, Stalker rispetta le tre unità aristoteliche di tempo, luogo e azione – una teoria della rappresentazione teatrale nata in realtà nel Medioevo a partire da alcuni passaggi della Poetica di Aristotele. Tuttavia, il perenne ricorso di Tarkovskij a onirismi, riflessioni in voice over e lisergiche visioni quasi mistiche, e l’improvvisa cesura del finale che ci porta a conoscere la figlia dello Stalker dopo un lungo monologo della moglie, fa sì che la stessa struttura aristotelica del film si sfaldi, lacerando un blocco narrativamente monolitico verso una molteplicità di riflessioni di vario tipo.
Dopo queste innumerevoli vicissitudini artistiche, produttive e umane, Stalker venne distribuito con grande successo in Unione Sovietica nel 1979, dove, nonostante lo scetticismo delle maggiori autorità preposte al finanziamento e alla supervisione politica dei film che uscivano al cinema, vendette più di quattro milioni di biglietti. Questo inaspettato trionfo al box office confermava una cosa che Tarkovskij aveva sempre ripetuto, ovvero che, nonostante l’apparente complessità, almeno in Unione Sovietica i suoi film attiravano anche la gente comune, anzi, più la gente comune degli intellettuali di partito. La distribuzione all’estero del film fu ancora più accidentata e ostacolata del solito, e a differenza dei suoi film precedenti Stalker non venne mai programmato in nessun festival di primo piano in Europa: eppure già negli anni ottanta il quinto lungometraggio di Tarkovskij era considerato un classico a livello internazionale, e non ci volle molto tempo prima che venisse considerato come uno dei migliori film di sempre.Stalker resta tuttora uno dei film più influenti della storia del cinema, e si trovano tracce, citazioni od omaggi al film di Tarkovskij in titoli diversissimi tra loro come L’elemento del crimine di Lars von Trier, il blockbuster con Charlize Theron Atomica Bionda, la serie HBO Westworld di Jonathan Nolan e Lisa Joy e il controverso film Netflix Annihilation di Alex Garland.
Dopo l’uscita di Stalker, nonostante i contrasti in fase di scrittura con i due fratelli, Tarkovskij non interruppe subito il rapporto con gli Strugatskij, almeno non con Arkadij. Il regista lo considera, senza mezzi termini, “avaro e meschino”, ma ciò non gli impedisce di continuare a considerare proprio lui un auspicabile collaboratore per futuri progetti. Tra le pagine dei diari scorrono diverse idee concepite assieme, ma nessuna di queste si concretizza, almeno non come stesura a quattro mani. Resta tuttavia attestato che Arkadij Strugatskij fu uno dei primi a cui Tarkovskij confidò l’idea embrionale che portò a Sacrificio, il suo ultimo film, girato in esilio in Svezia e presentato a Cannes nel 1986. Col passare del tempo però il legame tra Tarkovskij e Arkadij Strugatskij andò diradandosi: nel maggio 1981, dopo un incontro fallimentare, Tarkovskij scrive che lo scrittore “da quattro mesi mi prende in giro: si sente male, ma beve, e pretende anche di poter lavorare come si deve. Naturalmente non ci riuscirà mai”. Tempo poche settimane e sembra cessato ogni rapporto: nessuno dei due cerca più l’altro. Tarkovskij attribuisce la cosa al clima politico che si è creato attorno a lui in Unione Sovietica: Strugatskij avrebbe capito che politicamente non gli conviene figurare tra i collaboratori di un regista sempre più scomodo, e non per nulla Tarkovskij di lì a poco annuncerà il suo autoesilio allo scopo di restare in Italia a girare Nostalghia. Tarkovskij morì a dicembre 1986, pochi mesi dopo aver completato Sacrificio, Arkadij Strugatskij nel 1991; Boris Strugatskij invece proseguì la carriera letteraria e morì nel 2012, facendo in tempo a vedere pubblicata in Russia la tanto desiderata edizione integrale del Picnic sul ciglio della strada.
“Lo Stalker, apparentemente debole, è in realtà invincibile grazie alla sua fede e alla sua volontà di servire gli uomini”, scrisse Tarkovskij in Scolpire il tempo, palesando la sua usuale identificazione con il protagonista. “Gli artisti, in fin dei conti, si occupano della propria professione non per raccontare qualcosa, ma per dimostrare la propria volontà di servire l’uomo. Mi stupiscono gli artisti che ritengono di essere liberamente creatori di sé stessi e che ciò sia effettivamente possibile: l’artista è condannato invece a comprendere di essere il frutto del suo tempo e delle persone tra cui vive… Sono convinto che, se l’artista riesce a fare qualcosa, ciò avviene soltanto per il fatto che gli uomini ne hanno bisogno”. Letto in questa ottica, Stalker diventa una grandiosa metafora del lavoro di un artista: e se si considerano dall’inizio alla fine tutte le vicissitudini affrontate dagli Strugatskij e da Tarkovskij prima per permettere la pubblicazione di Picnic sul ciglio della strada, poi per garantire la realizzazione, l’uscita in URSS e la diffusione nel resto del mondo del film tratto dal libro, il messaggio di Stalker si fa ancora più autentico.