di Lorenzo Nuzzo
NC-225
01.08.2024
Il calendario, di solito, si appende in cucina sotto l’orologio, come a creare un asse simmetrico e incrementale di scansione del tempo. I secondi diventano ore, che diventano giorni, che diventano settimane, fino a che le caselle si esauriscono, e bisogna comprarne uno nuovo. Oltre che dal meteo e dalla notte che si avvicina o si allontana, sui calendari i mesi vengono contraddistinti da un’immagine - un’ape che raccoglie il polline, un'aerea dell’Empire State Building, un quadro di Miró - che in un modo o nell’altro cerca di racchiudere l’essenza di questa particolare trentina di giorni.
Per questo Agosto, al posto della singola illustrazione a cui siamo abituati, ODG pubblicherà una selezione di dieci film da vedere durante il mese, appositamente scelti per marcare ricorrenze, anniversari e affinità umorali.
2 Agosto. Swamp Thing (1982) di Wes Craven
È il 1982. Alle spalle di Wes Craven lavori come The Last House on the Left (L’ultima casa a sinistra, 1972) e The Hills Have Eyes (Le colline hanno gli occhi, 1977), horror graffianti che ritraggono mostri ignoti alla civiltà americana. In Swam Thing, però, succede qualcosa di diverso: agli hillbilly degli Appalachi, Craven preferisce una paludosa creatura per metà uomo e metà vegetale, figlia di un cinefumetto adolescenziale che omaggia l’horror fantascientifico anni cinquanta. Pena la mancanza di modernità per un lavoro sghembo tra il conscio disordine del montaggio e una recitazione difficile da credere. Swam Thing, però, diventa cult nel disvelare il gusto craveniano per il deforme, di creature al limite tra l’umano e il non: rigettate dalla civiltà, e che generano una confusione percettiva sulla natura dei (veri) mostri.
Disponibile su Prime Video e Plex.
3 Agosto. Happy End (2017) di Michael Haneke
La summa di una cinematografia o l’atto ultimo di una poetica. In Happy End c’è tutta la brutale modernità di Michael Haneke, cineasta ottantaduenne che scrive e dirige come se di anni ne avesse molti meno. Lo dimostra un prologo finemente mediato da schermi altri (Smartphone, PC e telecamere di sorveglianza), gli unici dove poter lasciare incustoditi i segreti, e lo ribadisce quella stasi del frammento tanto cara alla sua regia, che svilisce, senza mai avvicinarvisi, la ricca famiglia Laurent. Lo fa servendosi dei suoi feticci (Jean-Louis Tintignant e Isabelle Huppert), così amabilmente vuoti nella magniloquenza della loro proprietà che sembrano citare i precedenti protagonisti hanekeniani - l’auto- sabotaggio di Amour (2012) e il moralismo de La pianiste (La pianista, 2001) - in una commedia nerissima che trasuda tutta la pulsione di morte della borghesia francese.
Disponibile su Amazon Prime Video e noleggiabile su Apple TV.
5 Agosto. In viaggio (2022) di Gianfranco Rosi
Nel glaciale cinema di frontiera di Gianfranco Rosi trova spazio un racconto dell’attraverso, quello di Papa Francesco: errante spirituale tra i simulacri di «una globalizzazione dell’indifferenza che ci ha tolto la capacità di piangere». Rosi ne ripercorre i viaggi pastorali dall’inizio del Pontificato a oggi, tra televisivi scampoli d’archivio e qualche vecchia sequenza a riempire gli intermezzi del tragitto. Dalle morti migranti di Lampedusa a quelle pandemiche, con il Pontefice solo al centro di una spettrale piazza San Pietro. Sembra l’opera meno ambiziosa di Rosi, eppure rischia di essere la più concettuale: la prima a concedersi un viaggio oltre il geometrismo delle zone di confine, che elegge il Papa a interprete di speranzose orazioni per i detenuti e giudice di condanne alla Guerra di Caino, ordita soltanto da chi pensa: «a me che importa di mio fratello?».
Disponibile su Rai Play e noleggiabile su Amazon Prime Video, Apple TV e You Tube.
7 Agosto. Monster (2003) di Patty Jenkins
È la storia vera di un corpo che sente quella di Aileen Wuornos, prostituta serial killer condannata a morte nel 2002 per l’omicidio di sette uomini. Opera prima per Patty Jenkins e Oscar alla Miglior Attrice per Charlize Theron, che nasconde il suo armonico divismo sotto la maschera appesantita di un’antieroina smunta, privata sin dall’adolescenza di rapporti senza violenza con l’altro maschile. La lezione naturalista del sociale che determina il crimine riempie di senso questo pamphlet femminista, intessuto sull’omoerotismo di amanti fuggiasche, Aileen e Selby, unite dal ripudio senza ascolto dei padri. Si muovono in viaggi stentati tra la fotografia aspra e la scolastica linearità dello script: sprigionato, solo nel finale, di una cruda sovversione dei rapporti di forza, di fedeltà o forse soltanto le ultime cose in cui credere ancora.
Disponibile su Amazon Prime Video e noleggiabile su Google Play Film, Apple TV e You Tube.
8 Agosto. The Meyerowits Stories (2017) di Noah Baumbach
In attesa di vederlo nel Megalopolis (2024) di Francis Ford Coppola, celebriamo Dustin Hoffman, stile artista pensionato, nel ruolo di Harold Meyerowitz: scultore di successo del tempo che fu, padre vanesio e patriarca dominatore da sempre. Alle spalle quattro matrimoni e tre figli (Adam Sandler e Ben Stiller calibrati fratellastri), che tentano strenuamente di ritagliarsi un po’ della sua fierezza. Ma senza un erede che eguagli talento e narcisismo paterno non c’è dinastia nell’arte. Ecco allora che la raffinata penna di Baumbach incastona i non troppo velati malumori dei Meyeorowitz in una verbosa (fin troppo) e concentrica commedia dagli echi alleniani, tra l’intellettualismo senza amore dei salotti di Manhattan che dà corpo e insieme rigetta filiali parole di addio.
Disponibile su Netflix.
14 Agosto. Stavolta parliamo di uomini (1965) di Lina Wertmüller
Per controbattere all’esordiente Scola e al suo Se permette parliamo di donne (1964), non poteva esserci voce autoriale migliore di quella di una giovane Lina Wertmüller, che solo un anno dopo si armerà dell’istrionismo di Nino Manfredi per calarlo in un’opera ancora episodica, ma stavolta al servizio di un fermento femminista, uno dei primi del cinema nostrano. Questa volta parliamo di uomini è un collage caricaturale di maschi così egocentrici da confinare le donne a sottili controscene: tra l’ipocrita premura di un industriale di salvare le apparenze e il bisogno di uno scienziato di avvalorare il proprio sapere con una “cretina” affianco, passando per mariti rustici - un circense scorbutico e uno sfaticato contadino - rasserenati soltanto dal loro ozioso orgoglio. A fare da fil rouge un uomo spaesato rimasto chiuso fuori casa che cerca aiuto nel condominio; nella sua indifesa nudezza il personaggio spiega la beffa che Wertmüller riserva ai maschi del suo cinema.
Disponibile su Rai Play, The Film Club e Pluto TV.
17 Agosto. Ciao America (1968) di Brian De Palma
Per festeggiare gli ottantuno anni di Robert De Niro consigliamo il primo film in cui appare accreditato, Ciao America, opera seconda di un De Palma che gioca a fare Godard mentre racconta di un Paese ansioso di vederci chiaro sulla morte di Kennedy e già tormentato dal nemico Vietcong. Non avrà la stessa militanza dei cineasti francesi, De Palma, ma il gusto per la satira sì, e lo dimostra in questa cronaca di giovani sgangherati che cercano di scampare le armi. Nel De Niro formato voyeur Hitchcockiano, tematizza l’ossessione ancora acerba per il guardare (o spiare?) un femminile che smaschera la puerile ridicolezza di spacciare capricci per arte; specchio di un America sessantottina che scruta orizzonti per mitigare limiti.
Disponibile su The Film Club e Raro Video.
22 Agosto. Un incendio visto da lontano (1989) di Otar Ioseliani
Immagini di tronchi tagliati inaugurano la cronaca di una civiltà incontaminata, almeno fino all’arrivo di camion dal colonizzante frastuono, che sconquassano e annullano il brusio ancestrale di un villaggio senegalese. Un incendio visto da lontano è un apologo politico di identità private: documento etnografico che sceglie le forme del cinema fantastico e le virtù di quello muto. Le stesse del grande Ioseliani, che con la discrezione dei maestri guarda al cuore di una comunità matriarcale, così riformista nel risolvere divorzi e spartire magiche ritualità. E la luce fu allora - come il titolo originale - quella del tramonto che accende gli sguardi dei primitivi, e quella di un incendio nel villaggio, facile intrattenimento per gli occhi dei bianchi tra cui lo stesso regista. «È bello» dice mentre guarda le fiamme dal cannocchiale, partecipe del sadismo anestetico che tocca l’Occidente quando osserva al di fuori da sè.
Disponibile su Rai Play.
27 Agosto. Animali Notturni (2016) di Tom Ford
La notte, nel Texas Occidentale, sa essere davvero ostile quando sprigiona i suoi animali notturni; quelli che danno il titolo all’opera seconda di Tom Ford, autore di un film funereo, un po’ neo-noir e un po’ western, forse né l’uno né l’altro. Un angosciato racconto della memoria traumatica di un matrimonio finito, memoria che riaffiora quando la gallerista Susan (Amy Adams) riceve un manoscritto dell’ex marito Edward (Jake Gyllenhaal) a lei dedicato. La lettura dà il via a un dramma del doppio, tra reale e simbolico, tra l’asettico presente metropolitano della protagonista e la crudezza del rimosso Texano, in un flashback oscuro che alle ragioni dell’indagine predilige i tormenti di Jake Gyllenhaal: allegoria di un cinema che sceglie le strutture del genere per compiersi nella più personale e complessa politica d’autore.
Disponibile su Netflix e noleggiabile su Amazon Prime Video, You Tube, Google Play Film e Apple TV.
29 Agosto. Stromboli - Terra di Dio (1950) di Roberto Rossellini
Perché parlare ancora oggi del cinema di Rossellini? Qual è il legame che intrattiene con il presente? Scrivere del suo cinema significa anzitutto chiedersi come si cali nel nostro tempo, che è un tempo di migrazioni e incontri di civiltà. E Stromboli - Terra di Dio è un lavoro maestoso nel suggerire scorci di un’Italia in ricostruzione attraverso gli occhi della profuga lituana Karin (Ingrid Bergman), che sposa un pescatore siciliano per uscire da un campo di internamento. Rossellini, sublime cineasta del paesaggio, traspone l’animo nordico della Bergman nelle più meridionali coordinate della vulcanica Stromboli, respirando la tensione di un corpo in bilico: alieno tra il pensare degli isolani, e desideroso di evadere dall’arcaicità del luogo, da un matrimonio di convenienza oppure dall’orrore reale di assistere a una macabra mattanza di tonni. Si potrebbe dire che Stromboli è un’opera di vacillanti incontri, anzitutto quello tra la pianificata drammaturgia e il gusto rosselliniano del qui e ora, che culmina in eruzioni istantanee e materne preghiere per il domani.
Disponibile su Rai Play.
di Lorenzo Nuzzo
NC-225
01.08.2024
Il calendario, di solito, si appende in cucina sotto l’orologio, come a creare un asse simmetrico e incrementale di scansione del tempo. I secondi diventano ore, che diventano giorni, che diventano settimane, fino a che le caselle si esauriscono, e bisogna comprarne uno nuovo. Oltre che dal meteo e dalla notte che si avvicina o si allontana, sui calendari i mesi vengono contraddistinti da un’immagine - un’ape che raccoglie il polline, un'aerea dell’Empire State Building, un quadro di Miró - che in un modo o nell’altro cerca di racchiudere l’essenza di questa particolare trentina di giorni.
Per questo Agosto, al posto della singola illustrazione a cui siamo abituati, ODG pubblicherà una selezione di dieci film da vedere durante il mese, appositamente scelti per marcare ricorrenze, anniversari e affinità umorali.
2 Agosto. Swamp Thing (1982) di Wes Craven
È il 1982. Alle spalle di Wes Craven lavori come The Last House on the Left (L’ultima casa a sinistra, 1972) e The Hills Have Eyes (Le colline hanno gli occhi, 1977), horror graffianti che ritraggono mostri ignoti alla civiltà americana. In Swam Thing, però, succede qualcosa di diverso: agli hillbilly degli Appalachi, Craven preferisce una paludosa creatura per metà uomo e metà vegetale, figlia di un cinefumetto adolescenziale che omaggia l’horror fantascientifico anni cinquanta. Pena la mancanza di modernità per un lavoro sghembo tra il conscio disordine del montaggio e una recitazione difficile da credere. Swam Thing, però, diventa cult nel disvelare il gusto craveniano per il deforme, di creature al limite tra l’umano e il non: rigettate dalla civiltà, e che generano una confusione percettiva sulla natura dei (veri) mostri.
Disponibile su Prime Video e Plex.
3 Agosto. Happy End (2017) di Michael Haneke
La summa di una cinematografia o l’atto ultimo di una poetica. In Happy End c’è tutta la brutale modernità di Michael Haneke, cineasta ottantaduenne che scrive e dirige come se di anni ne avesse molti meno. Lo dimostra un prologo finemente mediato da schermi altri (Smartphone, PC e telecamere di sorveglianza), gli unici dove poter lasciare incustoditi i segreti, e lo ribadisce quella stasi del frammento tanto cara alla sua regia, che svilisce, senza mai avvicinarvisi, la ricca famiglia Laurent. Lo fa servendosi dei suoi feticci (Jean-Louis Tintignant e Isabelle Huppert), così amabilmente vuoti nella magniloquenza della loro proprietà che sembrano citare i precedenti protagonisti hanekeniani - l’auto- sabotaggio di Amour (2012) e il moralismo de La pianiste (La pianista, 2001) - in una commedia nerissima che trasuda tutta la pulsione di morte della borghesia francese.
Disponibile su Amazon Prime Video e noleggiabile su Apple TV.
5 Agosto. In viaggio (2022) di Gianfranco Rosi
Nel glaciale cinema di frontiera di Gianfranco Rosi trova spazio un racconto dell’attraverso, quello di Papa Francesco: errante spirituale tra i simulacri di «una globalizzazione dell’indifferenza che ci ha tolto la capacità di piangere». Rosi ne ripercorre i viaggi pastorali dall’inizio del Pontificato a oggi, tra televisivi scampoli d’archivio e qualche vecchia sequenza a riempire gli intermezzi del tragitto. Dalle morti migranti di Lampedusa a quelle pandemiche, con il Pontefice solo al centro di una spettrale piazza San Pietro. Sembra l’opera meno ambiziosa di Rosi, eppure rischia di essere la più concettuale: la prima a concedersi un viaggio oltre il geometrismo delle zone di confine, che elegge il Papa a interprete di speranzose orazioni per i detenuti e giudice di condanne alla Guerra di Caino, ordita soltanto da chi pensa: «a me che importa di mio fratello?».
Disponibile su Rai Play e noleggiabile su Amazon Prime Video, Apple TV e You Tube.
7 Agosto. Monster (2003) di Patty Jenkins
È la storia vera di un corpo che sente quella di Aileen Wuornos, prostituta serial killer condannata a morte nel 2002 per l’omicidio di sette uomini. Opera prima per Patty Jenkins e Oscar alla Miglior Attrice per Charlize Theron, che nasconde il suo armonico divismo sotto la maschera appesantita di un’antieroina smunta, privata sin dall’adolescenza di rapporti senza violenza con l’altro maschile. La lezione naturalista del sociale che determina il crimine riempie di senso questo pamphlet femminista, intessuto sull’omoerotismo di amanti fuggiasche, Aileen e Selby, unite dal ripudio senza ascolto dei padri. Si muovono in viaggi stentati tra la fotografia aspra e la scolastica linearità dello script: sprigionato, solo nel finale, di una cruda sovversione dei rapporti di forza, di fedeltà o forse soltanto le ultime cose in cui credere ancora.
Disponibile su Amazon Prime Video e noleggiabile su Google Play Film, Apple TV e You Tube.
8 Agosto. The Meyerowits Stories (2017) di Noah Baumbach
In attesa di vederlo nel Megalopolis (2024) di Francis Ford Coppola, celebriamo Dustin Hoffman, stile artista pensionato, nel ruolo di Harold Meyerowitz: scultore di successo del tempo che fu, padre vanesio e patriarca dominatore da sempre. Alle spalle quattro matrimoni e tre figli (Adam Sandler e Ben Stiller calibrati fratellastri), che tentano strenuamente di ritagliarsi un po’ della sua fierezza. Ma senza un erede che eguagli talento e narcisismo paterno non c’è dinastia nell’arte. Ecco allora che la raffinata penna di Baumbach incastona i non troppo velati malumori dei Meyeorowitz in una verbosa (fin troppo) e concentrica commedia dagli echi alleniani, tra l’intellettualismo senza amore dei salotti di Manhattan che dà corpo e insieme rigetta filiali parole di addio.
Disponibile su Netflix.
14 Agosto. Stavolta parliamo di uomini (1965) di Lina Wertmüller
Per controbattere all’esordiente Scola e al suo Se permette parliamo di donne (1964), non poteva esserci voce autoriale migliore di quella di una giovane Lina Wertmüller, che solo un anno dopo si armerà dell’istrionismo di Nino Manfredi per calarlo in un’opera ancora episodica, ma stavolta al servizio di un fermento femminista, uno dei primi del cinema nostrano. Questa volta parliamo di uomini è un collage caricaturale di maschi così egocentrici da confinare le donne a sottili controscene: tra l’ipocrita premura di un industriale di salvare le apparenze e il bisogno di uno scienziato di avvalorare il proprio sapere con una “cretina” affianco, passando per mariti rustici - un circense scorbutico e uno sfaticato contadino - rasserenati soltanto dal loro ozioso orgoglio. A fare da fil rouge un uomo spaesato rimasto chiuso fuori casa che cerca aiuto nel condominio; nella sua indifesa nudezza il personaggio spiega la beffa che Wertmüller riserva ai maschi del suo cinema.
Disponibile su Rai Play, The Film Club e Pluto TV.
17 Agosto. Ciao America (1968) di Brian De Palma
Per festeggiare gli ottantuno anni di Robert De Niro consigliamo il primo film in cui appare accreditato, Ciao America, opera seconda di un De Palma che gioca a fare Godard mentre racconta di un Paese ansioso di vederci chiaro sulla morte di Kennedy e già tormentato dal nemico Vietcong. Non avrà la stessa militanza dei cineasti francesi, De Palma, ma il gusto per la satira sì, e lo dimostra in questa cronaca di giovani sgangherati che cercano di scampare le armi. Nel De Niro formato voyeur Hitchcockiano, tematizza l’ossessione ancora acerba per il guardare (o spiare?) un femminile che smaschera la puerile ridicolezza di spacciare capricci per arte; specchio di un America sessantottina che scruta orizzonti per mitigare limiti.
Disponibile su The Film Club e Raro Video.
22 Agosto. Un incendio visto da lontano (1989) di Otar Ioseliani
Immagini di tronchi tagliati inaugurano la cronaca di una civiltà incontaminata, almeno fino all’arrivo di camion dal colonizzante frastuono, che sconquassano e annullano il brusio ancestrale di un villaggio senegalese. Un incendio visto da lontano è un apologo politico di identità private: documento etnografico che sceglie le forme del cinema fantastico e le virtù di quello muto. Le stesse del grande Ioseliani, che con la discrezione dei maestri guarda al cuore di una comunità matriarcale, così riformista nel risolvere divorzi e spartire magiche ritualità. E la luce fu allora - come il titolo originale - quella del tramonto che accende gli sguardi dei primitivi, e quella di un incendio nel villaggio, facile intrattenimento per gli occhi dei bianchi tra cui lo stesso regista. «È bello» dice mentre guarda le fiamme dal cannocchiale, partecipe del sadismo anestetico che tocca l’Occidente quando osserva al di fuori da sè.
Disponibile su Rai Play.
27 Agosto. Animali Notturni (2016) di Tom Ford
La notte, nel Texas Occidentale, sa essere davvero ostile quando sprigiona i suoi animali notturni; quelli che danno il titolo all’opera seconda di Tom Ford, autore di un film funereo, un po’ neo-noir e un po’ western, forse né l’uno né l’altro. Un angosciato racconto della memoria traumatica di un matrimonio finito, memoria che riaffiora quando la gallerista Susan (Amy Adams) riceve un manoscritto dell’ex marito Edward (Jake Gyllenhaal) a lei dedicato. La lettura dà il via a un dramma del doppio, tra reale e simbolico, tra l’asettico presente metropolitano della protagonista e la crudezza del rimosso Texano, in un flashback oscuro che alle ragioni dell’indagine predilige i tormenti di Jake Gyllenhaal: allegoria di un cinema che sceglie le strutture del genere per compiersi nella più personale e complessa politica d’autore.
Disponibile su Netflix e noleggiabile su Amazon Prime Video, You Tube, Google Play Film e Apple TV.
29 Agosto. Stromboli - Terra di Dio (1950) di Roberto Rossellini
Perché parlare ancora oggi del cinema di Rossellini? Qual è il legame che intrattiene con il presente? Scrivere del suo cinema significa anzitutto chiedersi come si cali nel nostro tempo, che è un tempo di migrazioni e incontri di civiltà. E Stromboli - Terra di Dio è un lavoro maestoso nel suggerire scorci di un’Italia in ricostruzione attraverso gli occhi della profuga lituana Karin (Ingrid Bergman), che sposa un pescatore siciliano per uscire da un campo di internamento. Rossellini, sublime cineasta del paesaggio, traspone l’animo nordico della Bergman nelle più meridionali coordinate della vulcanica Stromboli, respirando la tensione di un corpo in bilico: alieno tra il pensare degli isolani, e desideroso di evadere dall’arcaicità del luogo, da un matrimonio di convenienza oppure dall’orrore reale di assistere a una macabra mattanza di tonni. Si potrebbe dire che Stromboli è un’opera di vacillanti incontri, anzitutto quello tra la pianificata drammaturgia e il gusto rosselliniano del qui e ora, che culmina in eruzioni istantanee e materne preghiere per il domani.
Disponibile su Rai Play.