NC-31
12.10.2020
Nonostante le grandi difficoltà e le incertezze che la Biennale ha dovuto affrontare, la 77esima mostra di Venezia è stata, tirando le somme a ormai un mese dalla chiusura, un promettente segno di ripartenza. Le restrizioni adottate per permettere lo svolgimento del festival in sicurezza non hanno minato la fruizione delle numerose sezioni della mostra da parte del pubblico del lido. Tra queste, anche la competizione dei quattordici cortometraggi nella sezione “Orizzonti” sembra aver mantenuto un seguito non indifferente tra i festivalieri, portando le sale adibite - seppur molto più modeste rispetto alle maggiori come la Darsena - alla massima saturazione ad ogni proiezione.
Oltre alla sezione Orizzonti, a Venezia è possibile trovare cortometraggi in competizione nella sezione parallela e autonoma della SIC, la Settimana Internazionale della Critica, da cui è uscito vincitore il giovane Simone Bozzelli con il suo J’Ador. A differenza di Orizzonti, tuttavia, i corti della SIC vengono proiettati in apertura ai lungometraggi in gara nella stessa sezione, rendendo difficile distinguere in sala un preciso pubblico interessato ai cortometraggi in questione..
La grande qualità celata di Orizzonti risiede quindi nell’offrire la forma del film-breve in maniera pura, rifiutando la concezione del corto come “appendice” di un medio/lungometraggio. La proiezione consequenziale dei quattordici corti di Orizzonti suddivisa in due tranches e riproposta più volte nel programma della Mostra ha una valenza estremamente importante: permette di creare un’attenzione particolare e specifica in un pubblico di appassionati, emergenti e addetti, facenti parte di un mercato - quello del cortometraggio - spesso ingiustamente etichettato come inesistente. E invece la produzione e la distribuzione di cortometraggi attira un interesse sempre maggiore da parte di numerosi canali di fruizione.
Il binomio “corto prima del film - corto con altri corti” presente a Venezia, così come in altri importanti appuntamenti cinematografici, è indicativo della diversa concezione che il mondo italiano e quello anglosassone hanno del prodotto film-breve.
Da sempre il cortometraggio è stato inteso come il primo passo che l’emergente deve compiere per dare avvio ad una propria carriera autoriale che vede quasi sempre come ideale punto d’arrivo la realizzazione del lungo. Talvolta i giovani registi devono girare più e più corti prima di poter accedere ad un minutaggio sopra i sessanta minuti. Questo cursus honorum sembra essersi cristallizzato, tant’è vero che al giorno d’oggi è praticamente impossibile indicare autori che abbiano esordito de facto con la regia di un lungo (se non per rari casi, quasi sempre indipendenti). Ovviamente tale prassi si coniuga perfettamente con regole produttive irregimentate da un mercato che fa del lungometraggio un prodotto “piazzabile” su più banchi d’offerta, garantendo così rientri se non sicuri, quantomeno prevedibili, con minimi margini d’errore. Un autore “sconosciuto” è poco prevedibile ergo poco piazzabile. Questo iter autoriale dal corto al lungo si è fissato - anche lecitamente - come conseguenza di precise dinamiche produttive che impongono al giovane regista di cimentarsi con qualcosa di meno rischioso come, per l'appunto, un cortometraggio, facendo di quest’ultimo un biglietto da visita delle proprie intenzioni e attitudini.
Un iter dunque motivato e piuttosto logico, ma che rischia di ridurre la forma del cortometraggio a semplice strumento, finendo con svilirne le possibilità espressive e produttive. È infatti ormai consuetudine fare del cortometraggio un mezzo di presentazione non solo di un autore, ma anche di un progetto: in Italia come all’estero numerosi autori realizzano cortometraggi a finale aperto, spesso sospesi, come se diventassero dei pilota di una serie o addirittura trailer di un film. In questo modo il cortometraggio esiste solo in funzione di un progetto esterno ad esso. La sua priorità diventa quella di attirare le attenzioni dei possibili stakeholders interessati.
Spesso il cortometraggio viene accusato di essere un formato “invendibile” perché impossibile da presentare in sala se non come a corredo di un lungo. Ma in un momento in cui la sala rappresenta, ahimé, un canale distributivo marginale anche per major e grandi produzioni, il corto può assurgere a una nuova posizione. Lo dimostra da circa quarant’anni il Festival Internazionale del Cortometraggio di Clermont-Ferrand, secondo appuntamento cinematografico della Francia per importanza dopo Cannes. Il festival è inoltre sede del più grande mercato mondiale del corto. L’attenzione che la Francia dedica alla produzione di cortometraggi è ben evidente se si pensa che solo nel 2014 sono stati stanziati 25 milioni di euro tra indotti festivalieri, fondi statali e locali, contro l’1,5 italiano dello stesso anno.
Fortunatamente anche nel nostro paese l’attenzione rivolta al mondo del film-breve è aumentata nel corso degli anni, in concomitanza con un ascolto maggiore rivolto a giovani ed emergenti. Dal 2015 ogni anno il Torino Short Film Market accoglie oltre 600 partecipanti da circa 50 nazioni, avvicinando produzioni, distribuzioni e buyer al settore e diventando così il più importante evento Industry del paese nell’ambito del cortometraggio. È recente invece l’approdo su Amazon Prime di “Italian Short Movie Collection”, una serie di cortometraggi candidati al David e ora disponibili sulla piattaforma. Inoltre il Mibact continua a prevedere nell’assegnazione dei fondi pubblici anche progetti di metraggio breve. Nonostante questi punti a favore, è indubbio che la forma del corto rimanga di difficile collocazione, e spesso la distribuzione festivaliera o streaming è l’unico modo che il film ha di farsi notare. C’è però da chiedersi se questo discorso non sia ormai applicabile a un intero settore che si sta sempre di più allontanando dalla sua sede di diritto, la sala. Nel frattempo, immaginare nuovi modi di intendere il corto come linguaggio a sé stante e non solo come tappa necessaria nel percorso che conduce al lungo è prerogativa per una fruizione sempre più attenta. Un’attenzione, come il pubblico di Orizzonti, verso quel modo di raccontare storie in breve tempo che è stato, tra l’altro, il primo in cui il cinema si è manifestato.
NC-31
12.10.2020
Nonostante le grandi difficoltà e le incertezze che la Biennale ha dovuto affrontare, la 77esima mostra di Venezia è stata, tirando le somme a ormai un mese dalla chiusura, un promettente segno di ripartenza. Le restrizioni adottate per permettere lo svolgimento del festival in sicurezza non hanno minato la fruizione delle numerose sezioni della mostra da parte del pubblico del lido. Tra queste, anche la competizione dei quattordici cortometraggi nella sezione “Orizzonti” sembra aver mantenuto un seguito non indifferente tra i festivalieri, portando le sale adibite - seppur molto più modeste rispetto alle maggiori come la Darsena - alla massima saturazione ad ogni proiezione.
Oltre alla sezione Orizzonti, a Venezia è possibile trovare cortometraggi in competizione nella sezione parallela e autonoma della SIC, la Settimana Internazionale della Critica, da cui è uscito vincitore il giovane Simone Bozzelli con il suo J’Ador. A differenza di Orizzonti, tuttavia, i corti della SIC vengono proiettati in apertura ai lungometraggi in gara nella stessa sezione, rendendo difficile distinguere in sala un preciso pubblico interessato ai cortometraggi in questione..
La grande qualità celata di Orizzonti risiede quindi nell’offrire la forma del film-breve in maniera pura, rifiutando la concezione del corto come “appendice” di un medio/lungometraggio. La proiezione consequenziale dei quattordici corti di Orizzonti suddivisa in due tranches e riproposta più volte nel programma della Mostra ha una valenza estremamente importante: permette di creare un’attenzione particolare e specifica in un pubblico di appassionati, emergenti e addetti, facenti parte di un mercato - quello del cortometraggio - spesso ingiustamente etichettato come inesistente. E invece la produzione e la distribuzione di cortometraggi attira un interesse sempre maggiore da parte di numerosi canali di fruizione.
Il binomio “corto prima del film - corto con altri corti” presente a Venezia, così come in altri importanti appuntamenti cinematografici, è indicativo della diversa concezione che il mondo italiano e quello anglosassone hanno del prodotto film-breve.
Da sempre il cortometraggio è stato inteso come il primo passo che l’emergente deve compiere per dare avvio ad una propria carriera autoriale che vede quasi sempre come ideale punto d’arrivo la realizzazione del lungo. Talvolta i giovani registi devono girare più e più corti prima di poter accedere ad un minutaggio sopra i sessanta minuti. Questo cursus honorum sembra essersi cristallizzato, tant’è vero che al giorno d’oggi è praticamente impossibile indicare autori che abbiano esordito de facto con la regia di un lungo (se non per rari casi, quasi sempre indipendenti). Ovviamente tale prassi si coniuga perfettamente con regole produttive irregimentate da un mercato che fa del lungometraggio un prodotto “piazzabile” su più banchi d’offerta, garantendo così rientri se non sicuri, quantomeno prevedibili, con minimi margini d’errore. Un autore “sconosciuto” è poco prevedibile ergo poco piazzabile. Questo iter autoriale dal corto al lungo si è fissato - anche lecitamente - come conseguenza di precise dinamiche produttive che impongono al giovane regista di cimentarsi con qualcosa di meno rischioso come, per l'appunto, un cortometraggio, facendo di quest’ultimo un biglietto da visita delle proprie intenzioni e attitudini.
Un iter dunque motivato e piuttosto logico, ma che rischia di ridurre la forma del cortometraggio a semplice strumento, finendo con svilirne le possibilità espressive e produttive. È infatti ormai consuetudine fare del cortometraggio un mezzo di presentazione non solo di un autore, ma anche di un progetto: in Italia come all’estero numerosi autori realizzano cortometraggi a finale aperto, spesso sospesi, come se diventassero dei pilota di una serie o addirittura trailer di un film. In questo modo il cortometraggio esiste solo in funzione di un progetto esterno ad esso. La sua priorità diventa quella di attirare le attenzioni dei possibili stakeholders interessati.
Spesso il cortometraggio viene accusato di essere un formato “invendibile” perché impossibile da presentare in sala se non come a corredo di un lungo. Ma in un momento in cui la sala rappresenta, ahimé, un canale distributivo marginale anche per major e grandi produzioni, il corto può assurgere a una nuova posizione. Lo dimostra da circa quarant’anni il Festival Internazionale del Cortometraggio di Clermont-Ferrand, secondo appuntamento cinematografico della Francia per importanza dopo Cannes. Il festival è inoltre sede del più grande mercato mondiale del corto. L’attenzione che la Francia dedica alla produzione di cortometraggi è ben evidente se si pensa che solo nel 2014 sono stati stanziati 25 milioni di euro tra indotti festivalieri, fondi statali e locali, contro l’1,5 italiano dello stesso anno.
Fortunatamente anche nel nostro paese l’attenzione rivolta al mondo del film-breve è aumentata nel corso degli anni, in concomitanza con un ascolto maggiore rivolto a giovani ed emergenti. Dal 2015 ogni anno il Torino Short Film Market accoglie oltre 600 partecipanti da circa 50 nazioni, avvicinando produzioni, distribuzioni e buyer al settore e diventando così il più importante evento Industry del paese nell’ambito del cortometraggio. È recente invece l’approdo su Amazon Prime di “Italian Short Movie Collection”, una serie di cortometraggi candidati al David e ora disponibili sulla piattaforma. Inoltre il Mibact continua a prevedere nell’assegnazione dei fondi pubblici anche progetti di metraggio breve. Nonostante questi punti a favore, è indubbio che la forma del corto rimanga di difficile collocazione, e spesso la distribuzione festivaliera o streaming è l’unico modo che il film ha di farsi notare. C’è però da chiedersi se questo discorso non sia ormai applicabile a un intero settore che si sta sempre di più allontanando dalla sua sede di diritto, la sala. Nel frattempo, immaginare nuovi modi di intendere il corto come linguaggio a sé stante e non solo come tappa necessaria nel percorso che conduce al lungo è prerogativa per una fruizione sempre più attenta. Un’attenzione, come il pubblico di Orizzonti, verso quel modo di raccontare storie in breve tempo che è stato, tra l’altro, il primo in cui il cinema si è manifestato.