di Pavel Belli Micati
NC-239
02.10.2024
Il calendario, di solito, si appende in cucina sotto l’orologio, come a creare un asse simmetrico e incrementale di scansione del tempo. I secondi diventano ore, che diventano giorni, che diventano settimane, fino a che le caselle si esauriscono, e bisogna comprarne uno nuovo. Oltre che dal meteo e dalla notte che si avvicina o si allontana, sui calendari i mesi vengono contraddistinti da un’immagine - un’ape che raccoglie il polline, un'aerea dell’Empire State Building, un quadro di Miró - che in un modo o nell’altro cerca di racchiudere l’essenza di questa particolare trentina di giorni.
Per questo Ottobre, al posto della singola illustrazione a cui siamo abituati, ODG pubblicherà una selezione di dieci film da vedere durante il mese, appositamente scelti per marcare ricorrenze, anniversari e affinità umorali.
2 ottobre. Non aprite quella porta (1974) di Tobe Hooper
Un gruppo di amici viaggia in direzione di una casa abbandonata in Texas… no, non c’è Mia Goth e non ci sono porno da girare. In una torrida estate, Sally e il fratello Franklin si recano in compagnia di amici presso una cittadina derelitta, in visita alla casa del loro nonno defunto. Con la pompa di benzina sprovvista di rifornimento, i ragazzi decidono di rimanere la notte, ma il breve ristoro si trasforma in un incubo, perché nelle vicinanze si aggira uno tra i killer più sanguinari della storia del cinema. Se vi è piaciuto il primo film della trilogia di Ti West, X: A Sexy Horror Story (2022), adorerete questa pietra miliare dello slasher indie statunitense. Non aprite quella porta inaugura diversi tropi dell’horror moderno, dalle esibizioni gore di torture atroci alle urla strazianti delle sue acrobatiche final girls; eppure, il contributo più importante di Non aprite quella porta al cinema è la nuova dignità artistica che concede al body horror e alle produzioni a basso costo. L’esercizio del terrore firmato da Tobe Hooper compie quest’anno cinquant’anni, ed è incredibile perché le recenti saghe-tributo al genere, da The Blair Witch Project (1999) fino a The Strangers (2008), vivono della sua eredità, ma la loro visione lascia un sapore derivato, confezionato: l’autentica freschezza del suo precursore, al contrario, vi lascerà sbalorditi dalla sua bellezza senza tempo!
5 ottobre. Holy Smoke! (1999), di Jane Campion
Da Titanic (1997) a Eternal Sunshine of the Spotless Mind (2004), fino alla detective story di HBO Mare of Easttown (2021): non c’è ruolo che Kate Winslet non soppesi alla perfezione. Come celebrare il genetliaco della rosa più brava d’Inghilterra? L’ago ardente della sua bilancia incide sulla magistrale interpretazione in Holy Smoke! dove l’attrice premio Oscar è Ruth, una giovane aussie che, durante un viaggio spirituale, si converte a un antico culto e rimane in India. Harvey Keitel è P.J. Waters, counselor statunitense assoldato dalla famiglia di lei per riconvertire e portare a casa la ragazza. La cattura avviene: Ruth viene scortata con l’inganno in terra australiana e forzata a una terapia d’urto con l’uomo in una stamberga nel deserto. Ma non c’è forza maggiore di un’idea e i ruoli cominciano piano piano a invertirsi. La commedia romantica meno nota di Campion, l’interpretazione più niche di Winslet, Holy Smoke! è un tentativo (fallimentare, per fortuna) di normazione: al di là dell’erotico new age che suggerisce, la conversione trascende massime orientali e ricolloca una storia d’amore ante litteram entro una prospettiva che decostruisce i ruoli di genere. Fuoco e aria non sono mai stati più vividi nelle immagini di Dion Beebe, DoP preferito di Rob Marshall. Jane Campion restituisce una tela dell’anima - musicata dalle interpolazioni pop & ritual della colonna sonora di Badalamenti - dove gli immensi cieli rifulgenti dell’outback documentano la passione solitaria di questa strana coppia.
Disponibile per il noleggio su Amazon Prime Video.
7 Ottobre. Blonde (2022), di Andrew Dominik
Come le stelle più brillanti, Marilyn Monroe è nata sotto il segno dei gemelli, ma un’atmosfera autunnale spira dall’ultimo biopic autorizzato sulla sua figura. Dal romanzo di J.C. Oates, Dominik stende un resoconto distillato sulle tappe della creazione – e della distruzione – della donna più miticizzata del cinema. Una Ana de Armas unbound dà occhi e cuore alla diva più vulnerabile e romantica mai raccontata dal genere biografico, e l’esposto sui retroscena di Hollywood invita a una riflessione che tesse amore e tradimento in una trama di sensazioni a filo tra eros e thanatos. Molta della critica è stata spietata nei confronti del film: c’è chi ne ha lamentato l’eccessiva durata, chi si è soffermato sulle inesattezze storiche, chi ha deriso la performance della protagonista e chi ha condannato la violenza di scene ‘ingiustificatamente’ turbanti. Purtroppo, questo è un mondo crudele, proprio come quello raccontato dal romanzo di Oates: Norma Jean è una martire moderna, Marilyn Monroe il canone imperituro del suo sacrificio. Andrew Dominik riserva un amore ancestrale nel raccontare la sua vita come la passione di Cristo. Forse la distribuzione su Netflix non ha giovato della sua ricezione che è stata inflessibile. Il film è però tutto il contrario di ciò che la critica ha detto, e il suo regista, una bilancia che con Monroe condivide l’elemento etereo per eccellenza, è ormai nel Canone. Non sono dopotutto, tutte le cose che restano, destinate al mito?
Disponibile su Netflix.
9 Ottobre. Shame (2011), di Steve McQueen
Un’altra bilancia compie gli anni in ottobre… abbiamo scelto Shame per festeggiarlo. Secondo lungometraggio di Steve McQueen, che si confronta con l’eredità di American Psycho (1999) in un dramma urbano scritto a quattro mani con Abi Morgan che rappresenta una psicanalisi sull’immaginario yuppie targato Wall Street: a vent’anni dalla diagnosi di schizofrenia, oggi i business executives soffrono di mal de vivre. Fassbender e Mulligan sono una coppia di fratelli che nessuno scriveva dai tempi di Bergman: Brandon, dietro il successo lavorativo e l’immagine lucidata, cela una profonda anaffettività e un’ossessione patologica per il sesso, mentre Sissy cerca di sbancare il lunario tra relazioni tossiche, esibizioni in locali e tendenze autolesioniste. Il loro rapporto, non dei migliori, viene compromesso dalla visita della sorella al fratello. La vergogna è il punto di partenza di Shame, qui metafora dell’imbarazzo della sublimazione erotica, ma anche dell’onta di una integrità morale che soffoca l’impulso trasgressivo. Il bisogno di appartenere, frustrato per entrambi, irrompe in una violenza psicofisica che l’uno perpetra ai danni dell’altra e viceversa, ma soprattutto verso sé. Il rifiuto e il desiderio che fanno l’uomo moderno sono filtrati attraverso il microscopio di una sensibilità che, per contrasto, unisce libido e solitudo, un bisturi a doppia lama che ritaglia le coordinate di una tragedia contemporanea con sullo sfondo una New York algida e inclemente come il suo protagonista.
Disponibile per il noleggio su Amazon Prime Video, Apple TV, Chili, Tim Vision, Google Play Film e You Tube.
11 Ottobre. Le onde del destino (1996), di Lars Von Trier
Su Lars Von Trier è stato detto tanto, dalla pornografia all’affinità con Hitler, ma non l’abilità con cui sa raccontare la fede. In Le onde del destino, uscito in Italia 28 anni fa, la felicità di due neo-sposi nella Scozia degli anni Settanta è ostacolata da un terribile incidente: Jan, di stanza su una piattaforma petrolifera nel mare del Nord, viene colpito alla testa dal pistone di un estrattore. Riportato sulla terraferma e operato d’urgenza, il suo corpo è paralizzato dal collo in giù. Senza speranza di ripresa, l’uomo fa una richiesta alla moglie: le chiede di intraprendere rapporti sessuali con altri uomini e raccontarglieli. Bess inizialmente rifiuta, ma per la fede che nutre in Dio e l’amore che cova per suo marito, infine accetta. La promessa è difficile da mantenere in un paese di poche anime timorate. Jan non è visto di buon occhio dalla famiglia di lei per la poca osservanza religiosa, e il giro in cui la giovane donna finisce, in ossequio al marito, danneggia la sua immagine di buona cristiana. Mescolando il moralismo provinciale al miracolo della superstizione, Von Trier registra l’ascesi di un’anima pura disposta a tutto per amore. L’amore coniugale è traslato sul piano religioso, e in Bess l’amore per Jan è una vera e propria immolazione. Nel panorama inerte che testimonia il voto della donna, dall’umidità delle rigide highlands scozzesi, dai dialoghi sommessi nelle chiesette sprovviste di campane, dalle fredde stanze di ospedali asettici, si sente la voce di un Dio che chiede un sacrificio: lo ascolterete?
13 Ottobre. Chi ha paura di Virginia Woolf? (1966), di Mike Nichols
Il 13 ottobre 1962 debutta a Broadway Who’s Afraid of Virginia Woolf? di Edward Albee. Il dramma, successo immediato, vince il Tony per miglior pièce e i migliori attori. Quattro anni dopo, Mike Nichols ne dirige l’adattamento, con Elizabeth Taylor e Richard Burton nei ruoli dei protagonisti. Martha e George sono una coppia insofferente e stagionata: lui professore di storia al college, lei figlia del rettore. Martha ha invitato un giovane collega di George e sua moglie, Nick e Honey, a bere un drink. La giovane coppia accetta l’invito, ma al loro arrivo assistono a un violento litigio. Capiscono che, oltre all’ultimo bicchiere della staffa, dovranno mandar giù lo scontro, tra l'intellettuale e l'osceno, di una coppia che nasconde un terribile segreto. Anche se il dramma ritrae un’alcolista sciatta e depressa, Liz Taylor fu una scelta sorprendente perché infuse un’eleganza alla disperazione di Martha che è rimasta negli annali. Chi ha paura di Virginia Woolf è l’ispezione di una crisi, e in tale crisi è contenuto il secolo scorso: il crepuscolo degli dèi, la morte della tragedia, la fine della monogamia. La Lega cattolica e l’MPAA sorvegliarono la produzione della pellicola affinché il turpiloquio contenuto e l’horror vacui prodotto fossero il più possibile edulcorati, ma la leggenda vuole che la Warner Bros pagò addirittura una multa per rimanere fedele al capolavoro di Albee. Dopo più di sessant’anni, non è il linguaggio che ci turba ma il tramonto di un paradigma che, se ancora vive, è solo attraverso il suo nostalgico ricordo.
16 Ottobre. Lo spazio bianco (2009), di Francesca Comencini
Dove si va quando la vita si interrompe? L’opera di Comencini Jr, dal romanzo di Valeria Parrella, compie quindici anni. Campione di incassi, vincitore del Premio Pasinetti al miglior film e alla migliore attrice a Venezia 2009, Lo spazio bianco ci porta in una Napoli metafisica: tra gli alti palazzi rionali e i ripidi binari della linea funicolare, si staglia affranto un cielo pallido, soffocato dall’attesa di Maria. Quarantenne insegnante di italiano, la donna ha una gravidanza inaspettata e decide di portarla avanti, da sola. La bimba nasce prematura e la narrazione sonda la stasi in cui le due sono all’improvviso catapultate. È una non-esperienza quella che racconta Lo spazio bianco: nel ritratto di una maternità acerba sono più i campi lunghi e i silenzi che i primi piani e le parole a descrivere questo limbo. Durante l’incubazione della figlia la vita di sua madre è sospesa, ma la routine continua e incrocia quella di anime altrettanto forzate all’attesa, costrette alla non-vita. Francesca Comencini esplora il nulla che produce la paura, e i fantasmi che il muto terrore trascina a sé: le escursioni di Maria per i non-luoghi della periferia, scortata da un cielo sempre sul punto di esplodere, diventano la concrezione del purgatorio simbolico della protagonista, e la regista restituisce un quadro astratto dell’esperienza più delicata dell’esistenza umana. Qualcosa che, soprattutto in epoca di ritrattazioni e reazioni, deve essere vissuto con attenzione, in religioso silenzio, per cogliere l’indicibile vuoto che lascia l’attesa.
Disponibile per il noleggio su Amazon Prime Video, You Tube, Google Play e Apple TV.
19 Ottobre. Young Adult (2011), di Jason Reitman
Mavis è una scrittrice di narrativa per ragazzi. In crisi con l’ultimo capitolo di una collana che nessuno compra più, compensa la frustrazione della sua vita sentimentale e lavorativa con il consumo di alcolici e con il sesso occasionale. La monotonia è rotta quando nella casella di posta arriva una mail da parte di Beth, la moglie della vecchia fiamma del liceo Buddy. È un invito alla festa della loro bimba appena nata, ma Mavis lo legge come un segno premonitore. Fantasticando su un destino comune, dallo spoglio bilocale di Minneapolis parte a bordo della sua Mini rossa e torna nella natia Mercury. La realtà purtroppo non è romantica come le storie che Mavis è solita scrivere: se il primo ostacolo al coronamento dei sogni di gloria adolescenziale è la moglie di Buddy, la nostra eccentrica reginetta del ballo capirà a proprie spese che il reale non sa proprio leggerlo. Il regista di Juno – nato proprio il 19 ottobre – ci omaggia con una commedia nera che non risparmia alla mediocrità dell’esistenza le sue idealizzazioni tra ambizione e possibilità. Su un copione magistrale firmato da Diablo Cody, Jason Reitman tratteggia la sagoma di un’eroina antisociale e stila l’anamnesi impietosa di una personalità esaltata che nondimeno risulta esilarante e verosimile. Charlize Theron interpreta il ruolo della vita, tanto suo quanto nostro, e Young Adult rimane una favola post-puberale, un mocking-of-age spassionato sulle tonalità che tingono il desiderio giovanile declinante nel disincanto dell’età adulta.
Disponibile per il noleggio su Amazon Prime Video, You Tube, Google Play Film, Apple TV e Tim Vision.
22 Ottobre. Adaptation (2002), di Spike Jonze
La seconda opera dell’ex signor Coppola, più che un film sull’adattamento cinematografico è l’esperienza stessa dell’adattamento: Nicholas Cage interpreta Charlie Kaufman, ingaggiato dalla Columbia Pictures per scrivere la trasposizione di The Orchid Thief, libro di Susan Orlean (Meryl Streep) che indaga sulla tratta illegale di un prezioso tipo di orchidea coltivato nella riserva nazionale a sud della Florida. Il punto è che il libro è molto bello, ma pressoché inadattabile. Come realizzare, in fondo, un film sull’ossessione per i fiori? Tra un’editor che lo tampina per avere la stesura del copione, e il successo ingiustificato del gemello Donald - sceneggiatore di thriller di seconda categoria -, la cui ignoranza fa da contrappeso alle proprie aspirazioni intellettuali, Charlie cede al blocco dello scrittore e cade in un vortice pericoloso che sfuma i confini tra realtà e finzione. Adaptation attrae per la sua metanarratività, perché è il romanzamento dell’impasse che porta Kaufman a scrivere una storia sulle difficoltà del processo di adattamento, e Streep interpreta la vera e propria autrice del libro da adattarsi. I riferimenti interni, che legano l’universo di Adaptation a quello di Being John Malkovich (1999), l’esordio di Jonze, aggiungono verosimiglianza alla composizione, che il pubblico più sensibile riceve come ipotesi creativa sull’ispirazione artistica, la lotta per la fama e l’incombenza delle scadenze.
Disponibile su Amazon Prime Video.
31 Ottobre. Assassination Nation (2018), di Sam Levinson
Prendete The Purge e La lettera scarlatta. Unite al rosso old glory della bandiera americana quello velvet da tinta per le labbra e aggiungeteci il pesto delle ferite da arma da fuoco. Immaginate la formula scritta e diretta dal creatore di Euphoria: l’orrore è servito. Levinson ci accoglie in una Salem tutt’altro che puritana dove tutti indulgono nel peccato; ciononostante, sono solo le streghe a venir giustiziate. La vita di Lily è messa a repentaglio da un cyberattacco che può compromettere la sua reputazione. La fuga di informazioni riservate sulla cittadina intera porta alla luce scandali e segreti che degenerano in un’isteria di massa. La risoluzione del consiglio ordina la vendetta, comme d’habitude, degli uomini sulle donne: Lily e le sue amiche sono imputate di alto tradimento, ma gli esecutori della rivolta non sanno di aver puntato i fucili sulle stronze sbagliate. La commedia horror di Levinson mescola temi dell’agenda femminista quali revenge porn e consenso a un carnevale grottesco che riverbera nelle sinapsi saldate alla luce degli schermi e raccolte attorno al palco della gogna mediatica. Assassination Nation è una risposta troppo pulp al potere maschile di descrivere il femminile. Il regista non riscrive i canoni come Jane Campion, ma raccoglie l’eredità di perle camp quali I spit on Your Grave (1978) e Carrie (1976), dilettandosi in una guerriglia del terzo millennio che sacrifica l’estetica in virtù della sua catarsi simbolica. Visione perfetta per la notte più spaventosa dell’anno.
Disponibile su Netflix e noleggiabile su Amazon Prime Video e Apple TV.
di Pavel Belli Micati
NC-239
02.10.2024
Il calendario, di solito, si appende in cucina sotto l’orologio, come a creare un asse simmetrico e incrementale di scansione del tempo. I secondi diventano ore, che diventano giorni, che diventano settimane, fino a che le caselle si esauriscono, e bisogna comprarne uno nuovo. Oltre che dal meteo e dalla notte che si avvicina o si allontana, sui calendari i mesi vengono contraddistinti da un’immagine - un’ape che raccoglie il polline, un'aerea dell’Empire State Building, un quadro di Miró - che in un modo o nell’altro cerca di racchiudere l’essenza di questa particolare trentina di giorni.
Per questo Ottobre, al posto della singola illustrazione a cui siamo abituati, ODG pubblicherà una selezione di dieci film da vedere durante il mese, appositamente scelti per marcare ricorrenze, anniversari e affinità umorali.
2 ottobre. Non aprite quella porta (1974) di Tobe Hooper
Un gruppo di amici viaggia in direzione di una casa abbandonata in Texas… no, non c’è Mia Goth e non ci sono porno da girare. In una torrida estate, Sally e il fratello Franklin si recano in compagnia di amici presso una cittadina derelitta, in visita alla casa del loro nonno defunto. Con la pompa di benzina sprovvista di rifornimento, i ragazzi decidono di rimanere la notte, ma il breve ristoro si trasforma in un incubo, perché nelle vicinanze si aggira uno tra i killer più sanguinari della storia del cinema. Se vi è piaciuto il primo film della trilogia di Ti West, X: A Sexy Horror Story (2022), adorerete questa pietra miliare dello slasher indie statunitense. Non aprite quella porta inaugura diversi tropi dell’horror moderno, dalle esibizioni gore di torture atroci alle urla strazianti delle sue acrobatiche final girls; eppure, il contributo più importante di Non aprite quella porta al cinema è la nuova dignità artistica che concede al body horror e alle produzioni a basso costo. L’esercizio del terrore firmato da Tobe Hooper compie quest’anno cinquant’anni, ed è incredibile perché le recenti saghe-tributo al genere, da The Blair Witch Project (1999) fino a The Strangers (2008), vivono della sua eredità, ma la loro visione lascia un sapore derivato, confezionato: l’autentica freschezza del suo precursore, al contrario, vi lascerà sbalorditi dalla sua bellezza senza tempo!
5 ottobre. Holy Smoke! (1999), di Jane Campion
Da Titanic (1997) a Eternal Sunshine of the Spotless Mind (2004), fino alla detective story di HBO Mare of Easttown (2021): non c’è ruolo che Kate Winslet non soppesi alla perfezione. Come celebrare il genetliaco della rosa più brava d’Inghilterra? L’ago ardente della sua bilancia incide sulla magistrale interpretazione in Holy Smoke! dove l’attrice premio Oscar è Ruth, una giovane aussie che, durante un viaggio spirituale, si converte a un antico culto e rimane in India. Harvey Keitel è P.J. Waters, counselor statunitense assoldato dalla famiglia di lei per riconvertire e portare a casa la ragazza. La cattura avviene: Ruth viene scortata con l’inganno in terra australiana e forzata a una terapia d’urto con l’uomo in una stamberga nel deserto. Ma non c’è forza maggiore di un’idea e i ruoli cominciano piano piano a invertirsi. La commedia romantica meno nota di Campion, l’interpretazione più niche di Winslet, Holy Smoke! è un tentativo (fallimentare, per fortuna) di normazione: al di là dell’erotico new age che suggerisce, la conversione trascende massime orientali e ricolloca una storia d’amore ante litteram entro una prospettiva che decostruisce i ruoli di genere. Fuoco e aria non sono mai stati più vividi nelle immagini di Dion Beebe, DoP preferito di Rob Marshall. Jane Campion restituisce una tela dell’anima - musicata dalle interpolazioni pop & ritual della colonna sonora di Badalamenti - dove gli immensi cieli rifulgenti dell’outback documentano la passione solitaria di questa strana coppia.
Disponibile per il noleggio su Amazon Prime Video.
7 Ottobre. Blonde (2022), di Andrew Dominik
Come le stelle più brillanti, Marilyn Monroe è nata sotto il segno dei gemelli, ma un’atmosfera autunnale spira dall’ultimo biopic autorizzato sulla sua figura. Dal romanzo di J.C. Oates, Dominik stende un resoconto distillato sulle tappe della creazione – e della distruzione – della donna più miticizzata del cinema. Una Ana de Armas unbound dà occhi e cuore alla diva più vulnerabile e romantica mai raccontata dal genere biografico, e l’esposto sui retroscena di Hollywood invita a una riflessione che tesse amore e tradimento in una trama di sensazioni a filo tra eros e thanatos. Molta della critica è stata spietata nei confronti del film: c’è chi ne ha lamentato l’eccessiva durata, chi si è soffermato sulle inesattezze storiche, chi ha deriso la performance della protagonista e chi ha condannato la violenza di scene ‘ingiustificatamente’ turbanti. Purtroppo, questo è un mondo crudele, proprio come quello raccontato dal romanzo di Oates: Norma Jean è una martire moderna, Marilyn Monroe il canone imperituro del suo sacrificio. Andrew Dominik riserva un amore ancestrale nel raccontare la sua vita come la passione di Cristo. Forse la distribuzione su Netflix non ha giovato della sua ricezione che è stata inflessibile. Il film è però tutto il contrario di ciò che la critica ha detto, e il suo regista, una bilancia che con Monroe condivide l’elemento etereo per eccellenza, è ormai nel Canone. Non sono dopotutto, tutte le cose che restano, destinate al mito?
Disponibile su Netflix.
9 Ottobre. Shame (2011), di Steve McQueen
Un’altra bilancia compie gli anni in ottobre… abbiamo scelto Shame per festeggiarlo. Secondo lungometraggio di Steve McQueen, che si confronta con l’eredità di American Psycho (1999) in un dramma urbano scritto a quattro mani con Abi Morgan che rappresenta una psicanalisi sull’immaginario yuppie targato Wall Street: a vent’anni dalla diagnosi di schizofrenia, oggi i business executives soffrono di mal de vivre. Fassbender e Mulligan sono una coppia di fratelli che nessuno scriveva dai tempi di Bergman: Brandon, dietro il successo lavorativo e l’immagine lucidata, cela una profonda anaffettività e un’ossessione patologica per il sesso, mentre Sissy cerca di sbancare il lunario tra relazioni tossiche, esibizioni in locali e tendenze autolesioniste. Il loro rapporto, non dei migliori, viene compromesso dalla visita della sorella al fratello. La vergogna è il punto di partenza di Shame, qui metafora dell’imbarazzo della sublimazione erotica, ma anche dell’onta di una integrità morale che soffoca l’impulso trasgressivo. Il bisogno di appartenere, frustrato per entrambi, irrompe in una violenza psicofisica che l’uno perpetra ai danni dell’altra e viceversa, ma soprattutto verso sé. Il rifiuto e il desiderio che fanno l’uomo moderno sono filtrati attraverso il microscopio di una sensibilità che, per contrasto, unisce libido e solitudo, un bisturi a doppia lama che ritaglia le coordinate di una tragedia contemporanea con sullo sfondo una New York algida e inclemente come il suo protagonista.
Disponibile per il noleggio su Amazon Prime Video, Apple TV, Chili, Tim Vision, Google Play Film e You Tube.
11 Ottobre. Le onde del destino (1996), di Lars Von Trier
Su Lars Von Trier è stato detto tanto, dalla pornografia all’affinità con Hitler, ma non l’abilità con cui sa raccontare la fede. In Le onde del destino, uscito in Italia 28 anni fa, la felicità di due neo-sposi nella Scozia degli anni Settanta è ostacolata da un terribile incidente: Jan, di stanza su una piattaforma petrolifera nel mare del Nord, viene colpito alla testa dal pistone di un estrattore. Riportato sulla terraferma e operato d’urgenza, il suo corpo è paralizzato dal collo in giù. Senza speranza di ripresa, l’uomo fa una richiesta alla moglie: le chiede di intraprendere rapporti sessuali con altri uomini e raccontarglieli. Bess inizialmente rifiuta, ma per la fede che nutre in Dio e l’amore che cova per suo marito, infine accetta. La promessa è difficile da mantenere in un paese di poche anime timorate. Jan non è visto di buon occhio dalla famiglia di lei per la poca osservanza religiosa, e il giro in cui la giovane donna finisce, in ossequio al marito, danneggia la sua immagine di buona cristiana. Mescolando il moralismo provinciale al miracolo della superstizione, Von Trier registra l’ascesi di un’anima pura disposta a tutto per amore. L’amore coniugale è traslato sul piano religioso, e in Bess l’amore per Jan è una vera e propria immolazione. Nel panorama inerte che testimonia il voto della donna, dall’umidità delle rigide highlands scozzesi, dai dialoghi sommessi nelle chiesette sprovviste di campane, dalle fredde stanze di ospedali asettici, si sente la voce di un Dio che chiede un sacrificio: lo ascolterete?
13 Ottobre. Chi ha paura di Virginia Woolf? (1966), di Mike Nichols
Il 13 ottobre 1962 debutta a Broadway Who’s Afraid of Virginia Woolf? di Edward Albee. Il dramma, successo immediato, vince il Tony per miglior pièce e i migliori attori. Quattro anni dopo, Mike Nichols ne dirige l’adattamento, con Elizabeth Taylor e Richard Burton nei ruoli dei protagonisti. Martha e George sono una coppia insofferente e stagionata: lui professore di storia al college, lei figlia del rettore. Martha ha invitato un giovane collega di George e sua moglie, Nick e Honey, a bere un drink. La giovane coppia accetta l’invito, ma al loro arrivo assistono a un violento litigio. Capiscono che, oltre all’ultimo bicchiere della staffa, dovranno mandar giù lo scontro, tra l'intellettuale e l'osceno, di una coppia che nasconde un terribile segreto. Anche se il dramma ritrae un’alcolista sciatta e depressa, Liz Taylor fu una scelta sorprendente perché infuse un’eleganza alla disperazione di Martha che è rimasta negli annali. Chi ha paura di Virginia Woolf è l’ispezione di una crisi, e in tale crisi è contenuto il secolo scorso: il crepuscolo degli dèi, la morte della tragedia, la fine della monogamia. La Lega cattolica e l’MPAA sorvegliarono la produzione della pellicola affinché il turpiloquio contenuto e l’horror vacui prodotto fossero il più possibile edulcorati, ma la leggenda vuole che la Warner Bros pagò addirittura una multa per rimanere fedele al capolavoro di Albee. Dopo più di sessant’anni, non è il linguaggio che ci turba ma il tramonto di un paradigma che, se ancora vive, è solo attraverso il suo nostalgico ricordo.
16 Ottobre. Lo spazio bianco (2009), di Francesca Comencini
Dove si va quando la vita si interrompe? L’opera di Comencini Jr, dal romanzo di Valeria Parrella, compie quindici anni. Campione di incassi, vincitore del Premio Pasinetti al miglior film e alla migliore attrice a Venezia 2009, Lo spazio bianco ci porta in una Napoli metafisica: tra gli alti palazzi rionali e i ripidi binari della linea funicolare, si staglia affranto un cielo pallido, soffocato dall’attesa di Maria. Quarantenne insegnante di italiano, la donna ha una gravidanza inaspettata e decide di portarla avanti, da sola. La bimba nasce prematura e la narrazione sonda la stasi in cui le due sono all’improvviso catapultate. È una non-esperienza quella che racconta Lo spazio bianco: nel ritratto di una maternità acerba sono più i campi lunghi e i silenzi che i primi piani e le parole a descrivere questo limbo. Durante l’incubazione della figlia la vita di sua madre è sospesa, ma la routine continua e incrocia quella di anime altrettanto forzate all’attesa, costrette alla non-vita. Francesca Comencini esplora il nulla che produce la paura, e i fantasmi che il muto terrore trascina a sé: le escursioni di Maria per i non-luoghi della periferia, scortata da un cielo sempre sul punto di esplodere, diventano la concrezione del purgatorio simbolico della protagonista, e la regista restituisce un quadro astratto dell’esperienza più delicata dell’esistenza umana. Qualcosa che, soprattutto in epoca di ritrattazioni e reazioni, deve essere vissuto con attenzione, in religioso silenzio, per cogliere l’indicibile vuoto che lascia l’attesa.
Disponibile per il noleggio su Amazon Prime Video, You Tube, Google Play e Apple TV.
19 Ottobre. Young Adult (2011), di Jason Reitman
Mavis è una scrittrice di narrativa per ragazzi. In crisi con l’ultimo capitolo di una collana che nessuno compra più, compensa la frustrazione della sua vita sentimentale e lavorativa con il consumo di alcolici e con il sesso occasionale. La monotonia è rotta quando nella casella di posta arriva una mail da parte di Beth, la moglie della vecchia fiamma del liceo Buddy. È un invito alla festa della loro bimba appena nata, ma Mavis lo legge come un segno premonitore. Fantasticando su un destino comune, dallo spoglio bilocale di Minneapolis parte a bordo della sua Mini rossa e torna nella natia Mercury. La realtà purtroppo non è romantica come le storie che Mavis è solita scrivere: se il primo ostacolo al coronamento dei sogni di gloria adolescenziale è la moglie di Buddy, la nostra eccentrica reginetta del ballo capirà a proprie spese che il reale non sa proprio leggerlo. Il regista di Juno – nato proprio il 19 ottobre – ci omaggia con una commedia nera che non risparmia alla mediocrità dell’esistenza le sue idealizzazioni tra ambizione e possibilità. Su un copione magistrale firmato da Diablo Cody, Jason Reitman tratteggia la sagoma di un’eroina antisociale e stila l’anamnesi impietosa di una personalità esaltata che nondimeno risulta esilarante e verosimile. Charlize Theron interpreta il ruolo della vita, tanto suo quanto nostro, e Young Adult rimane una favola post-puberale, un mocking-of-age spassionato sulle tonalità che tingono il desiderio giovanile declinante nel disincanto dell’età adulta.
Disponibile per il noleggio su Amazon Prime Video, You Tube, Google Play Film, Apple TV e Tim Vision.
22 Ottobre. Adaptation (2002), di Spike Jonze
La seconda opera dell’ex signor Coppola, più che un film sull’adattamento cinematografico è l’esperienza stessa dell’adattamento: Nicholas Cage interpreta Charlie Kaufman, ingaggiato dalla Columbia Pictures per scrivere la trasposizione di The Orchid Thief, libro di Susan Orlean (Meryl Streep) che indaga sulla tratta illegale di un prezioso tipo di orchidea coltivato nella riserva nazionale a sud della Florida. Il punto è che il libro è molto bello, ma pressoché inadattabile. Come realizzare, in fondo, un film sull’ossessione per i fiori? Tra un’editor che lo tampina per avere la stesura del copione, e il successo ingiustificato del gemello Donald - sceneggiatore di thriller di seconda categoria -, la cui ignoranza fa da contrappeso alle proprie aspirazioni intellettuali, Charlie cede al blocco dello scrittore e cade in un vortice pericoloso che sfuma i confini tra realtà e finzione. Adaptation attrae per la sua metanarratività, perché è il romanzamento dell’impasse che porta Kaufman a scrivere una storia sulle difficoltà del processo di adattamento, e Streep interpreta la vera e propria autrice del libro da adattarsi. I riferimenti interni, che legano l’universo di Adaptation a quello di Being John Malkovich (1999), l’esordio di Jonze, aggiungono verosimiglianza alla composizione, che il pubblico più sensibile riceve come ipotesi creativa sull’ispirazione artistica, la lotta per la fama e l’incombenza delle scadenze.
Disponibile su Amazon Prime Video.
31 Ottobre. Assassination Nation (2018), di Sam Levinson
Prendete The Purge e La lettera scarlatta. Unite al rosso old glory della bandiera americana quello velvet da tinta per le labbra e aggiungeteci il pesto delle ferite da arma da fuoco. Immaginate la formula scritta e diretta dal creatore di Euphoria: l’orrore è servito. Levinson ci accoglie in una Salem tutt’altro che puritana dove tutti indulgono nel peccato; ciononostante, sono solo le streghe a venir giustiziate. La vita di Lily è messa a repentaglio da un cyberattacco che può compromettere la sua reputazione. La fuga di informazioni riservate sulla cittadina intera porta alla luce scandali e segreti che degenerano in un’isteria di massa. La risoluzione del consiglio ordina la vendetta, comme d’habitude, degli uomini sulle donne: Lily e le sue amiche sono imputate di alto tradimento, ma gli esecutori della rivolta non sanno di aver puntato i fucili sulle stronze sbagliate. La commedia horror di Levinson mescola temi dell’agenda femminista quali revenge porn e consenso a un carnevale grottesco che riverbera nelle sinapsi saldate alla luce degli schermi e raccolte attorno al palco della gogna mediatica. Assassination Nation è una risposta troppo pulp al potere maschile di descrivere il femminile. Il regista non riscrive i canoni come Jane Campion, ma raccoglie l’eredità di perle camp quali I spit on Your Grave (1978) e Carrie (1976), dilettandosi in una guerriglia del terzo millennio che sacrifica l’estetica in virtù della sua catarsi simbolica. Visione perfetta per la notte più spaventosa dell’anno.
Disponibile su Netflix e noleggiabile su Amazon Prime Video e Apple TV.