NC-155
22.06.2023
Se indagassimo sui film che hanno cercato di mettere in dubbio il binarismo di genere, mai penseremo al cinema italiano degli anni ’60 e ’80. Eppure, già in quegli anni, i registi italiani portavano sul grande schermo i mutamenti sociali e l’abbattimento dei ruoli sessuali. Ciò non avveniva solo nella cosiddetta commedia all’italiana, ma anche in film più leggeri e amati dal grande pubblico. Un regista che più di tutti seppe rappresentare queste tematiche con intelligenza e modernità fu Pasquale Festa Campanile. Solitamente tutte le biografie degli scrittori iniziano con: “Dopo essere stato avviato agli studi di giurisprudenza, il poeta li abbandonò per dedicarsi alla scrittura”. Ecco, così ha inizio anche la storia di Festa Campanile: giornalista, scrittore, sceneggiatore e regista che ha lavorato con i più grandi nomi del nostro cinema e che, con i suoi film, ha saputo sovvertire i ruoli sociali dell’Italia del boom economico.
Meno famoso dei suoi coetanei, e maestri della commedia, come Germi, Scola, Risi e Monicelli, Pasquale Festa Campanile riuscì inizialmente a farsi strada nel mondo del cinema collaborando, in veste di sceneggiatore, con i registi più affermati del periodo. Uno dei suoi primi lavori fu proprio con Dino Risi in Poveri ma belli (campione d’incassi tra il 1957 e il 1958), a cui seguirono i grandi successi del Maestro Luchino Visconti. Festa Campanile partecipò infatti alla stesura delle sceneggiature di Rocco e i suoi fratelli (1960) e Il Gattopardo (1963), trasposizione cnematografica del celebre romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. A seguito di queste rilevanti esperienze il futuro regista prese parte alla scrittura di Le quattro giornate di Napoli (1962) di Nanni Loy, lungometraggio che racconta la rivolta popolare che portò alla liberazione della città dai tedeschi nel 1943. La pellicola venne candidata alla 35ª edizione dei premi Oscar come Miglior film Internazionale, mentre l’anno successivo rientrò nella cinquina della Miglior Sceneggiatura originale.
L’esordio alla regia giunse nel 1963 con il film Un tentativo sentimentale, co-diretto con il collega Massimo Franciosa. La pellicola racconta la storia di Carla (Fançoise Prévost) e Dino (Jean-Marc Bory), entrambi sposati e in crisi nei rispettivi matrimoni, che conoscendosi casualmente all’aeroporto di Fiumicino, diventano amanti. L’intento dei due registi è quello di cogliere la crisi matrimoniale e psicologica dei protagonisti per giungere a un tragico finale che mostra la debolezza dell’uomo davanti alla scelta tra due donne. La fragilità maschile, non solo verrà eletto come elemento ricorrente del cinema di quegli anni, influenzato sicuramente dai movimenti studenteschi del ’68 e successivamente dalle rivoluzioni sessuali degli anni ’70 - come quella femminista e lgbtqia+ - ma sarà anche uno dei temi cardine della cinematografia di Festa Campanile. Infatti, come molti altri cineasti italiani, il regista utilizzò spesso la commedia per rappresentare i cambiamenti sociali che, a causa della censura, faticavano ad essere raccontati.
Nel successivo Le Voci Bianche (1964), Festa Campanile, sempre insieme al fedele amico Franciosa, mette in scena lo smarrimento della figura maschile nel momento in cui viene privata (sia metaforicamente che letteralmente) dei propri attributi. Il film, ambientato nel ‘700, prende spunto dal fenomeno dei castrati: cantanti che venivano evirati in giovane età per mantenere la cosiddetta “voce bianca” e andare a ricoprire ruoli femminili (poiché alle donne era vietato recitare). Nel film, a rappresentare la decostruzione del genere maschile, sono i protagonisti Meo e Matteuccio, personaggi rispettivamente interpretati da Paolo Ferrari e Vittorio Caprioli, un attore che collaborerà spesso con Festa Campanile e che a sua volta, come regista, porterà sul grande schermo tematiche molto vicine al movimento lgbtqia+ e al femminismo.
Se Matteuccio rappresenta l’uomo che si “trasforma” in donna perché privato del proprio membro, Meo (che finge di essere evirato), dimostra come la differenza di genere non sia determinata da un fattore biologico, ma dal tipo di educazione che si riceve. Nel film, infatti, i cantanti castrati sono costretti a vivere in una sorta di convento dove vengono impartiti loro vari corsi di “femminilità”, dalla danza, alla camminata, fino al trucco. Meo, influenzato da queste “lezioni”, scoprirà progressivamente la sua parte femminile, un lato del suo essere che sfocerà, sul finale, in una scenata isterica a Matteuccio per un pennello da trucco mancante. Nella sequenza Meo si presenta con una fascia per capelli e della crema sul viso, come a rendere ancora più visiva la sua “trasformazione” in donna. La pellicola, del 1964, riesce dunque a ironizzare sulla paura sociale della “perdita della mascolinità”.
Nel 1966 Festa Campanile tornò a raccontare dei cambiamenti e delle crisi di genere con Adulterio all’Italiana, pellicola che vede protagonisti Nino Manfredi e Catherine Spaak. Il titolo, non solo riprende grandi nomi della commedia nostrana quali Divorzio all’Italiana (1961) di Pietro Germi e Matrimonio all’Italiana (1964) di Vittorio De Sica, ma, come nelle precedenti pellicole dell'autore, pone l’attenzione sull’inadeguatezza e la confusione dell’uomo contemporaneo di fronte al cambiamento e all’ansia di un mutamento del proprio ruolo, contrapposto, invece, a personaggi femminili forti e decisi a cambiare la propria condizione. Al centro del film c’è il matrimonio tra Marta (Catherine Spaak) e Franco (Nino Manfredi), un’unione che rischia di finire dopo che lei ha scoperto il tradimento del marito con una sua amica. Franco supplica la moglie di non lasciarlo e lei accetta di rimanere alla sola condizione di poterlo tradire almeno una volta.
Nella commedia, il cineasta porta avanti un chiaro attacco alla disuguaglianza che all’epoca regnava all’interno del matrimonio: un' istituzione dove al marito era permesso tradire, mentre la moglie, se colta sul fatto, poteva rischiare da un anno a due di carcere. Un altro aspetto interessante del film è il momento en travestì di Nino Manfredi nelle vesti di una signora che cerca di dissuadere uno dei corteggiatori della moglie. Anche se il travestitismo in questo caso viene utilizzato come escamotage, il regista non perde l’occasione di mostrare come sia difficile essere donna. In vesti femminili il personaggio di Manfredi si preoccupa maggiormente del proprio aspetto, curato in base ai canoni maschili e oggetto di sguardi fin troppo indiscreti. Emblematica in questo senso è la scena in cui Franco si sente osservato da due ragazzi e, automaticamente, si abbassa la gonna come a cercare di nascondersi.
Ancora prima che la questione di genere venisse trattata, e che negli anni ’90 si parlasse per la prima volta di binarismo, Pasquale Festa Campanile ha sempre cercato di sfatare i modelli che la società impone mettendo continuamente in dubbio i ruoli maschili e femminili. La sua cinematografia va ricordata, inoltre, per l’inclusione di tutti coloro che venivano considerati “diversi”: come Renato e Alberto, la coppia protagonista di uno degli episodi di Culo e camicia (1981), Guerrino, personaggio di Nessuno è perfetto (1981) che si innamora di Chantal, una donna trans, o il cross dresser Spartaco Meniconi, figura centrale di Più bello di così si muore (1982).
È proprio con quest’ultima pellicola risalente al 1982 - anno in cui uscirono altri due celebri film che trattano il tema del cross dressing: Tootsie di Sydney Pollack e Victor Victoria di Blake Edwards - che il regista abbatte totalmente i ruoli di genere. Spartaco (Enrico Montesano), costretto dalla famiglia della moglie a travestirsi da donna per andare a prostituirsi, incontra il conte Nereo di Sanfilippo (l’immancabile Vittorio Caprioli) che, innamoratosi di lui/lei, decide di volerlo sposare.
Come era successo anche al Meo di Le Voci Bianche e al Franco di Adulterio all’Italiana, anche Spartaco accetta il proprio lato femminile, ma con una sostanziale differenza: se nei primi due casi entrambi i personaggi tornano (o cercano di tornare) a un ruolo maschile ben definito socialmente, Spartaco si affeziona alla sua versione femminile, rendendosi conto che solo attraverso di lei riesce a liberarsi dai doveri, e dalle aspettative, che la società gli impone. È dunque grazie alla risata che Pasquale Festa Campanile ci lascia un cinema che precorre i tempi, e che, attraverso una stratificata ironia, mostra la complessità e le mille sfumature dell’essere umano.
NC-155
22.06.2023
Se indagassimo sui film che hanno cercato di mettere in dubbio il binarismo di genere, mai penseremo al cinema italiano degli anni ’60 e ’80. Eppure, già in quegli anni, i registi italiani portavano sul grande schermo i mutamenti sociali e l’abbattimento dei ruoli sessuali. Ciò non avveniva solo nella cosiddetta commedia all’italiana, ma anche in film più leggeri e amati dal grande pubblico. Un regista che più di tutti seppe rappresentare queste tematiche con intelligenza e modernità fu Pasquale Festa Campanile. Solitamente tutte le biografie degli scrittori iniziano con: “Dopo essere stato avviato agli studi di giurisprudenza, il poeta li abbandonò per dedicarsi alla scrittura”. Ecco, così ha inizio anche la storia di Festa Campanile: giornalista, scrittore, sceneggiatore e regista che ha lavorato con i più grandi nomi del nostro cinema e che, con i suoi film, ha saputo sovvertire i ruoli sociali dell’Italia del boom economico.
Meno famoso dei suoi coetanei, e maestri della commedia, come Germi, Scola, Risi e Monicelli, Pasquale Festa Campanile riuscì inizialmente a farsi strada nel mondo del cinema collaborando, in veste di sceneggiatore, con i registi più affermati del periodo. Uno dei suoi primi lavori fu proprio con Dino Risi in Poveri ma belli (campione d’incassi tra il 1957 e il 1958), a cui seguirono i grandi successi del Maestro Luchino Visconti. Festa Campanile partecipò infatti alla stesura delle sceneggiature di Rocco e i suoi fratelli (1960) e Il Gattopardo (1963), trasposizione cnematografica del celebre romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. A seguito di queste rilevanti esperienze il futuro regista prese parte alla scrittura di Le quattro giornate di Napoli (1962) di Nanni Loy, lungometraggio che racconta la rivolta popolare che portò alla liberazione della città dai tedeschi nel 1943. La pellicola venne candidata alla 35ª edizione dei premi Oscar come Miglior film Internazionale, mentre l’anno successivo rientrò nella cinquina della Miglior Sceneggiatura originale.
L’esordio alla regia giunse nel 1963 con il film Un tentativo sentimentale, co-diretto con il collega Massimo Franciosa. La pellicola racconta la storia di Carla (Fançoise Prévost) e Dino (Jean-Marc Bory), entrambi sposati e in crisi nei rispettivi matrimoni, che conoscendosi casualmente all’aeroporto di Fiumicino, diventano amanti. L’intento dei due registi è quello di cogliere la crisi matrimoniale e psicologica dei protagonisti per giungere a un tragico finale che mostra la debolezza dell’uomo davanti alla scelta tra due donne. La fragilità maschile, non solo verrà eletto come elemento ricorrente del cinema di quegli anni, influenzato sicuramente dai movimenti studenteschi del ’68 e successivamente dalle rivoluzioni sessuali degli anni ’70 - come quella femminista e lgbtqia+ - ma sarà anche uno dei temi cardine della cinematografia di Festa Campanile. Infatti, come molti altri cineasti italiani, il regista utilizzò spesso la commedia per rappresentare i cambiamenti sociali che, a causa della censura, faticavano ad essere raccontati.
Nel successivo Le Voci Bianche (1964), Festa Campanile, sempre insieme al fedele amico Franciosa, mette in scena lo smarrimento della figura maschile nel momento in cui viene privata (sia metaforicamente che letteralmente) dei propri attributi. Il film, ambientato nel ‘700, prende spunto dal fenomeno dei castrati: cantanti che venivano evirati in giovane età per mantenere la cosiddetta “voce bianca” e andare a ricoprire ruoli femminili (poiché alle donne era vietato recitare). Nel film, a rappresentare la decostruzione del genere maschile, sono i protagonisti Meo e Matteuccio, personaggi rispettivamente interpretati da Paolo Ferrari e Vittorio Caprioli, un attore che collaborerà spesso con Festa Campanile e che a sua volta, come regista, porterà sul grande schermo tematiche molto vicine al movimento lgbtqia+ e al femminismo.
Se Matteuccio rappresenta l’uomo che si “trasforma” in donna perché privato del proprio membro, Meo (che finge di essere evirato), dimostra come la differenza di genere non sia determinata da un fattore biologico, ma dal tipo di educazione che si riceve. Nel film, infatti, i cantanti castrati sono costretti a vivere in una sorta di convento dove vengono impartiti loro vari corsi di “femminilità”, dalla danza, alla camminata, fino al trucco. Meo, influenzato da queste “lezioni”, scoprirà progressivamente la sua parte femminile, un lato del suo essere che sfocerà, sul finale, in una scenata isterica a Matteuccio per un pennello da trucco mancante. Nella sequenza Meo si presenta con una fascia per capelli e della crema sul viso, come a rendere ancora più visiva la sua “trasformazione” in donna. La pellicola, del 1964, riesce dunque a ironizzare sulla paura sociale della “perdita della mascolinità”.
Nel 1966 Festa Campanile tornò a raccontare dei cambiamenti e delle crisi di genere con Adulterio all’Italiana, pellicola che vede protagonisti Nino Manfredi e Catherine Spaak. Il titolo, non solo riprende grandi nomi della commedia nostrana quali Divorzio all’Italiana (1961) di Pietro Germi e Matrimonio all’Italiana (1964) di Vittorio De Sica, ma, come nelle precedenti pellicole dell'autore, pone l’attenzione sull’inadeguatezza e la confusione dell’uomo contemporaneo di fronte al cambiamento e all’ansia di un mutamento del proprio ruolo, contrapposto, invece, a personaggi femminili forti e decisi a cambiare la propria condizione. Al centro del film c’è il matrimonio tra Marta (Catherine Spaak) e Franco (Nino Manfredi), un’unione che rischia di finire dopo che lei ha scoperto il tradimento del marito con una sua amica. Franco supplica la moglie di non lasciarlo e lei accetta di rimanere alla sola condizione di poterlo tradire almeno una volta.
Nella commedia, il cineasta porta avanti un chiaro attacco alla disuguaglianza che all’epoca regnava all’interno del matrimonio: un' istituzione dove al marito era permesso tradire, mentre la moglie, se colta sul fatto, poteva rischiare da un anno a due di carcere. Un altro aspetto interessante del film è il momento en travestì di Nino Manfredi nelle vesti di una signora che cerca di dissuadere uno dei corteggiatori della moglie. Anche se il travestitismo in questo caso viene utilizzato come escamotage, il regista non perde l’occasione di mostrare come sia difficile essere donna. In vesti femminili il personaggio di Manfredi si preoccupa maggiormente del proprio aspetto, curato in base ai canoni maschili e oggetto di sguardi fin troppo indiscreti. Emblematica in questo senso è la scena in cui Franco si sente osservato da due ragazzi e, automaticamente, si abbassa la gonna come a cercare di nascondersi.
Ancora prima che la questione di genere venisse trattata, e che negli anni ’90 si parlasse per la prima volta di binarismo, Pasquale Festa Campanile ha sempre cercato di sfatare i modelli che la società impone mettendo continuamente in dubbio i ruoli maschili e femminili. La sua cinematografia va ricordata, inoltre, per l’inclusione di tutti coloro che venivano considerati “diversi”: come Renato e Alberto, la coppia protagonista di uno degli episodi di Culo e camicia (1981), Guerrino, personaggio di Nessuno è perfetto (1981) che si innamora di Chantal, una donna trans, o il cross dresser Spartaco Meniconi, figura centrale di Più bello di così si muore (1982).
È proprio con quest’ultima pellicola risalente al 1982 - anno in cui uscirono altri due celebri film che trattano il tema del cross dressing: Tootsie di Sydney Pollack e Victor Victoria di Blake Edwards - che il regista abbatte totalmente i ruoli di genere. Spartaco (Enrico Montesano), costretto dalla famiglia della moglie a travestirsi da donna per andare a prostituirsi, incontra il conte Nereo di Sanfilippo (l’immancabile Vittorio Caprioli) che, innamoratosi di lui/lei, decide di volerlo sposare.
Come era successo anche al Meo di Le Voci Bianche e al Franco di Adulterio all’Italiana, anche Spartaco accetta il proprio lato femminile, ma con una sostanziale differenza: se nei primi due casi entrambi i personaggi tornano (o cercano di tornare) a un ruolo maschile ben definito socialmente, Spartaco si affeziona alla sua versione femminile, rendendosi conto che solo attraverso di lei riesce a liberarsi dai doveri, e dalle aspettative, che la società gli impone. È dunque grazie alla risata che Pasquale Festa Campanile ci lascia un cinema che precorre i tempi, e che, attraverso una stratificata ironia, mostra la complessità e le mille sfumature dell’essere umano.