INT-79
4.12.2024
Jérémie (Félix Kysyl), giovane trentenne che vive a Tolosa, decide di recarsi nel paesino rurale dove ha vissuto e lavorato diversi anni in occasione del funerale del suo ex datore di lavoro. Il ragazzo deciderà di fermarsi in quel luogo per qualche giorno in modo da stare vicino alla vedova Martine (Catherine Frot), ma ben presto si troverà al centro di alcuni eventi del tutto inaspettati dovuti alla presenza di un parroco con strane intenzioni, un vecchio amico rancoroso ed un vicino alquanto minaccioso.
Miséricorde, il nuovo lungometraggio di Alain Guiraudie, è stato presentato per la prima volta lo scorso maggio al Festival di Cannes, dove il direttore artistico Thierry Fremaux ha preso la decisione di “relegare” il film nella sezione Cannes Premiere, invece che inserirlo nella Competizione Ufficiale. Una scelta che ha fatto molto discutere poiché il lungometraggio è risultato essere uno dei più acclamati dell’intera annata cinematografica, tanto che, lo scorso giovedì, si è classificato al primo posto nella top 10 del 2024 della celebre rivista Cahiers du Cinéma. Negli scorsi giorni, l’opera ha avuto la sua premiere italiana presso il Cinema Arlecchino di Milano in occasione del Noir in Festival.
Abbiamo avuto il piacere di incontrare il regista Alain Guiraudie, che ci ha raccontato dell’importanza delle location rurali, del setting autunnale e di alcune delle tematiche chiave del lungometraggio.
La tematica principale del film è il desiderio, osservato soprattutto all’interno della sfera omosessuale, e mostri come questo sia la causa principale dei problemi non solo di Jérémie, ma anche di altri personaggi, e questo oscura, di fatto, la trama sulla ricerca della persona scomparsa. Volevo cominciare questa conversazione chiedendoti di approfondire meglio questo aspetto.
Rispetto ai miei film precedenti, in Miséricorde, l’omosessualità causa molti più problemi di quello che ci si aspetterebbe. Ad esempio, pensa a Jérémie, che ad un certo punto dice che ha avuto una ragazza per un periodo, oppure al parroco, che ovviamente non parla apertamente dei suoi desideri. Quello che voglio dire è che le persone omosessuali spesso sono “condannate” ad amare persone che non sapranno mai ricambiare il loro amore. Ed è questo ciò che accomuna i due personaggi che ho citato, devono nascondere la propria omosessualità. L’unica eccezione si ha quando Jérémie ne parla apertamente con Walter provando anche a sedurlo, ma questo lo rifiuta e lo caccia via di casa. Inoltre, un aspetto molto importante per me era il fatto di voler fare un film erotico senza mostrare scene a sfondo sessuale. Volevo mostrare tutte queste persone, il desiderio che bramano, e come non riescono ad avere un vero contatto sessuale con gli altri.
Il film è l’adattamento di Rabalaïre (2021), il tuo secondo romanzo, volevo quindi cogliere l’occasione per chiederti del rapporto letteratura/cinema all’interno della tua carriera.
Sono due mondi diversi e, di conseguenza, il modo in cui lavoro è diverso. Differente anche da un punto di vista sociale; ho sempre amato la letteratura, ma ho sempre pensato che fosse qualcosa di troppo solitario, dove devi stare da solo con te stesso per un lungo periodo di tempo. Poi ho scoperto il mondo del cinema e il processo dietro la lavorazione di un film mi ha affascinato. È tutto suddiviso in diverse fasi: in un primo istante c’è quella fase solitaria di scrittura, poi quella collettiva mentre si gira la pellicola ed infine una più “confinata” tra due e tre persone dedicata al montaggio. Questo rappresenta il giusto equilibrio tra il condividere il tempo creativo con diverse persone e, allo stesso tempo, ottenere un periodo che mi permetta di stare con me stesso. Ultimamente, però, devo ammettere che sto apprezzando nuovamente la letteratura, probabilmente perché sono meno spaventato dall’avere a che fare con questi lunghi periodi di solitudine che mi accompagnano durante la scrittura di un romanzo. Inoltre, il processo creativo risulta diverso perché nel cinema, di solito, si agisce rimuovendo le scene che hai girato, non perché sei obbligato, ma perché ti rendi conto, in fase di montaggio, che magari alcune di queste non funzionano. È frustrante poiché hai lavorato su alcune cose e poi ti trovi costretto ad eliminarle. In letteratura è l’opposto, di solito continuo ad aggiungere parti. In fin dei conti, trovo che questo sia molto più piacevole, ma continuo a dedicarmi a entrambi i campi allo stesso tempo.
Il film è ambientato in un villaggio rurale, nelle campagne, fuori dal contesto urbano di una metropoli, elementi che sono quasi sempre presenti nei tuoi film, come ad esempio Rester vertical (2016) o L’Inconnu du lac (Lo sconosciuto del lago, 2013). Quanta importanza ricoprono le location rurali nel tuo cinema?
Il tutto parte dalla mia esperienza personale. Sono nato e cresciuto in un piccolo paese di campagna, quindi conosco piuttosto bene quel contesto e credo di avere il “diritto” di raccontare storie ambientate in quei luoghi, senza cadere negli stereotipi. Tengo davvero molto a quei posti e, in qualche modo, la mia è una scelta politica, poichè cerco di strutturare i miei film evitando proprio le tipiche location urbane. Al giorno d’oggi, il cinema francese è troppo incentrato sulla componente metropolitana, soprattutto quella parigina, e molte storie vengono spesso raccontate all’interno di appartamenti, uffici e, in generale, luoghi chiusi. Con Miséricorde ho cercato di andare controtendenza e girare la maggior parte del film all'aperto. Inoltre, la scelta di queste location mi ha permesso di raccontare una storia senza una catalogazione temporale; la maggior parte degli edifici del villaggio sono tipici degli anni ‘70, ma la sensazione è che la vicenda sia ambientata più verso i nostri giorni. Non c’è molta modernità comunque, sia negli edifici che negli oggetti di scena, questo era piuttosto importante perché mi piace creare quella sorta di cinema fuori dal tempo.
Miséricorde è raccontato nella stagione autunnale. Quanto è stata importante questa scelta? Avresti potuto narrare questa storia anche in estate o in inverno?
L’autunno rappresenta un elemento talmente fondamentale all’interno del film che ho deciso con largo anticipo il periodo esatto in cui ambientare la vicenda. L’anno scorso avevo capito che volevo girare nel preciso periodo in cui le foglie hanno un colorito che tende più al rosso e al giallo, e questo lasso di tempo di solito dura sulle tre settimane. È stato piuttosto difficile perché non potevo permettermi di sbagliare alcuna scena o di passare troppo tempo su una sequenza specifica. Ovviamente avrei potuto collocare questa storia in qualsiasi altra stagione, ma l’autunno ha qualcosa di speciale e ho voluto sfruttare la sua tipica luce crepuscolare, oltre alla nebbia, la pioggia e anche il vento.
Puoi approfondire più nel dettaglio i problemi logistici legati alle riprese in questa stagione?
Per dirti, i cambi di stagione hanno avuto un forte impatto sulle riprese. Abbiamo iniziato a girare a inizio autunno, quando l’atmosfera era ancora estiva per lo più, e abbiamo concluso le riprese verso la fine della stagione. L’arrivo dell’inverno mi ha messo in difficoltà soprattutto per quello che dicevo prima; solo pochi alberi avevano ancora delle foglie e di fatto, ho dovuto adattarmi e scegliere location naturali diverse che richiamassero di più l’autunno. Vista la presenza della neve in alcune parti del paese, ho deciso di girare una scena che non era presente nella sceneggiatura, una che ha una connotazione onirica per il protagonista, ma alla fine ho deciso di non includerla.
Miséricorde ha un tono piuttosto grottesco ed esilarante, ma ho notato che i personaggi sono sempre seri e non ricordo una scena dove ridono ad esempio. Come sei riuscito ad iniettare questa peculiare vena humor all’interno del film?
I personaggi spesso si trovano in situazioni dove devono comportarsi in maniera seria, e questo li rende maggiormente buffi agli occhi del pubblico in qualche modo. Non mi piacciono le commedie o, più nel dettaglio, i personaggi che si credono divertenti e che sfruttano la propria situazione tragica per forzare l’aspetto comico della storia. Per quanto mi riguarda, ho cercato di lavorare il più possibile con gli attori e il modo in cui pronunciano le battute; se i personaggi si trovavano in situazioni “serie”, chiedevo agli interpreti di recitare i dialoghi nella maniera più leggera possibile, come se non avessero una certa importanza narrativa, mentre con le scene più divertenti, chiedevo loro di mantenere un tono piuttosto serio.
Il cast ha svolto un lavoro impressionante nel portare sullo schermo questo tono comico, soprattutto Félix Kysyl. Cosa mi puoi dire su di lui? Cosa ti ha spinto a dargli il ruolo da protagonista in Miséricorde?
Innanzitutto l’avevo già notato prima di fare il film, e sul set sono rimasto colpito dalla sua capacità di trasmettere una certa complessità, nonostante il suo personaggio abbia una scrittura piuttosto semplice. Questa per me è una qualità essenziale in un attore, e quello che ha fatto Félix in Miséricorde mi ha davvero impressionato; ha saputo rappresentare alla perfezione la natura ambivalente di Jérémie, sia il lato “angelico” che quello “demoniaco”.
INT-79
4.12.2024
Jérémie (Félix Kysyl), giovane trentenne che vive a Tolosa, decide di recarsi nel paesino rurale dove ha vissuto e lavorato diversi anni in occasione del funerale del suo ex datore di lavoro. Il ragazzo deciderà di fermarsi in quel luogo per qualche giorno in modo da stare vicino alla vedova Martine (Catherine Frot), ma ben presto si troverà al centro di alcuni eventi del tutto inaspettati dovuti alla presenza di un parroco con strane intenzioni, un vecchio amico rancoroso ed un vicino alquanto minaccioso.
Miséricorde, il nuovo lungometraggio di Alain Guiraudie, è stato presentato per la prima volta lo scorso maggio al Festival di Cannes, dove il direttore artistico Thierry Fremaux ha preso la decisione di “relegare” il film nella sezione Cannes Premiere, invece che inserirlo nella Competizione Ufficiale. Una scelta che ha fatto molto discutere poiché il lungometraggio è risultato essere uno dei più acclamati dell’intera annata cinematografica, tanto che, lo scorso giovedì, si è classificato al primo posto nella top 10 del 2024 della celebre rivista Cahiers du Cinéma. Negli scorsi giorni, l’opera ha avuto la sua premiere italiana presso il Cinema Arlecchino di Milano in occasione del Noir in Festival.
Abbiamo avuto il piacere di incontrare il regista Alain Guiraudie, che ci ha raccontato dell’importanza delle location rurali, del setting autunnale e di alcune delle tematiche chiave del lungometraggio.
La tematica principale del film è il desiderio, osservato soprattutto all’interno della sfera omosessuale, e mostri come questo sia la causa principale dei problemi non solo di Jérémie, ma anche di altri personaggi, e questo oscura, di fatto, la trama sulla ricerca della persona scomparsa. Volevo cominciare questa conversazione chiedendoti di approfondire meglio questo aspetto.
Rispetto ai miei film precedenti, in Miséricorde, l’omosessualità causa molti più problemi di quello che ci si aspetterebbe. Ad esempio, pensa a Jérémie, che ad un certo punto dice che ha avuto una ragazza per un periodo, oppure al parroco, che ovviamente non parla apertamente dei suoi desideri. Quello che voglio dire è che le persone omosessuali spesso sono “condannate” ad amare persone che non sapranno mai ricambiare il loro amore. Ed è questo ciò che accomuna i due personaggi che ho citato, devono nascondere la propria omosessualità. L’unica eccezione si ha quando Jérémie ne parla apertamente con Walter provando anche a sedurlo, ma questo lo rifiuta e lo caccia via di casa. Inoltre, un aspetto molto importante per me era il fatto di voler fare un film erotico senza mostrare scene a sfondo sessuale. Volevo mostrare tutte queste persone, il desiderio che bramano, e come non riescono ad avere un vero contatto sessuale con gli altri.
Il film è l’adattamento di Rabalaïre (2021), il tuo secondo romanzo, volevo quindi cogliere l’occasione per chiederti del rapporto letteratura/cinema all’interno della tua carriera.
Sono due mondi diversi e, di conseguenza, il modo in cui lavoro è diverso. Differente anche da un punto di vista sociale; ho sempre amato la letteratura, ma ho sempre pensato che fosse qualcosa di troppo solitario, dove devi stare da solo con te stesso per un lungo periodo di tempo. Poi ho scoperto il mondo del cinema e il processo dietro la lavorazione di un film mi ha affascinato. È tutto suddiviso in diverse fasi: in un primo istante c’è quella fase solitaria di scrittura, poi quella collettiva mentre si gira la pellicola ed infine una più “confinata” tra due e tre persone dedicata al montaggio. Questo rappresenta il giusto equilibrio tra il condividere il tempo creativo con diverse persone e, allo stesso tempo, ottenere un periodo che mi permetta di stare con me stesso. Ultimamente, però, devo ammettere che sto apprezzando nuovamente la letteratura, probabilmente perché sono meno spaventato dall’avere a che fare con questi lunghi periodi di solitudine che mi accompagnano durante la scrittura di un romanzo. Inoltre, il processo creativo risulta diverso perché nel cinema, di solito, si agisce rimuovendo le scene che hai girato, non perché sei obbligato, ma perché ti rendi conto, in fase di montaggio, che magari alcune di queste non funzionano. È frustrante poiché hai lavorato su alcune cose e poi ti trovi costretto ad eliminarle. In letteratura è l’opposto, di solito continuo ad aggiungere parti. In fin dei conti, trovo che questo sia molto più piacevole, ma continuo a dedicarmi a entrambi i campi allo stesso tempo.
Il film è ambientato in un villaggio rurale, nelle campagne, fuori dal contesto urbano di una metropoli, elementi che sono quasi sempre presenti nei tuoi film, come ad esempio Rester vertical (2016) o L’Inconnu du lac (Lo sconosciuto del lago, 2013). Quanta importanza ricoprono le location rurali nel tuo cinema?
Il tutto parte dalla mia esperienza personale. Sono nato e cresciuto in un piccolo paese di campagna, quindi conosco piuttosto bene quel contesto e credo di avere il “diritto” di raccontare storie ambientate in quei luoghi, senza cadere negli stereotipi. Tengo davvero molto a quei posti e, in qualche modo, la mia è una scelta politica, poichè cerco di strutturare i miei film evitando proprio le tipiche location urbane. Al giorno d’oggi, il cinema francese è troppo incentrato sulla componente metropolitana, soprattutto quella parigina, e molte storie vengono spesso raccontate all’interno di appartamenti, uffici e, in generale, luoghi chiusi. Con Miséricorde ho cercato di andare controtendenza e girare la maggior parte del film all'aperto. Inoltre, la scelta di queste location mi ha permesso di raccontare una storia senza una catalogazione temporale; la maggior parte degli edifici del villaggio sono tipici degli anni ‘70, ma la sensazione è che la vicenda sia ambientata più verso i nostri giorni. Non c’è molta modernità comunque, sia negli edifici che negli oggetti di scena, questo era piuttosto importante perché mi piace creare quella sorta di cinema fuori dal tempo.
Miséricorde è raccontato nella stagione autunnale. Quanto è stata importante questa scelta? Avresti potuto narrare questa storia anche in estate o in inverno?
L’autunno rappresenta un elemento talmente fondamentale all’interno del film che ho deciso con largo anticipo il periodo esatto in cui ambientare la vicenda. L’anno scorso avevo capito che volevo girare nel preciso periodo in cui le foglie hanno un colorito che tende più al rosso e al giallo, e questo lasso di tempo di solito dura sulle tre settimane. È stato piuttosto difficile perché non potevo permettermi di sbagliare alcuna scena o di passare troppo tempo su una sequenza specifica. Ovviamente avrei potuto collocare questa storia in qualsiasi altra stagione, ma l’autunno ha qualcosa di speciale e ho voluto sfruttare la sua tipica luce crepuscolare, oltre alla nebbia, la pioggia e anche il vento.
Puoi approfondire più nel dettaglio i problemi logistici legati alle riprese in questa stagione?
Per dirti, i cambi di stagione hanno avuto un forte impatto sulle riprese. Abbiamo iniziato a girare a inizio autunno, quando l’atmosfera era ancora estiva per lo più, e abbiamo concluso le riprese verso la fine della stagione. L’arrivo dell’inverno mi ha messo in difficoltà soprattutto per quello che dicevo prima; solo pochi alberi avevano ancora delle foglie e di fatto, ho dovuto adattarmi e scegliere location naturali diverse che richiamassero di più l’autunno. Vista la presenza della neve in alcune parti del paese, ho deciso di girare una scena che non era presente nella sceneggiatura, una che ha una connotazione onirica per il protagonista, ma alla fine ho deciso di non includerla.
Miséricorde ha un tono piuttosto grottesco ed esilarante, ma ho notato che i personaggi sono sempre seri e non ricordo una scena dove ridono ad esempio. Come sei riuscito ad iniettare questa peculiare vena humor all’interno del film?
I personaggi spesso si trovano in situazioni dove devono comportarsi in maniera seria, e questo li rende maggiormente buffi agli occhi del pubblico in qualche modo. Non mi piacciono le commedie o, più nel dettaglio, i personaggi che si credono divertenti e che sfruttano la propria situazione tragica per forzare l’aspetto comico della storia. Per quanto mi riguarda, ho cercato di lavorare il più possibile con gli attori e il modo in cui pronunciano le battute; se i personaggi si trovavano in situazioni “serie”, chiedevo agli interpreti di recitare i dialoghi nella maniera più leggera possibile, come se non avessero una certa importanza narrativa, mentre con le scene più divertenti, chiedevo loro di mantenere un tono piuttosto serio.
Il cast ha svolto un lavoro impressionante nel portare sullo schermo questo tono comico, soprattutto Félix Kysyl. Cosa mi puoi dire su di lui? Cosa ti ha spinto a dargli il ruolo da protagonista in Miséricorde?
Innanzitutto l’avevo già notato prima di fare il film, e sul set sono rimasto colpito dalla sua capacità di trasmettere una certa complessità, nonostante il suo personaggio abbia una scrittura piuttosto semplice. Questa per me è una qualità essenziale in un attore, e quello che ha fatto Félix in Miséricorde mi ha davvero impressionato; ha saputo rappresentare alla perfezione la natura ambivalente di Jérémie, sia il lato “angelico” che quello “demoniaco”.