Jennifer e le altre: da I Spit on your Grave
a Promising Young Woman,
di Carlotta Centonze
TR-33
14.7.2022
La storia del filone cinematografico rape-revenge è una storia maschile, non solo perché, fino a qualche anno fa, nessuna donna aveva mai diretto un film di questo tipo, ma anche perché, nonostante il minimo comune denominatore sia il tema dello stupro, nella maggior parte dei film di questo filone a mettere in atto la vendetta è il padre, il compagno o un parente della vittima. Lo stupro, quindi, ha a lungo rappresentato il motore dell’azione maschile. Le rappresentazioni spesso crude della violenza sessuale nei confronti di una donna servono a giustificare l’escalation di brutalità della vendetta maschile, relegando la figura femminile nel ruolo di vittima. Nel 1978, però, un film di serie B ha cambiato il corso del filone rape-revenge: si tratta di I Spit On Your Grave di Meir Zarchi, tradotto in italiano come Non violentate Jennifer, che capovolge il canone mettendo al centro della narrazione la vendetta della stessa vittima e aprendo la strada a una varietà di film successivi caratterizzati protagoniste femminili. Roger Ebert definì il film di Zarchi “a vile bag of garbage”, affermando che la proiezione a Chicago era stata una delle esperienze più depressive della sua vita e mostrando indignazione soprattutto per le reazioni del pubblico, sia di chi incitava alla violenza sessuale, sia di chi mostrava solidarietà con l’efferata vendetta di Jennifer. Nonostante le critiche, il film di Zarchi divenne un vero cult, e fu al centro di una rivalutazione in chiave femminista del rape-revenge. In contraddizione con i film in cui lo stupro giustificava un certo tipo di mascolinità, Sarah Projansky in Watching Rape: Film and Television in Postfeminist Culture (2001) individua infatti una seconda categoria di rape-revenge caratterizzata da “una narrativa femminista in cui la donna ha subito lo stupro, riconosce che la legge non la proteggerà né la vendicherà, e così prende la legge nelle sue mani”.
Assodata la rivalutazione che legge i film sulle “revenge women” in ottica di empowerment femminile, perché oggi è ancora interessante per chi fa cinema affrontare il tema dello stupro? E soprattutto, perché i film rape-revenge quasi sempre portano con sé un polverone di critiche, discussioni, schieramenti intorno al tema? Ha ancora senso rappresentare la violenza sessuale, ne abbiamo ancora bisogno?
Alexandra Heller-Nicholas, nel suo libro Rape Revenge Films (2011), scrive che “se esiste un’ampia confusione culturale riguardo a come porsi rispetto ai film rape-revenge, è perché questi stessi film riflettono una più ampia confusione culturale riguardo al tema dello stupro in generale”. Questo ragionamento sembra essere valido ancora oggi. I film che appartengono a questo filone, infatti, rendono possibile un’ampia varietà di discussioni ideologiche che possono essere esplorate in aree come le questioni di genere, i generi cinematografici e il contesto culturale che li accompagna. Parlare di un unico genere rape-revenge sarebbe riduttivo rispetto alla varietà che caratterizza questi film: nonostante la comune associazione con il genere horror ed exploitation negli anni ’70 in USA, il filone rape-revenge comprende film che sono il prodotto di contesti differenti e che attraversano trasversalmente la storia del cinema, rispecchiando diverse percezioni sociali dello stupro che coesistono nello stesso momento.
Per cercare di mettere a fuoco le precedenti domande è interessante addentrarsi nel caso del film Promising Young Woman di Emerald Fennell, vincitore nel 2021 dell’Oscar per la miglior sceneggiatura originale: scegliendo di girare un film che riprende alcuni aspetti del filone rape-revenge, Emerald Fennell, regista della serie tv Killing Eve, esordisce con un’opera tagliente, ironica e cruda che si appoggia alla commedia dark, riuscendo a portare il canone stesso a un altro livello di riflessione. La protagonista Cassie, interpretata da una superba Carey Mulligan, è stata, come suggerisce il titolo, una giovane donna promettente, studentessa brillante di medicina che ha abbandonato la facoltà in seguito a un episodio traumatico di violenza sessuale che ha spinto la sua migliore amica Nina a togliersi la vita. Da quel momento Cassie vive per ricordare e ricorda per vendicare ciò che è stato fatto all’amica, e di conseguenza a lei. La sua vita è l’opposto di quello che prometteva: a trent’anni vive ancora con i suoi genitori e fa un lavoro per cui non ha il minimo interesse, non ha una vita sociale né tantomeno sentimentale e tutte le sue energie hanno una natura rabbiosa. Cassie però non è una vittima indifesa, ma una vendicatrice seriale che appunta su un taccuino con una penna rossa tutti gli uomini da cui si è lasciata abbordare facendogli credere di essere strafatta, per poi umiliarli e spaventarli nel rivelarsi perfettamente sobria, mettendoli di fronte alla bassezza del proprio comportamento. Il suo mondo diurno color pastello (frutto dello scenografo di It Follows Michael Perry) si tinge di colori brillanti quando si trucca e si traveste da animale notturno per attirare le sue prede.
Sebbene la protagonista di Promising Young Woman Cassie abbia caratteristiche eccezionali - prima tra tutte la determinazione con cui mette in atto la sua vendetta meticolosamente orchestrata, tanto da ricordare la Amy di Gone Girl di David Fincher - i tratti supereroistici tipici delle protagoniste dei rape-revenge risultano qui sfumati. Cassie è una donna comune, che non sevizia né abusa delle vittime su cui si vendica ma spaventa a morte qualunque maschio abbocchi alla sua esca, e senza grandi sorprese si tratta di un gran numero di uomini. In seconda battuta, la sua azione si rivolge contro tutte quelle persone che non sono state direttamente responsabili della sorte di Nina, ma che con il loro silenzio e la loro complicità l’hanno resa possibile. Altro grande merito del film di Fennell, infatti, è quello di mostrare quanto la società, nel caso specifico quella statunitense e ancor più il microcosmo dei college, sia permeata dalla cultura dello stupro, a partire dai piani alti delle università, passando per gli avvocati difensori dei violentatori, fino ad arrivare alle compagne di corso che rifiutano di prestare la propria solidarietà alle vittime, considerandole responsabili di essersi trovate nella posizione di “asking for it”. In Promising Young Woman Fennell fa una scelta precisa, ovvero quella di non mostrare mai lo stupro né di usare direttamente le parole “rape” e “suicide”, altre due caratteristiche che allontanano il suo film dal canone originale. Quello che viene mostrato, dunque, è ciò che avviene dopo, sono le conseguenze che l’esperienza dello stupro produce nella vita di chi direttamente o indirettamente ne è colpito.
Come altre protagoniste di film rape-revenge - prima tra tutte Jennifer di I Spit On Your Grave di Meir Zarchi, ma anche in qualche misura Thana di Ms.45 di Abel Ferrara - Cassie seduce le sue vittime per poter mettere in atto la vendetta. Un comportamento che sollevò le critiche contro I Spit On Your Grave per aver oggettificato e sessualizzato il corpo della protagonista. La stessa tecnica seduttiva attirò al contrario l’ammirazione nei confronti del personaggio di Thana in Ms.45, che a partire dall’esperienza traumatica dello stupro, di cui è vittima per due volte nella stessa giornata, vive una vera riappropriazione della sua sessualità nell’evoluzione da piccola e sobria sarta dedita al lavoro ad angelo vendicatore e provocante cinto in mantelle nere e pantaloni di pelle. La regista di Promising Young Woman fa sicuramente riferimento alle caratteristiche delle protagoniste dei classici del filone, portando un ulteriore capovolgimento nel personaggio principale del suo film: se come le altre utilizza l’arma seduttiva con abiti succinti e trucco appariscente, Cassie riesce ad attirare i malcapitati di turno soprattutto attraverso quello che non dovrebbe essere un comportamento seduttivo, ovvero la recita dell’ubriachezza e quindi della vulnerabilità, che farebbero di lei una facile preda.
Contraltare della sua spietatezza notturna è un’apparenza infantile, sottolineata dagli azzurrini e i rosa che indossa durante il giorno come una maschera del dolore violento che le ha impedito di realizzarsi pienamente come adulta. La scelta di inserire nella colonna sonora un brano proveniente da un classico come La morte corre sul fiume di Charles Laughton (emblema dell’atto predatorio subito dai due bambini vittime del cacciatore della notte del titolo originale The Night of the Hunter), sembra sottolineare ancora di più un’infantilizzazione della protagonista Cassie, alimentando i dubbi di chi vede nel personaggio un ritratto poco sfaccettato e profondo di una donna che non troverà la sua redenzione in questa vita. Il deliberato fallimento di tutte le aspettative che Cassie porta avanti come una missione suscita sospetto nelle persone che le sono vicine, facendo di lei un’asociale, una strana donna solitaria che ha rinunciato a quello che tutti desiderano: una carriera brillante, una famiglia, un amore. Se da un lato è proprio qui che sta un punto di forza della narrazione del film e delle scelte registiche di Fennell, ovvero nel mostrare la totale assenza di spazio per il trauma nella società, dall’altro sembra condannare Cassie a una non-esistenza isolata e incomunicabile.
Così, nonostante il tono tagliente e ironico del film si adatti al bisogno di una rappresentazione più realistica e calata nella quotidianità della maggior parte delle donne, il finale solleva dubbi difficili da sciogliere. Infatti, per sublimare la propria vendetta colpendo i diretti responsabili dello stupro della sua amica, Cassie arriva all’ultimo atto: quello dell’auto annientamento. Solo sacrificando tutto quello che ha, fino alla sua vita, la protagonista ottiene giustizia, tra l’altro per mano dei poliziotti la cui inaffidabilità è il motore del desiderio di giustizia privata nella maggior parte dei film rape-revenge. E se questo epilogo può far storcere il naso, soprattutto perpetuando l’idea secondo la quale le donne sono vittime anche quando carnefici, dall’altro lato fa pensare alla riflessione che Mark Kermode, critico del Guardian, ha fatto su un altro film rape-revenge, Irréversible di Gaspar Noé, su cui ha scritto che “il vero significato del titolo del film sta nella sua rappresentazione dei danni della violenza come profondamente irreversibili, suggerendo che un film rape-revenge può avere un happy ending genuino solo se lo riproduci al contrario”. Così anche Promising Young Woman sembra suggerire l’idea che l’entità della devastazione prodotta dallo stupro non può essere del tutto superata con la catarsi della vendetta, diversamente da quanto altri esempi di questo filone, da I Spit On Your Grave fino a film contemporanei come Revenge di Coralie Fargeat, sostengono.
Date queste premesse, non sorprende quindi che anche Promising Young Woman sia stato al centro di un acceso dibattito che ha diviso la critica, non solo sul piano cinematografico, ma soprattutto su quello ideologico. Nonostante i numerosi premi e riconoscimenti, il film ha infatti riacceso vecchie questioni, come quella che Sarah Projansky identificava come il “paradosso femminista tra il desiderio di porre fine allo stupro e il bisogno di rappresentarlo (e quindi perpetuarne il discorso) con l’obiettivo di combatterlo”. È giusto rappresentare la violenza sulle donne (anche se in questo caso lo stupro non viene mostrato)? È davvero catartico mostrare una donna distrutta dalla violenza maschile, che seppur reagendo nella sua sete di vendetta non esiste più come individuo sociale?
Lena Wilson, critica cinematografica del New York Times, sottolinea la sostanziale incompletezza del film, affermando che la rappresentazione de-umanizzata di Cassie contribuisce all’idea che lo stupro trasformi le ragazze che lo subiscono in oggetto e non più soggetto, incastrando la protagonista in uno stato di sociopatia irreversibile che la esclude dalla società. Beatrice Kilat di The Cut, invece, lamenta l’assenza di originalità di un film che sfrutta il dolore delle donne per intrattenere il pubblico, nonostante la stupefacente performance attoriale di Carey Mulligan dia a Cassie una tridimensionalità in cui disperazione, noia e rabbia coesistono nello stesso personaggio. Della stessa opinione è Rebecca Liu di Another Gaze, che scrive “nel labirinto claustrofobico dei simboli più che familiari di Promising Young Woman, la libertà esiste solo nel rifiuto e nella distruzione, e nel tagliare tutti i ponti tra donne survivor e un’esistenza macchiata e complice”. Liu sottolinea come, a differenza di altri prodotti audiovisivi che ruotano intorno al tema dello stupro come I May Destroy You, nel film di Fennell non ci sia spazio per la solidarietà tra donne, a meno che non siano morte.
Nonostante la conformità a un modello culturale hollywoodiano che fa di Promising Young Woman una sorta di Kill Bill al femminile, poco propenso a esplorare attraverso il linguaggio e la rappresentazione per sviscerare la questione del dolore, è anche vero che, come sottolinea Carmen Maria Machado del New Yorker, il film presenta elementi di freschezza attraverso cui la regista rinnova il filone rape-revenge. Lo fa rifuggendo dalle rappresentazioni grafiche della violenza sessuale tipiche del genere, e soprattutto mostrando un crimine perpetrato non da sconosciuti aggressori, come accade spesso in questi film (basti pensare all’ambientazione criminale di Irréversible e di Ms.45), bensì da parte di qualcuno che la vittima conosceva, in un contesto come quello della cerchia di amici del college che dovrebbe essere sicuro, con l’aggravante di accadere sotto la supervisione di adulti che decidono di non guardare per non rovinare il brillante avvenire di giovani ragazzi promettenti.
Ancora una volta, quindi, un film rape-revenge, con tutti i limiti del caso e muovendosi nel territorio - a tratti paludoso - del cinema mainstream, suscita una proliferazione di discorsi intorno a un tema che divide, imbarazza e risulta ancora difficile da digerire. Insomma, assolve al compito principale dell’opera cinematografica di sollevare questioni, alimentare dubbi, individuare le giuste domande da porsi di fronte ad argomenti che continuano a essere spinosi.
È certo ciò che dice Lena Wilson nella sua recensione di Promising Young Woman, ovvero che prodotti seriali molto meno noti riescono a cogliere con più efficacia le sfaccettature del cambiamento che una violenza sessuale produce nella vita della vittima. È il caso dell’opera di Michaela Coel I May Destroy You, che mostra in maniera realistica e graffiante lo sconvolgimento emotivo della protagonista a partire dalla presa di coscienza di essere stata violentata, e senza escludere una rosa di finali tra cui viene dato spazio alla revenge fantasy della protagonista. Seppur mancando di tale profondità di analisi, l’esordio di Emerald Fennell Promising Young Woman è un ottimo esempio di come lo sguardo femminile possa ribaltare certi canoni, senza per forza creare un prodotto di nicchia, dando così più spazio alla controversia, alla scomodità e al dibattito.
Jennifer e le altre: da I Spit on your Grave
a Promising Young Woman,
di Carlotta Centonze
TR-33
14.7.2022
La storia del filone cinematografico rape-revenge è una storia maschile, non solo perché, fino a qualche anno fa, nessuna donna aveva mai diretto un film di questo tipo, ma anche perché, nonostante il minimo comune denominatore sia il tema dello stupro, nella maggior parte dei film di questo filone a mettere in atto la vendetta è il padre, il compagno o un parente della vittima. Lo stupro, quindi, ha a lungo rappresentato il motore dell’azione maschile. Le rappresentazioni spesso crude della violenza sessuale nei confronti di una donna servono a giustificare l’escalation di brutalità della vendetta maschile, relegando la figura femminile nel ruolo di vittima. Nel 1978, però, un film di serie B ha cambiato il corso del filone rape-revenge: si tratta di I Spit On Your Grave di Meir Zarchi, tradotto in italiano come Non violentate Jennifer, che capovolge il canone mettendo al centro della narrazione la vendetta della stessa vittima e aprendo la strada a una varietà di film successivi caratterizzati protagoniste femminili. Roger Ebert definì il film di Zarchi “a vile bag of garbage”, affermando che la proiezione a Chicago era stata una delle esperienze più depressive della sua vita e mostrando indignazione soprattutto per le reazioni del pubblico, sia di chi incitava alla violenza sessuale, sia di chi mostrava solidarietà con l’efferata vendetta di Jennifer. Nonostante le critiche, il film di Zarchi divenne un vero cult, e fu al centro di una rivalutazione in chiave femminista del rape-revenge. In contraddizione con i film in cui lo stupro giustificava un certo tipo di mascolinità, Sarah Projansky in Watching Rape: Film and Television in Postfeminist Culture (2001) individua infatti una seconda categoria di rape-revenge caratterizzata da “una narrativa femminista in cui la donna ha subito lo stupro, riconosce che la legge non la proteggerà né la vendicherà, e così prende la legge nelle sue mani”.
Assodata la rivalutazione che legge i film sulle “revenge women” in ottica di empowerment femminile, perché oggi è ancora interessante per chi fa cinema affrontare il tema dello stupro? E soprattutto, perché i film rape-revenge quasi sempre portano con sé un polverone di critiche, discussioni, schieramenti intorno al tema? Ha ancora senso rappresentare la violenza sessuale, ne abbiamo ancora bisogno?
Alexandra Heller-Nicholas, nel suo libro Rape Revenge Films (2011), scrive che “se esiste un’ampia confusione culturale riguardo a come porsi rispetto ai film rape-revenge, è perché questi stessi film riflettono una più ampia confusione culturale riguardo al tema dello stupro in generale”. Questo ragionamento sembra essere valido ancora oggi. I film che appartengono a questo filone, infatti, rendono possibile un’ampia varietà di discussioni ideologiche che possono essere esplorate in aree come le questioni di genere, i generi cinematografici e il contesto culturale che li accompagna. Parlare di un unico genere rape-revenge sarebbe riduttivo rispetto alla varietà che caratterizza questi film: nonostante la comune associazione con il genere horror ed exploitation negli anni ’70 in USA, il filone rape-revenge comprende film che sono il prodotto di contesti differenti e che attraversano trasversalmente la storia del cinema, rispecchiando diverse percezioni sociali dello stupro che coesistono nello stesso momento.
Per cercare di mettere a fuoco le precedenti domande è interessante addentrarsi nel caso del film Promising Young Woman di Emerald Fennell, vincitore nel 2021 dell’Oscar per la miglior sceneggiatura originale: scegliendo di girare un film che riprende alcuni aspetti del filone rape-revenge, Emerald Fennell, regista della serie tv Killing Eve, esordisce con un’opera tagliente, ironica e cruda che si appoggia alla commedia dark, riuscendo a portare il canone stesso a un altro livello di riflessione. La protagonista Cassie, interpretata da una superba Carey Mulligan, è stata, come suggerisce il titolo, una giovane donna promettente, studentessa brillante di medicina che ha abbandonato la facoltà in seguito a un episodio traumatico di violenza sessuale che ha spinto la sua migliore amica Nina a togliersi la vita. Da quel momento Cassie vive per ricordare e ricorda per vendicare ciò che è stato fatto all’amica, e di conseguenza a lei. La sua vita è l’opposto di quello che prometteva: a trent’anni vive ancora con i suoi genitori e fa un lavoro per cui non ha il minimo interesse, non ha una vita sociale né tantomeno sentimentale e tutte le sue energie hanno una natura rabbiosa. Cassie però non è una vittima indifesa, ma una vendicatrice seriale che appunta su un taccuino con una penna rossa tutti gli uomini da cui si è lasciata abbordare facendogli credere di essere strafatta, per poi umiliarli e spaventarli nel rivelarsi perfettamente sobria, mettendoli di fronte alla bassezza del proprio comportamento. Il suo mondo diurno color pastello (frutto dello scenografo di It Follows Michael Perry) si tinge di colori brillanti quando si trucca e si traveste da animale notturno per attirare le sue prede.
Sebbene la protagonista di Promising Young Woman Cassie abbia caratteristiche eccezionali - prima tra tutte la determinazione con cui mette in atto la sua vendetta meticolosamente orchestrata, tanto da ricordare la Amy di Gone Girl di David Fincher - i tratti supereroistici tipici delle protagoniste dei rape-revenge risultano qui sfumati. Cassie è una donna comune, che non sevizia né abusa delle vittime su cui si vendica ma spaventa a morte qualunque maschio abbocchi alla sua esca, e senza grandi sorprese si tratta di un gran numero di uomini. In seconda battuta, la sua azione si rivolge contro tutte quelle persone che non sono state direttamente responsabili della sorte di Nina, ma che con il loro silenzio e la loro complicità l’hanno resa possibile. Altro grande merito del film di Fennell, infatti, è quello di mostrare quanto la società, nel caso specifico quella statunitense e ancor più il microcosmo dei college, sia permeata dalla cultura dello stupro, a partire dai piani alti delle università, passando per gli avvocati difensori dei violentatori, fino ad arrivare alle compagne di corso che rifiutano di prestare la propria solidarietà alle vittime, considerandole responsabili di essersi trovate nella posizione di “asking for it”. In Promising Young Woman Fennell fa una scelta precisa, ovvero quella di non mostrare mai lo stupro né di usare direttamente le parole “rape” e “suicide”, altre due caratteristiche che allontanano il suo film dal canone originale. Quello che viene mostrato, dunque, è ciò che avviene dopo, sono le conseguenze che l’esperienza dello stupro produce nella vita di chi direttamente o indirettamente ne è colpito.
Come altre protagoniste di film rape-revenge - prima tra tutte Jennifer di I Spit On Your Grave di Meir Zarchi, ma anche in qualche misura Thana di Ms.45 di Abel Ferrara - Cassie seduce le sue vittime per poter mettere in atto la vendetta. Un comportamento che sollevò le critiche contro I Spit On Your Grave per aver oggettificato e sessualizzato il corpo della protagonista. La stessa tecnica seduttiva attirò al contrario l’ammirazione nei confronti del personaggio di Thana in Ms.45, che a partire dall’esperienza traumatica dello stupro, di cui è vittima per due volte nella stessa giornata, vive una vera riappropriazione della sua sessualità nell’evoluzione da piccola e sobria sarta dedita al lavoro ad angelo vendicatore e provocante cinto in mantelle nere e pantaloni di pelle. La regista di Promising Young Woman fa sicuramente riferimento alle caratteristiche delle protagoniste dei classici del filone, portando un ulteriore capovolgimento nel personaggio principale del suo film: se come le altre utilizza l’arma seduttiva con abiti succinti e trucco appariscente, Cassie riesce ad attirare i malcapitati di turno soprattutto attraverso quello che non dovrebbe essere un comportamento seduttivo, ovvero la recita dell’ubriachezza e quindi della vulnerabilità, che farebbero di lei una facile preda.
Contraltare della sua spietatezza notturna è un’apparenza infantile, sottolineata dagli azzurrini e i rosa che indossa durante il giorno come una maschera del dolore violento che le ha impedito di realizzarsi pienamente come adulta. La scelta di inserire nella colonna sonora un brano proveniente da un classico come La morte corre sul fiume di Charles Laughton (emblema dell’atto predatorio subito dai due bambini vittime del cacciatore della notte del titolo originale The Night of the Hunter), sembra sottolineare ancora di più un’infantilizzazione della protagonista Cassie, alimentando i dubbi di chi vede nel personaggio un ritratto poco sfaccettato e profondo di una donna che non troverà la sua redenzione in questa vita. Il deliberato fallimento di tutte le aspettative che Cassie porta avanti come una missione suscita sospetto nelle persone che le sono vicine, facendo di lei un’asociale, una strana donna solitaria che ha rinunciato a quello che tutti desiderano: una carriera brillante, una famiglia, un amore. Se da un lato è proprio qui che sta un punto di forza della narrazione del film e delle scelte registiche di Fennell, ovvero nel mostrare la totale assenza di spazio per il trauma nella società, dall’altro sembra condannare Cassie a una non-esistenza isolata e incomunicabile.
Così, nonostante il tono tagliente e ironico del film si adatti al bisogno di una rappresentazione più realistica e calata nella quotidianità della maggior parte delle donne, il finale solleva dubbi difficili da sciogliere. Infatti, per sublimare la propria vendetta colpendo i diretti responsabili dello stupro della sua amica, Cassie arriva all’ultimo atto: quello dell’auto annientamento. Solo sacrificando tutto quello che ha, fino alla sua vita, la protagonista ottiene giustizia, tra l’altro per mano dei poliziotti la cui inaffidabilità è il motore del desiderio di giustizia privata nella maggior parte dei film rape-revenge. E se questo epilogo può far storcere il naso, soprattutto perpetuando l’idea secondo la quale le donne sono vittime anche quando carnefici, dall’altro lato fa pensare alla riflessione che Mark Kermode, critico del Guardian, ha fatto su un altro film rape-revenge, Irréversible di Gaspar Noé, su cui ha scritto che “il vero significato del titolo del film sta nella sua rappresentazione dei danni della violenza come profondamente irreversibili, suggerendo che un film rape-revenge può avere un happy ending genuino solo se lo riproduci al contrario”. Così anche Promising Young Woman sembra suggerire l’idea che l’entità della devastazione prodotta dallo stupro non può essere del tutto superata con la catarsi della vendetta, diversamente da quanto altri esempi di questo filone, da I Spit On Your Grave fino a film contemporanei come Revenge di Coralie Fargeat, sostengono.
Date queste premesse, non sorprende quindi che anche Promising Young Woman sia stato al centro di un acceso dibattito che ha diviso la critica, non solo sul piano cinematografico, ma soprattutto su quello ideologico. Nonostante i numerosi premi e riconoscimenti, il film ha infatti riacceso vecchie questioni, come quella che Sarah Projansky identificava come il “paradosso femminista tra il desiderio di porre fine allo stupro e il bisogno di rappresentarlo (e quindi perpetuarne il discorso) con l’obiettivo di combatterlo”. È giusto rappresentare la violenza sulle donne (anche se in questo caso lo stupro non viene mostrato)? È davvero catartico mostrare una donna distrutta dalla violenza maschile, che seppur reagendo nella sua sete di vendetta non esiste più come individuo sociale?
Lena Wilson, critica cinematografica del New York Times, sottolinea la sostanziale incompletezza del film, affermando che la rappresentazione de-umanizzata di Cassie contribuisce all’idea che lo stupro trasformi le ragazze che lo subiscono in oggetto e non più soggetto, incastrando la protagonista in uno stato di sociopatia irreversibile che la esclude dalla società. Beatrice Kilat di The Cut, invece, lamenta l’assenza di originalità di un film che sfrutta il dolore delle donne per intrattenere il pubblico, nonostante la stupefacente performance attoriale di Carey Mulligan dia a Cassie una tridimensionalità in cui disperazione, noia e rabbia coesistono nello stesso personaggio. Della stessa opinione è Rebecca Liu di Another Gaze, che scrive “nel labirinto claustrofobico dei simboli più che familiari di Promising Young Woman, la libertà esiste solo nel rifiuto e nella distruzione, e nel tagliare tutti i ponti tra donne survivor e un’esistenza macchiata e complice”. Liu sottolinea come, a differenza di altri prodotti audiovisivi che ruotano intorno al tema dello stupro come I May Destroy You, nel film di Fennell non ci sia spazio per la solidarietà tra donne, a meno che non siano morte.
Nonostante la conformità a un modello culturale hollywoodiano che fa di Promising Young Woman una sorta di Kill Bill al femminile, poco propenso a esplorare attraverso il linguaggio e la rappresentazione per sviscerare la questione del dolore, è anche vero che, come sottolinea Carmen Maria Machado del New Yorker, il film presenta elementi di freschezza attraverso cui la regista rinnova il filone rape-revenge. Lo fa rifuggendo dalle rappresentazioni grafiche della violenza sessuale tipiche del genere, e soprattutto mostrando un crimine perpetrato non da sconosciuti aggressori, come accade spesso in questi film (basti pensare all’ambientazione criminale di Irréversible e di Ms.45), bensì da parte di qualcuno che la vittima conosceva, in un contesto come quello della cerchia di amici del college che dovrebbe essere sicuro, con l’aggravante di accadere sotto la supervisione di adulti che decidono di non guardare per non rovinare il brillante avvenire di giovani ragazzi promettenti.
Ancora una volta, quindi, un film rape-revenge, con tutti i limiti del caso e muovendosi nel territorio - a tratti paludoso - del cinema mainstream, suscita una proliferazione di discorsi intorno a un tema che divide, imbarazza e risulta ancora difficile da digerire. Insomma, assolve al compito principale dell’opera cinematografica di sollevare questioni, alimentare dubbi, individuare le giuste domande da porsi di fronte ad argomenti che continuano a essere spinosi.
È certo ciò che dice Lena Wilson nella sua recensione di Promising Young Woman, ovvero che prodotti seriali molto meno noti riescono a cogliere con più efficacia le sfaccettature del cambiamento che una violenza sessuale produce nella vita della vittima. È il caso dell’opera di Michaela Coel I May Destroy You, che mostra in maniera realistica e graffiante lo sconvolgimento emotivo della protagonista a partire dalla presa di coscienza di essere stata violentata, e senza escludere una rosa di finali tra cui viene dato spazio alla revenge fantasy della protagonista. Seppur mancando di tale profondità di analisi, l’esordio di Emerald Fennell Promising Young Woman è un ottimo esempio di come lo sguardo femminile possa ribaltare certi canoni, senza per forza creare un prodotto di nicchia, dando così più spazio alla controversia, alla scomodità e al dibattito.