La comunicazione gestuale nella figura del predicatore
da The Night of the Hunter a There Will be Blood,
di Aureliana Bontempo
TR-33
14.7.2022
“That was one Goddamn hell of a show.” (Daniel Day Lewis in “There Will Be Blood”)
Quando ci approcciamo alla comprensione della comunicazione umana un aspetto da non tralasciare è sicuramente lo studio cinesico, ovvero della comunicazione non verbale. A tal riguardo, il cinema del periodo del muto si pone come archetipo del rapporto percettivo tra immagine sempiterna in movimento e fruitore.
In assenza del linguaggio verbale, infatti, il silent cinema ha sfruttato le capacità gestuali del corpo umano come mezzo primario della comunicazione; cosı̀ la voce, assente, riemerge nei gesti e nelle contorsioni del viso estendendosi grazie al corpo dell’attore. Celebre la frenesia di Lillian Gish in The Wind, espressa attraverso una straordinaria mimica facciale e un ampio utilizzo delle mani, oppure la pantomima di Charlie Chaplin nella fabbrica di Modern Times.
E’ solo con il sopraggiungere del sonoro, nel 1927, che il cinema consente di riprodurre un corpo “più pieno” e conferma lo status della parola come “diritto di proprietà individuale”, permettendo una maggiore empatia con le storie presentate sul grande schermo. L’uso incalzante della gestualità di quel periodo, tuttavia, non è andato smarrendosi del tutto ed è possibile ritrovarlo nella rappresentazione cinematografica di una delle figure che hanno caratterizzato la profonda provincia rurale americana, quella della Bible Belt, in particolare tra la fine dell ’800 e la metà del ‘900: il predicatore.
Ponendosi rispetto ad una platea di uditori come colui che esorta e ammonisce a seguire i precetti di una particolare dottrina religiosa (nel nostro caso specifico, quella cristiana), egli ha nella parola l’imprescindibile e primario strumento della propria comunicazione e, di conseguenza, l’efficacia del suo scopo sociale.
Nell’immaginario cinematografico, tuttavia, il personaggio ci viene per lo più presentato come un imbonitore pronto ad utilizzare la mano come estensione corporea della parola.
Nella comunicazione non verbale, i gesti manuali dei predicatori possono essere considerati “gesti illustratori”: quei gesti (mimetici, diettici o batonici), con funzione ripetitiva o rafforzativa, che esprimono simultaneamente, o con brevi scarti temporali, lo stesso identico concetto che è veicolato dal canale verbale, scandendo il susseguirsi delle parole e illustrando visivamente il racconto.
Il predicatore, come in una pièce teatrale, dà corpo alla comunicazione orale per renderla visibile all’occhio umano ad un livello primario, e spesso anche universale, di comprensione, in una sorta di ritorno alle origini primitive dell’uomo e all’uso della gestualità come forma principale di comunicazione. Questo focus sulla parola attraverso l’uso delle mani è evidente in molte rappresentazioni cinematografiche in cui compare o è protagonista il predicatore, e, tra queste, in quello che è considerato uno dei capolavori del XXI secolo, There Will Be Blood di Paul Thomas Anderson.
Nella pellicola, che ruota intorno alla figura di Daniel Plainview, un cercatore di petrolio della fine dell’‘800, ci viene presentato come antagonista e controparte un predicatore, Eli Sunday. Da una parte, quindi, troviamo un uomo che, come esplicita lui stesso, è “better at digging holes in the ground than making speeches”, cioè il petroliere, dall’altra un giovane che sfrutta la sua eloquenza dando alle mani la funzione di catalizzatore dell’attenzione.
Nella sequenza magistrale in cui Eli è intento a pronunciare un sermone e a compiere una miracolosa guarigione, la macchina da presa assume indubbiamente il punto di vista del protagonista, mostrandoci cosı̀ l’illusoria messa in scena del predicatore. In un gioco di movimenti di mano, evidentemente di natura teatrale, Eli, esplicitando alla folla la necessità di dover toccare con le proprie mani quelle di una delle donne presenti (“Touch this woman with your hands and caress her”), mima l’esorcizzazione di un demone, muovendosi in una chiesa ormai simulacro di un palcoscenico, circondato da deliranti fedeli che innalzano le mani al cielo.
Il regista, tuttavia, nel tentativo di mostrare allo spetattore la figura ingannevole di Eli, non si limita alla sola sequenza appena citata, ma ne introduce altre due: dapprima, con un piccolo zoom-out, vediamo il ragazzo intento in una delle prove di gestualità nella nuova chiesa in costruzione, e poi, nella sequenza del battesimo di Daniel, in un bellissimo primo piano del suo volto, quest’ultimo è ripreso accompagnato dalle mani teatranti di Eli, che lo toccano più e più volte, come a voler modellare lo spirito dell’uomo inginocchiato ai suoi piedi.
Questo tipo di raffigurazione del predicatore fa sicuramente riferimento a due film precedenti: The Miracle Woman (1931) e Elmer Gantry (1960). Seppure si tratti di due pellicole molto diverse tra loro, sia per gli anni in cui sono state girate, sia per gli intenti sottesi alla rappresentazione del personaggio in argomento, entrambe rispecchiano, e hanno condizionato, l’immaginario collettivo che gli spettatori, estranei alle realtà rurali americane, si sono fatti del preacher come “sfruttatore delle masse attraverso l’affabulazione delle parole e dei gesti”
Il cinema, quindi, difficilmente ci presenta il predicatore come una figura positiva: oltre ad assumere, metaforicamente, le sembianze di un illusionista, viene delineato come uncreatore di realtà ingannevoli, sfruttando e saccheggiando il repertorio simbolico della “mano” nella religione cristiana, utilizzando l’organo pensile come catalizzatore dell’inganno verbale.
In questa visione rappresentativa, l’altro film in cui le mani del predicatore hanno un ruole centrale, e fungono da simbolo allegorico tra Bene e Male, nell’accezione biblica, manifestando la natura maligna del predicatore, è il noir del 1955 di Charles Laughton: The Night of The Hunter (o La morte corre sul fiume, di cui abbiamo parlato in questa notecard).
In Virginia Occidentale, un falso predicatore, Harry Powell, tenta di estorcere dei soldi, a loro volta rubati, a due bambini figli di un ladro che egli aveva conosciuto in prigione. Harry, definito Preacher per tutta la pellicola, in una delle sequenze più memorabili della storia del cinema, spiega ai bambini “la storia della mano destra e della mano sinistra”, in cui la destra, mano dell’amore, della preghiera e della comunicazione diretta con Dio, “nella storia della vita”, lotta contro la mano sinistra, la mano dell’odio e del male. Questa storia, resa esplicita dalla gestualità narrativa delle sue stesse mani, racconta quella che è più in generale la storia del film stesso, in cui alla fine il Male, incarnato dal Preacher, soccombe sotto la stretta del Bene, personificato dell’anziana Rachel Cooper.
Le sue mani sono quindi emblema della contraddittorietà della propria natura di uomo e assassino. È infatti proprio con la mano dell’amore che egli commette i suoi crimini, come nella scena in cui pugnala la moglie a letto. Egli, in un corpo asincrono, in cui parola e azione manuale si annullano l’un l’altra, non riesce a prestare giuramento nemmeno al proprio credo, permettendo così alle sue mani di dare sfogo alle pulsioni malvagie che lo pervadono.
Nella dottrina cristiana, infatti, la mano non è altro che lo strumento primario con cui spesso l’uomo commette peccato, ma anche il mezzo con cui può avvicinarsi a Dio per chiedergli perdono. Questa dicotomia della funzione allegorica legata alla mano è incarnata nel cinema dalla figura di colui che trova in un proverbio un esplicito ritratto: colui che “predica bene e razzola male”.
La gestualità e lo sfruttamento dell’organo, che più di tutti ci permette di avvicinarci all’altro, sono alla base della rappresentazione, nell’arte cinematografica, di quella che ci è stata appunto presentata come una figura contraddittoria, oltre che la personificazione del Bene e del Male che rende l’uomo tale.
In epoca contemporanea, tuttavia, il predicatore è andato perdendosi, non solo a livello di immaginario collettivo, ma anche nella narrativa cinematografica. Egli riesce, però, a trovare in qualche modo il suo equivalente in quei nuovi profeti della comunicazione: gli oratori motivazionali. Nell’era dei social e del colosso di YouTube, dei convegni e dei TEDx, queste figure, in qualche modo non troppo lontane da un giovane Adolf Hitler delirante nei circoli dell’estrema destra monacense, sono state perfettamente ritratte in film come Magnolia e The Wolf of Wall Street, dove altrettanto evidente è la rimarcazione dell’uso costante della mano come mezzo comunicativo primario, ancora prima della parola.
La comunicazione gestuale nella figura del predicatore da The Night of the Hunter a There Will be Blood,
di Aureliana Bontempo
TR-33
14.7.2022
“That was one Goddamn hell of a show.” (Daniel Day Lewis in “There Will Be Blood”)
Quando ci approcciamo alla comprensione della comunicazione umana un aspetto da non tralasciare è sicuramente lo studio cinesico, ovvero della comunicazione non verbale. A tal riguardo, il cinema del periodo del muto si pone come archetipo del rapporto percettivo tra immagine sempiterna in movimento e fruitore.
In assenza del linguaggio verbale, infatti, il silent cinema ha sfruttato le capacità gestuali del corpo umano come mezzo primario della comunicazione; cosı̀ la voce, assente, riemerge nei gesti e nelle contorsioni del viso estendendosi grazie al corpo dell’attore. Celebre la frenesia di Lillian Gish in The Wind, espressa attraverso una straordinaria mimica facciale e un ampio utilizzo delle mani, oppure la pantomima di Charlie Chaplin nella fabbrica di Modern Times.
E’ solo con il sopraggiungere del sonoro, nel 1927, che il cinema consente di riprodurre un corpo “più pieno” e conferma lo status della parola come “diritto di proprietà individuale”, permettendo una maggiore empatia con le storie presentate sul grande schermo. L’uso incalzante della gestualità di quel periodo, tuttavia, non è andato smarrendosi del tutto ed è possibile ritrovarlo nella rappresentazione cinematografica di una delle figure che hanno caratterizzato la profonda provincia rurale americana, quella della Bible Belt, in particolare tra la fine dell ’800 e la metà del ‘900: il predicatore.
Ponendosi rispetto ad una platea di uditori come colui che esorta e ammonisce a seguire i precetti di una particolare dottrina religiosa (nel nostro caso specifico, quella cristiana), egli ha nella parola l’imprescindibile e primario strumento della propria comunicazione e, di conseguenza, l’efficacia del suo scopo sociale.
Nell’immaginario cinematografico, tuttavia, il personaggio ci viene per lo più presentato come un imbonitore pronto ad utilizzare la mano come estensione corporea della parola.
Nella comunicazione non verbale, i gesti manuali dei predicatori possono essere considerati “gesti illustratori”: quei gesti (mimetici, diettici o batonici), con funzione ripetitiva o rafforzativa, che esprimono simultaneamente, o con brevi scarti temporali, lo stesso identico concetto che è veicolato dal canale verbale, scandendo il susseguirsi delle parole e illustrando visivamente il racconto.
Il predicatore, come in una pièce teatrale, dà corpo alla comunicazione orale per renderla visibile all’occhio umano ad un livello primario, e spesso anche universale, di comprensione, in una sorta di ritorno alle origini primitive dell’uomo e all’uso della gestualità come forma principale di comunicazione. Questo focus sulla parola attraverso l’uso delle mani è evidente in molte rappresentazioni cinematografiche in cui compare o è protagonista il predicatore, e, tra queste, in quello che è considerato uno dei capolavori del XXI secolo, There Will Be Blood di Paul Thomas Anderson.
Nella pellicola, che ruota intorno alla figura di Daniel Plainview, un cercatore di petrolio della fine dell’‘800, ci viene presentato come antagonista e controparte un predicatore, Eli Sunday. Da una parte, quindi, troviamo un uomo che, come esplicita lui stesso, è “better at digging holes in the ground than making speeches”, cioè il petroliere, dall’altra un giovane che sfrutta la sua eloquenza dando alle mani la funzione di catalizzatore dell’attenzione.
Nella sequenza magistrale in cui Eli è intento a pronunciare un sermone e a compiere una miracolosa guarigione, la macchina da presa assume indubbiamente il punto di vista del protagonista, mostrandoci cosı̀ l’illusoria messa in scena del predicatore. In un gioco di movimenti di mano, evidentemente di natura teatrale, Eli, esplicitando alla folla la necessità di dover toccare con le proprie mani quelle di una delle donne presenti (“Touch this woman with your hands and caress her”), mima l’esorcizzazione di un demone, muovendosi in una chiesa ormai simulacro di un palcoscenico, circondato da deliranti fedeli che innalzano le mani al cielo.
Il regista, tuttavia, nel tentativo di mostrare allo spetattore la figura ingannevole di Eli, non si limita alla sola sequenza appena citata, ma ne introduce altre due: dapprima, con un piccolo zoom-out, vediamo il ragazzo intento in una delle prove di gestualità nella nuova chiesa in costruzione, e poi, nella sequenza del battesimo di Daniel, in un bellissimo primo piano del suo volto, quest’ultimo è ripreso accompagnato dalle mani teatranti di Eli, che lo toccano più e più volte, come a voler modellare lo spirito dell’uomo inginocchiato ai suoi piedi.
Questo tipo di raffigurazione del predicatore fa sicuramente riferimento a due film precedenti: The Miracle Woman (1931) e Elmer Gantry (1960). Seppure si tratti di due pellicole molto diverse tra loro, sia per gli anni in cui sono state girate, sia per gli intenti sottesi alla rappresentazione del personaggio in argomento, entrambe rispecchiano, e hanno condizionato, l’immaginario collettivo che gli spettatori, estranei alle realtà rurali americane, si sono fatti del preacher come “sfruttatore delle masse attraverso l’affabulazione delle parole e dei gesti”
Il cinema, quindi, difficilmente ci presenta il predicatore come una figura positiva: oltre ad assumere, metaforicamente, le sembianze di un illusionista, viene delineato come uncreatore di realtà ingannevoli, sfruttando e saccheggiando il repertorio simbolico della “mano” nella religione cristiana, utilizzando l’organo pensile come catalizzatore dell’inganno verbale.
In questa visione rappresentativa, l’altro film in cui le mani del predicatore hanno un ruole centrale, e fungono da simbolo allegorico tra Bene e Male, nell’accezione biblica, manifestando la natura maligna del predicatore, è il noir del 1955 di Charles Laughton: The Night of The Hunter (o La morte corre sul fiume, di cui abbiamo parlato in questa notecard).
In Virginia Occidentale, un falso predicatore, Harry Powell, tenta di estorcere dei soldi, a loro volta rubati, a due bambini figli di un ladro che egli aveva conosciuto in prigione. Harry, definito Preacher per tutta la pellicola, in una delle sequenze più memorabili della storia del cinema, spiega ai bambini “la storia della mano destra e della mano sinistra”, in cui la destra, mano dell’amore, della preghiera e della comunicazione diretta con Dio, “nella storia della vita”, lotta contro la mano sinistra, la mano dell’odio e del male. Questa storia, resa esplicita dalla gestualità narrativa delle sue stesse mani, racconta quella che è più in generale la storia del film stesso, in cui alla fine il Male, incarnato dal Preacher, soccombe sotto la stretta del Bene, personificato dell’anziana Rachel Cooper.
Le sue mani sono quindi emblema della contraddittorietà della propria natura di uomo e assassino. È infatti proprio con la mano dell’amore che egli commette i suoi crimini, come nella scena in cui pugnala la moglie a letto. Egli, in un corpo asincrono, in cui parola e azione manuale si annullano l’un l’altra, non riesce a prestare giuramento nemmeno al proprio credo, permettendo così alle sue mani di dare sfogo alle pulsioni malvagie che lo pervadono.
Nella dottrina cristiana, infatti, la mano non è altro che lo strumento primario con cui spesso l’uomo commette peccato, ma anche il mezzo con cui può avvicinarsi a Dio per chiedergli perdono. Questa dicotomia della funzione allegorica legata alla mano è incarnata nel cinema dalla figura di colui che trova in un proverbio un esplicito ritratto: colui che “predica bene e razzola male”.
La gestualità e lo sfruttamento dell’organo, che più di tutti ci permette di avvicinarci all’altro, sono alla base della rappresentazione, nell’arte cinematografica, di quella che ci è stata appunto presentata come una figura contraddittoria, oltre che la personificazione del Bene e del Male che rende l’uomo tale.
In epoca contemporanea, tuttavia, il predicatore è andato perdendosi, non solo a livello di immaginario collettivo, ma anche nella narrativa cinematografica. Egli riesce, però, a trovare in qualche modo il suo equivalente in quei nuovi profeti della comunicazione: gli oratori motivazionali. Nell’era dei social e del colosso di YouTube, dei convegni e dei TEDx, queste figure, in qualche modo non troppo lontane da un giovane Adolf Hitler delirante nei circoli dell’estrema destra monacense, sono state perfettamente ritratte in film come Magnolia e The Wolf of Wall Street, dove altrettanto evidente è la rimarcazione dell’uso costante della mano come mezzo comunicativo primario, ancora prima della parola.