Vita, morte e resurrezione del personaggio
più celebre di Andy Kaufman,
di Rodrigo Mella
TR-48
17.01.2022
Dire che Jim Carrey sia nato per interpretare il ruolo di Andy Kaufman vorrebbe dire banalizzare la realtà. E per quanto riguarda le vite di questi due comici, attori, intrattenitori o come li si voglia chiamare, ‘banale’ dovrebbe essere sempre l’ultima parola ad essergli accostata. Non c’è dubbio che Jim sia cresciuto nell’ombra di Andy, idolantrodolo, studiandone ogni mossa ed espressione, fino ad appropriarsene in tutto e per tutto sul set di Man on the Moon. A vederlo lì sullo schermo (e sentendo le storie che circolavano attorno al suo “metodo” di recitazione), più che indossare le vesti di Kaufman, Carrey sembrava averle sotto pelle. Ma anche dopo due film e decine di articoli scritti a riguardo, il mistero che aleggia attorno al loro legame non ha fatto altro che infittirsi, come se la verità fosse celata all’interno di una dimensione parallela a cui è precluso l’accesso a noi comuni mortali. Eppure, evidentemente, Jim e Andy ci sono riusciti. I loro percorsi si sono sovrapposti lungo gli anni in modo talmente bizzarro da indurci a credere l'impossibile, ovvero che le loro non siano state due vite diverse, bensì parti complementari di una singola e ininterrotta esistenza. E se Jim Carrey non fosse mai veramente esistito? Se non fosse nient’altro che un iconico, forse il più grande, personaggio di Andy Kaufman?
Andrew Geoffrey Kaufman nasce a New York City da una famiglia ebrea benestante il 17 gennaio del 1949. All’età di quattro anni fonda il suo personalissimo canale televisivo, che trasmette in esclusiva all’interno della sua cameretta per un pubblico immaginario. Il programma viene però interrotto dai genitori che, preoccupati per lo strano comportamento del figlio, gli impediscono di esibirsi senza la presenza di spettatori in carne e ossa. Andy dunque si mette alla ricerca di un pubblico disposto ad ascoltarlo, e finalmente nel 1957 inizia a esibirsi alle feste di compleanno degli altri bambini del quartiere. Tra proiezioni, giochi di magia e strimpellate alla chitarra, Kaufman ha modo di sperimentare tutte le sfaccettature della sua vocazione, che non era quella di semplice comico ma di intrattenitore nel senso più assoluto del termine.
La fascinazione di Andy sembra ruotare da subito attorno alla capacità di evocare stupore e sorpresa. Come Caronte nelle acque dell’Ade, Kaufman assume già nell'infanzia le sembianze di un traghettatore devoto a guidare il proprio pubblico verso un mondo ignoto e distante dalle banalità della vita (risale ad esempio a questo periodo la routine di Mighty Mouse, che Kaufman porterà con sé fino a Saturday Night Live). Andy sente la necessità di spingersi oltre l’immediato, e ridisegnare attraverso la sua arte i confini del mondo. Così, il giorno del suo 13esimo compleanno, decide di scrivere il proprio testamento (esposto nel 2013 all’interno della vetrina conclusiva della mostra On Creating Reality, by Andy Kaufman) per dare ufficialmente inizio alla più grande messa in scena della sua vita: la sua morte.
Quello stesso giorno, ovvero il 17 gennaio 1962, come evocato dall'inchiostro che lasciava la penna di Andy, in un freddo sobborgo di Toronto nasceva James Eugene Carrey.
Gli anni del liceo Andy li passa per lo più rintanato nello scantinato di casa a perfezionare i vecchi numeri e svilupparne di nuovi, tra i quali l’imitazione del re del rock ‘n’ roll Elvis Presley. Per quanto l’ironia delle imitazioni possa sembrare immediata o addirittura scontata, questa non si affida solo all’esagerazione e alla caricatura, ma anche allo sconcerto che si prova ad ingannare la mente, a confondere il vero per il falso. E in questo, la scelta di impersonare Elvis è per Andy un primo tentativo di erodere quel confine.
In quegli stessi anni, già a fine carriera oltre che in fin di vita, il vero Elvis si limitava a orchestrare rare e grottesche esibizioni nei vari teatri di Las Vegas. Erano apparizioni intrise di morte, che non avevano nulla a che vedere con i vecchi concerti del Re, ma che erano già a loro modo manifestazioni paranormali, quasi postume, del vero Elvis. In un certo senso, Elvis è stato il primo imitatore di sé stesso: mettendo in scena un’esibizione che era già di per sé una copia dell’originale, Elvis riuscì a distillare l’essenza della sua performance, a liberarla dai limiti corporei e a renderla immortale. È per questo che quando si dice che Elvis vivrà per sempre non lo si intende in modo metaforico, ed è questo che rende gli innumerevoli avvistamenti del Re dopo la sua morte (per cui esiste una fondazione specificamente dedicata, la Elvis Sightings Society) così incredibilmente credibili.
La comicità di Kaufman – che spesso viene descritta con l’ossimoro di anti-humour – si colloca a cavallo tra il reale e l’irreale, in quella zona grigia in cui dimora il dubbio. Durante le performance di Andy non c’era alcun modo di capire come, quando o per cosa ridere (ammesso che fosse quella la sua intenzione), ed è in questo sentirsi a disagio, in questa rottura delle aspettative e quindi delle norme sociali che Kaufman riesce a mettere in discussione l’intera esperienza esistenziale. La risata del pubblico si manifesta come un meccanismo di difesa freudiano, un tentativo disperato di sfuggire alla morte di cui per qualche secondo si è sentito il fiato sul collo. Tutto ciò rende Elvis il bozzolo perfetto per la crescita artistica di Kaufman, ed è proprio questa imitazione che nel 1972 lo porta alla sua prima apparizione televisiva come ospite nel programma Kennedy at Night.
Da qui inizia la parabola ascendente della meteora che fu Andy Kaufman. L’11 ottobre 1975, Andy si esibisce durante la prima puntata in assoluto del programma che definirà la comicità americana (e mondiale) per i decenni a venire: Saturday Night Live, diventandone immediatamente una colonna portante. Tra il 1976 e il 1978 colleziona quattro apparizioni con il “king of late night TV” Johnny Carson, e sviluppa quelli che saranno i sue due personaggi più iconici – lo Straniero (‘Foreign Man’) e Tony Clifton, un volgarissimo cantante da lounge emerso dai bassifondi di Las Vegas. Forte delle sue recenti uscite televisive, Andy viene chiamato a esibirsi nel daytime show di David Letterman, per poi diventare uno degli ospiti di punta del successivo Late Night with David Letterman, esibendosi ben undici volte nel giro di due anni. Successivamente, tra il 1978 e il 1983, Andy consolida una volta per tutte la sua posizione nel pantheon della televisione americana grazie al personaggio di Latka Gravas, un’iterazione del suo Straniero inserita all’interno dell’allora popolarissima sitcom Taxi.
In breve tempo Andy diventa un’istituzione, e le sue eccentricità si insediano nel linguaggio comico dell’intero paese. Stava andando tutto secondo i piani, ed era dunque giunto il momento per il grande scherzo di Andy di passare alla fase successiva.
Nel novembre del 1983, durante la cena del ringraziamento, la famiglia Kaufman riunitasi nella loro casa a Long Island esprime la propria preoccupazione per i pesanti e continui attacchi di tosse di Andy. Lui sostiene fossero iniziati circa un mese addietro, e di essersi già fatto visitare da un dottore della zona che però non era riuscito ad individuare alcun problema. Qualche giorno più tardi, in una clinica di Los Angeles, gli viene invece diagnosticato un carcinoma polmonare a grandi cellule (tipicamente associato con il consumo di sigarette). Andy prova qualsiasi tipo di cura, tra cui anche la chirurgia psichica nelle Filippine, ma non guarisce e il 16 maggio 1984, nella stessa clinica in cui gli era stato trovato il cancro, muore improvvisamente all’età di 35 anni.
Se si trattasse di qualsiasi altra persona non verrebbe mai in mente a nessuno di dubitare della veridicità della scomparsa di Andy Kaufman (anche perché la città di Los Angeles negli anni ha rilasciato più volte il suo certificato di morte per smentire i pettegolezzi). Il problema sta proprio nel fatto che Andy Kaufman non era una persona qualsiasi. Si sta parlando dello stesso che sul palco iniziava a leggere Il Grande Gatsby portando il pubblico all’esaurimento, momento in cui interrompeva la lettura, assorbiva il sollievo generale, e metteva su un disco con la sua voce registrata che continuava a leggere il libro fino alla fine. Andy, la stessa persona che per anni fece credere a tutti di avere una faida con il wrestler Jerry “The King” Lawler, culminata in una zuffa in diretta televisiva sui divani di Letterman, e su cui Lawler continuò a mentire per quasi vent’anni dopo la morte di Kaufman. La stessa persona che, forse, pianificò meticolosamente l’avvento della sua malattia, iniziando a tossire in pubblico già il 15 ottobre 1980, sempre da Letterman, e a cui poi venne diagnosticato un cancro ai polmoni (nonostante non avesse mai toccato una sigaretta in vita sua) nella stessa clinica in cui poi venne dichiarato morto. Morte che, fatalità, precede di esattamente due mesi la prima apparizione in assoluto di Jim Carrey (nato, vi ricordo, lo stesso giorno di Andy Kaufman e l’anno in cui quest’ultimo scrisse il proprio testamento di morte),indovinate a quale programma televisivo? Sì, proprio il Late Night with David Letterman.
Se le coincidenze (se così vogliamo chiamarle) finissero qua, ci sarebbe poco da fantasticare. Il problema è che ancora una volta la realtà si dimostra molto più complessa e assurda dell’immaginazione umana, ma forse non poi così distante da quella di Andy Kaufman. Come un atleta in attesa sulla linea della seconda batteria, Jim Carrey sembrava non aspettare altro che il testimone di Kaufman per iniziare a correre. E così fu.
Dopo essere stato scartato svariate volte alle audizioni di SNL, nel 1983 il giovane comico canadese decide di tentare il tutto per tutto e trasferirsi a Hollywood. Passa i primi mesi ad esibirsi tra i vari club di Los Angeles, fino a ottenere la chance di portare per la prima volta in televisione il suo set di imitazioni al Tonight Show Starring Jimmy Carson. Carrey finalmente debutta di fronte al grande pubblico statunitense, e lo fa portando i suoi personaggi migliori: Jack Nicholson, Clint Eastwood, E.T. e, ovviamente, Elvis Presley. Si dà anche il caso che il giorno della sua performance da Carson sia la festa del ringraziamento del 1983, proprio mentre la famiglia Kaufman si stringeva attorno al figlio maggiore per la sua improvvisa caduta di salute.
Nonostante il breve exploit televisivo, Carrey passa i successivi dieci lunghi anni della sua carriera a fluttuare tra i comedy clubs californiani e a ricoprire particine in varie produzioni di Hollywood senza mai lasciare il segno. Poi, improvvisamente, nel 1993 Carrey trova il suo big break nel ruolo di Ace Ventura. Il film ha un successo immenso, e Jim Carrey diventa l’attore comico più richiesto di tutta Los Angeles. In rapida successione la nuova stella del cinema realizza record d’incassi senza precedenti con The Mask, Scemo e più scemo, Batman Forever, il sequel di Ace Ventura, Il rompiscatole (per cui diventa anche il primo attore ad essere pagato 20 milioni di dollari), e Bugiardo Bugiardo. Non soddisfatto, nel 1998 Carrey ottiene infine anche l’acclamazione della critica per il suo ruolo in The Truman Show, che gli permette di vincere il Golden Globe al miglior attore drammatico.
Jim Carrey è sul tetto del mondo. Nel giro di quattro anni è passato da essere un comico qualsiasi sull’orlo della resa ad attore più pagato e stimato del mondo. Praticamente tutti i suoi ruoli più iconici sono rintracciabili in questo breve periodo, ed è l’ultimo di questi, quello di Truman Burbank, a fare da spartiacque per la sua carriera e a trasformarlo in un interprete libero da qualsiasi etichetta. Nell’ultima scena del film, che vede un uomo scoprire di essere niente altro che un personaggio all’interno di un programma televisivo talmente grande da contenere l’intera realtà, Truman attraversa l’oceano e va a sbattere contro il confine del suo mondo fittizio. Qui, in cima a dei gradini, trova una porticina incastonata in un cielo di cartone e, dopo essersi inchinato verso il pubblico incredulo, la attraversa ed esce di scena. Così come Truman si sentiva pronto per uscire allo scoperto, anche Jim Carrey capisce che è finalmente arrivato il momento di calarsi nel ruolo che aspetta dal giorno in cui è nato: quello di Andy Kaufman.
Nell’inverno del 1998 iniziano le riprese di Man on the Moon, diretto da Milos Forman e con Jim Carrey protagonista nel ruolo di Andy Kaufman. Carrey racconta che prima di iniziare a girare, sentendo la pressione di dover interpretare il suo idolo, tentò di comunicare telepaticamente con Kaufman, alla ricerca di una sorta di benedizione. Si mise di fronte all’oceano a fissare le onde per ore, finché non vide un gruppo di delfini uscire in superficie. E in quello stesso momento, Carrey dice di aver sentito lo spirito di Kaufman mettergli una mano sulla spalla e sussurrargli all’orecchio: “Puoi sederti ora, il mio film lo farò io”.
Da lì in poi, per i mesi a seguire Jim Carrey scomparve praticamente del tutto, e Andy Kaufman tornò ancora una volta a calcare il suo palcoscenico. Carrey insistette perché tutti, sul set e fuori, si rivolgessero a lui usando il suo vero nome, Andy, e il fatto che Forman continuasse a gridare stop! e azione! per lui non faceva alcuna differenza: Andy continuava semplicemente e ininterrottamente a essere sé stesso. Kaufman spariva solamente quando erano i suoi altri personaggi a entrare in scena, Tony Clifton su tutti, che non si riguardava dall’insultare tutti gli addetti ai lavori, Forman compreso. Per i familiari e gli amici presenti (tra cui anche i genitori e la compagna) fu una vera e propria gioia riavere Andy tra loro, per gli altri invece fu qualcosa di più simile a un incubo. Eppure, per tutti i coinvolti senza eccezione alcuna, ciò che accadde durante quelle riprese ebbe dell’inspiegabile. Alcuni lo definirono method-acting, altri iniziarono a credere che Carrey fosse stato posseduto dallo spirito di Kaufman. Ma tutte le speculazioni risultavano riduttive e spicciole di fronte alla realtà percepita. A 15 anni di distanza dalla scomparsa, Andy Kaufman aveva finalmente pronunciato la sua punchline.
Nella scena finale del film, ambientata un anno dopo la morte di Andy, Tony Clifton torna sul palco del Comedy Store, in quello che fu il primo di una lunga serie di avvistamenti post-mortem del lucertolone di Las Vegas. Come solo Elvis Presley e Gesù Cristo prima di lui, Andy Kaufman aveva completato la sua resurrezione. Anni passati a esplorare i confini della realtà, tra la vita e la morte, il vero e il falso, fino ad arrivare a questo fatidico momento. Kaufman fece credere a tutti di essere morto per poi dar vita a un nuovo personaggio, un giovane e aspirante comico canadese di nome Jim Carrey, che riuscì prima a diventare l’attore più emblematico della sua generazione, e poi a raggiungere l’apice della carriera interpretando sé stesso. Se Elvis aveva reso la propria figura immortale tracciando una linea retta verso l’infinito, Kaufman si spinse ancora oltre, disegnando tra la vita e la morte un cerchio concentrico senza inizio né fine.
Man on the Moon uscì nelle sale americane il 22 dicembre del 1999. Due giorni dopo, la sera della Vigilia di Natale (tanto per rimarcare il citazionismo biblico), il membro più giovane della famiglia Kaufman, Michael, ricevette una lettera firmata dal fratello Andy che lo informava di essere ancora vivo e di stare bene, spiegando la necessità di dover sfuggire dall’essere Andy Kaufman per un po’.
Chi crede che Andy Kaufman abbia fatto finta di morire è ancora in attesa che lui torni in vita, ignaro del fatto che forse lo ha già fatto e nessuno se ne è accorto. Proprio come nel 1977 lo speciale Andy’s Funhouse venne accantonato da ABC perché considerato “inadatto” alla visione, il backstage di Man on the Moon, inizialmente pensato come materiale promozionale per il film, rimase nello scantinato della Universal per quasi vent’anni. All’epoca i produttori difesero la scelta sostenendo di voler proteggere l’immagine pubblica di Carrey, convinti che fosse meglio che il vero Andy, quello dietro le quinte, rimanesse nell’oltretomba. Alla fine ci fu bisogno della persistenza di Spike Jonze (questa volta nelle vesti di produttore) per riesumare tutto il materiale e decidersi a farci qualcosa. Il regista Chris Smith racconta di aver telefonato il suo montatore subito dopo la prima intervista a Carrey e di avergli detto che, indipendentemente da quello che sarebbe successo da lì in poi, avevano già tutto ciò di cui avevano bisogno per fare un film. Il risultato finale andò ben oltre le aspettative, e così si realizzò Jim and Andy: The Great Beyond – Featuring a Very Special, Contractually Obligated Mention of Tony Clifton. Più che un making-of, il documentario è una vera seduta spiritica, in cui l’uomo che siede di fronte alla telecamera sembra essersi liberato da qualsiasi involucro terreno, e dimostra di non essere più né Jim Carrey né Andy Kaufman.
Dall’uscita del film nel 2017 (33 anni dopo dalla scomparsa di Andy Kaufman – già, gli stessi anni della morte e resurrezione di quel signore sulla croce), Jim Carrey ha rilasciato varie interviste in cui dichiara di non essere più Jim Carrey. ‘Jim Carrey’ non era che una maschera, spiega l’attore, di cui ancora si serve per il nome e l’indirizzo, ma in cui non si riconosce più. Avendo vissuto mille vite, il suo obiettivo adesso è quello di andare avanti per quanto possibile senza alcun filtro o pretesa, fluttuando nella vasta e infinita assurdità dell’esistenza. Ogni personaggio nella carriera di Andy Kaufman è venuto alla luce portandosi via un pezzo della sua anima, e ora che anche il suo capolavoro ha deciso di fare un passo indietro e lasciar cadere la maschera, Andy stesso sembra aver scelto di trascendere al great beyond, il grande al di là: un luogo in cui non si è né vivi né morti, ma più semplicemente si è.
In un’intervista al Los Angeles Times, Carrey spiega: “Esisteranno sempre due mondi: uno relativo e uno assoluto. E in quello assoluto c’è un solo principio che conta, ovvero che siamo circondati da energia in cui non esiste alcun io. Esiste solo ciò che succede.”
Neanche Andy avrebbe potuto dirla meglio.
Vita, morte e resurrezione
del personaggio più celebre
di Andy Kaufman,
di Rodrigo Mella
TR-48
17.01.2022
Dire che Jim Carrey sia nato per interpretare il ruolo di Andy Kaufman vorrebbe dire banalizzare la realtà. E per quanto riguarda le vite di questi due comici, attori, intrattenitori o come li si voglia chiamare, ‘banale’ dovrebbe essere sempre l’ultima parola ad essergli accostata. Non c’è dubbio che Jim sia cresciuto nell’ombra di Andy, idolantrodolo, studiandone ogni mossa ed espressione, fino ad appropriarsene in tutto e per tutto sul set di Man on the Moon. A vederlo lì sullo schermo (e sentendo le storie che circolavano attorno al suo “metodo” di recitazione), più che indossare le vesti di Kaufman, Carrey sembrava averle sotto pelle. Ma anche dopo due film e decine di articoli scritti a riguardo, il mistero che aleggia attorno al loro legame non ha fatto altro che infittirsi, come se la verità fosse celata all’interno di una dimensione parallela a cui è precluso l’accesso a noi comuni mortali. Eppure, evidentemente, Jim e Andy ci sono riusciti. I loro percorsi si sono sovrapposti lungo gli anni in modo talmente bizzarro da indurci a credere l'impossibile, ovvero che le loro non siano state due vite diverse, bensì parti complementari di una singola e ininterrotta esistenza. E se Jim Carrey non fosse mai veramente esistito? Se non fosse nient’altro che un iconico, forse il più grande, personaggio di Andy Kaufman?
Andrew Geoffrey Kaufman nasce a New York City da una famiglia ebrea benestante il 17 gennaio del 1949. All’età di quattro anni fonda il suo personalissimo canale televisivo, che trasmette in esclusiva all’interno della sua cameretta per un pubblico immaginario. Il programma viene però interrotto dai genitori che, preoccupati per lo strano comportamento del figlio, gli impediscono di esibirsi senza la presenza di spettatori in carne e ossa. Andy dunque si mette alla ricerca di un pubblico disposto ad ascoltarlo, e finalmente nel 1957 inizia a esibirsi alle feste di compleanno degli altri bambini del quartiere. Tra proiezioni, giochi di magia e strimpellate alla chitarra, Kaufman ha modo di sperimentare tutte le sfaccettature della sua vocazione, che non era quella di semplice comico ma di intrattenitore nel senso più assoluto del termine.
La fascinazione di Andy sembra ruotare da subito attorno alla capacità di evocare stupore e sorpresa. Come Caronte nelle acque dell’Ade, Kaufman assume già nell'infanzia le sembianze di un traghettatore devoto a guidare il proprio pubblico verso un mondo ignoto e distante dalle banalità della vita (risale ad esempio a questo periodo la routine di Mighty Mouse, che Kaufman porterà con sé fino a Saturday Night Live). Andy sente la necessità di spingersi oltre l’immediato, e ridisegnare attraverso la sua arte i confini del mondo. Così, il giorno del suo 13esimo compleanno, decide di scrivere il proprio testamento (esposto nel 2013 all’interno della vetrina conclusiva della mostra On Creating Reality, by Andy Kaufman) per dare ufficialmente inizio alla più grande messa in scena della sua vita: la sua morte.
Quello stesso giorno, ovvero il 17 gennaio 1962, come evocato dall'inchiostro che lasciava la penna di Andy, in un freddo sobborgo di Toronto nasceva James Eugene Carrey.
Gli anni del liceo Andy li passa per lo più rintanato nello scantinato di casa a perfezionare i vecchi numeri e svilupparne di nuovi, tra i quali l’imitazione del re del rock ‘n’ roll Elvis Presley. Per quanto l’ironia delle imitazioni possa sembrare immediata o addirittura scontata, questa non si affida solo all’esagerazione e alla caricatura, ma anche allo sconcerto che si prova ad ingannare la mente, a confondere il vero per il falso. E in questo, la scelta di impersonare Elvis è per Andy un primo tentativo di erodere quel confine.
In quegli stessi anni, già a fine carriera oltre che in fin di vita, il vero Elvis si limitava a orchestrare rare e grottesche esibizioni nei vari teatri di Las Vegas. Erano apparizioni intrise di morte, che non avevano nulla a che vedere con i vecchi concerti del Re, ma che erano già a loro modo manifestazioni paranormali, quasi postume, del vero Elvis. In un certo senso, Elvis è stato il primo imitatore di sé stesso: mettendo in scena un’esibizione che era già di per sé una copia dell’originale, Elvis riuscì a distillare l’essenza della sua performance, a liberarla dai limiti corporei e a renderla immortale. È per questo che quando si dice che Elvis vivrà per sempre non lo si intende in modo metaforico, ed è questo che rende gli innumerevoli avvistamenti del Re dopo la sua morte (per cui esiste una fondazione specificamente dedicata, la Elvis Sightings Society) così incredibilmente credibili.
La comicità di Kaufman – che spesso viene descritta con l’ossimoro di anti-humour – si colloca a cavallo tra il reale e l’irreale, in quella zona grigia in cui dimora il dubbio. Durante le performance di Andy non c’era alcun modo di capire come, quando o per cosa ridere (ammesso che fosse quella la sua intenzione), ed è in questo sentirsi a disagio, in questa rottura delle aspettative e quindi delle norme sociali che Kaufman riesce a mettere in discussione l’intera esperienza esistenziale. La risata del pubblico si manifesta come un meccanismo di difesa freudiano, un tentativo disperato di sfuggire alla morte di cui per qualche secondo si è sentito il fiato sul collo. Tutto ciò rende Elvis il bozzolo perfetto per la crescita artistica di Kaufman, ed è proprio questa imitazione che nel 1972 lo porta alla sua prima apparizione televisiva come ospite nel programma Kennedy at Night.
Da qui inizia la parabola ascendente della meteora che fu Andy Kaufman. L’11 ottobre 1975, Andy si esibisce durante la prima puntata in assoluto del programma che definirà la comicità americana (e mondiale) per i decenni a venire: Saturday Night Live, diventandone immediatamente una colonna portante. Tra il 1976 e il 1978 colleziona quattro apparizioni con il “king of late night TV” Johnny Carson, e sviluppa quelli che saranno i sue due personaggi più iconici – lo Straniero (‘Foreign Man’) e Tony Clifton, un volgarissimo cantante da lounge emerso dai bassifondi di Las Vegas. Forte delle sue recenti uscite televisive, Andy viene chiamato a esibirsi nel daytime show di David Letterman, per poi diventare uno degli ospiti di punta del successivo Late Night with David Letterman, esibendosi ben undici volte nel giro di due anni. Successivamente, tra il 1978 e il 1983, Andy consolida una volta per tutte la sua posizione nel pantheon della televisione americana grazie al personaggio di Latka Gravas, un’iterazione del suo Straniero inserita all’interno dell’allora popolarissima sitcom Taxi.
In breve tempo Andy diventa un’istituzione, e le sue eccentricità si insediano nel linguaggio comico dell’intero paese. Stava andando tutto secondo i piani, ed era dunque giunto il momento per il grande scherzo di Andy di passare alla fase successiva.
Nel novembre del 1983, durante la cena del ringraziamento, la famiglia Kaufman riunitasi nella loro casa a Long Island esprime la propria preoccupazione per i pesanti e continui attacchi di tosse di Andy. Lui sostiene fossero iniziati circa un mese addietro, e di essersi già fatto visitare da un dottore della zona che però non era riuscito ad individuare alcun problema. Qualche giorno più tardi, in una clinica di Los Angeles, gli viene invece diagnosticato un carcinoma polmonare a grandi cellule (tipicamente associato con il consumo di sigarette). Andy prova qualsiasi tipo di cura, tra cui anche la chirurgia psichica nelle Filippine, ma non guarisce e il 16 maggio 1984, nella stessa clinica in cui gli era stato trovato il cancro, muore improvvisamente all’età di 35 anni.
Se si trattasse di qualsiasi altra persona non verrebbe mai in mente a nessuno di dubitare della veridicità della scomparsa di Andy Kaufman (anche perché la città di Los Angeles negli anni ha rilasciato più volte il suo certificato di morte per smentire i pettegolezzi). Il problema sta proprio nel fatto che Andy Kaufman non era una persona qualsiasi. Si sta parlando dello stesso che sul palco iniziava a leggere Il Grande Gatsby portando il pubblico all’esaurimento, momento in cui interrompeva la lettura, assorbiva il sollievo generale, e metteva su un disco con la sua voce registrata che continuava a leggere il libro fino alla fine. Andy, la stessa persona che per anni fece credere a tutti di avere una faida con il wrestler Jerry “The King” Lawler, culminata in una zuffa in diretta televisiva sui divani di Letterman, e su cui Lawler continuò a mentire per quasi vent’anni dopo la morte di Kaufman. La stessa persona che, forse, pianificò meticolosamente l’avvento della sua malattia, iniziando a tossire in pubblico già il 15 ottobre 1980, sempre da Letterman, e a cui poi venne diagnosticato un cancro ai polmoni (nonostante non avesse mai toccato una sigaretta in vita sua) nella stessa clinica in cui poi venne dichiarato morto. Morte che, fatalità, precede di esattamente due mesi la prima apparizione in assoluto di Jim Carrey (nato, vi ricordo, lo stesso giorno di Andy Kaufman e l’anno in cui quest’ultimo scrisse il proprio testamento di morte),indovinate a quale programma televisivo? Sì, proprio il Late Night with David Letterman.
Se le coincidenze (se così vogliamo chiamarle) finissero qua, ci sarebbe poco da fantasticare. Il problema è che ancora una volta la realtà si dimostra molto più complessa e assurda dell’immaginazione umana, ma forse non poi così distante da quella di Andy Kaufman. Come un atleta in attesa sulla linea della seconda batteria, Jim Carrey sembrava non aspettare altro che il testimone di Kaufman per iniziare a correre. E così fu.
Dopo essere stato scartato svariate volte alle audizioni di SNL, nel 1983 il giovane comico canadese decide di tentare il tutto per tutto e trasferirsi a Hollywood. Passa i primi mesi ad esibirsi tra i vari club di Los Angeles, fino a ottenere la chance di portare per la prima volta in televisione il suo set di imitazioni al Tonight Show Starring Jimmy Carson. Carrey finalmente debutta di fronte al grande pubblico statunitense, e lo fa portando i suoi personaggi migliori: Jack Nicholson, Clint Eastwood, E.T. e, ovviamente, Elvis Presley. Si dà anche il caso che il giorno della sua performance da Carson sia la festa del ringraziamento del 1983, proprio mentre la famiglia Kaufman si stringeva attorno al figlio maggiore per la sua improvvisa caduta di salute.
Nonostante il breve exploit televisivo, Carrey passa i successivi dieci lunghi anni della sua carriera a fluttuare tra i comedy clubs californiani e a ricoprire particine in varie produzioni di Hollywood senza mai lasciare il segno. Poi, improvvisamente, nel 1993 Carrey trova il suo big break nel ruolo di Ace Ventura. Il film ha un successo immenso, e Jim Carrey diventa l’attore comico più richiesto di tutta Los Angeles. In rapida successione la nuova stella del cinema realizza record d’incassi senza precedenti con The Mask, Scemo e più scemo, Batman Forever, il sequel di Ace Ventura, Il rompiscatole (per cui diventa anche il primo attore ad essere pagato 20 milioni di dollari), e Bugiardo Bugiardo. Non soddisfatto, nel 1998 Carrey ottiene infine anche l’acclamazione della critica per il suo ruolo in The Truman Show, che gli permette di vincere il Golden Globe al miglior attore drammatico.
Jim Carrey è sul tetto del mondo. Nel giro di quattro anni è passato da essere un comico qualsiasi sull’orlo della resa ad attore più pagato e stimato del mondo. Praticamente tutti i suoi ruoli più iconici sono rintracciabili in questo breve periodo, ed è l’ultimo di questi, quello di Truman Burbank, a fare da spartiacque per la sua carriera e a trasformarlo in un interprete libero da qualsiasi etichetta. Nell’ultima scena del film, che vede un uomo scoprire di essere niente altro che un personaggio all’interno di un programma televisivo talmente grande da contenere l’intera realtà, Truman attraversa l’oceano e va a sbattere contro il confine del suo mondo fittizio. Qui, in cima a dei gradini, trova una porticina incastonata in un cielo di cartone e, dopo essersi inchinato verso il pubblico incredulo, la attraversa ed esce di scena. Così come Truman si sentiva pronto per uscire allo scoperto, anche Jim Carrey capisce che è finalmente arrivato il momento di calarsi nel ruolo che aspetta dal giorno in cui è nato: quello di Andy Kaufman.
Nell’inverno del 1998 iniziano le riprese di Man on the Moon, diretto da Milos Forman e con Jim Carrey protagonista nel ruolo di Andy Kaufman. Carrey racconta che prima di iniziare a girare, sentendo la pressione di dover interpretare il suo idolo, tentò di comunicare telepaticamente con Kaufman, alla ricerca di una sorta di benedizione. Si mise di fronte all’oceano a fissare le onde per ore, finché non vide un gruppo di delfini uscire in superficie. E in quello stesso momento, Carrey dice di aver sentito lo spirito di Kaufman mettergli una mano sulla spalla e sussurrargli all’orecchio: “Puoi sederti ora, il mio film lo farò io”.
Da lì in poi, per i mesi a seguire Jim Carrey scomparve praticamente del tutto, e Andy Kaufman tornò ancora una volta a calcare il suo palcoscenico. Carrey insistette perché tutti, sul set e fuori, si rivolgessero a lui usando il suo vero nome, Andy, e il fatto che Forman continuasse a gridare stop! e azione! per lui non faceva alcuna differenza: Andy continuava semplicemente e ininterrottamente a essere sé stesso. Kaufman spariva solamente quando erano i suoi altri personaggi a entrare in scena, Tony Clifton su tutti, che non si riguardava dall’insultare tutti gli addetti ai lavori, Forman compreso. Per i familiari e gli amici presenti (tra cui anche i genitori e la compagna) fu una vera e propria gioia riavere Andy tra loro, per gli altri invece fu qualcosa di più simile a un incubo. Eppure, per tutti i coinvolti senza eccezione alcuna, ciò che accadde durante quelle riprese ebbe dell’inspiegabile. Alcuni lo definirono method-acting, altri iniziarono a credere che Carrey fosse stato posseduto dallo spirito di Kaufman. Ma tutte le speculazioni risultavano riduttive e spicciole di fronte alla realtà percepita. A 15 anni di distanza dalla scomparsa, Andy Kaufman aveva finalmente pronunciato la sua punchline.
Nella scena finale del film, ambientata un anno dopo la morte di Andy, Tony Clifton torna sul palco del Comedy Store, in quello che fu il primo di una lunga serie di avvistamenti post-mortem del lucertolone di Las Vegas. Come solo Elvis Presley e Gesù Cristo prima di lui, Andy Kaufman aveva completato la sua resurrezione. Anni passati a esplorare i confini della realtà, tra la vita e la morte, il vero e il falso, fino ad arrivare a questo fatidico momento. Kaufman fece credere a tutti di essere morto per poi dar vita a un nuovo personaggio, un giovane e aspirante comico canadese di nome Jim Carrey, che riuscì prima a diventare l’attore più emblematico della sua generazione, e poi a raggiungere l’apice della carriera interpretando sé stesso. Se Elvis aveva reso la propria figura immortale tracciando una linea retta verso l’infinito, Kaufman si spinse ancora oltre, disegnando tra la vita e la morte un cerchio concentrico senza inizio né fine.
Man on the Moon uscì nelle sale americane il 22 dicembre del 1999. Due giorni dopo, la sera della Vigilia di Natale (tanto per rimarcare il citazionismo biblico), il membro più giovane della famiglia Kaufman, Michael, ricevette una lettera firmata dal fratello Andy che lo informava di essere ancora vivo e di stare bene, spiegando la necessità di dover sfuggire dall’essere Andy Kaufman per un po’.
Chi crede che Andy Kaufman abbia fatto finta di morire è ancora in attesa che lui torni in vita, ignaro del fatto che forse lo ha già fatto e nessuno se ne è accorto. Proprio come nel 1977 lo speciale Andy’s Funhouse venne accantonato da ABC perché considerato “inadatto” alla visione, il backstage di Man on the Moon, inizialmente pensato come materiale promozionale per il film, rimase nello scantinato della Universal per quasi vent’anni. All’epoca i produttori difesero la scelta sostenendo di voler proteggere l’immagine pubblica di Carrey, convinti che fosse meglio che il vero Andy, quello dietro le quinte, rimanesse nell’oltretomba. Alla fine ci fu bisogno della persistenza di Spike Jonze (questa volta nelle vesti di produttore) per riesumare tutto il materiale e decidersi a farci qualcosa. Il regista Chris Smith racconta di aver telefonato il suo montatore subito dopo la prima intervista a Carrey e di avergli detto che, indipendentemente da quello che sarebbe successo da lì in poi, avevano già tutto ciò di cui avevano bisogno per fare un film. Il risultato finale andò ben oltre le aspettative, e così si realizzò Jim and Andy: The Great Beyond – Featuring a Very Special, Contractually Obligated Mention of Tony Clifton. Più che un making-of, il documentario è una vera seduta spiritica, in cui l’uomo che siede di fronte alla telecamera sembra essersi liberato da qualsiasi involucro terreno, e dimostra di non essere più né Jim Carrey né Andy Kaufman.
Dall’uscita del film nel 2017 (33 anni dopo dalla scomparsa di Andy Kaufman – già, gli stessi anni della morte e resurrezione di quel signore sulla croce), Jim Carrey ha rilasciato varie interviste in cui dichiara di non essere più Jim Carrey. ‘Jim Carrey’ non era che una maschera, spiega l’attore, di cui ancora si serve per il nome e l’indirizzo, ma in cui non si riconosce più. Avendo vissuto mille vite, il suo obiettivo adesso è quello di andare avanti per quanto possibile senza alcun filtro o pretesa, fluttuando nella vasta e infinita assurdità dell’esistenza. Ogni personaggio nella carriera di Andy Kaufman è venuto alla luce portandosi via un pezzo della sua anima, e ora che anche il suo capolavoro ha deciso di fare un passo indietro e lasciar cadere la maschera, Andy stesso sembra aver scelto di trascendere al great beyond, il grande al di là: un luogo in cui non si è né vivi né morti, ma più semplicemente si è.
In un’intervista al Los Angeles Times, Carrey spiega: “Esisteranno sempre due mondi: uno relativo e uno assoluto. E in quello assoluto c’è un solo principio che conta, ovvero che siamo circondati da energia in cui non esiste alcun io. Esiste solo ciò che succede.”
Neanche Andy avrebbe potuto dirla meglio.